lunedì 30 maggio 2022

Un post molto scarno sui preferiti del mese di maggio

12:32
Avevo scritto una intro strappalacrime su quanto difficile sia stato per me il mese di maggio, punto in cui ho raggiunto picchi di burnout senza precedenti nella mia vita, ma poi mi sono detta che se c'è una cosa della vita adulta che ho imparato è che messi così siamo in tant3 e che riversare il mio fiume di angoscia in uno spazio virtuale non avrebbe certo aiutato né me né tutt3 quell3 che, come me, stanno a tanto così dall'esaurimento nervoso. 

Il punto della questione doveva essere che, visto che sono stata uno straccio, non ho combinato nulla in questo mese. Ho saltato due settimane della rubrica della storia del cinema, ho saltato live, ho avuto un blocco del lettore tremendo, la mia concentrazione è andata, letteralmente, a farsi benedire. Non sono riuscita a fare nulla. 
Tutto questo per dire che questo post sui preferiti sarà un po' magro, perché di cose ne ho fatte ben poche.





Podcast

Quella dei podcast è una categoria particolarmente magra. Mi sono limitata a recuperare qualche episodio arretrato di quelli che seguo già, e nello specifico, con un ritardo davvero ridicolo, ho ascoltato la seconda, gloriosa, stagione di C'è vita nel Grande Nulla Agricolo? che come sapete è uno dei miei preferiti, una delle poche cose al mondo che mi fa ridere davvero. La seconda stagione è perfettamente all'altezza della prima, ormai si vola a livelli altissimi.
Scoperta di questi ultimissimi giorni, però, è stato Brivido coatto, podcast romano in cui una coppia di racconta storie tutte nostrane. Giulia racconta a Daniele storie true crime e Daniele racconta a Giulia storie paranormali, tutte sempre ambientate in Italia. Non sono ancora sicura di amare il loro modo di raccontare, ma conoscendomi mi affezionerò molto velocemente. La loro grafica è adorabile. 
La vera cosa molto bella del mese di maggio in tema podcast è che è cominciata la seconda stagione di Nuovi Incubi, che non solo è un progetto che mi rende felice e scodinzolante, ma che promette, in questa stagione, di fare scintille. Io e Lucia siamo molto soddisfatte delle prime puntate, ed è solo l'inizio. Sarà una figata e non me ne frega proprio niente se è autoreferenziale che me lo dica da sola: Nuovi Incubi se lo merita.

Libri

Non ho parole per questa categoria. Ho spento completamente il cervello in questo mese, sono riuscita a leggere un libro solo. Non giudico mai i tempi di lettura delle altre persone, evviva chi legge e chi lo fa come cavolo gli pare, ma giudico i miei con grande severità. 
Certo, il libro che ho letto, She-Wolf, è una fenomenale raccolta di saggi a cura di Hannah Priest che parlano tutti delle donne licantropo, del loro ruolo nella storia, nel folklore e nei prodotti di intrattenimento. È davvero prezioso, si legge come un romanzo per via non solo della sua scorrevolezza ma principalmente di quanto è interessante. È curioso, pieno di nozioni che non avevo, di analisi approfondite ma mai appesantite. Mi ha rubato il cuore.
È dall'inizio del mese che sto cercando anche di leggere Gideon la nona. È esploso sui social qualche tempo fa, anche grazie a notevoli spinte dalle book blogger (nello specifico, lo ha tradotto Francesca Crescentini, aka Tegamini, che ovviamente ne ha parlato moltissimo e con toni molto entusiastici). Di solito sto lontana da questi fenomeni, ma questo parlava di necromanti e voi capite bene che almeno un tentativo lo dovevo fare.
Questo tentativo sta durando da un mese e il kindle mi dice che sono all'11%.
Ne riparliamo, se emergo dalla lettura.

Videogiochi

Nel mese di maggio ho giocato solo a DARQ, su consiglio dell'amico Pietro. È adorabile. È un gioco con capitoli brevi, che si gioca molto velocemente, basato su rompicapi di varia natura che ho trovato deliziosi e divertentissimi. 
Se giocate ai dlc (che scopro essere al maschile e non al femminile come ho sempre detto io, scusate dlc se vi ho attributo i pronomi sbagliati) preparatevi: il primo è divertentissimo e ha un finale che ho adorato, il secondo ci ha quasi mandati all'ospedale.
Siamo pippe io e il Moderatore? Possibile.
Portate pazienza, siamo molto stanchi.

Giochi ma non video

Complice la mia prima volta al Modena Play posso introdurre la categoria dei giochi che non stanno dentro al computer! 
Sul canale Youtube trovate la live di tutte le cose comprate al Play e anche il disclaimer: è un mondo che sto esplorando per la prima volta, perdonate le eventuali castronerie.
Tra le varie cose abbiamo comprato il Kit Essenziale di D&D. Principalmente il motivo per cui mi interessa giocarci (oltre alla prima ovvietà: passare del tempo con il mio compagno facendo anche cose che piacciano a lui perché poi comunque finisce che piacciono anche a me) è imparare le dinamiche dei giochi di ruolo per poterle poi in futuro applicare ai giochi di ruolo che mi interessano davvero: quelli dell'orrore. Proprio ieri abbiamo creato il mio primo personaggio, e nonostante io mi sentissi una figa vera perché pensavo di avere fatto scelte intelligenti ho scoperto di avere fatto le scelte più comuni possibili. Vi tengo aggiornati, al momento ridiamo molto. 

La categoria serie tv la salto a piè pari, non ne abbiamo conclusa nessuna. No, nemmeno miniserie true crime. Nemmeno una stagione di X-Files. Il nulla cosmico.

Film

Come al solito la carrellata delle visioni tutta intera arriva domani su Instagram, qui solo le menzioni d'onore. 
Finalmente ho visto Censor, perché è arrivato su Shudder. Uno dei film più chiacchierati dell'anno scorso dalla community dell'orrore, e c'è una ragione: è un gigante. È forte, appassionato, grigio ma nel senso bello e non nel senso di Snyder, è potente e cattivo il giusto. Ne avevamo parlato nell'episodio con i film migliori dell'anno scorso in Nuovi Incubi, se volete recuperarlo. Ha un finale bellissimo.
In casa Redrumia, poi, è partita una missione: ci stiamo guardando i film di James Bond, che sono appena arrivati su Prime. Non ne avevo mai visto nessuno, e siamo partiti da quelli con Daniel Craig. Per guardare questa saga devo mettere da parte i miei ideali: di gente megamilionaria criminale che fa le cose cattive con abiti che costano come un'automobile e automobili che costano come abitazioni mi frega molto poco e anzi vorrei vederli tutti morti e usare i loro patrimoni per un'equa ridistribuzione della ricchezza. In più, devo superare l'insostenibile machismo che permea tutto quello che vedo.
Se accetto di passare sopra a tutto ciò, però, vedo Skyfall, che non è certo uno di quei film che a me rubano il cuore ma che mi ha regalato due delle interpretazioni migliori del mese: Bardem e Dench sono di un altro pianeta.


IRL

Come dicevo, a maggio ho scoperto Modena Play. Lo so, mi è stato fatto notare che in realtà è una cosa iper famosa tra gli appassionati, ma io ci sono arrivata adesso e mi godo l'entusiasmo delle cose nuove. La giornata è stata stancante come una passeggiata in montagna, per sostenermi ho bevuto più cocacole di quanto sia consigliabile, ma poi mi sono mangiata un borlengo gigante in un parco in città con un'amica, ho comprato un sacco di cose che non vedo l'ora di sfruttare e ho incontrato persone simpatiche, quindi ne è ampiamente valsa la pena. 


Questo weekend mi ritiro sul lago di Molveno, sperando di riuscire a recuperare un po' delle energie perdute e del cervello girovagante, per tornare a giugno con tutto quello che serve per essere un adulto funzionante che torna con ritmi dignitosi a parlare su internet di cinema dell'orrore.

martedì 24 maggio 2022

Nuovi Incubi: la trilogia di Ginger Snaps

11:00

 



In una stagione dedicata alle adolescenti non potevamo permetterci di ignorare Ginger e Brigitte e la loro adorabile trilogia.
In un podcast che ormai è senza freno alcuno abbiamo discusso di mestruazioni, depilazione, scoperta della sessualità.
Però lo giuriamo, è ancora un podcast sul cinema dell'orrore. E in effetti parliamo anche di preti molesti e nonne arse vive, ma non è questo il punto principale, non in questo episodio.
È che il film di Fawcett del 2000 parla così sfacciatamente e accuratamente di quello che accade al corpo delle ragazze insieme al menarca che non siamo proprio state in grado di trattenerci: è un episodio spumeggiante. Ma soprattutto, quella di Ginger e Brigitte è una trilogia che vale la pena di essere riscoperta tutta quanta, perché il primo è un fenomeno, ma gli altri due non sono affatto da meno. Aiutateci nella nostra campagna per farli arrivare in Italia, che al momento sono solo su Tubi e questo non è proprio accettabile.

Se vi capita una serata tra amiche, la maratona delle lupe canadesi, secondo me, si presta a meraviglia.

Nuovi Incubi è su Spotify e quasi tutti gli altri posti con i podcast. Condivideteci con l3 vostr3 amic3!
Vi lascio il link qui.

sabato 14 maggio 2022

Gli anni '30: Tod Browning in MGM - Freaks e gli altri

18:12
Passare attraverso gli anni '30 e ignorare Freaks è immorale, mi vengono a cercare a casa. 
Lo scorso 12 febbraio, il mitologico film di Tod Browning, quello con cui si è giocato la carriera, ha compiuto 90 anni, e resta il film più chiacchierato nell'ambito dell'analisi cinematografica in relazione alla crip theory. Se si parla di disabili al cinema, si parla di Freaks.
Prima di parlare di lui, però, c'è da raccontare come è venuto al mondo.




 MGM prima di Tod Browning


La più canonicamente "star-driven" casa cinematografica di sempre, Metro-Goldwyn-Mayer, nacque nel 1924 con un intento preciso: rendere il cinema il più democratico possibile: non riservato ad un'elite borghese ma nemmeno vincolato alla parte più bassa della popolazione. Obiettivo di casa MGM era un cinema "pulito", aperto, che semplicemente non offrisse a nessuno la possibilità di obiettare. 
Una volta, una, che i poveretti decidono di osare e Browning gli fa, letteralmente, il circo.
Con il tempo sarà la casa considerata responsabile della carriera di mostri sacri del genere come Greta Garbo, Buster Keaton, Elizabeth Taylor...in poche parole, quei volti che oggi associamo all'epoca d'oro di Hollywood. Era la casa con "all the stars in the heaven".
Due erano i nomi principali di MGM: Louis B. Mayer e una nostra vecchia conoscenza, Irving Thalberg. Thalberg lo abbiamo incontrato parlando di Universal, dove ha contribuito a dare una casa ai mostri. In Universal si è fermato per poco tempo, sostituito dopo la sua partenza da Laemmle Jr, ed è passato in casa Mayer. L'abbiamo visto qualche post fa, Thalberg è finito al cinema un po' per caso, per colpa di una madre asfissiante che se lo voleva tenere vicino a casa e si è rivelato uno dei geni del suo settore. Mayer, invece, figlio di immigrati russi, arriva al grande successo partendo da un piccolo nickelodeon acquistato con i risparmi. La loro relazione è stata per tutta la loro carriera condivisa un tumulto di emozioni e sconti, c'è un (bellissimo come sempre) episodio del podcast You must remember this che li ricorda tutti quanti. 
Già negli anni '30, poco tempo dopo la sua nascita, la casa si pregustava un futuro roseo. Ebbe, effettivamente, un momento di gloria duraturo, proprio nel periodo in cui l'idea di Freaks iniziava a fare capolino, ma il suo declino iniziò con il secondo dopoguerra. Nei decenni successivi ha contribuito alla nascita di alcuni fenomeni straordinari (uno su tutti 2001: Odissea nello spazio), ma ha da tempo dimenticato lo sfarzo dei suoi primi decenni.


Tod Browning prima di MGM


Anche Browning non è un nome nuovo nella rubrica. A lui dobbiamo la nascita dell'horror soprannaturale come lo conosciamo e amiamo, con il suo Dracula. Forse il film di cui gli è sempre importato meno, ma di cuiimporta a noi e tanto basta. Oggi, però, lo conosciamo fin da giovane.
Charles Albert Browning, Tod per noi, ha 16 anni e scappa di casa. Per maltrattamenti, vi chiederete? Per passione? No.
Aveva conosciuto una bella signorina che lavorava in un circo.
Come l'ormonale sedicenne che sarà stato, lascia tutto e tutti per darsi alla vita circense, e dentro allo spettacolo si fa fare ogni cosa: fa il clown, lo stalliere, la qualunque. Dategli due robe da mangiare e si fa anche seppellire vivo. Un classico adolescente, che più classico non si può.
Pensate cosa può avere significato essere un adolescente al circo nel momento in cui cinema e circo iniziano a fondersi, creando uno spettacolo tutto nuovo. Stava nascendo il nuovo intrattenimento per il popolo, e la tradizione del circo stava pian piano andando perdendosi.
A contribuire alla nascita della carriera di Browning fu quel regista di cui in questa rubrica non abbiamo parlato: quello che faceva i film razzisti molto molto muti e molto molto molto lunghi. Gli fa fare qualche piccolo ruolo qua e là, e pare sia stato lui a fargli conoscere Thalberg: l'inizio della carriera vera e propria. 
Nel muto fa così tante cose che alcune le abbiamo perdute (uno su tutti il mitologico London After Midnight, con Lon Chaney), e pian piano segue Thalberg nei passaggi tra le case cinematografiche. L'uscita di Dracula è la svolta: ok che del film gli importava poco e nulla, ma ho come la sensazione che del suo straordinario successo, invece, gli sia importato eccome. La valanga dell'universo dei mostri ha letteralmente salvato la vita di Universal, figuriamoci le possibilità che derivano da qualcosa del genere. 
Le testimonianze di chi ha lavorato con lui non sono lusinghiere: sembra che Browning fosse freddo, scostante, quasi al limite della costante maleducazione. Non si parla di lui con affetto, non è uno di quei nomi che commuove al ricordo. È particolarmente interessante che la sua collaborazione più longeva sia stata proprio con Chaney, di cui si dicevano le stesse cose. Hanno fatto dieci film insieme, e non sono mai diventati amici. Si stimavano, pare. Sembra che ogni volta che Browning dovesse lavorare con qualcuno di diverso dall'Uomo dalle mille facce finisse sempre per dire che Chaney l'avrebbe fatto meglio, ma non c'è alcuna testimonianza di un'amicizia, il che fa soffrire noi amanti della bromance. 
Sarebbe stato adorabile invece erano due scorbuticoni che volevano solo parlare di gambe mozzate e gobbe sulla schiena. Certo, poiché ne parlavano così bene, ce lo faremo bastare.


Il trio infernale


Quindi, dicevamo, Dracula e tutti i soldi che ha fatto. 
MGM li ha guardati con la bavetta alla bocca, poi li ha indicati col ditino e ha chiesto a Browning: "Anche noi, anche noi!"
E lui, serafico: "Mi fate fare come dico io? Voglio adattare ancora (dopo quel trio infernale del titolo, n.d.R.) un racconto di Robbins, dai."
E loro, con gli occhi a dollarone come Paperone: "Ma certo caro si accomodi, le apriamo la porta, un caffè? Gradisce una penna fatta di pelle umana per firmare?"
E lui firma, e affonda.
Freaks, una semplice storia di un amore non ricambiato e di una vendetta amara, non è solo il più grande scandalo della sua epoca, è una scalata verso l'inferno, verso il dimenticatoio in cui ha cacciato il proprio regista. MGM sopravvive alla botta, Browning no.
Il film esce il 12 febbraio del 1932, prodotto e creato alla velocità della luce nella speranza di cavalcare l'onda del successo di quel vampiro là, e prima ancora che esca, le prime polemiche: un montatore esausto all'idea di dover continuare a vedere gli attori disabili, gente che litiga in mensa per non mangiare con loro, quel Louis Mayer di cui sopra che se appena avesse potuto avrebbe ammazzato di botte Thalberg per aver permesso questa oscenità, Thalberg sereno che dice "Va beh gliel'ho chiesta io la mostruosità, non è che adesso posso tirarmi indietro.". Un caos, un caos.
Poi il film lo fanno vedere in anteprima. Genera un mormorio così potente che una tizia li vuole denunciare per averle causato un aborto. Esce comunque in sala, ma le premesse non sono buone. In periferia va benino, ma sono le grandi città ad essere significative, e lì è un flop di proporzioni epiche: la gente, sto film, non lo vuole vedere. La gente voleva sì i mostri, ma solo quelli finti. A Tod nessuno aveva dato il post it con l'informazione. Manco i suoi stessi interpreti lo ricordano con affetto: nella biografia delle gemelle Hilton, le ragazze siamesi, l'esperienza non è mai nemmeno citata. 
Censurato, ritirato, boicottato, direttamente proibito in diversi Paesi: è quasi un miracolo che ne siano sopravvissute delle copie, peraltro in ottime condizioni. 
Oggi, che lo guardiamo con la santa distanza che ci offre il tempo, è facile capire che idea difficile abbia avuto, il Nostro. Ha deciso, nel '32, di mettere in discussione tutto ciò che era familiare. La famiglia, il corpo, la salute. 
Freaks è prima di tutto un film d'amore, ma quell'amore qua non lo aveva ancora mai ritratto nessuno. O meglio, si apre con un amore familiare: Madame Tetrallini porta alcuni dei suoi compagni di viaggio in un parco che sembra all'aperto e invece è proprietà privata. Quando viene redarguita, si abbraccia i suoi piccoli e lo spiega: sono solo bambini. Questa, la tutela che l'umanità ha nei confronti dei più piccoli, anche se diversi, viene mantenuta, e il rimprovero ritirato. Ma da quel momento in poi, tutte le convenzioni sociali vengono prese e accompagnate alla porta: stiamo entrando al circo e qui le vostre regole non contano. Quelle tra i membri della compagnia sono relazioni comuni e pertanto uniche, come lo sono tutte. Le sorelle siamesi hanno due partner diversi, e bisogna discutere della situazione di alloggio. Si vive in quattro? Mi diventa un poliamore, così? Spiattellato nel '32? E ancora, l'amore fraterno, quasi genitoriale, del clown verso quelle che oggi sono note come le sorelle Pinhead. Infine, la relazione tra Hans e Cleopatra, il centro del film. Cleo è la magnifica trapezista, Hans il ricco nano che lei prima conquista e poi cerca di avvelenare per tenersi l'eredità. Scombinando completamente i ruoli del racconto, in cui il cattivo è Hans che si vendica della moglie per sempre, il film prende una posizione netta nel mettere i normodotati tra i cattivi. Cleo non è cattiva solo perché ha un piano omicida, lo è ben prima. È crudele, passa le giornate a ridicolizzare le persone che la circondano e che si guadagnano da vivere esattamente come lei, espone l'affetto che riceve alla pubblica gogna, non nutre alcun interesse per i sentimenti altrui, è egoista e superficiale. Non c'è mai alcun dubbio, in Freak, su come siano distribuiti i pesetti sulla bilancina della moralità. Infine, l'adorata Frieda, che tanto ama il suo Hans ed è costretta prima a perderlo e infine a vederlo soffrire. Lei è l'amore più pulito, privo di desiderio di possesso, quello che è raccontato nelle storie migliori. Non rimprovera Hans di averla lasciata, per quello lo perdona. Non le importa che ami un'altra. Le importa solo che quest'altra non lo ricambi, lo umili, lo sfrutti. Ogni volta il cuore distrutto, per Frieda, così genuina, in un film che è pieno di sporcizia dell'anima.
Eppure, questi sono disabili la cui rappresentazione è ancora oggi una delle più studiate e chiacchierate di sempre. Il fatto che siano Cleo e il suo amante Hercules i cattivi della storia non rende gli altri dei pikkoli anceli. Quello che fa Browning è dare loro un arco narrativo completo, che lo so che oggi è il minimo sindacale che ci aspettiamo, ma diamo a TB il merito di averlo fatto per primo. Sono persone che subiscono un grosso torto e una brutta umiliazione, e in quanto tali si vendicano, in una delle scene che ancora oggi è tra le più forti che il cinema dell'orrore ci abbia mai regalato. Se non avete mai sognato i ragazzi incazzati neri scendere sotto la pioggia dal carro in fiamme non abbiamo gli stessi riferimenti culturali ed è davvero ora che vediate Freaks.
Il suo finale è interessante e spunto di riflessioni infinite: la punizione per Cleo è quella di diventare davvero one of us, una di noi, come le cantavano durante il banchetto nuziale che tanta rabbia le ha scatenato. Ma essere disabili non è una punizione, oggi lo sappiamo bene e chi si occupa di disability studies fa un lavoro immenso nel portare avanti una concezione diversa del corpo disabile. Lungi da me voler davvero applicare la consapevolezza di oggi ad un film di 90 anni fa, ma è pur vero che di questo film non si è mai smesso di parlare anche per questo.
Quello che fu problematico all'epoca fu l'uso di persone reali, con corpi reali. Era accettabile uno zoppo solo se era Lon Chaney, che finito di girare tornava a camminare normalmente. Anzi, gli si diceva pure che era eccezionale (lo era, ovviamente) perché si riduceva il corpo a brandelli pur di diventare diverso da com'era. Loro, diversi, lo erano davvero, e pertanto non più accettabili. 
Il famoso claim di The last house on the left, "Keep repeating it's only a movie", qui non valeva: non era only a movie. 
Paradossalmente, però, il film si chiude quasi su una chiave rincuorante per i ripugnanti fan dell'eugenetica dell'epoca: i freak restano solo tra di loro, ogni apertura al mondo di noi splendenti normodotati non è buona cosa, che si richiudano al circo. È questa forte componente controversa che fa di Freaks uno dei film più famosi di sempre. Non sapremo mai, con immenso dispiacere, se la mezzora di film che la censura ci ha tolto per sempre, avrebbero dato più chiarezza a queste questioni. Quello che possiamo dire è che Browning, con quello che ha potuto fare, ha costruito qualcosa che non solo sta perfettamente in piedi con una parte gigantesca tranciata via, ma che ha saputo usarla per lasciare il segno per sempre. 
Nonostante la spaventosa caduta sul sedere che è stato questo film, MGM dà a Browning un altro paio di possibilità, e quello non si fa scappare la chance di mettere tutti i suoi temi per un altro paio di volte all'interno del cinema dell'orrore. I film sono The mark of the vampire nel 35 e The devil doll l'anno successivo. Il primo fa un pochino quello che non aveva potuto fare con Dracula: riporta i toni su quelli della commedia nera, e torna ad utilizzare quello che ormai in casa Redrumia è l'escamotage da Gatto e Canarino, ovvero riporta al razionale eventi soprannaturali. In questo caso lo fa con una coppia di vampiri (in cui naturalmente il conte è Lugosi, perché davvero questo ha rifatto Dracula ma in una casa diversa) che però forse vampiri non sono perché dai, i vampiri non esistono, no? No? The mark of the vampire visto oggi suona un po' come una presa in giro a quel suo successo strepitoso che lui ha così poco amato, con tanto di animaletto appeso per aria con il filo visibile e tutto il resto. Resta però una visione non solo molto godibile, ma sinceramente molto divertente. 
The devil doll invece mi ha fatto cadere dal pero perché è un adattamento di Brucia, strega, brucia!, romanzo che ho letto all'inizio dell'anno e che mi aveva deliziata. Non solo, ma è un film con un numero infinito di riferimenti al suo precedente Il trio infernale. Anche in questo caso ritornano tanti temi familiari al nostro, ma soprattutto, per restare in tema, il suo attaccamento al tema della famiglia e il suo giocare con i generi. Ci sono uomini che si vestono da donne, nel cinema di Browning, perché la sessualità ma anche l'identità di genere sono messe in discussione in un'epoca in cui forse nemmeno si sapeva della loro esistenza. In Freaks c'è un personaggio che è un ermafrodita perfetto, ne Il trio infernale un adulto che si finge un bambino, e di nuovo in giro per il suo cinema: una potenziale relazione poli, accenni costanti manco troppo velati all'incesto, all'impotenza, alla frustrazione sessuale.
Browning parlava della sfera sessuale con una sfrontatezza che forse il cinema non ha più toccato, ma che di sicuro nessuno aveva mai toccato nelle sale dorate della Hollywood della Golden Era, solo pochi secondi prima dell'entrata in vigore di un codice che in nome di una morale presunta avrebbe tarpato le ali di chi aveva molto da raccontare.
Chissà cosa ci avrebbe raccontato ancora Tod Browning, se solo la gente avesse avuto il coraggio di guardare in faccia la diversità, se non si fosse nascosto l'abilismo più spietato dietro i sorrisi bianchissimi dei benpensanti, se ci avessero insegnato fin dalla notte dei tempi che cosa sono e come sono fatte le persone, tutte quante. 


Per approfondire il tema Freaks e rappresentazione della disabilità al cinema: 
(link affiliati)



martedì 10 maggio 2022

Nuovi Incubi, stagione 2: The Craft - The Craft Legacy

11:00

 Ci siamo salutat* parlando di Julia Ducournau e della nuova ventata delle donne del cinema francese, ed è stato molto bello. Però era giunto il momento di salutare la prima stagione e la New French Extremity, e prenderci un attimo di pausa. 

Oggi, finalmente, siamo tornate! 




Su Instagram avete votato una seconda stagione a tema teen girl, e non sapete in che casino vi siete lanciat*: sarà una stagione lunghissima, troppo divertente, ma soprattutto con due film a episodio! Pensavate fossimo già lunghe prima? Non sapete cosa vi aspetta. 

Per cominciare, quindi, la nascita vera e propria del teen girl horror moderno: Giovani streghe, e il suo legacy sequel del 2020. Per l'occasione, la prima ospitata della stagione.

Grazie a Sara di averci fatto di nuovo compagnia e grazie a voi se vorrete ascoltarci! 

Ci trovate qui.

venerdì 6 maggio 2022

Gli anni '30: White Zombie e l'origine dei ritornanti

17:29
In questi primi due decenni di ricostruzione della storia del cinema dell'orrore abbiamo visto quasi tutte le creature che ci accompagneranno per tutto il percorso: demoni, streghe, vampiri, scienziati pazzi...
All'appello, però, insieme ad altri amici che conosceremo settimana dopo settimana, mancano i più politici di tutti: gli zombie. 
Questo perché fino al 1932, anno di uscita di White Zombie, dei ritornanti non si era ancora parlato, o almeno non nei termini che utilizziamo ancora oggi.
Oggi, quindi, vediamo insieme la storia e le conseguenze di un film piccolo e anche un po' odiato, una delle rarissime incursioni di casa United Artists nel mondo del cinema dell'orrore.


manco la faccio la gag per farvi indovinare di chi siano sti occhi da ossesso



Le origini del mito


Mi verrebbe fin troppo facile riassumere la nascita della figura dei morti viventi con un semplice "i bianchi fanno schifo", ma è un po' come dire che l'acqua è bagnata ma non spiegare perché disseta, quindi mi impegno un po' di più. 
Per quanto il concetto di ritorno dalla morte sia effettivamente parte di più di una cultura, è all'Haiti del diciassettesimo secolo che dobbiamo la figura dello zombie il più simile possibile a quella che intendiamo oggi. E dico che i bianchi fanno schifo perché naturalmente Haiti era una colonia francese. E colonia = schiavitù. E schiavitù = metodi diversi di gestire l'immensità della situazione da parte delle persone che la subivano. Nascono credenze popolari, suggestioni, che vogliono la possibilità del ritorno dalla morte come qualcosa di tutto fuorché positivo. Chi moriva e poi tornava lo faceva in uno stato di totale assenza dell'anima: a tornare erano solo i corpi. Questo portava ad una maggiore oppressione, una totale cessione del corpo al volere dell'altro. Se non esisti come umano ma solo come corpo sei maggiormente comandabile, la sopraffazione su di te è totale. Lo zombie, quindi, è il frutto della paura più grande, della peggiore delle realtà possibili. Il più rappresentativo simbolo dell'ingiustizia sociale.

Non ci sono molte fonti riguardanti la figura del ritornante precedenti la Rivoluzione Haitiana, quella per l'abolizione della schiavitù e la liberazione dal governo francese, avvenuta tra il 1791 e il 1804. Sappiamo che la parola compare per la prima volta nel 1697, in un testo autobiografico di Pierre-Corneille Blessebois (non chiedetemi mai quante volte ho fatto un controllo sul modo corretto di scrivere il suo nome), intitolato Le Zombi du Grand Pérou, considerato oggi il primo romanzo coloniale francese. 
Dopo la Rivoluzione, le condizioni di vita ad Haiti non sono migliorate, almeno per i membri delle classi inferiori (una grande sorpresa per nessuno): politica instabile, differenze di classe, leader affamati di potere. Il risultato è che la schiavitù è stata sì abolita, ma non la supremazia dei ricchi sui poveri, che restano pesantemente controllati. Fu inevitabile, poi, l'interessamento degli Stati Uniti verso una nazione fragile ma ricchissima. Nel 1910 gli USA ottengono il monopolio economico della nazione, e il resto è storia. 
È dopo la Rivoluzione che lo zombie di Haiti diventa parte della religione Voodoo e non solo elemento folkloristico: sono gli sciamani , gli stregoni chiamati bokor, a crearli, di nuovo per far svolgere loro mansioni di varia natura. 
Per i poveri morti non c'è pace.

Punto di svolta nella narrazione degli zombie haitiani arriva nel 1929: William Seabrook, noto occultista americano, pubblica un testo che è un resoconto di un periodo trascorso sull'isola, The Magic Island, oggi accreditato come principale ispirazione per il film di cui, giuro tra poco, parleremo. Nel testo accenna a loro come a soulless human corpses, cadaveri umani senz'anima. Racconta di pratiche Voodoo, di stregoneria, di pozioni con erbe e incantesimi. Non ne parla con toni negativi, non le paragona a pratiche primitive e superate, ma piuttosto come di un elemento spirituale molto potente e sentito, a suo dire perduto nella comunità da cui proviene, gli Stati Uniti. Parla però anche di lavoratori defunti, ma non nel senso di morti bianche: proprio di morti che continuano a lavorare. Gli viene offerta la possibilità di conoscere "uno zombie", opportunità che il nostro coglie felicemente. Pare lo abbiano direttamente portato in una sugar factory, tanto lo zombie stava di turno.
È questo testo che porta alla nascita del film, e sarà il film a creare l'immaginario intero degli zombie che ci portiamo ancora appresso. La figura del ritornante non prende subito piede, però: dopo il film del '32 c'è un sequel, quattro anni dopo, e infine i tentativi di Tourneur nel decennio successivo, ma si tratta di tentativi sporadici, non di un filone vero e proprio.
Per quello ci tocca aspettare Romero.


Il film


Ormai, grazie anche al lavoro di Seabrook, il pubblico conosceva il concetto di ritorno dalla morte: perché non lucrarci su? Il primo tentativo arriva nel '32. L'horror sta facendo soldi buoni, è un rischio tutto sommato limitato. 
I fratelli Halperin hanno un budget limitato (50mila dollari), qualche studio a disposizione, la presenza (tutto sommato economica, con grande rimpianto dell'attore) di Bela Lugosi e la possibilità di girare solo di notte. Si portano a casa il film in poco più di 10 giorni. Haiti all'epoca entrava nel diciassettesimo anno di occupazione americana ed è proprio durante l'occupazione che il film è ambientato. Racconta di Madeline e Neil, una coppia felicemente in procinto di sposarsi, proprio ad Haiti, in prossimità della piantagione di proprietà di Charles Beaumont. Beaumont, però, è follemente innamorato di Madeline ed è disposto a tutto per averla tutta per sé. Bisogna sempre stare attenti a quello che si desidera, però, perché ad aiutarlo c'è Murder Legendre, il personaggio di Lugosi, che ha tutto fuorché buone intenzioni.

Oggi riconosciuta come una delle rappresentazioni più fedeli dello zombi in senso haitiano, il film fa un buon successo di botteghino ma non di critica: viene quasi all'unanimità criticato principalmente per le interpretazioni, il che a me oggi fa un po' ridere perché uno è Lugosi e l'altra una zombie, viene da chiedersi cosa ci si aspettasse. Non solo, il film fa un grande uso dei silenzi, che mi ha nostalgicamente riportato ai giorni del cinema muto, e secondo me ci gioca molto bene, con una recitazione che rimandando agli antichi fasti non è certo debole. Ma questa è solo un'opinione mia. 

Quando si dice che il film parla bene degli zombie di Haiti è perché è principalmente un film che parla di schiavitù. Nonostante il focus sia su Madeline e l'amore malato che Beaumont prova per lei, il problema vero è che l'intera piantagione è sostenuta da zombie. C'è una scena agghiacciante di una morte sul lavoro che fa impallidire il cinema drammatico di oggi. Gli zombie sono ripresi sul lavoro, mentre silenziosi, lenti e obbedienti, creano la ricchezza di Beaumont. La morte del loro compagno non è nemmeno vista, si prosegue nella fatica come se nulla fosse successo. Nel senso più tradizionale dello zombie, questi non sono morti e ritornati, sono vittime di un incantesimo che li annienta e li rende solo corpi lavoratori. Il film è uno specchio del colonialismo americano e dei suoi disastri. 

Leggenda vuole che la distribuzione del film abbia invitato i singoli esercenti a utilizzare cittadini neri, preferibilmente in abiti tradizionali, se poi per favore possono anche cacciare qualche urlo animalesco, grazie, ci fareste molta pubblicità. Andarono così spietatamente contro tutto quello che il film così aspramente criticava. Voleva essere un modo per lanciare questa storia di magia nera, è stato solo l'ennesimo caso di lurido razzismo. Anche in questo caso, sorprendendo nessuno.
Ancora più agghiacciante per lanciare proprio un film che fin dalle sue prime scene mostra che il mostro è l'oppressore. Quando la coppia sta arrivando a destinazione subisce una brusca battuta d'arresto: in mezzo alla strada c'è un funerale. 
Alla richiesta di spiegazioni, l'autista della carrozza (si chiamano autisti anche se guidano le carrozze?) racconta che le persone del luogo sono costrette a seppellire i propri morti per la strada, dove passi sempre gente, per paura che qualcuno (aka il bianco oppressore del cazzo) se li vada a riprendere.
Come poi gli americani siano riusciti anche a rovinare il lancio di questa roba mi è inspiegabile. Non ce la fanno manco se glielo disegni. 

Siamo molto lontani dallo zombi a cui devi sparare in testa, da quello che parla di società e capitalismo, da quello che diventa narrazione della malattia e del fine vita. Certo, lenti son lenti anche questi.
Quello che abbiamo, però, è un amarissimo ritratto dello sfruttamento, dell'oppressione, della schiavitù, della totale disumanizzazione dello schiavo, di una società capace di prendere un'intera fetta dell'umanità e trasformarla in vegetale a proprio piacimento. Gli esseri umani qui sono macchine da lavoro, bestie da soma, vuote di occhi e di voce. Naturalmente allo stesso modo sono trattate le donne: Madeline è oggetto del desiderio malsano di Beaumont, a cui poco importa del contenuto: il guscio è bello e lo voglio io. Quando capisce che gli esseri umani sono qualcosa di più non è solo troppo tardi, è pure limitato: non posso andare a letto con lei, non vedi che è vuota? Lo schiavo no, quello tienilo che mi occorre ancora. 

In barba alle sue critiche, per me White Zombie è fondamentale, durissimo, angosciante. 
È pubblico dominio, non avete scuse: lo trovate qui.




Le fonti di questo post:
(come sempre, asterisco significa link affiliato Amazon, grazie se lo userete!)

Fay, Jennifer, Dead Subjectivity


lunedì 2 maggio 2022

Gli anni '30: Boris Karloff

10:39

 Nell'ultimo post dedicato a Universal e al suo impatto sul mondo intero, non potevo che dedicarmi al signore che ha preso residenza fissa nei miei incubi: William Henry Pratt, in arte Boris Sua Signoria Karloff.

La carriera di Karloff è ben più ampia del suo solo percorso in Universal, ma siccome la Storia del cinema dell'orrore non può farsi senza un omaggio a Lui, ho pensato che questa fosse una buona fase per farlo.


bello come il sole lui


William nasce verso la fine del 1887, in Gran Bretagna. La prima parte della sua vita è caratterizzata dall'essere un diverso. I suoi genitori hanno entrambi origini o discendenze indiane, e hanno passato parte della loro vita a Bombay. Questo ha donato al Nostro una pelle più scura dei suoi connazionali e lineamenti impossibili da ignorare. Le foto della sua infanzia che si trovano online lo rendono evidente: non c'è mai bisogno di cercare quale dei giovani ritratti sarebbe diventato Boris Karloff, ce l'ha sempre avuto scritto in faccia, letteralmente. Era comodo avere la pelle scura nei primi del '900? Non lo è oggi, figuriamoci. Ha subito bullismo e discriminazione fuori dalle mura di casa, per poi rientrare e trovare il peggio: il padre era un violento. La madre si separa, ma la situazione la conduce ad una depressione che le rende complesso crescere il più piccolo dei suoi 7 figli, William. Per tutta la sua carriera, poi, Karloff finirà per dire che i suoi genitori erano morti da tempo: è più facile e meno doloroso così, che spiegare ogni volta le difficoltà dell'essere piccoli in un contesto grande e spaventoso.
Mentre i suoi fratelli seguono una rispettabile carriera diplomatica, il piccolo di casa scopre il teatro e si mette in testa che vuole fare l'attore. Sti sogni di ragazzetti, oh. Finisce oltreoceano, e dopo qualche lavoretto manuale per mantenersi comincia una carriera in teatro, e la comincia con una bugia: scopre che c'è un tale, a Seattle, un agente. Lo contatta, gli fa sapere di essere stato parte, in Inghilterra,di tutti gli spettacoli che ha visto solo da spettatore, in quella gloriosa epoca pre-Linkedin in cui ci si poteva anche prendere un po' di libertà creativa nel raccontare l'esperienza lavorativa. Inizia così la sua carriera, presso la Jean Russell Company. Lui spicca fin dalle prime review. 
In fondo di mentire ne è valsa la pena.
Il passaggio dal teatro al cinema è quasi immediato. Comincia con piccole parti in quei film "program filler", dallo scarso valore ma ottimi come trampolino di lancio.
È in questa fase che la leggenda colloca un episodio degno di un racconto romantico: Karloff è fermo alla fermata del bus, e piove che dio la manda. Passa un certo tizio, tale Lon Chaney Sr, che si mette una mano sul cuore e gli dà un passaggio. In auto chiacchierano di cinema (ah, il sogno di poter essere una mosca e assistere a queste chiacchierate...!) e Karloff ovviamente chiede consigli, è col più grande di tutti, cosa fai, non ne approfitti?
Per farla breve, Chaney gli dice di fare qualcosa di nuovo, qualcosa che nessun altro aveva intenzione di fare, di trovare un ruolo diverso e di farlo bene. Sembra che sia stato preso in parola.
Il suo momento di svolta arriva quando un tale, forse lo avrete sentito nominare, Howard Hawks, gli dà un ruolo che Karloff aveva interpretato a teatro: è il 1931 e il film è The Criminal Code. L'arrivo in casa Universal dopo questo ruolo è quasi immediato e qui Karloff diventa il nuovo volto del mostro. Quello che Universal aveva provato a fare con Lugosi, fallendo, riesce invece benissimo con lui: l'erede di Lon Chaney è arrivato, ed è destinato a grandi cose. 
Gli anni '30 sono una fase gloriosa, e non poteva che essere così, perché il suo esordio con Universal è rivoluzionario. La sua Creatura, il suo Mostro di Frankenstein, è ciò che rende il film indimenticabile. Il suo Mostro non è altro che un bambino, lontano dal modo di agire e pensare di un mondo di adulti. Lui si muove traballante per il mondo, incerto sulle lunghe gambe, gesticola e comunica con il corpo, con gli occhi smarriti, con le mani agitate. E anche se oggi lo sappiamo, che i film di Whale hanno un cuore immenso e una potenza emotiva senza precedenti, all'epoca ha fatto una paura della madonna, per usare un linguaggio tecnico.
Oggi la mostruosità spaventosa di Karloff è molto più evidente, secondo me, nel sempre troppo chiacchierato La Mummia. Naturalmente è un classico tanto quanto gli altri, ma è un pochino coperto dall'ombra gigante dei suoi predecessori, quando invece è un lavoro esorbitante, in cui forse Karloff ci regala uno dei suoi momenti più alti. Il suo Imhotep fa, ancora nel 2022, paura vera. Si muove solo con lo sguardo, è magnetico e spaventoso al tempo stesso. Un fascino così non lo ha mai sfoderato prima, non gli si toglie gli occhi di dosso. 
Mi scuserete, se oggi il mio metro di giudizio con gli attori è alterato: le basi le ha poste Boris Karloff, e toccare quei picchi qui è difficile.
I suoi anni '30 sono segnati da un successo dopo l'altro, e non solo in casa Universal. All'epoca le ha fatte passare quasi tutte: con MGM, per esempio, ha fatto La maschera di Fu Manchu, che era già razzista all'epoca e che oggi giustamente lanceremmo dalle finestre, ma che è ricordato tra le sue interpretazioni migliori. 
È negli anni '40 che comincia ad annoiarsi: il ruolo del villain alla lunga gli sta un po' stretto, ha voglia di darsi ad altro. Approfitta del periodo della guerra, che per il cinema è complesso, per tornare all'amato teatro, con un'occasione ghiottissima. Nasce il grosso fenomeno Arsenico e vecchi merletti, una delle commedie teatrali più famose di sempre. Non che Karloff ci si sia lanciato senza pensieri: non faceva teatro da anni ormai, e non era mai stato a Broadway. Il successo fu tanto e tale che Warner si comprò i diritti per farne un film prima ancora che finisse la stagione teatrale. Nel film Boris non c'è: resterà per tutta la carriera un grande rimpianto.
Sempre nel decennio della guerra si affaccia nel mondo del cinema dell'orrore un altro signore di cui avremo modo di parlare nei prossimi mesi: Val Lewton. Questo signore con Boris Karloff non ci voleva lavorare: voleva un horror più sottile, elegante. Karloff lo ha guardato con quel sorrisino tenero e deve avergli detto qualcosa tipo "Se ti fai un attimo da parte ti faccio vedere come lavorano quelli bravi". I due collaborano per RKO (anche di lei parliamo poi, già nel prossimo post) con tre titoli che sono stati fondamentali: Manicomio (1946), La jena (1945) e Il vampiro dell'isola (sempre nel '45). Karloff ricorda con grande affetto questa fase, seppur non economicamente soddisfacente. Per lui è stato un periodo di grande formazione, di crescita lavorativa enorme. 
I soldi veri, per Karloff, non arrivano che negli anni '50. Negli anni '30 c'era tutto il problema degli attori giovani e sfruttati (ve lo ricordate Lugosi comunista e incazzato? Karloff stava bello nero pure lui, si è sempre esposto per le condizioni dei lavoratori pur nella sua stessa condizione di precariato.), sottopagati sempre. Negli anni '40 la guerra e tutte le conseguenze del caso. Negli anni '50, però, Karloff risorge come la divinità che è sempre stato. Un'aging horror icon che finalmente si porta a casa il grano vero. 
Continua a lavorare nel cinema dell'orrore praticamente per tutta la sua carriera, ma con il tempo ha ampliato le sue prospettive: ha lavorato in tv, avuto programmi tutti suoi in radio, partecipato ad antologie e raccolte. Era il volto del mondo intero dell'orrore, al punto che sinceramente è stato un errore paragonarlo a Chaney, che seppur fenomenale ha avuto un impatto diverso. Il nome di Boris Karloff ha travalicato i generi e i media, ha preso possesso del mondo tutto dell'intrattenimento. 
È stato il migliore dei villain e la più buona delle voci dei racconti per bambini, il più sinistro dei volti col più gentile dei sorrisi. 
Nel corso dei decenni di persone che hanno riempito schermi e cuori ne vedremo parecchie, perché ci piace avere una nostro Olimpo fatto di uomini spesso molto alti con le facce bizzarre, di persone che hanno vestito il ruolo del mostro per tutta la vita e ne hanno fatto una missione, ma mi sbilancio nel dire che nessuna, per ora, è mai più stata Boris Karloff. 
Quando parla di lui, Guillermo del Toro lo chiama il suo messia.
Se non fosse già ormai fin troppo chiaro, qua dentro quello che dice del Toro è legge: Karloff è il messia. 
Sia sempre lodato.



Le fonti di questo post:

Il sito ufficiale

Boris Karloff: The Man Behind The Monster


martedì 26 aprile 2022

Preferiti di aprile

17:10
Siamo tutti d'accordo che aprile è un mese inutile e sconfortante?
Non fa ancora caldo vero, piove sempre, siamo stanchi morti come se avessero picchiato dei bulletti, le persone con lavori normali fanno i ponti e noi cassieri siamo seduti a guardarli comprarsi il pane e i salami per la partenza.
La cosa bella delle cose brutte, però, è che finiscono, e noi possiamo finalmente iniziare a respirare l'inizio della sola stagione in cui si può essere davvero felici: l'estate.

Mi sono però consolata con un sacco di cose carine, parliamone insieme.





Podcast

In questo mese non ho fatto scoperte particolarmente degne di nota, con la sola eccezione di Bear Brook, uno dei podcast true crime più famosi del mondo a cui io ovviamente sono arrivata in ritardo, come mio solito. Racconta dei Bear Brook Murders, rimasti irrisolti per decenni poiché non si era in grado di identificare i corpi delle vittime. Il podcast è un lavoro assolutamente brillante non solo nella ricostruzione, ma anche nel raccontare le tecniche utilizzate per poter arrivare ad una risoluzione del caso, innovative e che si sono rivelate fondamentali per la risoluzione di casi successivi. Allo stesso tempo, è un racconto molto forte su cosa siano le relazioni tossiche, sul modo in cui alcuni uomini bruciano la rete sociale delle donne con cui stanno e le rendono, letteralmente, invisibili.
Molto commovente.


Libri

Il mio libro del mese è stato indiscutibilmente Civitas Dei, di Vincenzo Disalvio. Ne ho parlato un po' su Instagram, e adesso che l'ho finito è giunto il momento di parlarne con un po' più di calma. Parla di Alberto, un giornalista romano che decide di indagare sulla scomparsa di un sacerdote dal piccolo borgo di Civita, in Puglia. Sul luogo lo ospita Barbara, medico del paesello. Io davvero preferirei non dire più di così sulla trama, vi basti sapere che essendo un romanzo dell'orrore non è che Alberto arriva e trova la serenità, ecco, non lo definirei il suo viaggio mangia, prega, ama. 
È un romanzo che ho amato molto. È ambientato nel profondo Sud, negli anni 50 (ma se ricordo male il decennio l'autore mi correggerà). È un testo dalla mole importante (siamo intorno alle 600 pagine) e per tutto il tempo si respira la terra di cui parla. La vicenda in sé, ovvero quanto accade a Barbara e Alberto dal momento in cui si conoscono, è davvero interessante, si arriva alla convincente conclusione con un ritmo che ho trovato perfetto e che non risente mai della sua lunghezza. Richiama tante delle storie dell'orrore che conosciamo e amiamo senza mai profumare di derivativo, ai personaggi si vuole del bene vero. 
Non sono queste, però, le cose che ho amato di più. Io ho amato tanto Civita. Il modo di Vincenzo di raccontare la piccola comunità rurale italiana, con le sue credenze popolari, con le persone che parlano l'una dell'altra e che si conoscono da generazioni, con le sue piccole abitudini familiari, con tutti i personaggi che nel corso del testo si impara a conoscere come quei vicini di casa della vita vera a cui somigliano tanto. È un ritratto così autentico e genuino della piccola vita di paese, che riconosco così bene perché è la mia, che a tratti mi ha commosso. È perfetto, quindi, che la componente dell'orrore del romanzo sia così intrinsecamente legata alle piccole realtà di vita umile, fatte di superstizioni e passaparola e legami tra le persone. Si bisticcia, a Civita, si gioca a carte dopo una giornata nei campi, ci si prende a cinghiate, ci si prende in giro, si accorre tutti ad aiutare la giovane donna che sta per partorire. E sotto sotto, nel vivo formicaio che sono le piccole comunità, sta a sobbollire l'orrore, quello che nasce dal dolore e dalla disperazione.
Io l'ho trovato ottimo. Ormai l'ho finito da settimane, ma con la testa sto ancora là, con Alberto e Barbara e tutti gli altri. 


Videogiochi

Non smetterò mai di ringraziare la mia amica Giulia per avermi convinto a giocare a Martha is Dead.
Se vi va, andate sul mio canale Youtube e guardatevi le live in cui lo abbiamo giocato, ma non fatelo per me, fatelo per il gioco.
È un gioco indie italiano, ambientato nella campagna toscana durante la Seconda Guerra Mondiale. Se le parole "Seconda Guerra Mondiale" fanno roteare gli occhi anche a voi come a me: resistete. La storia è quella di Giulia, figlia di un generale tedesco che si è rifugiato in Italia con la famiglia perché le cose, in Germania, si stanno mettendo male. Un mattino Giulia si avvicina al lago che sta vicino alla loro abitazione, e trova Martha, la sua gemella, affogata. Decide quindi di prendere la sua identità, per provare l'ebbrezza di essere la figlia preferita dalla mamma.
Nel gioco dovrete scoprire cosa è accaduto a Martha. Io non ho alcuna esperienza nel mondo del gaming, credo di sia vagamente intuito, ma questa è oltre ogni dubbio la cosa più bella a cui io abbia mai giocato. Per storia, modalità di gioco, grafica. È tutto magnifico. Dovrete scattare e sviluppare fotografie con una deliziosa riproduzione degli attrezzi dell'epoca, e ricostruire cosa è successo a voi e cosa vi sta accadendo intorno, esplorando la casa e i suoi dintorni, telefonando a conoscenze, cercando indizi per casa, scavando nei vostri ricordi. 
La riproduzione della casa dei genitori delle gemelle è qualcosa di eccellente. Se venite dalla campagna, chiudete gli occhi e ripensate alle case dei nonni, degli zii, dei vicini...è quella. Mentre vi passeggiate ne sentite quasi l'odore. La cura per i dettagli, in generale ma soprattutto nella costruzione della casa, è da perderci la testa.
Il clima e l'ambientazione di Martha is Dead mi mancano da quando l'ho finito. È un racconto di vita commovente, e ha suscitato emozioni che nella mia ignoranza mai avrei creduto di trovare in un gioco. Ed è un lavoro tutto italiano, c'è solo di che esserne orgogliosi.
Lo rigiocheremo tra qualche mese, sempre in live, per vedere se giocarlo in modo diverso darà alla nostra Giulia una sorte differente. 


Serie tv

La cosa sicuramente di cui parlare in ambito seriale è Jimmy Savile: a British horror story. Sono solo due episodi, ma se Netflix lo mette nelle serie ce lo metto anche io. È una docuserie true crime, che racconta ascesa e caduta di Jimmy Savile, uno dei volti più noti della storia della tv britannica. Savile è stato amico di tutte le principali cariche dello Stato inglesi e della famiglia reale, è stato un notissimo filantropo, collaboratore di alcuni dei volti più noti della musica UK e conduttore di straordinario successo. Era, per farla breve, la persona più amata d'Inghilterra. Ed era un pedofilo, un brutale pedofilo che oggi conta più di 300 vittime, ma nessuno lo ha saputo fino a dopo la sua morte.
La docuserie, che è un prodotto davvero di altissima qualità, mette in evidenza incoerenze e problemi di un sistema che tutela sempre i potenti, che concede a chi abbia il "dono" della popolarità di fare proprio tutto il cazzo che gli pare. In più, fa un ottimo lavoro nel mostrare quanto la verità sia sempre stata sotto gli occhi di tutti, e quanto a nessuno sia importato di vederla. Savile aveva contatti potentissimi, una quantità di denaro che non ha senso, e la somma delle due cose fa un solo risultato: la libertà.
È una serie difficilissima da vedere, fa così arrabbiare che a volte è quasi insostenibile. La spudoratezza e l'arroganza con cui Savile andava a spasso dichiarando sulla televisione nazionale che le bambine dovevano stare attente a lui vi farà così incazzare che onestamente io non lo so se è una visione da consigliare. Sicuramente tenete in considerazione tutti i trigger warning del caso, perché ci sono testimonianze dirette delle vittime e una nello specifico vi lascerà boccheggianti a terra. Cautela massima se il tema vi colpisce in modo particolare. 
Dall'altro lato, però, è una serie che ritrae in maniera esemplare i modi e le ragioni per cui una persona può violentare indisturbata dei bambini dichiarandolo quasi apertamente in prima serata con la certezza matematica che nulla gli possa accadere. Mostra che cosa è il potere, come si creano certe dinamiche che guardiamo indignati, e più semplicemente come cazzo sia potuto succedere.
Forse la miglior serie true crime che ho visto finora.


Film

Le visioni del mese complete arriveranno su Instagram il 31 come sempre, qua riassumiamo solo il meglio del meglissimo. 
The Northman è quel film che se non lo andate a vedere al cinema poi vi ritrovate a piangere e lamentarvi. Su, in sala, andare! È un capolavoro, amici miei. Mi ha fatto quello che ormai per me è l'effetto Neon Demon: talmente bello che rende opaco tutto il resto. È gigante, duro, maestoso. Un lavoro straordinario che sta andando male in sala a conferma del fatto che delle persone non c'è proprio maimaimai da fidarsi quando si parla di cinema. Il Moderatore dice che sono snob e me lo rivendico, se significa esserlo contro chi non sta andando in sala a vedere The Northman.
A casa, invece, il mio mese è stato più miserino della mia media, ma direi che il vincitore del mese è Ragazze interrotte, ammesso che si possa dire che l'ho visto. Forse ero troppo offuscata dalle lacrime, non lo so. Ho sofferto come una brutta stronza. Posso dire anche che non amo il titolo? Forse avrei voluto "Ragazze nei confronti delle quali la società tutta ha fallito". 
"Ragazze a cui si dovrebbero delle scuse".
"Ragazze che avevano ragione loro".
"Ragazze che fanno un po' il cazzo che gli pare e vorrei ben vedere".


IRL

La vita vera è stata piatta, lo ammetto. Vale se come momento più alto ci metto la cena al mio ristorante preferito? Secondo me il pane indiano al formaggio vale come momento migliore del mese sinceramente. 
E la siepe che io e il Moderatore abbiamo piantato da soli e che adesso osserviamo come i genitori fanno con i neonati. Ecco sì, anche lei meritava una menzione, la nostra nuova siepina tutta rossa!
Spero il mese prossimo di avere anche cose più entusiasmanti da condividere. Ci provo, eh, ma la vita dell'outernet mi dà ansia.







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