martedì 7 gennaio 2020

Chiacchieratina su Casa di foglie

15:42
Vediamo se mi ricordo come si scrive un post.
Ciao a tutti, buon anno!
Dopo un dicembre intenso colgo la fine delle feste come occasione per fare due chiacchiere insieme sul libro che ho letto a fine 2019.
Sì, avete di fronte l'ennesimo post su Casa di foglie.


Il mitologico volumone di Danielewski è tornato in libreria dopo, quanto?, quasi dieci anni?
Lettori disperati alla ricerca del libro online, sulle bancarelle, gente disposta ad immolare il proprio primogenito, lacrime versate e speranze perdute. Chi ha avuto la bella pensata di riportarcelo? Uno storico gruppo editoriale? Un editore miliardario? Una mastodontica realtà? No, 66thand2nd, un piccolo e recente editore indipendente che con questa mossa si è messa sulla bocca di tutti, a dispetto di un nome impronunciabile. Il tutto ha contribuito a creare l'alone di mistero intorno al libro, tale da spingere la sottoscritta me medesima a spendere la cifra di euro ventinove in una libreria.
Ricordo a chi mi conosce poco che io i libri in copia fisica li compro pochissimo e sempre usati, Casa di foglie mi è costato come una ventina delle mie letture abituali.

Ma di cosa parla, il libro più discusso del momento?
Non si può parlare di una trama in senso convenzionale, ma si può dire che c'è tale Johnny Truant, il nostro narratore, il tipo che porta il concetto di narratore inaffidabile ad un livello tutto nuovo. Johnny ha un amico, Lude. Nel condominio di Lude si è appena liberato un appartamento, perché Zampanò, il vecchio e non vedente proprietario, è morto. In casa di Zampanò si trovano le cose di una vita intera, ma soprattutto si trovano parole. Una montagna, una cascata, un fiume in piena di parole, su ogni superficie disponibile. Per quella che sembra essere stata una bella fetta della sua vita, il vecchio si è appassionato ad un documentario, intitolato La versione di Navidson, e sembra avere scritto un lungo e approfondito saggio sulla vicenda. Questa storia finisce per imprigionare la mente di Johnny, e la nostra insieme alla sua.

Ora, leviamoci l'ovvio.
Il punto principale di Casa di foglie, ciò che lo ha reso il libro famoso che è, è l'impaginazione. Il delirante, scombussolato, avviluppato modo in cui le parole sono disposte sulle pagine. Ci sono pagine bianche, con una sola frase, con una sola parola, pagine piene zeppe di parole fittissime e righe cancellate, colorate, sottolineate. Si tratta di un S, La nave di Teseo level extreme, un parco avventura letterario dal quale si scende con la testa che gira un po'.
Ma ne vale la pena? In effetti un'esperienza di lettura di questo tipo è certamente interessante, ma richiede anche pazienza, concentrazione, tempo. Ci vuole una storia che ne valga la pena.
Io a volte ne ho dubitato. Ci sono stati momenti in cui mi sono chiesta se non fossi incappata nella più clamorosa supercazzola editoriale del 2019. Eppure il libro non lo posavo mai. Ho vissuto giorni incatenata alla storia (alle storie) di questi personaggi tutti lentamente in discesa verso la follia. Ho letto di menti che perdevano il controllo, di vite rovinate, di case che ignoravano le leggi della fisica e ne sono stata completamente rapita. Ho letto diari, lettere, appunti, annotazioni, saggi, spunti, voli pindarici grandi come la casa in questione. Ed è stato bellissimo.
Quindi, sto Casa di foglie, vale tutto l'hype che si porta dietro non da ora ma da anni?
Sì, assolutamente sì. Un ritratto delle ossessioni come non avevo mai letti prima, un racconto marcio dentro ad una storia inquietante e che non diventa mai spaventosa ma sa come fermarsi mezzo passetto prima, diventando così non un canonico romanzo dell'orrore ma una storia che crea quella tensione che aleggia nell'aria anche intorno a chi si limita a leggere.
Certo, non fa per voi se amate le trame in senso classico: inizio, svolgimento, fine. Qua non ci sono risposte, e se Casa di foglie dovesse fare a voi l'effetto che ha fatto a me, smetteranno di esserci anche domande.
Si vive e basta.

martedì 10 dicembre 2019

Gift Guide 2019: Libri di cucina

10:55
Io mi son proprio rammollita.
La mia wishlist una volta comprendeva solo vinili, libri enormi e gioielli. Oggi guardo sbavando il Soda Stream e le offerte dei detersivi. Sono andata a convivere più un anno fa e le mie priorità si sono tutte sballate. Quest anno, quindi, ho deciso di fare due cose: un libro al giorno su Instagram, dove vi do consigli lampo per regali letterari, e libri di cucina sul blog, dove posso essere la vera anziana che sono.
Preparatevi, ci sono delle bellezze qua dentro, per risparmiarvi l'ennesimo anno con i libri delle due Benedette o de La prova del cuoco.



Quando sono a letto la sera e rivolgo le mie preghiere agli dèi delle arti, uno di loro è Yotam Ottolenghi.


I suoi libri sono editi in Italia da Bompiani, sono bel lis si mi. Sono i più bei libri di cucina del mondo e li accarezzo ogni volta che vado in libreria. Io ho Jerusalem, un compendio di cucina mediorientale da sbavare sulle pagine. Quello che vi consiglio oggi è Plenty, una raccolta di ricette vegetariane che sono stupende da vedere e da mangiare non ve lo dico nemmeno. Se dovete fare un regalo con questi andate sul sicuro, non fosse altro per il fatto che sono libri dall'estetica molto appagante, se invece fossero per voi ma ancora non siete certi di voler fare la spesa, li trovate tutti sulla media library online, così ve li spulciate e decidete se valgono la spesa!
Spoiler: la valgono.

Secondo consiglio: i libroni di Mélanie Dupuis.


Nello specifico, se avete la classica amica a cui piace fare le torte, Il grande manuale del pasticciere è un sogno ad occhi aperti. Colorato ma con estetica minimal, parte dalle basi ed esplora tutto quello che serve. Un grosso coffee table book ma di quelli che servono a qualcosa. Bellissimi tutti quanti, da scoprire.

Per l'amico grafico, eternamente single che teme di non sapersi cucinare nemmeno un uovo, ho il libro perfetto, anche lui bello bello in modo assurdo.


 Eat! The quick-look cookbook è un libro di ricette semplicissimo e fatto solo con disegni piccoli, semplici e coloratissimi. Stupendo, ironico, e anche utile!

Al milanese imbruttito della compagnia: Schiscetta Perfetta.



Costa nulla, è simpatico, lo regalate insieme al porta pranzo che vendono da Tiger che si può anche mettere in microonde, e sciao cari, regalo fatto. Vannicelli poi ho scritto anche la variante per neo - genitori, Baby Schiscetta, altrettanto carino!

Lo so che i libri degli youtuber sono detestati da tutti coloro che si ritengono letterati coltissimi, ma date una possibilità a Niomi Smart. Inglese, è diventata famosa per i suoi contenuti a tema plant based e sostenibilità, ha scritto un libro di ricette (vegane) che si chiama Eat Smart.


Anche in questo caso si possono "provare" i contenuti di Niomi prima di comprare il libro. Ha una serie di video sul suo canale che si chiama What I eat in a day (sì, se li avete visti mille volte su youtube dovete dare la colpa a lei, che ne è l'iniziatrice), nei quali cucina e mostra alcune delle ricette che si trovano nel libro. Un ottimo primo passo per chi volesse iniziare a ridurre l'apporto di carne e di alimenti di origine animale. Unica pecca: è solo in inglese.


  • Pro tip, idea romantica da Mari: libro di ricette homemade. Per la mamma, con le ricette storiche della nonna rilegate in modo carino, per il fidanzato, con magari le ricette che vi hanno accompagnato nella vostra storia, per la figlia, con le ricette che una mamma vuole passarle per ricordo, per esempio quando esce di casa. Costo: poco più di zero, sentimento: mille. Scusatemi, sono smelensa anche se lo nego.
Ora, sono quasi le 11, quindi se vi ho fatto venire fame scusatemi e tenete duro, è quasi ora di pranzo. Per quanto mi riguarda ormai sono nella fase in cui mi perdo nelle sezioni di cucina delle librerie e questi libri piano piano verranno tutti a casa con me. Agli amici cremonesi che amano la mia stessa sezione consiglio di stare lontani dalla Feltrinelli perché quel posto è il demonio e la sezione cucina è immensa e fornitissima. Vi amo, bellissimi libri colorati e pieni di foto, vi penso sempre.

lunedì 2 dicembre 2019

Gift Guide 2019: Gioielli belli

13:02
Ah, rieccoci.



Mi sono sempre proclamata poco amante del Natale, anche se da quando ho una casa mia ammetterò di starmi rammollendo, ma una cosa è certa: mi piacciono i regali.
Presente quelle persone che dicono che preferiscono farne che riceverne? Mentono.
No, scherzo, magari qualcuno molto più generoso di me c'è, ma quel che è sicuro è che io so sempre esattamente cosa vorrei ricevere, e anche quest anno cercherò di dare consigli sulle cose bellissime che popolano l'internet e non solo, e che starebbero da dio sotto l'albero.
Cominciamo con i gioielli.
Basta Pandora pacchianoni, basta Morellato! Il mondo è pieno di cose da scoprire.


Per chi ha un budget che invidio

Rubinia Gioielli

Non che tutto il resto della collezione di Rubinia sia brutto, ci mancherebbe altro, ma nello specifico hanno una linea, Filodamore, composta di gioielli personalizzabili con frasi, lettere, numeri, che è bellissima, minimal ed essenziale. Rubinia è una gioielleria vera e propria, ha prezzi da gioielleria (che pure non sono eccessivi, l'argento è accessibilissimo per esempio) e ne va tenuto conto. Per regali speciali è meravigliosa.

Lil Milan



Forse la più social delle aziende di gioielli in circolazione, Lil è il luogo in cui temo spenderei ogni soldo se ne avessi. Anche in questo caso si tratta di gioielli dalle linee essenziali, che come avrete capito sono i miei preferiti, e nel suo caso è solo oro, non mi pare di avere visto argento nel sito. I prezzi, di conseguenza, sono altini. Però è un colpo al cuore se non ve la segnalo, e tutto sommato ci sono anellini finissimi sotto i 100 euro, per chi vuole dare una possibilità ad un brand italiano giovane, secondo me sono gioielli bellissimi.


Per chi ha il mio budget

By Lia Jewels



Brand spagnolo, ha una collezione bella ampia per tutti i gusti e soprattutto prezzi decorosissimi. Secondo me è lo step migliore da fare per chi desidera provare qualcosa prima di lanciarsi nella spesa folle dell'oro puro, che è sicuramente un investimento ma che non tutti possono fare in ogni momento. I gioielli di By Lia sono secondo me proprio carini.

Fretsy Creations


Ah, anche questi mi piacciono da morire. Il brand è di una ragazza siciliana, che trovate con lo stesso nome anche su Etsy, e i suoi gioielli in ottone somigliano molto alla linea di Rubinia. I suoi hanno un prezzo ben diverso, e sono secondo me un'idea regalo bellissima, ho in progetto di spendere grandi soldi da lei!


Come ogni anno, sentitevi liberi di linkare (erroneamente, s'intende...) i post della gift guide a chiunque desiderate, e ricordate di fare la faccia sorpresa quando aprite i regali!

venerdì 29 novembre 2019

Horrornomicon: The Roth Inferno

20:10


Io sono peccatrice, e uso questo spazio per redimermi dalle mie colpe.
Quando ho capito che un certo tipo di cinema era la cosa che mi piaceva più di tutte, ho iniziato ad approfondire, a guardarmi meglio intorno. Me la sentivo caldissima. Ma soprattutto, ero di uno snobismo spaventoso, ho riletto di recente certi miei vecchi post da far accapponare la pelle.
Chiedo perdono.
Mi piaceva sentirmi intelligente, e credevo che questo fosse sinonimo solo di piccolo film indipendente girato in bianco e nero sulle coste di una piccola isoletta del Pacifico, oppure meglio ancora solo i grandi autori arcinoti e straordinari. Se solo avessi saputo prima che mi sarei divertita molto di più una volta levata quella patina di arroganza...
E quindi, oggi, Eli Roth.

Eli Roth o Miguel Angel Munoz? Chi può dirlo.

Eli è uno di noi. Se ci sedessimo a parlare una sera in birreria staremmo ad ascoltarlo incantati e poi dovremmo riportarlo a casa in spalla perché non sarebbe in condizioni di guidare, ed è per questo che, nonostante i suoi film siamo brutti per davvero, non per snobismo, io oggi gli voglio bene. Quel bene che si vuole agli amici a cui si darebbe una schicchera sul collo, presente? Quel bene lì.
Mamma come gli piace il cinema dell'orrore. Si diverte un casino, da quando, piccino, ha visto Alien la prima volta. Lo possiamo biasimare? No che non possiamo.
Da allora ha cominciato a giocare con dei corti, andare a scuola per imparare a fare bene quello che voleva fare, e alla fine era il 2002, ed è uscito Cabin Fever. Fa i soldini, si fa notare, poi arriva Tarantino e lo trasforma nella nuova star dell'orrore. Che grandissima botta di culo.
Insomma i due diventano amici e Eli entra a far parte di quella compagnia che comprende anche Rodriguez. Da lì in poi son mazzate, letteralmente.

Ma torniamo a Cabin Fever.
In realtà per capire la poetica (dai, scherzo, non andate via...) del nostro regista ci bastava il suo primo film: lunghi inizi nei quali conoscere i nostri protagonisti, per sfogliarne tutte le qualità e le sfaccettature (sì, sono ironica), per entrare in sintonia con loro e sentirsi parte della goliardica compagnia, cambio radicale di colori che poi conduce alla parte di mattanza, scene di sangue, un po' splatterine ma di questo ne parliamo dopo, un bel po' di sesso, finali che vogliono essere sconvolgenti, sano trash. Sono tutte componenti fisse del lavoro di Roth, tutte quante.
Ci prova con una costanza che alla lunga ti ci fa affezionare.
Insomma, Cabin Fever parla di una compagnia di amici che affitta una casetta in mezzo ai boschi per trascorrerci una vacanza. Un misterioso morbo inizia a prenderseli tutti.
Non so come difenderlo, il povero film. Ha personaggi talmente malconci che pare brutto anche infierire. Sono tremendi. Attori inqualificabili costretti dalla sorte a pronunciare dialoghi ben oltre la soglia del ridicolo, a fare scelte al di là di ogni logica, a morire in modi semicomici. Ti West ci ha provato, a girare il sequel, adesso se glielo nominate si nasconde dietro le piante, povera stella.

Poi però è arrivato Hostel, e la gente è andata in visibilio. Siccome il mondo non è fatto solo di cinefili dagli stomaci di ferro, il film del 2005 si è fatto una fama come film estremo. Pare scontato dire che in effetti di estremo non c'è proprio nulla, non per chi ha visto ben di peggio, ma è anche comprensibile che qualcuno di sconvolto dalla sala ci sia uscito. Il famigerato Saw era uscito l'anno prima, e lo avevano visto anche i morti, ma dal primo film ancora non si poteva capire la piega che la saga avrebbe preso, non aveva la violenza (prima o poi parleremo anche di questo) che è arrivata dopo, quindi Hostel si è preso la fama di iniziatore del torture porn e tutto il baccano che è venuto dopo. Ora, Hostel racchiude tutti gli elementi che ho elencato poco sopra, ed è di un brutto che non ci si crede. Però riesco tranquillamente ad immaginare un gruppo di amici sul divano con la birretta che si sganasciano dal ridere. E preso per quello che è, un giocattolone fracassone con un po' di sangue e un pochino di parti del corpo esposte (sia sessualmente che violentemente) fa passare un'oretta e mezza in un soffio.

Hostel 2 fa un errore che il suo predecessore non faceva: ci crede. Ci crede al punto che in un film adatto proprio per non pensare a niente e divertirsi a buon mercato ci prova a mettere la morale. Questo è inaccettabile. Lascia stare, Eli, accanna. Andava bene così. Questa volta alla consueta trama su turisti in viaggio all'estero che finiscono in mani sbagliate attacca una riflessione su come la violenza sia nascosta in persone insospettabili e sul valore del denaro. L'uomo qualunque che diventa un mostro e la ragazza giovane e innocente ma disposta a tutto. Ora, lungi da me rinnegare una buona morale ogni volta che si può, che dio solo sa in questi tempi bui quanta ce ne serve. Però ho dei limiti anche io.

I film con una morale sembrano essere piaciuti al Nostro, che qualche anno dopo se ne esce con The Green Inferno, un film su un gruppo di attivisti che parte per il Sud America per un'azione di protesta in tutela delle tribù locali. Avessero saputo prima come sarebbero finita avrebbero mandato sotto le ruspe la tribù e anche tutti i loro discendenti.
Ambiziosissimo, sto progetto. In milioni di interviste ha dichiarato il suo amore per i cannibal movies, per il cinema di genere italiano, salvo poi trattare Deodato come un menomato in questa breve intervista. Polemichella a parte, si vede che queste cose le ama davvero, ne prende a piene mani e ne cosparge il suo film, che però risulta essere comunque fiacchissimo. Si spinge un po' più in là con la violenza, ma d'altronde siamo nel 2013 e anche il grande pubblico inizia ad essere più esigente e ad aspettarsela, da Roth soprattutto. Eppure riesce ad ammazzare l'atmosfera con picchi di trash che non devo nemmeno citarvi, li avete già in mente da voi, e un film che avrebbe potuto sì portare di nuovo quella morale che conosciamo sullo schermo finisce per andarsene prestissimo nel dimenticatoio.

E allora ci riprova, a fare qualcosa che lasci il segno, con Knock Knock, home invasion del 2015. Io credo di poter dire con discreta sicurezza che il segno sia stato lasciato solo dalle due ragazze (una delle quali è l'onnipresente Lorenza Izzo, l'ex moglie del regista) nei sogni di chiunque ne fosse interessato, perché, di nuovo, il tentativo di dare profondità e messaggio alla storia finisce perso in un meandro di botte, vendetta e la consueta dose di sesso. Sono cambiati i colori, la sporcizia, gli attori, e di quelli manco tutti, ma la sostanza è quella.

Il problema di tutta la sua cinematografia è principalmente uno: la scrittura. I film hanno un ritmo sbagliato, dialoghi al limite del fantascientifico, logica ignorata e soprattutto un'enorme superficialità. Questo suo essere così approssimativo ha fatto sì che la gente con lui si incazzasse, per gli impietosi ritratti delle nazioni europee, per la descrizione dei ragazzi come di peni deambulanti senza alcuna razionalità in contrapposizione a giovani innamoratissimi, sensibili, e con velleità da scrittori e delle ragazze come di 1. promiscue seduttrici, 2. bionde dal qi 12, 3. sprovvedute incapaci di stare al mondo, degli attivisti come di sognatori senza alcun contatto con la realtà. In qualche modo è riuscito a farsi dare del fascista. Ed è ebreo. Non ne ha presa una, i suoi personaggi sono insalvabili. Non ha nemmeno provato a rappresentare un'umanità intelligente, non c'è il minimo sforzo di andare più a fondo, è come se tutto fosse solo un modo per arrivare alla mattanza. Come o con chi, poco importa.
Se si accetta questo, i suoi film sono giocattoloni divertentissimi e come tali vanno presi. Si toccano picchi di trash per i quali provo grande gratitudine.
Grazie a film nei quali gli aguzzini scivolano sul sangue e si tranciano le gambe, attacchi di diarrea sconvolgono dei prigionieri in punto di morte e si hanno attacchi di panico in seguito all'efferata rapina di un ipod, Roth non si è solo fatto un nome: ha sgomitato nell'industria fino a fare tutto.
Roth produce, scrive, anima, recita, fa le serie tv.
Ha smesso di fare orrore ed è passato ai film per bambini (non gli vengono particolarmente bene manco quelli) o i remake di quelli storici.
Non è strano che il suo nome nonostante tutto sia così rilevante. è onnipresente, ha gli amici giusti e ha dato al cinema quello che voleva al momento giusto: i tendini tranciati.
Un posticino nell'horrornomicon gli spettava, dai, non fosse altro per il fatto che alla sua grandissima faccia di tolla ci siamo affezionati tutti quanti, se non altro per il modo in cui gli si illumina tutta la faccia quando parla dei cinemacci dell'orrore che ci piacciono così tanto.
E ne parla tantissimo, History of Horror lo prova.
Quello sì che è carino.

martedì 19 novembre 2019

The Crown - Stagione 3

10:19
Se mi seguite su Twitter prima di tutto mi dispiace per voi, lì sono logorroica.
In secondo luogo, però, sapete già che The Crown non solo è uno dei miei prodotti Netflix preferiti ma anche che aspettavo questa terza stagione come si aspettava il messia.
Sì, anche solo per lei, la Regina del mio cuore, Olivia Colman.
Ho sempre tentennato di fronte a domande come 'Chi è il tuo attore preferito?', cose del genere. Olivia Colman, però, è la mia attrice preferita, oltre ogni dubbio. L'ho vista per la prima volta prendere a calci e pugni il marito in Broadchurch (guardatela che è una serie breve pazzesca) e da quel momento tra me e lei è stato amore folle. Vederla diventare sempre più popolare e presente è per me fonte di orgoglio personale, le voglio il bene sincero che si vuole a certe celebrity che non hanno paura di mostrarsi umane. (Chi se lo scorda più, il suo discorso agli Oscar?)
Ma torniamo alla serie.


Per chi fosse nuovo da queste parti: The Crown è una serie che ripercorre il regno di Elisabetta II del Regno Unito, un decennio per stagione, a partire dalla morte del padre Giorgio VI. In questa terza stagione siamo tra gli anni 60 e i 70.

Sono nella solita estasi visiva da fine di The Crown. La serie si conferma esteticamente una goduria, tra abiti, trucco, il clima e i suoi colori, la natura, i castelli. Davvero conta come un ottimo motivo per guardarla, è curatissima ed eccezionalmente bella da guardare.
Dal punto di vista narrativo siamo di fronte a dieci puntate autoconclusive, ognuna delle quali racconta episodi specifici della storia della Gran Bretagna oppure si sofferma su un personaggio nel dettaglio. Spesso l'episodio si conclude con le classiche righe di spiegazione da film tratto da una storia vera, che non solo non danno fastidio ma danno anzi un senso di chiusura per quanto possibile, proprio perché, essendo gli episodi in linea di massima slegati tra di loro, si parla di certi fatti storici in un occasione e poi basta, e così si dà loro una giusta conclusione.

Poco importa che dei Windsor interessi o meno: la serie sarebbe magnifica anche se si trattasse di una serie di finzione. Ha una tale profondità nel mostrare (non raccontare, mostrare proprio) le persone e i loro rapporti che ha bisogno di poche parole. Ci sono tanti primi piani messi in mano ad attori (tutti quanti) che sono in grado di comunicare ogni cosa senza parlare, e la serie ne guadagna in eleganza.
Non di solo Colman è fatto il cast: se lei è la più brava di tutte (non dico nella serie, dico nel mondo) è vero anche che è stato fatto un lavoro di casting riuscitissimo. Ad eccezione della Bonham Carter, mi dispiace. Non me ne faccio una ragione che Margaret sia lei, non ha alcun senso, non la mando giù. A me la BC non piace proprio, la trovo sempre uguale a se stessa e che un personaggio tormentato come la sorella della regina sia uguale a Bellatrix Lestrange scusatemi ma non riesco a tollerarlo. A rubarci il fiato, però, è Derek Jacobi, nei panni del malato zio abdicatore, il Duca di Windsor. C'è una scena di un dialogo tra lui ed Elisabetta che è incredibile, lo zio è gravemente malato e Jacobi è di un bravo che non ci si crede.

In questa stagione troviamo anche un Filippo mai così umano e apprezzabile, proprio lui che nelle scorse stagioni si era fatto così detestare. A volte è difficile tenere a mente che quel personaggio lì è il memabilissimo duca di Edimburgo che conosciamo nella vita reale, perché questo Filippo, pur mantenendosi se stesso, è diventato più profondo, meno ossessionato dal suo ruolo di eterno secondo e più presente nella vita della moglie. Mi sono piaciuti tanto personaggio e interprete. Abbiamo anche il faro puntato su Charles, sulla sua vita e il suo ruolo che pian piano inizia a definirsi e acquisire importanza nella famiglia reale, non tanto per i suoi meriti personali, che come di consueto tra i Windsor non hanno alcuna importanza, anzi, ma solo per la figura che rappresenta. Charles è inquieto, frustrato, innamorato. Lui e soprattutto la sorella Anne portano una ventata di freschezza a questa stagione, la voglia di essere e fare niente di più di quello che ci si aspetta da due ragazzi della loro età.
Ma soprattutto, come sempre, il faro è puntato su di lei, Elisabetta, che in questa stagione si lascia andare a qualche momento di emotività in più, pur faticando a tirarli fuori. Si emoziona, piange, si lascia andare a dichiarazioni di affetto più ardite rispetto a quelle a cui ci aveva abituati. E poi ha la faccia della Colman, e prometto di non continuare a fare la fangirl, ma quella lì ha una faccia a cui basta un quarto di movimento per dire tutto, e quando si interpreta un personaggio che non può dire tutto quello che vorrebbe in ogni momento beh, è la scelta migliore che si potesse fare.

E adesso siamo qua, orfani dei Windsor, dei loro casini, dei loro sotterfugi, dei complotti politici e degli sguardi silenziosi. E prima di averne ancora dovremo aspettare che la piattaforma sforni altre 3 stagioni di roba come Tredici prima di avere la nostra meritatissima quarta stagione.
Mettiamoci comodi, sarà un'attesa lunga.


venerdì 15 novembre 2019

Ho scritto un altro libro!

11:31
Ciao!
Mi chiamo Marika, ho 29 anni, faccio il pane per un noto discount e nel tempo libero scrivo libri per bambini.
Poi nel resto del tempo ho un blog in cui parlo di squartamenti e possessioni demoniache, ma giuro, se pure immagino che per qualcuno questa possa essere una delusione, che nessuno dei due finisce nei libri per bambini.
Insomma, due anni fa usciva su Amazon Per l'amor di Asgard, la mia prima storia.
Oggi è uscita Filibustieri!, quella nuova.


Faccio fatica a spiegare i motivi per cui anche questa volta mi sono rifugiata nel ''porto sicuro'' che è Amazon. Non è certo il luogo migliore per le storie per ragazzi, e la volta scorsa ho fatto fatica anche solo a spiegare alle persone della vita reale come accedere alla storia di Andrea, il mio primo protagonista. Eppure, da ingenuotta quale sono, mi piace pensare che se davvero dovesse saltar fuori che questa cosa qua la so fare bene, le mie storie troveranno il modo di farsi notare. Non fingerò nemmeno di snobbarla l'editoria tradizionale, anzi. Per ora affido i miei libri al web, che è il luogo dove passo più tempo, e poi chi vivrà vedrà. Qua mi ci sento bene.

La storia di questa volta è quella di Cesare e Margherita, due gemelli che vogliono scrivere un fumetto sui pirati. Non hanno ispirazione e nessun timore di venire colti da imprevisti. Quelli, però, gli imprevisti, vengono soprattutto quando non li si aspetta. Se va bene si risolvono alla svelta, se le cose vanno per le lunghe, beh...nuova ispirazione per i fumetti.

Si tratta di una storia breve, che spero vi faccia compagnia in un pomeriggio di pioggia, con un bambino o una bambina sul divano insieme a voi. A patto che non soffriate il mal di mare, però.
La novità di questo libro è che ha una sua playlist su spotify, da ascoltare mentre vi immaginate al timone della Lady Vendetta pronti a solcare i mari...
La trovate qui.

Se siete genitori, nonni, zii, cugini o maestri, e vorrete farmi l'immenso dono di regalare la mia nuova storia ad un bambino vicino a voi, lo trovate qui.







sabato 2 novembre 2019

Due parole su Doctor Sleep

11:43
Adattamento da Stephen King, seguito del romanzo di Shining, Mike Flanagan, Ewan McGregor.
Vorrei dire che partivo neutra nei confronti di questo film, ma sarebbe una colossale bugia. 
Volevo fortissimamente che mi piacesse, se fosse stato un fallimento avrei sofferto come per un tradimento, non ero pronta a vedere Flanagan inciampare su una cosa così ambiziosa.
Il trailer però non mi era piaciuto e sono arrivata in sala con il rosario in mano, pregando ogni divinità che andasse tutto bene.
E la colpa, alla fine, è solo mia, che non ci ho creduto. Perché Flanagan è un regista di classe, elegante e dolce e ambizioso senza tirarsela e mi ha rimessa a tacere.
Doctor Sleep è proprio bello, mannaggia a lui.


Danny Torrance è ormai un uomo adulto, che deve convivere con le conseguenze della sua esperienza all'Overlook. Beve, è solo, tira avanti alla giornata. Nel mondo, però, sta accadendo qualcosa e lui non può limitarsi a guardare.

Quanto poteva essere pericoloso portare in sala un seguito di Shining?
Io non posso nemmeno immaginare la pressione. A questo punto Flanagan aveva due possibilità: allontanarsi del tutto dall'estetica del film, ché tanto nel romanzo l'Overlook non c'era più, oppure sistemare qualcosina nella trama per trovare il modo di omaggiare quella cosa immensa uscita dalle mani di Kubrick.
Ha scelto la seconda, e questo può piacere oppure no. Nel trailer a me non era piaciuto, se devo essere sincera. Invece nel film, in cui si arriva all'Overlook solo dopo uno splendido percorso prima, è stato assolutamente perfetto e in fondo non poteva che essere così. 
Se Shining è una storia di dipendenza, Doctor Sleep è una di disintossicazione, un viaggio verso la pulizia interiore, una battaglia per diventare migliori. Non lo fa solo con il personaggio di Dan, uno stupendo McGregor che è sempre più bello e sempre più bravo ogni film che passa, ma soprattutto attraverso il personaggio di Abra. Abra che è giovanissima (e brava!) e deve convivere con qualcosa che la rende potentissima e fragilissima insieme. Il loro viaggio è fatto di paura e pericolo, ed è insieme che riescono ad arrivare dove devono. 

Io lo capisco che si possa gridare al fan service. Fermo restando che io per principio non ci trovo nulla di sbagliato in senso assoluto, quello che fa Flanagan è molto di più che tornare nel nostro albergo preferito. Prima si fa un viaggio fuori dall'hotel, si combattono i cattivi in ogni modo possibile, e poi, quando si capisce che ci vogliono le maniere pesanti si usano le più pesanti di tutti. e vi viene in mente una maniera più pesante dell'Overlook Hotel in un film il cui il protagonista sia Dan Torrance fatemi sapere. Si torna all'Overlook e lì ci sono le persone che nell'hotel c'erano un tempo, in alcune delle più esemplari scelte di casting dei tempi recenti. In certi momenti sarà quasi impossibile distinguere Alex Essoe da Shelley Duvall, anche solo per il gran lavoro sui movimenti che la Essoe deve aver fatto. 
Quindi insomma, si decide che in quel posto là ci si torna. A quel punto non si poteva farlo in altra maniera, lo capirete bene. Non potevamo mica dare all'hotel un aspetto diverso, era roba da rivolta popolare. Quindi ecco lo sconfinato omaggio al più grande film di sempre. Sì, sono chiaramente di parte, l'avete visto l'header di questo blog? Si respira un tale amore per quello che è stato che come si fa a prendersela col fan service? Mica era solo per noi, era pure per Flanagan stesso. Quel ragazzone qui ha un amore per quello che fa e per chi glielo ha insegnato che il suo film è diventato un'ode. E chi le scrive, le odi? I poeti, e questo è quello che Flanagan, film dopo film, sta dimostrando di essere. Ha una sensibilità senza pari, una raffinatezza nella narrazione che strappa i cuori e soprattutto, la cosa che a me fa uscire di testa più di ogni altra, uno straordinario gusto estetico, che fa sì che ogni cosa che tocca diventi un'opera d'arte. Doctor Sleep, come tutto il resto prima di lui in un magnifico crescendo di bellezza, è bel lis si mo. Ogni fotogramma, ogni colore, ogni inquadratura, sono indicativi di un gusto che oggi, per me, nessuno ha quanto lui. 
Per favore, non fatevi limitare dalle stupide etichette di genere. Prometto che se anche i film horror non vi piacciono vi piaceranno i suoi. 

Parental Advisory: nelle prime scene c'è l'attrice che fa la piccola Nellie in Hill House. Vi ho avvisato, ho quasi urlato in sala quando l'ho vista, patatina del mio cuore.
E poi c'è Hugo. piazzato lì a tradimento. Io ve l'ho detto.


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