lunedì 29 gennaio 2018

So cosa hai fatto

12:53
Quando l'atmosfera dentro la mia testa è pesante cerco consolazione negli horror scemi, se sono con gli adolescenti più scemi ancora meglio. Sono facili da guardare, sollevano il morale, soddisfano la ricerca di un po' di gore che è sempre un buono sfogo, funzionano, anche quando sono brutti.
Netflix lo sa, e come quell'amica alla quale non hai bisogno di dire cosa ti serve, mi ha proposto So cosa hai fatto.
Sorpresa, è più bello del previsto.




Gli adolescenti scemi questa volta sono due coppiette innamorate. Di ritorno da una festa investono un uomo e lo uccidono. Preoccupati per i loro radiosi e ormai segnati futuri decidono di liberarsi del corpo e fingere che non sia mai successo niente.
Spoiler: le cose non vanno mai come vorremmo.
In particolare se ammazziamo una persona.

Io questo l'ho adorato, un nuovo mio piccolo cult personale.
Sarebbe bello dire che riserva magnifiche sorprese e sputa in faccia a tutti i suoi simili, che a fine anni '90, dopo Scream, saranno spuntati nel prato come tante felici margheritine. Invece è solo uno slasher onestissimo, con il suo villain mascherato (che tanto dimenticherete dopo dieci minuti), le sue scelte sbagliate e il suo finale da spaventello inaspettato. Ha tutte le carte in regola per essere detestabile, io invece dopo cinque minuti innamorata di questi quattro che dio solo sa come siano amici perché davvero una fauna più diversa di così l'ho vista poche volte.

La cosa che più mi ha convinto, però, è il tanto famigerato futuro dei nostri giovini sognatori.
Il povero defunto è stato trattato con una freddezza quasi bestiale, da qualcuno più che da altri, perchè l'incidente avrebbe rovinato il loro futuro. Sport, moda, scienza...percorsi tutti in discesa a quanto pare.
Peccato che invece no.
Ognuno di loro, in un modo o nell'altro, ha visto le proprie illusioni svanire in una nuvola di cenere, nessuno è arrivato nemmeno vicino ai propri desideri e chi c'è arrivato li sta mandando in niente. Tutti bloccati in quel paesino da cui tanto sognavano di scappare, tutti disincantati, svegliati dalla delusione, accomodati nella classica vita borghesotta paesana dalla quale tanto sembravano voler fuggire. La netta sensazione è che sarebbe finita così a prescindere dall'incidente.
Non sono una cinica, non più, ma quel piccolo tocco amarissimo mi ha colpita molto e mi ha fatto pensare che sì, stavo guardando un filmettino dai meriti forse non eccezionali, ma che con me aveva fatto centro.

Mi affeziono con poco, pare.
Datemi un assassino di adolescenti e quattro cretini e io niente, parto per la tangenziale dell'amore.

sabato 27 gennaio 2018

Vivian Maier

15:05
Tra le milioni di cose di cui non so nulla c'è la fotografia.
Non conosco fotografi famosi, non so fare foto decenti (come sapete se mi seguite su instagram, cosa che dovreste davvero fare), non ho nemmeno una macchina fotografica, e va bene così.
Qualche tempo fa, però, tutto l'internet milanese è andato alla mostra di Vivian Maier a Milano, appunto, e io l'ho conosciuta così.
Sciagura a me per essermi persa la mostra a Genova quando avrei potuto e voluto tantissimo andare, perché è nato un amore.
Di seguito, come sempre, le mie foto preferite.

Questa è Vivian, amante e pioniera dei selfie

💔



Se sentite un rumore è il mio cuore, questa foto lo riempie e lui si gonfia fino ad esplodere


Quando avrò una casa tutta mia questa sarà stampata enorme, incorniciata e appesa sopra al mio letto. La amo.


Adoro tutto di questa: posa, sedia dondolante, sigaro, camicia...

Gli anziani mi mandano in pappa il cervello, che ci posso fare






venerdì 26 gennaio 2018

Gravity

13:32
Ho visto Gravity per la prima volta solo adesso.
Lo so, lo so.
Mi ero lasciata di nuovo prendere dal pregiudizio, dall'antipatia personale (più per Clooney che per la Bullock), dall'antifantascientismo.
Adesso dovrò convivere tutta la vita al pensiero che non avrò mai la possibilità di vederlo al cinema, e credo sia una punizione sufficiente per il mio snobismo del cavolo, che io provo a sedare ma che rimane lì, implacabile, a farmi perdere i capolavori in sala.



La storia è quella dell'ingegnere Stone, alla sua prima missione spaziale, che insieme all'astronauta Matt Kowalsky deve sopravvivere ad un urto che ha distrutto la navetta con cui erano arrivati.
Fine della storia, tutto qua.
Due persone da sole nello spazio infinito che devono sopravvivere.
Agghiacciante.

Non è che fossi scettica, di più. La mia attuale inversione di rotta, però, quella che oggi mi fa guardare anche i film di fantascienza quando una volta francamente li schifavo, mi ha condotta fino a Gravity. Per colpa di questa inversione di rotta io al minuto 12 stavo col fiatone, un'ansia devastante e il cuore incapace di tollerare tanta tensione.

Facciamo una breve premessa: io ho il terrore del volo. Detesto ogni tipo di altezza, ma quando sotto di me non ci sta niente io sbrocco. Pesantemente. (Il primo che mi dice 'ma c'è l'aaaaria' subirà un trattamento pari alla sua simpatia) Ma del tipo che non posso guidare sulla Cisa o mollo la macchina in mezzo alla corsia e corro giù a piangere.
Immaginate che esperienza è stata per me Gravity. Non ho mai vissuto niente di simile, e l'ho visto solo dal divano di casa. Al cinema forse sarei morta. Ma quanto ne sarebbe valsa la pena.
La sola idea di trovarmi sola nello spazio infinito, lontana in modo indescrivibile dalla mia sacra Terra, sperduta, mi ha sconvolta. Ho temuto di dover prendere uno di quegli Alprazolam che mi hanno consentito di prendere gli unici due voli della mia vita.

Priva di qualsivoglia competenza tecnica, non ho idea di come si girino scene del genere, ma Alfonso, cosa hai fatto. Certi momenti sono indescrivibili, di una bellezza semplicissima eppure immensa, da togliere il fiato. La sensazione visiva è totalizzante, un enorme senso di vuoto si apre intorno a chi assiste inerme al destino agghiacciante di una Sandra Bullock che lancia violentemente alle sue spalle decenni di commedie romantiche per rivelarsi qualcosa di completamente inaspettato. Nel mezzo mi fa anche un gesto dell'ombrello. A me e alla mia mancanza di fiducia.
Tutto è immenso e intenso, le prime immagini si sono tatuate nella mia memoria e sarà difficilissimo superarle. Ogni mia certezza è andata distrutta insieme al satellite russo che ha causato tutto il patatrac.

Ultimamente le mie certezze vengono spesso smentite.
Una volta me la sarei presa a morte, il mio orgoglio non accetta l'errore.
Oggi, invece, dio solo sa quanto ne sono felice.
Dove con dio intendo Alfonso Cuaròn.

giovedì 25 gennaio 2018

La fata carabina, Daniel Pennac

08:50
All'inizio dell'anno, sempre nel pieno dei miei giorni più scombussolati dell'ultimo periodo, ero in pieno blocco del lettore. Iniziavo le cose poi le mollavo a metà annoiata.
Solo una persona poteva risolvere questo problema: Pennac.


La fata carabina è il secondo volume del ciclo dei Malausséne. Se non avete letto il primo, male! Si chiama Il paradiso degli orchi ed è una scintilla di gioia distillata.
Se possibile, La fata carabina ancora di più.

Ci troviamo come al solito in mezzo ad un giallo: qualcuno sta drogando i vecchietti. Indovinate chi si è portato in casa tutti gli anziani tossicodipendenti della zona? Ma Benjamin Malaussène, chiaramente, che con la sua opera di aiuto collabora con la sua ragazza, Julie, che sul caso dei vecchi tossici sta scrivendo un articolo. Nel frattempo, un'anziana signora uccide un promettente giovane poliziotto?
Se ricordiamo che di lavoro Ben fa il capro espiatorio, intuiamo facilmente chi sarà tra i primi sospettati.

 Io a volte non riesco a credere alle cose che partorisce la mente umana.
Se uno qualunque avesse scritto di un giro di droga geriatrico, probabilmente l'editore gli avrebbe riso in faccia. Pennac no. Pennac scrive di cose assurde col piglio di chi le prende incredibilmente sul serio non prendendo però sul serio se stesso. Si parla di sorelle futuriste e di anziani che prendono il nome della loro professione, di poliziotti travestiti e di giovinotti facoltosi che aiutano le anziane anzichè derubarle. Si parla di tortura, suicidio, cartelli della droga, figli illegittimi, relazioni fugaci, stati comatosi, e mai, mai, che si smetta di ridere.

Che il Pennacchioni sia intelligente mica ve lo devo certo dire io. La sua intelligenza finissima, secondo me, sta nella capacità di ironizzare su problemi serissimi senza mai passare per irrispettoso, ma anzi riportando l'attenzione su cosa conta davvero, e su come il bene sia, molto semplicemente, la cosa migliore che possiamo fare. Non è un caso allora che il povero Malaussène, per tutto il romanzo trattato dalla polizia come un pericoloso criminale, emerga alla fine come l'anima candida che è.
Quel Malaussène è un autentico santo, signor ispettore, probabilmente l'unico di questa città.
La famiglia è irresistibile. L'ambiente di familiarità è riconoscibile dalle primissime righe, anche se è passato qualche mese da quando ho letto Il paradiso degli orchi. Ogni Malaussène, con le sue piccole manie e le sue caratteristiche, è destinato a tatuarsi nel cuore.

Cosa fosse la vita di Pennac mica me lo ricordo.
Un libro suo è come un infuso di semplicissima contentezza, da usare per coccolarsi quando la giornata è un po' scura e il domani, come dicevano gli Articolo 31, fa un po' più paura. Avercene, di terapie omeopatiche così.

domenica 21 gennaio 2018

Edward Hopper - i miei preferiti

15:07
Io non so niente di arte pittorica.
Conosco di fama i grandi nomi famosissimi e riconosco una manciata di quadri, ma mi fermo lì.
Quando ho visto per la prima volta un Hopper, però, mi si è agitato qualcosa nello stomaco e ho capito cosa provano le persone davanti ad un quadro che amano molto.
Ecco una carrellata delle mie opere preferite.

Finestre di notte

New York Movie

I nottambuli

Benzina

Tramonto sulla ferrovia

Sole di mattina

venerdì 19 gennaio 2018

Consapevolezza alimentare: i documentari su Netflix

13:59
Da anni nella lista dei miei buoni propositi c'è il dimagrimento.
Quest anno mi sono decisa a smettere. Non perché all'improvviso mi sia caduta dal cielo una improvvisa sicurezza in me tale da farmi accettare per come sono, ma mi sono semplicemente stancata di rincorrere una cosa e di non raggiungerla mai.
Per colpa mia, beninteso.
Ho deciso di prendere la questione 'prendermi cura di me' in un altro modo, ovvero informandomi. Questo non significa che da oggi sono vegana, nè vegetariana, ma ci sto pensando su, e ci sto lavorando. Capitemi, sono mezza mantovana, qui pane e salame li passa la mutua. È un percorso difficile, per tutti.
Non troverete mai qui una vegan-nazi per il semplice fatto che di quello che mangiano gli altri francamente mi frega meno di niente. Di quello che mangio io, però, da oggi mi frega un po' di più.



WHAT THE HEALTH

Ho iniziato con il più chiacchierato di tutti.
Ad oggi è ancora quello che preferisco, perché What the health è strutturato in un modo che ho molto apprezzato. È un documentario che spinge verso uno stile alimentare plant-based, ovviamente, quindi l'obiettivo è chiaro fin dai primi minuti, ma come ci si arriva è molto interessante. Si parla solo ed esclusivamente di salute. Non si parla di etica, di scelte, di possibilità: essere vegani è la scelta migliore principalmente per la nostra salute, punto e basta. Si portano studi, ricerche, esempi, tutti volti a mostrare come i principali beneficiari di questo stile di vita siano gli uomini stessi, più che gli animali risparmiati.
Si usano paragoni estremi spesso tipici di chi fa del veganesimo quasi una fede, ma se si sceglie di prendere le cose con le giuste pinze, è davvero un'ottima motivazione per iniziare un percorso di consapevolezza maggiore. Spinge ad altra informazione, ad approfondire, a provare.
Con me, personalmente, ha funzionato.

(qui un link per chi invece sia scettico e voglia un punto di vista diverso, in una critica al documentario fatta da time.com)

COWSPIRACY

Cowspiracy è un punto di vista completamente diverso.
Non vi frega nulla di mangiare esseri viventi?
Non vi frega nulla di morire male perché, per citare mio fratello, tanto muoio comunque?
Proviamo con l'ambiente.
Non credo che chi è strafottente cambi atteggiamento quando si parla di un tema piuttosto che di un altro, ma tanto vale chiarire che mangiare al McDonald's tre volte a settimana fa male anche all'ambiente.
Gli allevamenti intensivi sono una delle cose più inquinanti al mondo. Ci fanno una testa tanta chiedendoci di spegnere l'acqua quando ci insaponiamo in doccia (e questa è giusta ma è una violenza, diciamocelo), per non raccontarci che le salsiccie che mangiamo fanno danni ancora maggiori.
Nessun benaltrismo, bisogna fare tutto quanto è in nostro potere per non peggiorare una situazione già gravemente compromessa, ma è altrettanto giusto sapere tutto.
Cowspiracy ci prova, senza risparmiarsi niente. Non arriva ai livelli di Earthlings, ma quando si sposta dal tema principale, cioè l'ambiente, a quello inevitabile animalista, lo fa senza mezze misure.

LIVE AND LET LIVE

Questo documentario mi ha fatto un po' arrabbiare. Solo un po', perché ho iniziato meditazione e ho giurato di provare ad arrabbiarmi meno.
Si incontrano vegani di vario genere: attivisti, medici, sportivi, scrittori, nutrizionisti, biologi...
Ognuno di loro parla del veganesimo, delle sue motivazioni, dei suoi stimoli e della sua lotta contro i maltrattamenti animali.
Non fraintendetemi: continuo a pensare che sia tutto molto nobile. Ho solo molto, ma molto, poco apprezzato il tono generale del documentario. Credo solo che se si vuole avvicinare qualcuno ad un percorso così complesso come quello del cambio totale di alimentazione, usare toni quasi drastici non solo non avvicini nessuno alla causa ma anzi, la allontani.
Sentirmi dire che mangiare gli animali è inaccettabile è un modo basso e ingiusto di puntare sull'inevitabile senso di colpa che chi guarda certi documentari già prova. Altrimenti mi sarei fatta un toast al prosciutto e avrei acceso altro, su Netflix. Se sono qui è per avvicinarmi a questo mondo, sentire che siamo tutti miserabili assassini (più per tono che per effettive parole pronunciate) mi ha solo innervosita. Non è un tono utilizzato da tutti gli intervistati, è solo un'atmosfera (se così si può dire) diffusa per tutto il documentario, e mi ha scocciata.


SCELTE ALIMENTARI

Di tutti, questo è l'unico che consiglia di rivolgersi ad un medico prima di fare qualsiasi cambio di dieta. Mi sembra non solo saggio, ma una grave mancanza degli altri.
Scelte alimentari non si distingue poi molto da What the health, se avete poco tempo potete guardarne solo uno poi fare le vostre valutazioni. È comunque un altro documentario pro-veg che si pone in modo cordiale ma convinto. Con me sono questi i toni che funzionano.

EARTHLINGS

Questo l'ho lasciato volutamente per ultimo.
Earthlings è su Youtube, l'unico tra quelli di cui parliamo oggi che non è su Netflix, ma non mi sento di consigliarvelo a cuor leggero. Me ne avevano parlato e sapevo si sarebbe trattato di una visione estrema, ma non pensavo mi avrebbe colpita così.
Parliamoci molto chiaro: lo sappiamo tutti cosa succede nei macelli. Mangiamo la carne e il prosciutto e qualcuno il maiale di quella fetta di crudo lo ha fatto fuori. Lo sappiamo, lo accettiamo e lo mangiamo. Non ce ne frega niente. Magari se vediamo la fotina carina del maialino sorridiamo e pensiamo che poverino diventerà una braciola, ma finisce lì. Se bastasse parlare della sofferenza animale per indurre tutti ad una dieta vegana o almeno vegetariana non ci sarebbe nemmeno bisogno di parlarne: lo saremmo tutti e basta.
Ma non basta, perché la carne la mangiamo.
Quindi?
Quindi si prende una camera, si va nei macelli e si mostrano le cose. Si mostrano tutte, si sentono tutte. 
Io ve lo dico: avevo sottovalutato la questione etica. Se fino a questo punto i documentari mi avevano intrigato molto da un egoistico punto di vista della mia salute, da Earthlings non si esce indenni. È una visione estrema e dolorosissima, ma forse se siete in dubbio non serve altro.
So che parlando di Live and let live avevo detto che puntare sul senso di colpa è, per me, il modo sbagliato di affrontare un certo tema. Lo confermo, ma qua mica sono gli umani a sgridarti. Qua gli umani scelgono di mostrarti la verità e di non censurare proprio niente. Io ti faccio vedere, poi tu decidi.
È stata una delle cose più dure che ho visto in tempi recenti.

Il mio viaggio è solo all'inizio.
Ci sono migliaia di altri documentari, libri, articoli, saggi sul tema che aspettano solo di essere trovati da me. È stato interessante vedere le mie reazioni prima, durante e dopo le visioni. Ne sono uscita provata, impensierita e preoccupata. Immediatamente dopo le visioni ero anche determinatissima a cambiare vita.
Sono passate alcune ore, poi, ed è arrivata ora di cena. Quando mi sono trovata a dover pensare a cosa cucinarmi mi è scesa la morte nel cuore. Sono stata brava, ho solo aggiunto un po' di grana ai miei pancake agli spinaci, ma è stato sufficiente per capire che nessun documentario, nessuna consapevolezza renderà il percorso più facile.
Lo renderanno solo più informato, ed è già un grande punto di partenza.

mercoledì 17 gennaio 2018

Everyman, Philip Roth

17:41
Ho concluso la lettura da un po', eppure non mi decidevo a parlare di Everyman.
Philip Roth è stato insignito del prestigioso premio Scrittore Dell'Anno della Repubblica di Redrumia Edizione 2017, però, quindi mi faceva piacere riallacciarmi all'anno scorso con un un suo romanzo.
Poi dalla settimana prossima ripartiamo con scelte letterarie dettate solo ed esclusivamente dal caso.


L'uomo del titolo è un uomo qualsiasi, che noi conosciamo nel giorno del suo funerale.
Dall'ultimo saluto il viaggio è all'indietro, nell'esplorazione onestissima e profonda di una vita come tutte le altre.

Non è facile raccontare vite mediocri.
Ci piace buttarci in avventure eccezionali e in persone straordinarie, così mentre le leggiamo immaginiamo di essere un po' speciali a nostra volta.
A Philip Roth, invece, non gliene frega proprio niente.
Non gli servono viaggi interdimensionali, scienziati illuminati, mostri orrendi o fatine magiche. Gli escono dalle mani parole in apparenza comuni per parlare di persone in apparenza comuni. Everyman è l'apoteosi di questo. Mi ha quasi ricordato Stoner, senza però, devo ammettere, toccarmi nel cuore tanto quanto il racconto di Williams.
L'uomo la cui vita viene ricostruita non ha nome. Ha un lavoro, ha una famiglia, ha un background di vita sentimentale turbolento, ma sembra non esserci altro.
Quello che c'è, invece, è un'onestà quasi tremenda sulla vita dell'uomo.
Si parte con un racconto affezionato di un'infanzia comune, di un bambino che segue le orme del padre e di un fratello con il quale i rapporti sono sempre stati ottimi. Da lì la crescita del nostro uomo comune è segnata dal suo corpo più che da quello che ci sta dentro. Il primo intervento chirurgico, la prima moglie, una vita sportiva e sana, fino all'inevitabile deperimento del corpo. È questo, più di tutto, che ci viene raccontato. Il corpo è il protagonista del romanzo, il corpo che torna in vita attraverso il racconto.
La velocità e la freschezza del corpo bambino, quasi sconvolto dall'essersi malato, il primo contatto con la morte, grande protagonista invisibile del romanzo; il sesso, come sempre amicone di Roth, ma proprio amiconi che escono ogni tanto per una birra; la malattia.
Senza alcun pudore e senza timore di essere giudicato, ché tanto è morto, il protagonista si racconta in un susseguirsi di aneddoti e storie di vita comuni, infilando in mezzo tra un infarto e un rimprovero dal capo che ti scopre farti la segretaria in ufficio, piccoli momenti in cui a parlare non è più il corpo ma il cuore, lasciandoci come sempre senza fiato.
Rapporti sbagliati con i figli, tradimenti, relazioni prive di significato, diventano tutti tasselli di un'esistenza intera, parti di quella persona che durante il commiato viene celebrata e ricordata con affetto, come sempre ricordando le cose migliori.

Everyman ci ricorda che siamo piccini piccini e che non contiamo niente, e allo stesso tempo che nel nostro essere piccini così abbiamo un valore grande e persone intorno a noi con cui condividerlo.
Solo Philip Roth poteva dirlo così.

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