martedì 10 ottobre 2017

Una cosa divertente che non farò mai più, David Foster Wallace

16:00
Nei giorni scorsi ho riflettuto, grazie a Ridley Scott e Denis Villeneuve sull'umanità.
(Nota a margine: andate a vedere al cinema Blade Runner 2049 che è una perla)
L'ho fatto grazie ad un'analisi intensa, piena di cuore e intelligenza sopraffina.
Poi è arrivato DFW, che in nemmeno un centinaio di pagine quella stessa umanità l'ha vivisezionata, scoprendola proprio nel momento in cui questa è meno controllata (in vacanza), e l'ha presa violentemente, ferocemente, brillantemente, per il culo.


Nel 1996 Harper's Magazine ha chiesto ad una delle menti più brillanti di questi tempi di andare in crociera, godersi la vacanza e poi scriverci un articolo.

Mandare una persona con depressione conclamata in mezzo all'oceano circondato dalla bizzarra selezione di umani che frequentano il mondo delle crociere è una scelta quantomeno azzardata. Questo poteva togliersi la vita prima del tempo (sob) o fare una strage. Per nostra grande fortuna, però, il modo di DFW di sfogarsi era la scrittura. Era in una situazione per lui probabilmente fonte di disagio, e quindi ha trovato il modo di prendersene gioco, trascinando giù con essa i piccoli vizi degli uomini.

Si poteva cadere miseramente nel rischio di uno sguardo cinico e infarcito di superiorità, con un mix del genere. Prendere David Foster Wallace e buttarlo in uno spazio chiuso in mezzo a migliaia di persone, non son cose che si fanno. Wallace, però, era partito pronto. Mai per un istante il suo tono brutalmente ironico è scambiabile per superiore perchè la prima vittima della sua ironia è lui stesso. Lui che si è messo alla prova e si è lanciato in iniziative a dir poco distanti dalla sua quotidianità (il tiro al piattello, per dirne una sola, in cui si è rivelato pessimo), che si è nascosto nei corridoi per vedere quanto velocemente intervenisse il servizio di pulizia delle camere, lui che ha conosciuto il suo lato viziato e invidioso e ce l'ha raccontato senza pudore alcuno.
Ha spalancato i suoi occhi svegli su quello che lo circondava e ce lo ha trasmesso con la semplicità del primo sguardo ma la profondità di chi come primo sguardo ha quello attentissimo di chi scrive per vivere. I dettagli più piccoli, a partire dalla descrizione della nave fino ad arrivare ai costumi dei bagnanti, sono riportati fedelmente per portarci all'interno dell'esperienza. Un'esperienza all'insegna del vizio, della coccola, dell'ozio.
Un sogno incantato, o un incubo terrificante.

L'ennesima conferma di come DFW sia fatto su misura per me, con il suo sentirsi così distante da tutti noi e allo stesso tempo così uguale a tutti gli altri.
Come scriveva lui, però, pochi altri.
Basta guardare cosa è in grado di fare con un water.

giovedì 5 ottobre 2017

Blade Runner - The Final Cut

11:29
DISCLAIMER
Questo post non vuole essere un esaustivo articolo su uno dei film più importanti di sempre perché sapete che a me quelle cose lì mettono soggezione, ma solo una sputacchiata incoerente di opinioni, emozioni e pensieri derivanti dalla visione del suddetto maestoso film.
Insomma, per l'ennesima volta è un post per rassicurare quelle persone magari indirizzate verso un certo film dal partner che hanno paura di morire di noia e di detestare qualcosa che, invece, vi posso garantire è grande davvero.



Ho guardato il vecchio BR perché se un film ha qualcosa a che fare con Villeneuve io lo voglio vedere e quindi domenica pomeriggio sarò in sala a vedere quello nuovo senza se e senza ma. Volevo arrivare preparata primo per dovere di completezza e secondo per non tartassare di domande il povero R che del vecchio BR è un amante.
A lui basta che dare qualcosa che ricordi anche solo alla lontana la fantascienza e gongola come un gatto quando gli gratti il collo, io vedo la fantascienza e volo via sulle ali del vento.
Ero pronta ad un film lungo ventisei ore, noioso come la Via Crucis e pesante come quei biscotti al burro che ho assaggiato ieri e che ancora sono piantati sullo stomaco. Il Final Cut del 2007 è tutto tranne che questo. Non arriva alle due ore e le fa scorrere con una dinamicità e una fluidità che sono un sogno per noi che questo genere lo tolleriamo a piccole dosi.

Un accenno di trama per chi come me abbia vissuto sulla Luna fino a ieri sera.

Siamo nella Los Angeles del 2019. Il mondo non ha più quasi niente di come lo conosciamo, l'inquinamento lo ha reso un pianeta inabitabile e i pochi che sono costretti a restare lo fanno per malattia o povertà. In mezzo a questo panorama desolato, i replicanti. Sono androidi dall'aspetto e dalle caratteristiche quasi identiche a quelli umani, usati per i lavori più beceri. Quando hanno iniziato a sviluppare anche emozioni umane, però, si è deciso di sopprimerli in massa o rinchiuderli in colonie. Sei di loro sono riusciti a tornare sulla Terra e il compito di Harrison Ford sarà quello di cercarli e farli fuori uno per uno alla Dieci Piccoli Indiani.

C'erano tutte le premesse perché me ne fregasse meno di niente. Le scritte iniziali, con cui si viene introdotti alla storia, mi avevano lasciato presagi di morte e sonnolenza. Invece, prima inquadratura.

'sticazzi

Io fulminata. Ragazzi, ragazze costretti a ciò dal moroso o dalla morosa o da un'amica o da un papà appassionato: ne vale la pena.
Ne vale la pena di uscire dalla comfort zone e lasciarsi andare, perché in mezzo al marasma di film di fantascienza di cui onestamente capisco possiate essere pieni, Blade Runner è un sogno. Un sogno fatto di disperazione e desolazione, un sogno fatto di profondissimi dilemmi etici che vanno ben al di là del solito cosa è giusto/cosa è sbagliato. È un'analisi della vita e dei suoi componenti, dell'umanità in ogni sua sfaccettatura, di una società spaccata in due (letteralmente) in cui solo il più debole è costretto a vivere nel marcio, dell'amore impossibile nel suo aspetto più estremo.
È un film che rimette al suo posto (l'angolino della vergogna) chi ancora crede in qualche supremazia, chi ancora cerchi differenze tra le persone, chi dimentica cosa ci rende umani e, quindi, uguali.
Come lo fa? Con immagini indimenticabili.
Se la storia in sè continua a non convincervi, lasciate che le immagini parlino da sè. Se quella prima vista sulla città non vi ha fatto cadere vittime di un amore inesorabile, lasciate che tutto il resto del film, con la sua pioggia incessante e il suo maestoso azzurro onnipresente, vi trascini laddove nessuno vi aveva mai trascinato prima. Nell'Olimpo dei Grandi, dove basta una figura che cammina in controluce per ricordarvi chi comanda.
E vi dico la verità, a me basterebbe un'estetica così strepitosa a farmi innamorare. Tutto è così incredibilmente bello anche quando ritrae il brutto da farmi credere che non possa esistere niente di altrettanto appagante.
(MA non lo farò. Non sarò di quelli che andranno a vedere il nuovo Blade Runner solo per dire che il primo è più bello. Se lo fate state a casa e lasciatemi i posti migliori in sala, grazie.)

Avevo contemplato la possibilità che mi piacesse, ma neanche per un istante ho pensato che mi sarei Innamorata.
E invece il Cinema mi ha fregata ancora una volta.

mercoledì 4 ottobre 2017

Madre!

14:36
Ho pensato per giorni se fosse il caso o meno di parlare di Madre!.
Poiché, però, dalla sera della visione non riesco a pensare ad altro, mi ritrovo a dover almeno provare a buttare giù qualche riga, nella vaga speranza mi esca qualcosa di sensato.


Per quanto mi riguarda un film di Aronofsky al giorno potrebbe essere la ricetta della felicità. Mi piace tanto, tantissimo, rappresenta in pieno quello che cerco quando inizio un film. Alle prime notizie dei fischi a Venezia mi sono tappata le orecchie e ho indossato il velo del negazionismo.
Ebbene, entro in sala.
A metà film voglio uscire.

La coppia composta da Jennifer Lawrence e Javier Bardem (caposquadra dei Brutti Che Piacciono Alla Mari®) vive in una casa in mezzo al nulla. Sembrano felici anche se l'ispirazione di lui, poeta, sembra tardare ad arrivare. La loro solitudine viene interrotta dall'arrivo di un ospite, convinto che la loro casa fosse un b&b, che viene invitato a restare da Bardem.
Per me, da questo momento, ha inizio un incubo.
Mano a mano che l'ospite diventava invadente, io diventavo nervosa. Se ognuno di noi è più o meno sensibile a cose diverse, io impazzisco quando mi sento invasa. La mia casa è la mia casa e tu ti prendi la confidenza che io ti dò, punto. Ho persone a me vicine che invece sono meno inflessibili di me e che toccano la casa altrui come se fosse propria e le condannerei a morte con tortura. Nel senso che mi dà fastidio anche se lo fanno a casa d'altri, mi sembra proprio di impazzire.
Tutta la prima metà del film è un home invasion di portata psicologica terrificante. Con l'arrivo della moglie la visione è diventata per me faticosa come un allenamento di Kayla Itsines e per la prima volta nella mia vita, sono disposta a giurarlo, mi è balenata in testa l'ipotesi di lasciare la sala.
Sono abituata al cinema che lascia sensazioni negative. Spesso mi piace. Mi piace l'arte che scombussola, che rimette in discussione, che frantuma e ricostruisce. La fruizione, però, deve essere gradevole. Mi piace guardare i peggio film horror anche quando sono beceri oppure spaventosissimi perché per qualche motivo mi divertono, quindi anche qualora la sensazione non sia quella di cavalcare un unicorno io ne traggo comunque qualcosa di positivo. Quando ho visto Martyrs ho faticato come un anziano che salta i fossi per il lungo, ma alla fine per tutta la durata ho avuto la netta sensazione di stare guardando qualcosa di Grande. L'esperienza finisce sempre e comunque per essere gratificante.
In Mother! mi sono spesso ritrovata a pensare che non ne valesse la pena. Ogni sgarbo, ogni imposizione, ogni intrusione mi sono pesati come macigni e non voglio sentirmi così quando guardo un film. Ero arrabbiata furiosamente con Darren Aronofsky che non mi stava dando quello che volevo e che mi disturbava così (avanti, anticinefili dell'internet, perculatemi pure, ho intenzione di usare tantissimo la parola disturbante in questo post).
Ma soprattutto, levatemi di torno la faccia della Pfeiffer perché com'è vero Iddio io la detesto.
Mi passerà, quando mi dimenticherò il film, ma è stata talmente brava che io adesso vorrei procurarle dolore fisico con le mie stesse mani.

Poi, però, succede qualcosa.
Il film entra in una seconda fase in cui, sia lodato Djesoocreesto, la Pfeiffer scompare dalla scena per lasciare spazio ad un'infinità di cose in più. Tutto quello che abbiamo visto fino a quel momento prende un aspetto nuovo, interessante. Una nuova lettura ci viene sottoposta e noi finiremo per rileggere tutto il film in luuunghe sedute di discussione con chi abbia avuto la sfortuna di finire in sala con noi.
Bisogna riconoscere che DA sembra credere molto in se stesso, ho avuto la sensazione che in ogni fotogramma gridasse allo spettatore 'Mi vedi quanto sono controverso? Guarda fin dove oso!'. Si sarà fatto le carezzine sulla testa di fronte al grande coraggio di portare un'allegoria della bibbia in un film così tanto particolare, fuori dal convenzionale. Ci crede un sacco, è bravo e lo sa e non vede l'ora che tutti glielo ricordino.
Avrei potuto facilmente detestarlo, per una cosa del genere.
Invece mi è piaciuto tanto. Non l'ho capito subito, che mi era piaciuto, però. Sono uscita dalla sala confusa e disturbata, quasi quanto l'imbecille seduta davanti a me che una volta in bagno si è lamentata con la sua amica di non avere capito il film. Fosse stata su Instagram almeno 5 minuti in meno magari le sarebbe rimasto qualcosa in più che non la sola domanda 'Ma perché adoravano un poeta?'.
Ne ho parlato a lungo con R, ho parlato con persone che ne sanno di religione ben più di me, ci pensato un sacco, per giungere alla conclusione che con me anche questa volta Darren aveva fatto centro. La mia testa è sempre lì, dopo giorni, e questo, nonostante l'indubbia fatica e il disturbo quasi mortale che mi ha causato, è il motivo per cui guardo i film.
Per accenderlo, il cervello, non per spegnerlo.

sabato 30 settembre 2017

...e ora parliamo de L'Esorcista

09:38
Questa, lo giuro, sarà l'ultima volta in cui racconterò del mio primo incontro con il film di Friedkin. Sul blog questa storia è uscita mille volte, ora che ho ripreso in mano la faccenda gli dedico un post e che non se ne parli più.


Anno del Signore 2003.
Anni della Mari: 13.
Situazione: vivevo lontana da casa, in un contesto gestito da suore e coabitato da una mandria di adolescenti, tutte femmine. Un pomeriggio, per qualche infelice decisione presa da chissà chi, si decide di vedere L'Esorcista. Suor Colomba compresa.
Risultato: nonostante un sincero disinteresse durante la visione, che sembrava lasciarmi freddina, ho passato i successivi QUATTORDICI ANNI ad avere una paura maledetta. Tra me e il film nasce un rapporto malato, in cui la mia infinita paura, che si palesava anche solo a fronte di una singola foto di Reagan, si contrapponeva ad un'attrazione sempre viva. Lo detestavo, sto film, ma ci pensavo sempre.

Anno del Signore 2017.
Anni della Mari: quasi 27.
Situazione: sono nel mio rivenditore di libri usati di fiducia. Trovo nascosta tra le altre cose una vecchiotta edizione de L'Esorcista e ne leggo le prime righe. Non quelle del primo capitolo in Iraq, direttamente quelle in America.

Come l'effimera e fulminea fiamma di un'esplosione di soli lascia soltanto bagliori indistinti sulla retina di un cieco, così il momento in cui l'orrore ebbe inizio passò quasi inosservato.
Per poco non mi sono dovuta sedere di fronte alla bellezza della frase che avevo appena letto. Decido comunque di non comprare il libro, convinta che non avrei mai avuto il coraggio di finirlo. Arrivata a casa, però, continuo a pensarci e mi decido. È ora di riprendere il controllo sulla situazione: si legge L'Esorcista. Divorato in pochissimo, letto la mattina prima dell'alba mentre mi trovavo a Londra e rapidamente sostituito con roba ben più divertente (aka Una cosa divertente che non farò mai più di Nostro Signore David Foster Wallace) quando la situazione si faceva insostenibile, poi finito in una grigia domenica mattina di pioggia ascoltando Ludovico Einaudi.
Sono rimasta folgorata.
È una frase che ultimamente mi sentite dire spesso, ma questa volta con ancora più forza del solito: contro ogni mia più rosea aspettativa il romanzo di Blatty si è rivelato una delle letture più belle e potenti mai fatte. Quella domenica sera, comunque, salendo da sola le buie scale del mio palazzo, ho avuto una paura ri di co la.


questo sguardo e io già con le mani sugli occhi

Dopo un inizio così folgorante, tenere alto il livello non era scontato. Il romanzo, però, fa una cosa che sembra impossibile: migliora. Riga dopo riga trascina in un vortice da cui è impossibile separarsi. Si è soliti chiamare i romanzi di questo tipo page turner. Sono quelle storie da cui staccarsi è impossibile, quelle che tengono svegli la notte pur di sapere cosa accade nella pagina dopo. Sempre di solito, però, ad una caratteristica simile si associano romanzi di natura ben più semplice di quello di Blatty: romanzi rosa, gialli, thriller non troppo speciali...romanzi, insomma, in cui lo stile semplice di scrittura si abbina ad una storia che sia niente più che catchy, accattivante, e che tengano così lo scrittore legato alle pagine, senza richiedergli troppo impegno. Per me, per esempio, l'ultimo era stato La ragazza del treno, nonostante non mi fosse piaciuto.
L'Esorcista conserva questa caratteristica di irresistibilità portandola però a ben altro livello. L'aria del romanzo è soffocante, malsana, il male è insito tra le righe ben prima del palesarsi del Maligno e nonostante ciò ci attira a sè con il fascino che solo il Male è in grado di esercitare.
A creare questo fenomeno di romanzo non è solo la scrittura di Blatty (che ad un certo punto parla della fisicità di Reagan definendola esile come una flebile speranza, annientandomi), è un complesso di tematiche, costruzione dei personaggi e messaggio che non potrebbero lasciare indifferente nemmeno il peggiore degli scettici, insieme a dialoghi che hanno dello straordinario. Ho letto poche cose belle come il primo incontro tra Karras e il demonio.
L'autore era cattolico. Ma tanto, anche. Nel senso che non andava in chiesa solo a Natale e Pasqua, per intenderci. Alla sua fede ha dedicato un romanzo monumentale, che traspira Dio da ogni riga pur non nominandolo praticamente mai. La fede del grande protagonista del romanzo, che secondo me è Padre Karras, è messa alla prova sia dal suo generico scetticismo che dalla scomparsa della madre, Chris e Reagan non sono credenti e in tutto il romanzo non si fanno che vedere gli effetti di Satana sul mondo. In una sola, potente frase messa nel punto giusto, però, ecco che tutta la storia prende una piega ben diversa e che Dio si riprende tutto il potere che sembrava perduto nelle pagine precedenti. Sintetizzando la questione, ci troviamo di fronte ad una Chris sconvolta dagli eventi, che non crede in Dio ma che, grazie alla situazione della figlia, crede moltissimo nel Male, che le sta dando prove tangibili della sua esistenza. Non ricordo chi, ma credo lo stesso Karras, le chiede, allora, come si spieghi tutto il Bene del mondo. In una sola domanda Blatty ci ricorda che per lui Dio non ha bisogno di fare il grosso. È nelle piccole cose che ci circondano.
Poi accade che ogni tanto anche alla Santissima Trinità vengano fatte girare le Santissime, quindi servono le maniere forti: Padre Merrin. Zarrogante come solo alcuni vecchi preti sanno essere, Merrin entra in casa, si sistema un attimino poi entra cattivo come l'aglio, con lo sguardo di chi non ha paura neanche del Diavolo in pesona (sguardo molto appropriato al momento) e ribalta Reagan come un calzino per levarle l'invasore.
Peccato che poi il vero esorcismo arrivi proprio per mano dello scettico, del debole, del combattuto Karras, che ricordando vagamente il Figlio del sopracitato Nostro Signore si sacrifica per la salvezza degli altri.
Nello specifico, dell'altra, che come viene spesso sottolineato nel romanzo, lui nemmeno aveva mai conosciuto veramente.
È una storia che parla di dolore, di fede, di scienza (non è un caso che Karras sia uno psichiatra, e che lo sia proprio per volere dei gesuiti), di grande amore per il prossimo.
È un capolavoro.

Il film riesce in un'impresa impossibile: non solo rende giustizia ad un romanzo complesso e straordinario, ma diventa un capolavoro a sua volta.
Rivedendolo, mi sono accorta di come certe immagini fossero rimaste tatuate nella mia mente per tutti questi 14 anni di lontananza, e non parlo di quelle iconiche scene di Reagan posseduta. Parlo di cose ben più sottili: i cani che lottano in Iraq, la testa della bambina ancora sana appoggiata sul cuscino, il momento di gioco tra lei e la madre, l'adorata, da me, figura di Karl. Dopo anni, la colonna sonora si conferma contorcibudella ed elemento fondamentale per la riuscita della creazione di un'atmosfera che non ti lascia nemmeno quando, come ho dovuto fare io, si interrompe la visione per un momento e si cerca di respirare aria fresca. È un'aria che riempie la stanza di marciume nelle scene di Reagan e di desolazione in quelle di Karras.
Tutto, nel film, è perfetto nel ricreare quell'aria che a Londra non mi faceva riprendere sonno, quando mi svegliavo prima dell'alba e leggevo Blatty. Anche solo i colori sono eccezionali: quel blu che riempie le scene sulle scale, in cui la luce non viene mai accesa come se fosse un modo per prepararci all'oscurità che sta dietro la porta, è indimenticabile. È quasi rumoroso da tanto che è d'impatto. In mezzo alla bellezza che solo i Film Grandi portano con sè, ci sono attori straordinari. Oltre alla piccola Blair, è Jason Miller ad essermi rimasto nel cuore. Il suo Damien Karras ha occhi grandi e pieni di cose non dette, è fragile e dolorante come un cucciolo abbandonato di fianco alla strada, intenso come pochi altri.
In più, ho guardato il film in italiano. Per me è insolito, li preferisco in inglese e il primo che mi rompe i maroni per snobismo lo sottopongo ad una Cura Ludovico di soli film di Muccino. Li guardo in inglese perché mi va punto e basta. Ciò ribadito, il doppiaggio de L'Esorcista è esemplare. La sceneggiatura (che a volte riprende paro paro parti del libro, ché Blatty mica c'aveva sbatta di rifare il lavoro due volte, giustamente) è splendida e noi ci abbiamo messo del nostro facendo un lavoro che a me è sembrato ottimo. Ciao Giannini, quando ti sento mi emoziono.

Concludendo, però, non credo rivedrò L'Esorcista a breve. Questa seconda visione non ha fatto che confermare quanto quello di Friedkin sia il mio grande tallone d'Achille, niente mi ha mai terrorizzato altrettanto. Stasera ho una cena con le colleghe e non so come sarò quando tornerò a casa. Sia il libro che il film sono due lavori giganteschi, ma se ognuno di noi ha una fragilità, questa è la mia. È IL film dell'orrore, l'inarrivabile, la Storia.
Ma io mi caco, quindi non lo guardo più.



Vampires! - What we do in the shadows

09:28


Finisce oggi la Rassegna Succhiasangue.
Dopo morsi, morte, combattimenti e castelli polverosi, però, serve qualcosa per staccare la spina, e se Fright night, l'altro giorno, non è stato sufficiente, ci vuole il carico da mille: What we do in the shadows.




Prendete quattro dei vampiri canonici: il mostro simil-Nosferatu, il dandy elegante e garbato, il bad boy anni 80 e il cavaliere innamorato con una vaga somiglianza garyoldmaniana. Presi?
Metteteli a vivere insieme e ad entrare in contatto con il nostro tempo. La tecnologia, i locali, la musica...
Risultato: What we do in the shadows, uno dei pochi film che mi hanno fatto ridere fino alle lacrime.

Il film si apre con una rassicurazione: stiamo per vedere un mockumentary, che narri la vita di quatto vampiri ai giorni nostri, ma non dobbiamo preoccuparci per la crew che lavora al film. Ognuno è protetto da una croce. Siccome appunto il film è un mock, il primo dei vampiri parla direttamente con noi. L'adorato Viago, il vampiro elegante e curato, ci presenta i suoi coinquilini, andandoli a svegliare nelle loro camere, in un escalation di divertimento che per me è esplosa nel momento della discesa in cantina, luogo nel quale si cela la cripta del riposo di Petyr, l'anzianissimo Nosferatu di casa.
Viago li sta convocando per una riunione tra coinquilini, per parlare dei problemi della casa. Uno su tutti, la totale anarchia nei confronti dei turni delle pulizie. Tutto ciò è inaccettabile per lui, che mette per terra le traversine per non sporcare quando ammazza qualcuno.
La vita dei quattro è abitudinaria, e la loro routine viene spezzata dall'arrivo di Nick, trasformato in vampiro per errore. Nick è giovane e inesperto, e le sue bravate influiranno su tutti gli abitanti della casa.

Io lo dico sempre che a me i film del ridere non piacciono. Non mi piacciono le stand up comedy, non mi piacciono le trasmissioni comiche e per l'amor di dio tenetemi lontana dai buddy movies. Ogni tanto, però, soprattutto quando si gioca così piacevolmente con l'orrore, spuntano queste cosine qui adorabili (il mitologico Shaun of the dead, ma anche il più recente Deathgasm, per dirne solo due) che a me spaccano. Hanno in comune il grande affetto per la materia che trapela da ogni scelta, l'ironia che sì può essere anche scoreggiona quanto volete ma spesso pende più dal lato intelligente della comicità, e spesso il fatto di essere australiani.
Se il mio problema con la comicità è che quando si esagera io inizio a sbuffare, qua il problema non si pone proprio, perché il 90% del tempo più che farmi ridere mi ha lasciato uno stupefatto sorriso divertito, che riesco ancora a sopportare, che è esploso in risata sguaiata giusto con qualche gag che però mi ha messa ko dal ridere. Tutta la forza, per me, sta nei tre assurdi personaggi principali, con la loro ironia disagiatissima ('Look, a ghost cup!'), i loro vestiti inadeguati e il loro legame fraterno.
Ma secondo me basta guardare che due scemi sono questi e la voglia di vedere il film si fionda tra le vostre braccia.


giovedì 28 settembre 2017

Vampires! - Gli anni 80

16:42
Abbiamo capito nel corso di questa rassegna che a me piacciono i polpettoni lenti violenti (ho messo Gigi Dag in un post sugli anni '80, what else?), i vampiri subdoli e sensuali, I film combattuti, in cui il senso di colpa legato ad una condizione mostruosa fosse il vero punto forte, il vero fulcro dell'orrore, oppure quelli in cui l'atmosfera gotica era talmente pesante da farmi sentire le ragnatele sulla faccia come quando ci passi in mezzo senza accorgertene.
Poi sono arrivati gli anni '80, vestiti da bulletti di quartiere, hanno preso il baule carico di angosce, hanno preso la lentezza, il silenzio e i castelli in Transilvania, e li hanno lanciati giù dal balcone facendogli neanche troppo velatamente il gesto dell'ombrello.
Al loro posto, ragazzacci bellissimi, gang di piccoli criminali, sale giochi, fumetti, botte, sigarette, motorini e belle ragazze.


Il buio si avvicina - Kathryn Bigelow
Presenti spoiler!

Ho conosciuto la Bigelow, molto banalmente, con Point Break. Ho adorato il modo in cui parlava di amici che diventano famiglia senza giudicare mai le azioni illegali del gruppo. Quelle, giustamente, non c'entrano con il legame tra le persone. Near dark si spinge ancora un po' più in là, le azioni illegali diventano proprio natura mostruosa soprannaturale, ma rimane l'unità di un gruppo che proprio da questa natura è così fortemente legato.
Quando sei l'ultimo arrivato in un gruppo, però, tendi ad osservarne le dinamiche da fuori, e per quanto l'idea di farne parte ti possa attrarre, è più difficile che a te i difettucci (tipo il cibarsi di umani, per dirne uno superabile) passino inosservati. Quando Caleb conosce, attraverso Mae, il gruppo di vampiri a cui lei appartiene, cerca di entrare a farne parte, farsi apprezzare diventa uno scopo fondamentale, anche solo per amore di Mae. Peccato che Caleb abbia appena finito di essere un umano, e che la crudeltà dei vampiri non gli appartenga ancora.
Ecco allora il punto in cui Il buio si avvicina diventa più intelligente di tutti i film successivi in cui un umano si innamora di un vampiro: essere vampiri non è cool, non è qualcosa a cui ambire. Una volta ritrovato il padre, quindi, Caleb torna umano, e riporta con sè all'umanità anche Mae.
Alla faccia di tutte le povere donzelle anni 2000 trasformate in vampire dai loro amori.
Tenetevi stretta la vostra mortalità, amiche mie, e gli uomini che da voi tirano fuori il meglio, non il mostro assetato di sangue.

Ragazzi perduti - Joel Schumacher




Eccoli qua, i ragazzacci.
Bulletti, sbruffoni, semivandali.
E vampiri.
Anche loro Famiglia, come quelli della Bigelow, quelli di Schumacher sembrano provocare anche solo con la loro esistenza. Ti guardano negli occhi e sembrano dirti: 'Hai il coraggio di unirti a noi?', e tu vai, contro ogni logica e contro ogni buonsenso, e finisci, anche in questo caso, per trovare una Famiglia. Sempre colpa delle ragazze, comunque, i ragazzini anni 80 (come conferma il film sotto) devono essere stati gli iniziatori del pregiudizio sencondo cui gli uomini ragionano con le mutande, altrimenti non si spiega.
Per i giovani del decennio d'oro questo film deve essere stato una perla, ho la sensazione che sarebbe stato il film del tumblr anni 80, non so se riesco ad esprimere questo bizzarro concetto. Il culto adolescenziale. Toh, pareva tanto difficile trovare una definizione.
A me, che negli anni 80 ero solo un desiderio, non ha lasciato segni indelebili sul cuore, se non fosse per la figura di Sam, fratello minore di quel Michael diventato vampiro. Oh, Sam, che risate a bocca aperta mi hai fatto fare! ♡

Fright night - Tom Holland



Tra tutti, il mio preferito.
Charlie e la sua passione per i film e i programmi dell'orrore sono dei discreti guardoni. Vedono un paio di tette e prendono un cannocchiale.
Risultato: trovano un vampiro.
Segue un film divertentissimo e rapidissimo, che scorre come un corto. Fright Night conosce bene la materia di cui si prende gioco e le vuole anche un gran bene, e ingredienti fondamentali se si vuole una horror comedy ben assestata. Intrattiene tanto e gode moltissimo nel farlo, per me irresistibile.

Miriam si sveglia a mezzanotte - Tony Scott



Dopo i tre titoli sopra, ci voleva qualcosa per cambiare aria.
Il film di Scott è ben diverso rispetto ai suoi contemporanei: niente ragazzini cazzoni, solo la coppia mozzafiato composta da Catherine Denevue e David Bowie.
Bellissimi, sensualissimi, vampiri.
Il film di Tony Scott ha un'estetica curatissima e patinata, per me davvero piacevole. Peccato davvero che tutto ciò che mi attrae nel film sia nel suo aspetto. Come sappiamo però dai molti articoli sul tema letti su Cioè, però, l'aspetto non è tutto quello che conta, e infatti la scintilla tra me e Miriam non è scattata. Ho avuto spesso la sensazione di non sapere bene dove volesse andare a parare, e le figure della Deneuve e della Sarandon (comunque sempre molto amata), non mi hanno comunicato alcunchè.
Peccato.

lunedì 25 settembre 2017

Vampires! - I vampiri visti dalla Gente Intelligente

09:45
I registi brillanti sono parecchi, checchè se ne dica sulla crisi del cinema e cose del genere. Di fronte a queste menti illuminate io mi sento sempre una bambina alle prime armi, ma non mi sarei mai perdonata un mese di post senza nominare i Signori del Cinema.




JOHN CARPENTER - Vampires



Non potevo che iniziare dal titolo che dà il nome a questa rassegna. Carpenter è uno di quei registi di cui non parlo mai per soggezione, ho il sospetto servano titoli di studio che non ho conseguito. Vampires è ovviamente lontano dai titoli che mi mettono così in castigo, e se dicessi che mi è piaciuto userei una delle mie solite iperbole. È uno di quei film in cui i vampiri non hanno niente di sessuale nè tantomeno sensuale, non sono eleganti, non sono bellissimi. Sono mostri. In quanto tali, vengono cacciati da alcuni acchiappamostri (tra cui uno dei quindici fratelli Baldwin, tutti identici). Not my cup of tea, decisamente, ma andava visto perché JC vuole così, e noi gli si obbedisce.

NEIL JORDAN (che nel mio cuore sta al pari degli altri Grandi di questo post, insindacabile)

Byzantium



Facciamo che ignorate la scritta dell'immagine qui su? Twilight for grown-ups anche no. È una definizione limitante e anche scorretta. Non che io voglia rientrare nelle categorie di chi urla allo scandalo con Twilight, non cadiamo in facilonerie inutili, è solo che Byzantium è proprio un'altra cosa. Jordan è tornato ai vampiri raccontandoci di due donne, opposte e legatissime. Non sappiamo da subito che rapporto le leghi, sappiamo solo che sono le due perfette facce della stessa medaglia. Clara, il vampiro interpretato da Gemma Arterton, è spudorata e senza paura, vende il suo corpo per mantenersi e sta proteggendo Eleanor da qualcosa che non ci è chiaro fino alla fine.
La Ronan è Eleanor, l'esatto opposto. Tormentata dal segreto della sua condizione, scrive in continuazione la sua storia e la dona al vento, quasi sperando di essere scoperta e forse punita. Vivono insieme in un mondo che non le conosce e sarà proprio l'ingresso di una terza figura tra di loro a far crollare il loro debole castello di carte.
Il film di Jordan parla di sangue, morte, violenza e prostituzione, non ha paura di niente e nessuno come Clara, eppure è allo stesso tempo etereo, sensibile, profondissimo, proprio come la sua Eleanor. Un regista che mangia senza problemi in testa ai suoi contemporanei e due prime donne spettacolari, non ci servebbe altro.
Jordan, però, ha deciso di chiamare a sè anche Caleb Landry Jones e niente, puntando sul fattore Brutti che Piacciono alla Mari mi ha legata a sè per sempre.

Intervista col vampiro


Prima di quella meraviglia di Byzantium, però, Jordan ha preso un libro di Anne Rice e ne ha fatto un film. Uscito un anno dopo il Dracula di Bram Stoker di Coppola, al suo confronto pare un film minimalista. Laddove uno è talmente pieno da essere quasi ridondante, l'altro è leeeeeeento e delicato. Sono stati scelti due attori dal viso finissimo (e che infatti a me non piacciono), che incarnano alla perfezione l'ideale del vampiro che spicca per eleganza e fascino, pieno di attrattiva per le donne. Punto di forza per me una baby Dunst adorabile e brillante, che mangia spudoratamente in testa ai suoi due comprimari dal basso del suo metro e venti scarso.
Film così sono soggettivi, riconosco che la mia opinione possa essere del tutto detestata, ma per me sto film è più bello che bravo. Estetica notevolissima, nel pieno dei miei gusti, ma il contenuto mi ha appasionata molto meno, mi sono annoiata. Byzantium ha una profondità tutta diversa, potendo scegliere prendete lui e godetene.

GEORGE ROMERO - Martin




Giù i cappelli.
Salutate George.
Martin è un giovane disturbato. È un vampiro? Chi può dirlo. Di certo lui è convinto di esserlo e si comporta di conseguenza, pur non avendo alcuna caratteristica dei vampiri convenzionali oltre alla sete di sangue.
Ve lo ricordate, vero, cosa fa Romero quando gira un film?
(L'uso del tempo presente è voluto.)
Prende i mostri e li usa per criticare con violenza chi mostro non è. Sì, stupidi umani, parlo di voi. Martin sfrutta i vampiri - reali o creati da una mente malsana - per mostrarci il bigottismo, la chiusura, il fanatismo della religiosità quando si fa estrema. Le tradizioni familiari folkloristiche, le figure mitologiche, unite ad una grande fragilità, creano il Nosferatu Martin, creduto tale anche dal cugino Cuda (sì, ho dovuto googlare come si scrivesse il nome di questo). Come è spesso accaduto, in film in cui le creature mostruose sono state usate come mezzo per lanciare un messaggio, finisce che i mostri siamo noi.
Martin porta i vampiri qui, ai giorni nostri, nella nostra desolazione, ma è anche uno di quelli che ci mostra come le superstizioni e la fragilità siano gli stessi di un centinaio di anni fa, quando i vampiri sono 'nati'.
È per questo che è così angosciante.

(Da vedere rigorosamente in inglese e da cercarsi col titolo di Martin. Se trovate Wampyr, cercate meglio. Quella versione lì la lasciamo stare).

FRANCIS FORD COPPOLA - Dracula di Bram Stoker



Con questo film nella maniera più assoluta non esistono mezze misure: o si ama appassionatamente, o lo si detesta con forza. Io, contro ogni previsione, lo amo.
A me piacciono i film dalle immagini minimal e le inquadrature giganti ma quasi vuote, con giusto un paesaggio notevole e solo pochi elementi in scena.
Dracula di Bram Stoker è lontano anni luce da tutto ciò, è quasi arrogantemente barocco, ridondante, ampolloso, e tutti quegli aggettivi simili per dire che qualcosa è tanto.
Insieme agli altri tanto, però, bisogna anche metterci il tanto bello. In mezzo alla montagna di immagini di cui ci bombarda, riesce quasi a rallentare quando si tratta dell'amore tra il Conte e Mina. È Cinema completamente fuori dai miei gusti che per qualche motivo mi ha presa e cullata con il suo vorticare frenetico e irresistibile, e mi ha ricordato che la comfort zone è inutile, un concetto ormai superato. Godiamo di quello che ci piace a prescindere da quello che sentiamo più o meno nostro.

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