martedì 13 settembre 2022

Nuovi Incubi: When animals dream & Wildling

13:54

 



Finalmente è successo: Nuovi Incubi ha iniziato a dare fastidio ai poteri forti.
Google, Zoom, Discord, si sono tutti impegnati a far sì che il nostro ritorno dopo le vacanze non arrivasse. Ma nulla, nemmeno i signori dell'internet possono fermare la voglia che abbiamo di gridare al mondo quanto ci piacciono i film con le lupe.
Che in questo caso non sono proprio lupe, ma per conoscere meglio la loro natura vi tocca ascoltare, il punto era farvi capire che siamo tornate e più cariche di prima.
Il nuovo episodio è in compagnia di Ornella, che cura il blog e il profilo instagram Horror Vacui, che come sentirete dall'episodio vale la pena seguire. 
Come sempre, ricordatevi di condividerci con le vostre amiche maoiste amanti dell'orrore.
Ci trovate qui ma anche negli altri posti in cui ascoltate i podcast.

mercoledì 24 agosto 2022

Redrumia summer compilation

18:52

 Io lo so che questa pausa non l'avevo annunciata, ma nemmeno sapevo che avrei preso una pausa dal blog. Sono semplicemente stata inglobata da un'estate caotica e con molte più ore di lavoro di quante avrei desiderato farne. Quindi adesso mi ricompongo, tolgo le ragnatele da questo posto e parliamo di tutte le cose (che sono poche per i motivi di cui sopra) che ho fatto, guardato e ascoltato in questa frenetica estate.


il solo mare che ho visto quest'anno e se sentite vibrazioni nella Forza sono io che bestemmio per questo

PODCAST

Quest'estate sono stata una di quelle persone che ha fatto calare gli ascolti dei podcast, e me ne vergogno molto perché io non mollo mai l'abitudine di avere persone che parlano nelle mie orecchie h24. 
Avevo parecchie playlist da creare e ho finito per ascoltare molta più musica del mio solito.
Oltre ai nuovi episodi dei miei grandi classici, quindi, ho solo due podcast nuovo che ho ascoltato e che voglio segnalare.
Il primo è Così si fa l'Italia, un percorso che attraversa la storia del nostro Paese dal referendum del '46 fino alla storia più recente. Secondo me è fondamentale ascoltarlo proprio oggi, alle porte delle elezioni, perché quello che siamo arriva da quello che abbiamo vissuto. Poi un giorno la scuola imparerà quanto è fondamentale insegnare la storia recente, ma fino a quel momento abbiamo i podcast. Sempre siano lodati.
È un esclusiva Spotify a cura di Lorenzo Pregliasco e Lorenzo Baravalle.
Il secondo podcast è La bomba, a cura del Post. Per questo ci vuole un trigger warning grande come l'Internet intero: parla di abusi su minori nel mondo della Chiesa Cattolica. È rispettosissimo delle vittime e dà loro voce direttamente e sebbene sia la cosa giusta da fare è anche giusto dire che è difficile da ascoltare e se per qualche ragione la cosa vi turba prestate attenzione. Il punto del podcast non è solo parlare del problema, ma piuttosto capire come sia possibile che in Italia questa faccenda non sia lo scandalo che dovrebbe. Perché tutti sappiamo eppure non cambia nulla? Perché questa verità è costantemente sotto gli occhi di tutti eppure nessuno tutela i bambini? Se penso a tutti gli anni in cui ho trascorso letteralmente tutte le mie giornate in oratorio mi viene la pelle d'oca. Sono solo stata molto fortunata. Ed è ora che si faccia qualcosa perché quelle come me siano la norma e non le fortunate.

LIBRI

Presente che tutte le persone del mondo in estate leggono di più, tutte le rubriche sulle riviste e sui social di consigli di lettura, le liste e le classifiche?
Non la vostra amica qui presente, nossignore. Lei ha letto pochissimo e pure male.
Ho letto un Lansdale e un Atwood che non mi hanno colpita particolarmente nonostante gli autori, un romanzetto d'amore (One true loves) per uscire dal blocco del lettore, che ho sì divorato in poco tempo ma che altrettanto poco mi ha lasciato. Io lo so che con le storie rosa finisco sempre così, non lo so proprio perché sporadicamente torno qui quando so benissimo che per il blocco del lettore la mia soluzione è sempre la saga di Malaussène, non lo so proprio. Mi sono fatta infinocchiare perché parlava della perdita dell'amato che è una delle cose su cui proprio io mi lascio andare ai pianti peggiori (sì, è ovvio che è tutta colpa di Moulin Rouge!), e invece non mi ha nemmeno fatto piangere.
Sto però leggendo adesso L'ospite di Sarah Waters, un gotico che avevo iniziato un milione di anni fa e poi abbandonato quando il mio primo lettore ebook aveva abbandonato me. Al momento sono molto coinvolta, vi faccio sapere.

FILM

Ho smesso di guardare i film come intrattenimento più o meno quando ho aperto il blog, perché mi prendono troppo perché io possa usarli come diversivo e sebbene mi manchi un pochino la sensazione di "staccare il cervello", sono sempre così intrigata che a questa, di sensazione, non rinuncerei mai. Questo però significa che quando sono molto presa e con la testa altrove finisce che di film ne vedo ben pochi.
Quelli di quest'estate li trovate riassunti su instagram, qua mi limito a esprimere di nuovo tutto l'amore possibile per Nope, il nuovo magnifico film di Jordan Peele, che ancora oggi a distanza dalla visione occupa i miei pensieri. Non lo saprei dire se la considero la sua cosa migliore, perché questo ad ogni film che fa pare voglia schiaffeggiarci con il suo talento. Però questo modo che ha avuto di associare l'esistenza intera all'essere visti mi ha proprio toccato dentro, e continuo a pensare a quanto io stessa viva la mia vita con il pensiero fisso sullo sguardo altrui: lo rifuggo costantemente, eppure cerco di essere in ogni istante pronta alla sua analisi spietata, non ne sono mai libera anche se scappo costantemente. E poi mi accorgo di essere sempre più attenta al mio, di sguardo, sul mondo dell'intrattenimento ma anche sul mondo reale, e mi spaventa un po' non averci mai prestato così tanta attenzione prima.
Bravo, bravo, immenso, Jordan Peele.

SERIE TV

Ci ho pensato a lungo, sul fatto di scrivere o meno un post su quella che è indiscutibilmente la mia serie dell'anno, The Sandman. Ci sono milioni di cose su cui posso accettare di essere banale o di riportare l'attenzione sulle cose di cui già parlano tutti, ma l'impatto di Neil Gaiman sulla mia vita è stato così forte che di parlare di lui ho paura. 
Provo a farlo molto brevemente, per convincere almeno una persona che ancora non l'abbia fatto a vedere la serie. Il fumetto è un mastodontico capolavoro punto e basta. Non solo storia del fumetto, ma storia delle narrazioni tutte. L'epopea di Morfeo e dei suoi fratelli è lo standard che applico a tutte le altre cose di cui fruisco, il punto di riferimento per stabilire se qualcosa sia o meno nelle mie corde, perché le mie corde in Sandman cominciano e da Sandman si estendono. 
Mi interessava principalmente che la serie fosse fedele all'atmosfera, perché non sono (più, sigh, lo sono stata e non ne sono fiera) una di quelle che usa la fedeltà all'opera originale come metro di giudizio. 
Volevo che la serie fosse oscura e magica, misteriosa e grigia, bella per gli occhi e calda per il cuore.
Lo è.
E del resto se l'è adattata da solo, Neil Gaiman, e non c'erano dubbi: era roba sua e roba sua è rimasta, e la roba sua è magnifica.
Parla di cosa significhi essere, di cosa ci determina per quello che siamo, del ruolo che scegliamo di continuare a rivestire nel mondo o da cui proviamo ad allontanarci, per diventare quello che sentiamo esserci più autenticamente vicino. E lo fa parlando di personaggi imprigionati in un ruolo da cui dipendono le sorti del mondo, e così facendo ci ricorda che noi siamo nulla, che da noi non dipende nulla se non quello che decidiamo di lasciare di noi nel mondo. E che quindi tanto vale esserlo come lo vogliamo.
È poesia, Sandman, e la serie lo sa e ce lo ricorda benissimo.
Non vedo l'ora di vedere i prossimi volumi sullo schermo.
Se non arriviamo a Vite Brevi ve lo buco, sto Netflix.

The Sandman a parte, sono in preda a un furioso rewatch di Modern Family, perché sono agitatissima in questi giorni e mi serve il mio comfort, che di solito sono MF, Brooklyn99, The Office. Friends se proprio mi serve un amarcord. Quest'estate mi andavano i ricconi incapaci di parlare delle proprie emozioni e costantemente riportati sulla terra dalle persone che gli vivono intorno. 
Se Gloria non è il vostro personaggio preferito non siamo più amici.

Nelle mie maratone trash da ora di pranzo invece mi sono vista la terza stagione di The Home Edit, perché le case sono sempre una grande passione della vostra, Uncoupled, che mi ha fatto schifo e infatti ho visto che è di Darren Star e ho capito perché mi ha fatto schifo, e infine Uno di noi sta mentendo, ennesima serie thriller con adolescenti vivi e uno morto. Sono tutte uguali, da Pretty Little Liars in poi, e onestamente a me sta bene così. Questa è meno trash di quanto l'avrei voluta, ma fa una cosa buona: mostra una relazione tossica dal punto di vista della ragazza che la sta vivendo. Nelle prime scene è magnifica, una storia d'amore da videoclip. Poi qualcosa comincia a puzzare di anomalo. Poi è sempre più palese, e infine il fidanzato d'oro non è d'oro proprio per niente, e quello che sembrava romantico è solo manipolatorio. Mi piace che cose così siano sempre più nelle serie per i giovani. Poi naturalmente parliamo di un prodotto figlio di Pretty Little Liars. Sono tutte uguali, ma in fondo va bene così, è quello che cerco quando metto su una cosa di questo tipo.

TRUE CRIME

La vostra amichevole Leosini della mutua anche in questa estate non si è trattenuta dal guardare prodotti in cui si parla di omicidi. Buona parte della cena del mio addio al nubilato è stata una sequela di teorie sui casi di cronaca italiana più famosi, che vi riassumerei con: Franzoni innocente, Stasi colpevole come Caino, opinioni contrastanti sulla famiglia Misseri. 
Quest'estate ho guardato Ho ucciso mio padre, miniserie di Netflix su un ragazzo di 17 anni che ha ammazzato il padre. La serie non ha particolari guizzi creativi, come non lo ha quasi nessuno dei prodotti di questo tipo, ma è agghiacciante. Parla di come la società sia sempre colpevole in casi come questo: il protagonista è un giovane completamente abbandonato dal mondo, con una storia shockante alle spalle che non rivelo perché è interessante vederla svelarsi sullo schermo ma che è la prova provata che la violenza genera violenza, che le situazioni di disagio profondo sono sempre colpa di un mondo che si gira dall'altra parte e non osserva il prossimo.
Le situazioni di profondo disagio, sia esso economico, sociale, o entrambe, sono dimenticate da dio, e le persone che le vivono sono invisibili. E quando accade loro quello che accade a questo ragazzo, non può finire bene. Il documentario si chiude su una nota dolce, perché il giovane ha avuto l'immensa fortuna di trovare qualcuno che conosceva bene l'invisibilità degli ultimi e che lo ha aiutato. Giusto per dirci, ancora una volta, che la società nel suo complesso fa schifo, è una mostruosità aberrante, ma che se ancora come specie non ci siamo estinti è per la bontà del singolo. Motivo per cui se quel singolo non siamo noi è bene ricordarci che facciamo schifo tanto quanto il resto.
Una storia devastante di abbandono e violenza, ma che è importante raccontare.

IRL

Quest'estate c'è stata una cosa che mai avrei creduto di poter dire: la mia prima presentazione di un libro! Una deliziosa bibliotecaria della mia zona ha letto Una storia vera successa altrove e le è piaciuto, quindi ha pensato di invitarmi in biblio da lei per parlarne un po'. La mia amica Martina (la Martina Malcontenta che trovate nell'header) mi ha fatto da moderatrice, così che io potessi sentirmi un pochino più a mio agio e alla fine è stata un'esperienza buffa! Non sono solita parlare delle cose che faccio perché ho sempre molta vergogna, però avevo intorno la mia decennale rete di supporto e le cose sono andate bene. Così bene che nel frattempo ho finito il libro numero 4! Così, presa dall'entusiasmo del momento. Appena Martina ha finito di editarlo ne riparliamo.
Quest'estate, poi, ho visto Paolo Nutini dal vivo, che può sembrare solo una notizia di un concerto come un altro, ma se lo ascoltate sapete che sto tossico demmerda da 7 anni che era sparito nel nulla. Pensavamo fosse morto, c'erano account twitter dedicati agli avvistamenti perché davvero non si sapeva che fine avesse fatto.  E invece, dal nulla, boom, tour in Italia. È stato un sogno, lui è di una bravura che fa piangere. E ha fatto Iron Sky, quindi siamo a posto.
Tutto il resto della mia estate è stato concentrato in frenetici preparativi per il matrimonio. Abbiamo deciso di fare tante cose in casa, perché sono una maledetta control freak che vuole fare tutto da sola quindi sono tre mesi che spendo ogni secondo del mio tempo libero a ritagliare con la taglierina, fare grafiche su canva, plastificare cartoncini, bucare fogli, stampare cartelli, creare playlist su Spotify. Senza tutto il tempo speso su Etsy, le camminate sulle scarpe nuove per spaccarle, la pianificazione della vacanza che faremo la settimana dopo in attesa della luna di miele e le ore passate a fissare due rossetti perché non so decidere un cazzo mai.
Sono davvero first world problems, vero?

Ci risentiamo a settembre, quando ripartirà tutto: le live, il podcast, il progetto sulla storia (anche se ridimensionato). È ora di riprendere in mano l'agenda.

martedì 19 luglio 2022

Notte Horror 2022: Nightmare - Nuovo Incubo

23:00

 In un periodo in cui ho messo tutte le attività del blog in ferie forzate, da una cosa non potevo stare alla larga: la Notte Horror, evento storico della blogosfera, che resiste all'infelice sfida del tempo e ogni estate raccoglie i cineblogger per parlare della cosa più bella del mondo: il cinema dell'orrore.


Quest'anno, per pura e semplice egomania, ho deciso di prendermi Nuovo Incubo, settimo capitolo della saga che gli dà il titolo e vera eredità del suo creatore, Wes Craven.
In più, ispiratore del titolo di un certo qual podcast che sarebbe molto carino ascoltaste perché con questa stagione sta diventando una piattaforma che unisce per tutte le donne che sul web parlano di cinema dell'orrore, e farne parte è per me una gioia costante. Tutto, insomma, nasce da Craven, e tutto nasce nel 1994, quando arriva New Nightmare.




Heather Langenkamp, storica interprete della Nancy della saga cinematografica in questione, è ormai un'attrice part time, che si dedica alla televisione per potersi godere di più la vita familiare, con il marito e il figlio Dylan. La sua vita, però, non si è ancora distaccata completamente dalla saga, perché qualche ammiratore fanatico la tempesta di telefonate moleste, le sue notti sono vessate da incubi costanti e in più persino suo figlio mostra per la faccenda un interesse anomalo. Come se non bastasse, la città di Los Angeles è colpita da una serie anomala di terremoti.
In questo panorama sconsolante, New Line Cinema contatta Heather: il pubblico non è ancora sazio di Freddy. Le propone un altro film, l'ultimo, e per Heather e la sua famiglia potrebbe essere il solo modo di tornare a vivere una vita serena.

Nuovo Incubo arriva dopo un capitolo il cui sottotitolo era La fine. Freddy morto, i personaggi liberi, e ci si poteva salutare così, e sarebbe stato un salutarsi con dignità. Però nei 7 anni precedenti (il primo capitolo è dell'84) era successa una cosa che nessun'altra saga ha saputo eguagliare, forse neppure Scream: Freddy è diventato icona, ma in un modo ben diverso rispetto agli altri suoi colleghi. Se i mitologici assassini degli slasher di questa felice ondata sono sì famosi e riconoscibili, la portata della fama di Freddy Krueger è ancora insuperata. Ha travalicato i confini di genere, e il film questo lo sa bene, e ci basa tutto il suo lavoro, facendolo dire alla stessa Heather. Freddy è come Babbo Natale, ha una potenza che non si è ancora spenta. E quindi Craven, uomo di rara intelligenza e profondo conoscitore dello strumento cinema, ha deciso di parlarcene, con un film che forse, oggi, è considerabile il suo vero testamento. 
Si apre con una scena sul set, minacciosa, caotica e, ovviamente, piena di sangue, ma è solo un incubo. Heather si sveglia trafelata, perché in questo caso sembra avere un privilegio rispetto alla sua Nancy: dai sogni, lei, può andarsene. Quello che non può lasciarsi alle spalle è il suo passato, che la insegue nonostante abbia cercato di voltare pagina. Questo è particolarmente chiaro nella infelice scena dell'intervista, in cui viene sommersa di domande che le vengono sparate addosso senza che le venga dato il tempo di dare una risposta solo per condurre al vero evento della trasmissione televisiva, ovvero l'ennesima comparsa di Freddy, la sola cosa di cui il pubblico è affamato. Tutto, nella sua vita, è ancora ancorato al suo lavoro passato. È sposata con un tecnico degli effetti speciali, le persone che fanno parte della sua vita arrivano da quel momento, le telefonate non le danno tregua, le arriva la proposta di tornare sul set per un'altra volta...le viene concesso di essere solo Nancy, e mai Heather. Quello che vuole questa creatura è l'innocenza, e per liberarsene serve che lei vi rinunci, tornando ad interpretare, fingendo: l'opposto dell'innocenza.

Il problema è che la circostanza più grande in cui le era stato permesso di essere solo se stessa è con la maternità. Dylan, interpretato da un Miko Hughes che da bambino proprio voleva farci esplodere l'orologio biologico, è un bambino che ci viene presentato da subito come problematico, ma la sua situazione non fa che peggiorare e la madre, di conseguenza, viene messa in discussione. Il solo modo per Heather di salvarsi, insomma, è smettere di essere se stessa, e tornare Nancy. Solo accettandolo per un po' può salvare il bambino, frutto di un brutale interesse da parte di Freddy - o di chi per esso.

Nuovo Incubo, rimettendo in discussione tutto quello che è avvenuto prima, rimette in discussione il cinema dell'orrore tutto, persino e principalmente quello del suo regista. Fa un lavoro metacinematografico forse meno accessibile di quello di Scream, che è brillante ovviamente ma più popolare. Qua ci mette tutto quello che può, buttandoci New Line, i suoi interpreti, e persino se stesso, per discutere del ruolo del cinema dell'orrore non solo tra chi lo realizza, ma soprattutto nelle vite di chi ne fruisce. 

Dopo aver assistito all'effetto che solo due anni dopo Scream ha avuto sulla cultura popolare e ovviamente sul cinema dell'orrore, è un peccato che un film come questo, ancora più preciso e approfondito nel suo lavoro meta, sia quasi finito nel dimenticatoio, soprattutto a confronto con la portata rivoluzionaria di Ghostface. 
Ce lo coccoliamo tra di noi, come il prezioso gioiello che è, l'impagabile eredità di chi ci ha tirati tutti adulti con la paura. 

martedì 5 luglio 2022

Nuovi Incubi: Lasciami entrare e Byzantium

11:00

 



Ci abbiamo messo una stagione a costruire per bene la nostra immagine di donne dure e amanti del sangue e delle frattaglie, e con questa stagione ci siamo immediatamente sbugiardate da sole. La volta scorsa l'amore e la scoperta della sessualità, questa volta l'amore e l'eternità.

Due film sui vampiri ma anche sulle relazioni, sul crescere insieme e sulla maledizione/benedizione del mostruoso femminile. Il primo un gioiello nordico di rara delicatezza, il secondo una storia di autodeterminazione e liberazione, sono due film magnifici che non potevamo lasciare indietro. Amore, sensualità e vampiri sono sempre stati una cosa sola, ma in questi due film gli argomenti vengono declinati in modi tutti nuovi, lasciando spazio a rappresentazioni non convenzionali del volersi bene, dell'accettarsi, dell'abbracciare l'altro nel più genuino e pulito dei modi possibili.


Per l'occasione, abbiamo chiamato la nostra amica Silvia, e se non abbiamo pianto parlandovene è solo perché alla fine ridiamo sempre un sacco insieme.

Il nuovo episodio si trova qui.

mercoledì 29 giugno 2022

Elvis

19:41
 Erano secoli che non parlavo di un film in sala, ed erano secoli che sul blog non si parlava in un post intero di un film non dell'orrore. 
Però, e la maggior parte di chi passa di qui lo saprà bene, il film che a me ha insegnato che cosa fosse il cinema ma soprattutto che cosa fosse per me non è un horror. È una commedia romantica musicale, e naturalmente è Moulin Rouge!.
Ero pure piccolina, quando l'ho visto la prima volta, e se adesso di cinema ne so poco, figuriamoci allora. Però quel senso di meraviglia lì che mi aveva lasciato quel modo di raccontare le storie non mi ha mai lasciato e se oggi la Redrumia esiste è solo ed esclusivamente per Baz Luhrmann.
E se esce un film di Baz Luhrmann al cinema io, nonostante il periodo un po' troppo intenso, lo vado a vedere, perché questo è materiale santo che va guardato nel luogo religioso per il quale è stato concepito.
Elvis è, ma cosa ve lo dico a fare, un capolavoro.


non ve lo posso spiegare che lavorone ha fatto sto ragazzo



Io quando guardo quel film là con l'esclamativo nel titolo come le band dei primi anni 2000 piango dal momento in cui premo play. Non mi succede con nient'altro al mondo ma vi posso giurare su quello che ho di più caro che non c'è niente che mi coinvolga così. Questo porta con sé una serie intera di aspettative che di solito sono una vera e propria violenza nei confronti del povero cinema che deve confrontarsi con quello che vogliono le persone, anche, ma forse soprattutto, se sono aspettative in positivo. 
Se fossi uscita dalla sala, ieri sera, non me ne sarei mai e poi mai fatta una ragione. E invece Elvis è grande grande, come il ricordo che ha lasciato il suo protagonista.

Come classico del suo regista, si parte dalla fine: Elvis è morto, quasi in rovina, e l'opinione pubblica vuole che la responsabilità sia del suo storico manager, il Colonnello Parker. Si ricostruisce quindi quello che ha portato a quella infelice sorte. 
Poteva essere una tragedia, proprio come quella straordinaria storia di un amore sventurato, e invece decide di andare in una direzione diversa. 
Elvis dà il titolo al film, e in scena non manca mai. Si vede Elvis, si guarda Elvis, si parla di Elvis, si ascolta Elvis, si investe in Elvis. Il suo nome è scritto ovunque. Elvis, però, non c'è mai. Ci sono sprazzi del bambino che è stato, angoli di vita familiare che ci servono, però, solo a raccontare quello che lo circonda, l'ambiente che lo ha cresciuto e le persone che gli sono vissute intorno, ma di lui non si sa quasi nulla. Si lasciano parlare le sue decisioni, le sue canzoni, ma sempre poco. Non c'è alcuna introspezione, non c'è lo scopo di presentare l'uomo dietro l'artista. Non è il character study che avrebbe potuto essere.
Quando il film finisce c'è la grossa scritta commemorativa, con scritto "Elvis Aaron Presley" e le date. Il mio compagno, seduto di fianco a me, che Elvis lo ascolta e pure parecchio, mi dice: "Chi ha mai saputo si chiamasse così?". E tutto il film si racchiude qui: di Elvis si sa il poco che è servito per venderlo. La persona è annullata, per lasciare spazio al personaggio, all'icona, alla famigerata gallina dalle uova d'oro. Elvis non è altro che il suo stesso merchandising.
Voglio essere chiara: il film non solo non è mai critico verso l'artista ma anzi lo copre di un amore sincero. Fa proprio l'opposto, scagliandosi con violenza contro chi, nella vita reale, Elvis lo ha cercato di annullare, con il consueto stile del suo regista che vuole i suoi cattivi grossi, bavosi, grotteschi, proprio come il suo Zidler. Non per la truffa economica ma per il furto di identità, per la privazione della libertà creativa di un artista pronto a cambiare le regole del gioco, per lo spietato sfruttamento dell'immagine. Il film non parla di Elvis Presley, storico cantante che ancora oggi influenza la musica, se non marginalmente. Il film parla di tutto il resto del mondo, che Elvis lo ha prima creato e poi violato, continuamente, fino alla fine della sua carriera. Parla dell'Elvis che fa le magie sul palco mentre dalle seggiole tra il pubblico gli si rovinava la vita. Resta persino sullo sfondo, si sente solo la sua voce profonda così vendibile mentre alle sue spalle tutto andava in rovina. Mentre gli si impediva di brillare quanto avrebbe potuto. E se, in effetti, Elvis la storia l'ha fatta davvero, viene davvero da chiedersi cosa sarebbe potuto essere, cosa ne sarebbe stato dei benpensanti e dell'opinione pubblica, se gli fosse stato concesso di vivere come lo desiderava per sempre. 

Questo è un film gigante perché usa pochi tocchi per creare un contesto storico, che mai come in questa storia è fondamentale, perché ha un equilibrio perfetto nel non distrarsi mai troppo dal suo protagonista pur volendo parlare di altro, perché l'ha diretto un Grande che ha la capacità di riempirmi occhi e cuore di una meraviglia a cui non sono disposta a rinunciare una volta che il film è finito. Sono piena di amarissimi lustrini negli occhi, oggi. Vedo le stelle e il glamour e il potere e li vedo con la straordinaria bellezza con cui questo signore racconta la tragicità. Ed è tutto un glitter, in una sfavillante cadillac rosa, con abiti magnifici e le gloriose ambizioni dei giovani di talento, che insieme ricoprono il mare di merda che risiede al di sotto. Un ambiente in cui le quantità di denaro accecano, in cui il senso vero delle cose è distorto dal potere, in cui non c'è nulla di genuino se non i brevi sprazzi d'amore che il film ci concede. Così brevi che neppure la più bella canzone d'amore che sia mai stata scritta si sente per intero. 

Ora, io sul film ho una sola perplessità. Non è solo intriso di cultura afroamericana, ne è proprio un elogio. È una statua intera in suo onore. Non solo per omaggiare le origini della cultura di Elvis ma anche per sottolineare le mancanze che una nazione intera ha avuto nei confronti di chi non ha avuto il privilegio della pelle bianca. Però, in un film così, si usa la n-word. Io non lo so che cosa è giusto fare, non so nemmeno se sia un problema di traduzione o se sia così anche in originale (ma me lo riguardo anche in lingua originale, eccome se me lo riguardo), ma vorrei che la comunità nera si esprimesse a riguardo. Perché magari con questo livello di contestualizzazione storica ha senso farlo? Non ho risposte ma le vorrei, soprattutto dai diretti interessati. 

Mi sono emozionata tanto, perché amo questo modo di parlare dell'orrendo collocandolo in mezzo ad una bellezza così sfacciata e spietata che è difficile da spiegare. Mi sono sentita il cuore piccolo piccolo di fronte al racconto di quest'uomo svuotato in un mondo così pieno.
Solo Luhrmann lo poteva raccontare così. È giusto che questo omaggio arrivi da lui perché l'orrore dello show business pare scritto per essere narrato con i suoi occhi barocchi, le sue immagini piene e desolanti insieme. 
È un incanto, e io, a quella magia qui, non mi ci abituerò mai.


(Chiusura con un po' di fatti miei. La Vostra a settembre si sposa. Prima di vedere il film ingaggia una band, per il Redrumonio, perché ha sempre desiderato avere la musica dal vivo. Ingaggia una band anni '50. Sentirli quel giorno lì cantare Elvis mi piacerà ancora un pochino di più.)

lunedì 27 giugno 2022

Gli anni '40: Gaslight

10:53
 In tutto questo parlare di quanto il cinema degli anni '40 è stato un fratm ingiustamente scordato, non abbiamo ancora detto una cosa: è stato cinema femminile. 
Direte voi, ah, una volta che comandano le donne poi opportunamente lo nascondiamo sotto il tappeto? Eh.
Le donne, che già negli anni '30 avevano un bello spazio - seppur cancellato dalle cronache - dietro le quinte, nel decennio successivo diventano le protagoniste. Lo abbiamo visto anche a gennaio parlando di noir: con la guerra, le donne rimaste a casa hanno ricoperto ruoli convenzionalmente attribuiti agli uomini, e si sono prese uno spazio mai avuto in precedenza. 
Non solo, però. La vera ondata rivoluzionaria del decennio sta nel rendere l'uomo bianco il solo vero cattivo. Non ci sono più uomini travestiti da fantasmi, come abbiamo visto in passato, o elementi sovrannaturali: il mostro, qui, è il patriarcato. Per il ritorno del fantastico dovremo aspettare la Hammer, per ora si torna sul concreto e il concreto è che gli uomini possono essere mostri ben più spaventosi. 
Qual'è, quindi, per una donna degli anni '40, l'orrore vero? Un vampiro? No, con loro possiamo anche giocarci a bridge. A farci paura era il ritorno degli uomini dalla guerra, e la possibilità di tornare confinate ad un ruolo domestico da cui ci stavamo liberando. 
Ne nasce quindi il filone dei film sulle paranoid women, in cui il mostruoso nasce dal marito che lentamente ti conduce alla pazzia. E siccome col pochissimo tempo che ho quest'estate mi posso concedere solo una visione, quale scegliere, quindi, se non il vero capostipite del sottogenere?
Siamo nel 1944 e, diretto da George Cukor, esce Gaslight. 




Prima di tutto, cosa significa gaslight? Lampada a gas, perfetto. Con gli anni, però, il termine ha acquisito anche un significato parallelo, che pare derivi proprio dal film che vediamo oggi, in cui una lampada a gas manda quasi all'esaurimento la nostra protagonista. Oggi parlando di gaslighting intendiamo una manipolazione psicologica, una violenza a tutti gli effetti che crea nella persona che la subisce una alterata percezione della realtà. La più viscida delle forme dei controllo che gli uomini spesso impongono sulle loro compagne. In realtà poi il gaslighting è ovunque: sul posto di lavoro, tra gli amici, in famiglia...
Alle donne viene fatto credere di essere pazze, di non avere comprensione reale del mondo che le circonda, di non essere all'altezza di leggere correttamente la realtà. E questo film ritrae queste dinamiche magnificamente. 

La nostra protagonista è Paula, una ovviamente eccellente Ingrid Bergman. Sposa un insetto repellente, un miserabile, che per arrivare ad avere le proprietà di lei la riduce all'ombra di se stessa. Fine, fine della trama. 
Eppure, nella semplicità della struttura narrativa, c'è un universo intero, ed è meglio dirlo subito: è un universo difficile da scoprire. Guardare il lento annullamento di Paula non è semplice, non è una fruizione da consigliarsi alla leggera. Per me, a livello di appesantimento emotivo, non ha nulla da invidiare all'altro straordinario film sulla violenza domestica, The Invisible Man del 2020, perché purtroppo non ha subito la crudeltà del tempo. 
Non c'è niente di invecchiato, in Gaslight. Non c'è nulla che una donna vittima di violenza non riconosca. Non c'è niente di passato. 
Che un film del genere esista, e sia del '44 (peggio, remake di uno, altrettanto bello, del '40 e adattamento di un'opera teatrale ancora precedente), è un incubo. Che sia così attuale fa accapponare la pelle.

Però è indubbio che si tratti di un film che rasenta la perfezione, e che siamo grate esista.
Fa alcune scelte molto intelligenti. 
La prima, per esempio, è di collocare la vicenda nella classe alta della popolazione. Si è soliti, ancora un po' oggi, associare la violenza ai "piani bassi". Si cerca di segregare le cose brutte alle classi inferiori, e sebbene stiamo lavorando sodo per far cambiare questa percezione, c'è ancora molto da fare. Decenni fa questo film ha per protagonista una giovane molto ricca. Siamo dalle parti della ricchezza aristocratica, dei balli di gala, dell'opera, degli abiti straordinari e della società per bene. E, chiusi dentro le porte di casa, la violenza è la medesima. Questa è una cosa che mi piace sempre vedere, ma che porta con sé un lato negativo. Gregory, alla fine, è un ladro impazzito, che ha puntato Paula per il suo denaro. Ci si sofferma sulla sua bramosia di denaro, specialmente sul finale, più che sul semplice desiderio di annientamento della moglie. Ma il modo in cui Gregory lavora sul cervello della moglie, giorno dopo giorno come una goccia d'acqua che distrugge le rocce, è ritratto in maniera così raffinata e realistica che il difetto del finale si supera senza problemi. 
Altro elemento di grande interesse è per me la scelta di Bergman. Scegliere un volto così prepotentemente famoso mette interamente il focus sulla vittima. Di nuovo, come fa il film del 2020, in cui addirittura il persecutore è invisibile, e a restarci da guardare c'è solo Elizabeth Moss. In un mondo in cui, ancora oggi, si fa un gran parlare degli uomini che generano violenza e non delle donne che la subiscono, un film così è fondamentale, perché quando poi l'uomo se ne va in galera resta solo lei a dover lavorare su quello che le è successo.
Di nuovo, siamo pur sempre nel '44 ed è fondamentale che per liberare la donna dalla situazione serva l'intervento dell'Uomo Buono, ma è pur vero che questo film, paro paro al suo predecessore, si concede un momento finale in cui è Paula a stare da sola con il suo aguzzino. E lui, verme strisciante che non è altro, ci riprova a farle credere di essere completamente scollegata dalla realtà, però quella col coltello in mano è lei.
E ovviamente sarebbe stato un film un milione di volte più bello se con quel coltello lei gli avesse tagliato la giugulare, ma siamo nei raffinatissimi '40 e va bene così.

E del resto capisco anche che la responsabilità di sporcare la Bergman non se la siano presa, che quel miserabile non è meritevole neppure di scompigliarle i capelli. 


martedì 21 giugno 2022

Nuovi Incubi: Cherry Falls e It Follows

15:48

 



In questa stagione sulle adolescenti in cui ci stiamo divertendo come le matte vere abbiamo toccato: i pedofili, i peli, il ciclo, i lupi, la sorellanza, le streghe...

Mancava giusto il sesso, ed eccoci qua.

Nel freschissimo nuovo episodio ci raccontiamo come sia vivere la sessualità da adolescenti del ventunesimo secolo, di quanto sia liberatorio e scanzonato e di quanto invece la società ce lo appioppi addosso con la pesantezza di un saio da frate. Il primo è uno slasher per la tv con una Brittany Murphy che ricordiamo con affetto eterno, e il secondo il capolavoro che avete visto per forza. Sono molto diversi ma questo è scontato, perché trovare qualcosa che somigli ad It follows è impossibile, ma il modo in cui parlano di sesso è simile. Poi prende strade ben differenti ma per sapere in che modo, se non avete visto i film, vi tocca ascoltare l'episodio.

Ci trovate qui.



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