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sabato 29 febbraio 2020

Horrornomicon: Gli inquilini di Polanski

11:42
Parlare della trilogia dell'appartamento di Polanski mi permette di sedermi un momento qui con voi per parlare di un argomento che ancora sulla Redrumia non ci era finito, il rapporto tra artista come persona e la sua arte. Spero di essere veloce.
Prima di essere appassionata di cinema e letteratura sono una femmina, e sono una femminista. Una di quelle che detestano le stronzate alla 'Gli uomini sono tutti uguali', soprattutto nella sua variante femminile, che combatte contro le donne nemiche delle donne, che litiga per i luoghi comuni anche se sono solo pourparler. Non posso star zitta, la mia lingua si agita e la mia mimica facciale mostra quel poco che la lingua tace.
Sono l'anima della festa.
Per questo quando è (finalmente!!!!) scoppiato il caso MeToo mi sono interrogata su cosa fosse giusto fare. Del resto, come dicono i faciloni, anche Caravaggio e Picasso non erano stinchi di santo, cosa facciamo, bruciamo tutta la storia dell'arte?
No, non la bruciamo. Però ne parliamo, e capiamo insieme cosa conta davvero.
Non starò qui a criticare grandi film del passato perché il loro regista stuprava le bambine. Non taglierò tele storiche perché il pittore era un omicida. Però non farò nemmeno finta di nulla. Ogni caso va giudicato secondo la sua epoca, ma fingere che oggi non ci sia, grazie al cielo, una consapevolezza maggiore è inutile.
Se domani un film nuovo di Polanski uscisse al cinema non andrei a vederlo nemmeno sotto tortura. Non sosterrò economicamente persone colpevoli di reati sessuali, non darò i miei soldi ai molestatori.  Posso rinunciare al cinema, con dolore ma posso, alla dignità delle persone mai. Con calma, mano a mano che il mio sguardo si farà più aperto e la mia conoscenza maggiore, applicherò lo stesso metro di giudizio a un range di reati più ampio, ma oggi la mia sensibilità è più spiccata su questi. La mia decisione conterà qualcosa ai fini del loro successo? Chiaramente no, ma ho la possibilità di scegliere cosa fare e scelgo. Credo nella rieducazione e nella riabilitazione, credo (ancora) nella giustizia e non sono una che urla con le torce e i forconi. Però non dimentico, e se guardo Rosemary's Baby lo guardo con una consapevolezza ben diversa rispetto a quella che avevo qualche anno fa.
La prima volta che l'ho visto manco mi era piaciuto, tra l'altro.

Ci saranno spoiler!

Fatte le dovute premesse, e ricordato quindi che da queste parti non si dimentica, parliamo di cose un momento più leggere: i suoi film. Il che è tutto un dire, perché se al mondo esistono tre film che non sono leggeri manco per scherzo sono questi.
Nello specifico, facciamo questa volta due chiacchiere sul giretto che il regista ha fatto nel mondo dell'orrore: Repulsion, Rosemary's baby e L'inquilino del terzo piano.

Anno domini 1965: il regista si trova in Inghilterra e gira il suo primo film in inglese, Repulsion. 
Una Catherine Denevue con i capelli più belli della storia del mondo interpreta Carole. Di lavoro addetta alla manicure in un centro estetico, Carole vive da sola con la sorella e ha un grosso problema a relazionarsi con gli uomini. Li allontana, li teme, la sola loro presenza la sconvolge. Essere bellissima non è che la aiuti, gli uomini la guardano con bramosia. Quando la sorella parte per una vacanza con il fidanzato, Carole resta a casa, da sola con i suoi pensieri. Non riesco ad immaginare un solo scenario in cui questa cosa possa finire bene.

Ho fatto fatica ad approcciarmi al primo film della trilogia. Non è che non mi sia piaciuto, anzi, ma Carole è difficilissima da affrontare. Dirò l'ultima cosa sulla questione molestie di Polanski, lo giuro.
La sensibilità con cui i traumi della protagonista sono ritratti è allucinante. Il modo in cui la sua paura folle, la sua repulsione, appunto, vengono messi in scena è davvero realistico, e che arrivi proprio da lui è quasi incredibile. Che certe scene di violenza arrivino da lui è surreale, non ci faccio pace con quella cosa qua. Ho finito.
C'è una scena, ad inizio film, in cui la protagonista esce dal lavoro e viene notata e seguita da un uomo. Non sappiamo ancora se si conoscono oppure se lui la voglia conoscere. Lei viene seguita da dietro (l'ho già detto? i capelli più belli della storia del cinema, Denevue non invidio nessuna quanto te) e ho temuto per lei. Per la sua anima fragilissima e spaventatissima, che viene perseguitata da uomini che non sono in grado di accettare di non essere il centro del mondo di qualcuna. Tutti i maschi di questo film sono ripugnanti: insistenti, egocentrici, superficiali, violenti. E lei, che di questi uomini è circondata, non ha altra scelta che di guardare sospirando le suore sotto casa.
Diventa se stessa solo quando in compagnia di altre donne, come la sorella o la collega. Riesce a sorridere, parlare normalmente, divertirsi, essere sincera. Quando quindi la sorella la lascia sola, ecco che tutte le sue fragilità non solo vengono a galla, ma prendono il sopravvento, in una discesa verso la psicosi che non lascia scampo, né a lei, né agli uomini che la circondano, né a noi.
Così forte è il senso di protezione verso Carole, che pur adulta è più fragile di una bambina, che l'empatia per la sua totale perdita di sé è una delle cose più profonde del film.

Tre anni dopo succede un film immenso. Il mondo riceve in dono Rosemary's baby e le cose non sono più le stesse.
Sul blog esistono due post su di lui: una secolare recensione cringe in cui dicevo che non mi era piaciuto e un addolorato pentimento, scritto in occasione di una collaborazione con gli altri blogger. Mi dà quasi fastidio che mi piaccia così tanto, perché se gli altri due sono grandissimi film questo è uno di quelli a cui vanno rivolte le preghierine la sera prima di dormire.
Rosemary e il marito Guy prendono casa in un condominio a New York. Lei casalinga, lui attore emergente, sono giovani, innamorati e pronti a mettere su famiglia. Nella nuova casa conoscono i Castevet, una coppia di anziani vicini che si prende molto a cuore la giovane coppia.
Anche in questo caso, poteva mai finire bene? Ma certo che no.
Siamo nei primi anni del satanic panic e anziché fare un opera rumorosissima e fragorosa, come farà qualche anno più tardi un tale William Friedkin, di cui riparliamo il mese prossimo, Polanski sceglie la via dell'eleganza. Il suo film è lento, pacato, subdolo. Un viscido e invadente entrare nelle vite degli altri che culmina con uno dei più strepitosi finali della storia di ogni tempo. Con la lentezza che caratterizza tutti e tre i film, la storia di Rosemary si dispiega davanti a noi, le sue insicurezze diventano le nostre, le sue paure diventano le nostre, la sua scelta diventa la nostra.
Anche qui la protagonista è una donna bambina. Se nel caso della Denevue la puerilità riguardava solo la psiche, qui è manifestata soprattutto nell'aspetto. La Farrow era un fuscello, una piccola, esilissima donna con i capelli biondi corti da bambina, il viso minuto e con i lineamenti fini, una minidonna. In compenso, il marito (un bellissimo John Cassavetes) ha colori scuri, spalle larghe, lineamenti durissimi. E infatti è il peggior villain del cinema. Lasciate perdere il diavolo, il vero problema sono gli uomini egocentrici, disposti a vendersi la madre (o, in questo caso, la moglie) per il raggiungimento di sogni resi evidentemente impossibili dalla loro mediocrità.
Il magnifico ritratto di una borghesia ipocrita e venduta che esce da qua è uno dei migliori che si siano mai visti, i vestiti di classe e i volti curati messi al servizio del Male supremo, il ruffiano viscidume di quella grottesca e straordinaria scena finale non sono da annali della storia del cinema, sono da annali della storia dell'arte.

E infine, nel 1976, arriva L'inquilino del terzo piano. 
Forse dei tre quello di cui si parla di meno, il povero film ha solo avuto la colpa di essere stato preceduto da un capolavoro di quelli grossi, ma ha il pregio enorme di essere molto stratificato e aperto ad un milione di possibile interpretazioni.
Un giovane architetto, il signor Trelkowski, vuole un appartamento in affitto. Lo vuole a tutti i costi, e se lo accaparra dopo che la precedente inquilina, Simone Choule, muore suicida. Qualcosa, nella casa e nel vicinato, però, non lo convince, e nemmeno in questo caso la faccenda può finire bene.
Sebbene, per mio gusto personale, inferiore ai suoi due predecessori, questo film ripropone in chaive maschile i temi principali dei due film precedenti, mettendoci non solo un altro di quei bei finali che rimescolano le carte in tavola ma anche la voglia di esplorare temi nuovi e controversi soprattutto per l'epoca, come l'identità di genere.

Nella maniera più assoluta, questi non sono film adatti a chi ama la chiarezza e le risposte certe. Sono film che non hanno alcun interessi a dirvi come stanno le cose, ma che amano farle vivere allo spettatore allo stesso modo in cui le vive il protagonista: il dubbio, l'incertezza, il sottilissimo confine che separa follia e paranoia da ragione. Carole è l'unica a cadere effettivamente in una psicosi effettiva, mentre Rosemary e il signor T. vivono in una realtà incerta, circondati da persone delle quali non sanno se possono fidarsi, vedendo cadere intorno a sé le proprie ben poche certezze, perdendo le persone sincere per morti misteriose (Hutch, l'amico di Rosemary) o perché nemmeno i volti amici si rivelano esserlo (Stella per L'inquilino), cercando di costruirsi un'identità in contesti nei quali viene per un motivo o per un altro viene negata.
Carole ha subito abusi che le hanno impedito di diventare la donna che avrebbe potuto, e la sua crescita è costantemente messa alla prova da persone che non la rispettano. Rosemary ha un marito (verme maledetto detesto te tanto quanto il tuo regista) che non fa altro che sminuirla, trattarla come la sola donna trofeo che la ritiene essere. Non è stimata, non è creduta, viene violentata dal marito, e infine tutto il suo corpo viene venduto, e mentre la sua mente cerca di riprendere possesso di sé ecco che viene di nuovo trattata come la bambina capricciosa che non è. Il signor T, infine, in una delle mille interpretazioni che vengono date al film, è semplicemente una donna transgender, non in grado di emergere come dovrebbe e meriterebbe. La sua vecchia identità si sta annullando, senza però essere in grado di lasciar spazio a quella nuova. Quello che potrebbe essere un film solo sulla paranoia diventa anche un film sulla conoscenza di sé, sulla manifestazione di quello che si è davvero, sulla capacità di accettarlo.
Oppure no, invece T. è "solo" una persona disturbata con una percezione falsata della realtà. Non lo sapremo mai, e il bello è esattamente quello.

In mezzo a immagini dalla bellezza straordinaria, sono soprattutto i suoi che in questi film smuovono le viscere. Sono le campane e il telefono di Carole, la ninna nanna di Rosemary (che incubi, amici miei, che notti insonni), l'urlo straziante di Simone in ospedale. Sono dettagli che elevano film molto belli a molto grandi, che contribuiscono a creare quella atmosfera distorta e confusa che ottiene così bene l'effetto di confondere anche noi.
Con tutto il risentimento che posso avere, con tutta l'ostilità che devo sempre sottolineare di avere verso chi li ha creati, amo comunque moltissimo questi film, sono lavori straordinari di qualcuno che è evidente sia in grado di creare atmosfera come pochi altri.
Sono film estremamente pessimisti, nei quali il male vince sempre e per noi non c'è scampo. Il male è ovunque, e come ci mostra molto bene Rosemary, sta a noi scegliere cosa farne.




Edit: giusto ieri sera, il 28 febbraio 2020, c'è stata la premiazione dei premi César. Polanski ha vinto come miglior regista. Ecco, sulla questione io mi pongo in mezzo a quelle che hanno lasciato la sala seguendo Adele Haenel. Adesso anche basta. Lo dirò con la femminile grazia che mi contraddistingue: ci siamo anche un po' rotte i coglioni.



venerdì 20 maggio 2016

Film rivalutati

15:02
Attenzione alla citazione altissima con cui apro il post:
'Quando sbaglio, io lo riconosco.' (papà di Baby, Dirty Dancing)

Io e qualcuno dei soliti noti blogger che parlano di firns sentivamo la mancanza dei post di gruppo, quindi eccoci qua a fare il più vergognoso degli outing. Almeno, per me di questo si tratta, magari gli altri, giustamente più sani, la vivono in modo più leggero.

È che guardare certi film quando si è giovani, innocenti e malleabili come me è difficile. Deve piacerti per forza, è un capolavoro, è un pezzo di storia. . . a me piglia l'ansia da prestazione e alla fine non me li godo. Men che meno ne scrivo, oggi. Ma una volta mi piaceva far vedere che la mia vastiiissima cultura si era allargata ancora un po'.
È successa una cosa del genere con la mia prima visione di Rosemary's Baby.
Ci avevo scritto un post che non vi linko per pudore ma che è facilmente riassumibile con un 'Tutto qui?'


Ma sbagliare non mi piace, e ancora meno mi piace non capire, quindi sono tornata nell'appartamento di Guy e Rosemary.
Forse il sapere la fine della faccenda ti aiuta a guardarla in modo diverso, forse è solo che quando guardi un film horror non ti aspetti avvenimenti gioiosi, sta di fatto che quei titoli rosa, quella panoramica sulla pacifica ed ignara cittadina, alla seconda visione mi hanno iniziato ad infastidire. E da lì la sensazione è quella di un disagio crescente e viscido, come una zanzara che ti ronza intorno ma che non riesci proprio a colpire. E lei continua a volare e sfuggirti, volare e sfuggirti, fino a lasciarti sfinito e vittima di pungiglioni che daranno prurito eterno.
Che poetessa, che similitudini auliche.
Quando poi pensi di averne abbastanza, quando senti che le due ore precedenti piene di strisciante tensione ti abbiano ormai privato di energie, ecco che arriva l'agghiacciante scena finale, che se già alla prima visione mi aveva turbato parecchio stavolta mi ha tolto il fiato.
E anche fatto dormire un po' meno bene del solito.
Il che è tutto un dire.

Mi piacerebbe dire che quella del film di Polanski è stata la sola volta che il mio primo giudizio su un film è stato fuorviante, ma non è così.
C'è stata anche la volta di Cimitero Vivente.



Quella volta lì è stata interessante: una Mari ventenne a malapena che liquida la questione con un 'Ma non fa paura!'
Al primo che mi giudica maratona di film di Snyder a ripetizione (Giacomo, trattieniti).
Avete avuto vent'anni anche voi, avrei potuto seppellire la mia già scarsa ragione sotto chili di cannette fatte col rosmarino, e invece no, giudizi approssimativi su film horror storici perché sì.
Oggi Per Sematary mi fa una paura maledetta, ma non di quella che io mi aspettavo, con i saltoni sulla sedia e gli occhi coperti. (Nonostante fatichi a guardare il volto di Zelda, perché sono una vera tosta, io.) Racconta di un dramma terrificante, di un dolore atroce, della disperazione più nera e delle azioni che comporta. E delle conseguenze di queste azioni, che non possono essere altro che dolorose, di nuovo.
Se alla me insoddisfatta e insoddisfacente il piccolo zombie Gage aveva poco convinto per il suo aspetto così tranquillo, oggi è proprio quello a farmi sobbalzare di più, il suo faccino pulito e bellissimo mi affliggono in modo spropositato.
Una volta mi lasciava indifferente, oggi singhiozzo agghiacciata.

Concludo questa imbarazzante panoramica (fortunatamente breve), raccontandovi anche di quella volta che andavo dicendo che la brutta faccia di tolla di Bruce Campbell non mi piaceva.
Poi ho visto Army of Darkness.


Leggete anche i rivalutati di:
White Russian
Director's cult
Non c'è paragone

domenica 5 gennaio 2014

Maripensiero: Le mamme al cinema

16:23
Io non sono mamma.
E nemmeno papà, ma tant'è.
Premessa dovutissima, perchè tutto quello che sto per scrivere viene da una persona che quell'amore lì, che voi genitori decantate, ancora non l'ha provato e nemmeno ha intenzione di provarlo, per ora.

Però ieri ho guardato Wolf Children e, aldilà della completa e totale meraviglia che mi ha lasciato dentro, la cosa principale che ho notato è il ruolo di una donna che a causa della vita che non sempre è simpatica, si è tirata su le maniche, anche letteralmente e ha tirato su due figli che possiamo definire 'difficili'.

Sono rimasta così affascinata da avere l'ispirazione per questo post, perché le mamme sono la figura più controversa, complessa e articolata da rendere senza scadere nel qualunquismo e nei luoghi comuni.

Le mammerda

Dici mammerda e pensi a Margareth White. No, non quella che vedrete al cinema tra qualche giorno, che lì di merda c'è solo l'interpretazione. Stiamo parlando della mamma di Carrie, del film di Brian DePalma, ovviamente. Mamma che con il suo fanatismo religioso inquietante, con la sua scarsa sanità mentale, con le sue manie, tarpa le ali ad una figlia già fragile. Il suo nascondersi dietro le porte, il suo rinchiudere la figlia nello sgabuzzino, hanno tolto a noi qualche ora di sonno e a Carrie qualche ora di VITA. Una Piper White inavvicinabile, per la peggiore tra le madri mai rese sullo schermo. E se muore male, gli sta solo bene.



Altro membro onorario della categoria è la mamma di Frank Zito, il Maniac del film omonimo. Per colpa di sta disgraziata e delle violenze che perpetuava sul suo bellissimo bambino quest ultimo è cresciuto non perfettamente sano e assassino. Alla faccia del trauma infantile. Sulla falsa riga della signora Zito mettiamo la mamma di Kyle di American Horror Story Coven. Pure lei non finisce bene, quindi, mammerde, è ora di finirla. Tanto morite tutte.







Le mamme di quasi tutti i film horror
Questo esemplare di mammifero si contraddistingue per i seguenti atteggiamenti: urla disperate, pianti a dirotto, esclamazioni significative quali 'La mia bambiiinaaaaa!' e similia.
Sono generalmente innocue, una volta ritrovato il loro bambino (e si ritrova quasi sempre) tutto si sistema e loro si zittiscono.
Fino a quando il bambino in questione ricomincerà a parlare con i morti, e allora giù di urla di nuovo.





Le mamme che preferiresti non avere
Quelle morte, per esempio.


O le assassine.





Le mamme che preferiresti avere
Ricollegandomi a quanto detto su, la mamma che tutti meriterebbero è lei:




Hana, studentessa che lascia tutto per crescere due piccoli uomini lupo,che sono sì la cosa più ADORABILE mai portata sullo schermo, ma che sono anche pieni di problemi a causa della loro diversità. Lei molla tutto per loro, li accetta completamente e li ama per quelli che sono, sinceramente. Sa qual'è la cosa da fare e la decisione da prendere, anche se è molto difficile e ti si spezza il cuore. E sorride, sempre.

O lei:





La splendida Mia Farrow (che col suo essere splendida magari ti dà pure qualche gene buono e vieni fuori figa pure tu) in Rosemary's Baby. Madre esemplare, che si lascia guidare dal suo istinto, che combatte incredibilmente per tutelare il figlio ma che, soprattutto, una volta fatto il danno sceglie di restare con lui. Pazzesca.

O ancora lei:




il cui scopo nella vita è uccidere lo stronzo che ha fatto fuori la figlia. Ed è di un'epicità tale che sfido chiunque a non volere una mamma così.  




Le mamme umane
Qui ci sono due sottogruppi.
Appartengono alla prima categoria le mamme che si trovano a vivere con problematiche leggere e quotidiane. E qui ne approfitto per parlare di una cosa per me inusuale.
Ma voi lo guardavate 'Una mamma imperfetta' su Rai2?
Per una volta la tv italiana offre una sit-com brillante, ben scritta ma soprattutto ben interpretata, e divertente, sulla quotidianità di una mamma alle prese con la vita quotidiana ma soprattutto alle prese con la convivenza con se stessa, dotata di insicurezze, paranoie, sensi di colpa, e tanta ironia.






L'ultima categoria è quella delle mamme umane che hanno problemi ENORMI.
Tilda Swinton, per esempio, in quel film grandioso che è We need to talk about Kevin.




Un figlio incredibilmente problematico, una tragedia, e una donna che da sola si trova a dover gestire tutto quanto. Chi lo sa cosa ti passa per il cuore in quei momenti? Cosa ti dà la forza di alzarti dal letto la mattina? La Swinton gioca con un range di sentimenti vastissimo, e ce ne fosse uno che fa male. All'inquadratura finale l'unica cosa che si può pensare è: 'Cosa avrebbe potuto fare? E' suo figlio.'


E sta qui il centro di tutto, l'amore di una madre per i figli, che il Cinema ha spesso celebrato, raccontato, documentato, spesso in modo assolutamente incredibile.
Certo, come le raccontava Hitchcock, le mamme...




 





martedì 9 ottobre 2012

Rosemary's Baby (Nastro rosso a New York), Roman Polanski

08:43

Titolo originale: Rosemary's baby

Anno: 1968

Durata: 136 min.

Caro Roman, m'hai messa in difficoltà.

Partiamo dalla trama, celeberrima. Rosemary (Mia Farrow) e suo marito Guy Woodhouse (John Cassavetes) comprano casa a New York. Questa abitazione ha ospitato inquilini tristemente noti per aver commesso crimini indicibili, ma che importa, compriamola. I vicini di casa sono il signor e la signora Castevet, una coppia di nonnini che più adorabili non si può. Questi si affezionano da subito e in modo piuttosto insistente ai Woodhouse. (Ai giorni nostri si viene arrestati per questo e si chiama stalking.)
 
 

Qualche tempo dopo il trasferimento Rosemary rimane incinta. Tutti vivono con gioia questo momento, anche se la gravidanza presenterà qualche problema. La futura madre sospetta che questi malesseri siano causati dai Castevet e dal medico che sempre loro le hanno consigliato, il dottor Sapirsten.
 
 
 

Ecco, la mia opinione è che non ho un'opinione. 'Rcamiseria.

Ho visto questo film qualche giorno fa, e ci ho pensato parecchio. Di sicuro non mi ha lasciata indifferente, ecco, ma da qui a dire che mi è piaciuto..

Quindi mi è piaciuto, ma non mi è piaciuto. Che mal di testa.

Splendida Mia Farrow. E ancora più splendida per essere riuscita a sciogliersi il cappio al collo di un ruolo così celebre e invadente. Si vede proprio la sofferenza scritta sul viso. Bravissima.

Oscar '69 per l'attrice non protagonista a Ruth Gordon per il ruolo di Minnie Castevet. E Golden Globe nello stesso anno per lo stesso ruolo. Devo dirlo anche io che è stata brava? Mai nessuno ha portato così bene le bandane alla Nina Zilli.
 
 
 
 

Per tutte le due ore e rotti sai esattamente cosa sta succedendo, ma vedi che le cose non vanno come dovrebbero, e ti girano le scatole. Suspence hitchcockiana fino al midollo, tu sai cosa succede, ma la protagonista no, e vorresti urlarglielo contro lo schermo. Povero il mio pc.

Il tema è interessante. Cosa si può sacrificare pur di ottenere la notorietà e il successo? Ma per approfondire bisognerebbe aprire un dibattito etico-morale che non è il mio mestiere. Per quanto riguarda il cinema però, posso dire che i film horror che hanno un tema così serio di fondo a me garbano assai. Però questo non mi ha conquistata completamente, e mi sento un po' un bastian contrario, dato che tutti amano follemente Rosemary's baby. Io no.

È un bel film, storicissimo, inquietante a tratti, con bravi attori e bella colonna sonora. Sicuramente ha fatto la storia, e sicuramente è stato fonte di ispirazione per anni, e lo è ancora. Però non mi ha convinta completamente.

Poi arriviamo ad un finale che per me vale completamente il film. Sopporti volentieri 2 ore e 11 di film per un finale del genere. Senza fare anticipazioni, è psicologicamente disturbante. Dà proprio fastidio alla vista, fa arrabbiare. Ed è indiscutibilmente GIUSTO. Non poteva andare diversamente. Quindi perchè abbiano deciso di farne dei sequel per me è un mistero. È bello così, che finisce ma non finisce, che non ti dice come andranno le cose ma lo sai comunque.

Ah, nella scena finale del film c'è un cinese che fa le foto. Il film è estremamente realista.

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