Lights Out
Mari.
15:40
Io e la mia paura del buio vi diamo il benvenuto in questo nuovo post, in cui di buio si parla.
Prediligo che la mia fase di dormiveglia la sera sia accompagnata dalla luce della mia abat-jour, e tutta l'ostentata sicurezza che fingo alla luce del sole (ma non me la cavo male nemmeno sotto quelle artificiali) si sbriciola inesorabilmente quando l'oscurità prende il sopravvento.
Rebecca è una giovane donna, comunissima. La sua quotidianità viene interrotta da una telefonata che arriva dalla scuola del fratellino: il piccolo si addormenta continuamente in classe, c'è forse qualche problema a casa?
Oh, eccome.
Tra le altre cose il problema è che il film mi ha fatto pena e compassione e che sbatto istericamente i piedi per terra dalla rabbia.
Ve l'ho già detto che ho paura del buio? Benissimo. Con questa premessa il film, che parla di una cosa che attacca solo al buio, poteva farmi una paura maledetta, cose da farmi cucire sottopelle la abat-jour per non farmi mai restare senza.
Ma il mondo in cui escono tanti film belli al cinema non è forse un mondo utopico? Il karma non ci aveva già benedetti con It follows, The Babadook E ANCHE The VVitch al cinema nel giro di poche settimane? Con quale miserabile presunzione, noi, già premiati da una simile inconsueta generosità ci siamo permessi di chiedere che l'ennesimo filmetto estivo fosse non dico splendido ma almeno decente?
Eppure non mi sembrava fossimo viziati, tutt'altro.
Il problema di Lights Out è questo: non fa paura.
E quel lieve vociferare di protesta che sento crescere in questo momento lo placo subito dicendovi che pare quasi non ci provi neanche. Come se il solo fatto di parlare (in qualche modo indiretto) del buio rendesse l'accensione del fattore spavento così automatica da non dovercisi impegnare neanche un po'. Una noia sconvolgente. Ogni tanto avrei chiesto un jumpscare in più, pur non essendone fan, sperando in un risveglio dal torpore.
Quella Diana, lì, aveva buone chances di spaventarmi. Il suo aspetto mi ha ricordato quella Madre di Muschietti che se ci ripenso mi sale la voglia di rifugiarmi in una chiesa dalla paura che mi faceva, solo che questa funziona molto meno, forse perché il suo ruolo è molto meno simbolico e pieno di fascino. Se quella là era una creatura materna, sconvolgente nel suo morboso attaccamento alle bambine e terrificante per movenze e aspetto, questa qua boh, avrebbe potuto essere qualsiasi cosa ma io avrei continuato a guardarla con un insofferente broncio, perché non stavo provando proprio niente. Peraltro, la scrittura del film sfiora insistentemente il ridicolo: Diana non può stare alla luce per problema dermatologico, perfetto, ci sta. Ma il collegamento tra pelle malata e poteri paranormali sta forse in qualche manuale di patologia poco noto ai più? Non voglio lo spiegone, voglio un minimo di senso, di coerenza, di completezza.
Quello che è più frustrante è che il cortometraggio mi aveva fatto una paura maledetta, con quell'interruttore premuto in continuazione. E quel finale.....
Prediligo che la mia fase di dormiveglia la sera sia accompagnata dalla luce della mia abat-jour, e tutta l'ostentata sicurezza che fingo alla luce del sole (ma non me la cavo male nemmeno sotto quelle artificiali) si sbriciola inesorabilmente quando l'oscurità prende il sopravvento.
Rebecca è una giovane donna, comunissima. La sua quotidianità viene interrotta da una telefonata che arriva dalla scuola del fratellino: il piccolo si addormenta continuamente in classe, c'è forse qualche problema a casa?
Oh, eccome.
Tra le altre cose il problema è che il film mi ha fatto pena e compassione e che sbatto istericamente i piedi per terra dalla rabbia.
Ve l'ho già detto che ho paura del buio? Benissimo. Con questa premessa il film, che parla di una cosa che attacca solo al buio, poteva farmi una paura maledetta, cose da farmi cucire sottopelle la abat-jour per non farmi mai restare senza.
Ma il mondo in cui escono tanti film belli al cinema non è forse un mondo utopico? Il karma non ci aveva già benedetti con It follows, The Babadook E ANCHE The VVitch al cinema nel giro di poche settimane? Con quale miserabile presunzione, noi, già premiati da una simile inconsueta generosità ci siamo permessi di chiedere che l'ennesimo filmetto estivo fosse non dico splendido ma almeno decente?
Eppure non mi sembrava fossimo viziati, tutt'altro.
Il problema di Lights Out è questo: non fa paura.
E quel lieve vociferare di protesta che sento crescere in questo momento lo placo subito dicendovi che pare quasi non ci provi neanche. Come se il solo fatto di parlare (in qualche modo indiretto) del buio rendesse l'accensione del fattore spavento così automatica da non dovercisi impegnare neanche un po'. Una noia sconvolgente. Ogni tanto avrei chiesto un jumpscare in più, pur non essendone fan, sperando in un risveglio dal torpore.
Quella Diana, lì, aveva buone chances di spaventarmi. Il suo aspetto mi ha ricordato quella Madre di Muschietti che se ci ripenso mi sale la voglia di rifugiarmi in una chiesa dalla paura che mi faceva, solo che questa funziona molto meno, forse perché il suo ruolo è molto meno simbolico e pieno di fascino. Se quella là era una creatura materna, sconvolgente nel suo morboso attaccamento alle bambine e terrificante per movenze e aspetto, questa qua boh, avrebbe potuto essere qualsiasi cosa ma io avrei continuato a guardarla con un insofferente broncio, perché non stavo provando proprio niente. Peraltro, la scrittura del film sfiora insistentemente il ridicolo: Diana non può stare alla luce per problema dermatologico, perfetto, ci sta. Ma il collegamento tra pelle malata e poteri paranormali sta forse in qualche manuale di patologia poco noto ai più? Non voglio lo spiegone, voglio un minimo di senso, di coerenza, di completezza.
Quello che è più frustrante è che il cortometraggio mi aveva fatto una paura maledetta, con quell'interruttore premuto in continuazione. E quel finale.....