sabato 5 novembre 2016

Non solo cinema: Stoner

13:31
John Williams è il più famoso tra gli scrittori sconosciuti, e Stoner è il più bel romanzo che non avete mai letto.
No, non è la mia presunzione a parlare e a dedurre che voi non abbiate mai letto Stoner, quella sopra è la frase che dicono tuttituttitutti quando parlano di questo romanzo, e mi sembrava un buon modo per iniziare il primo post su Williams. Spoiler: non sarà l'unico, perché è sbocciato in me il seme dell'amore.

La prima notabile cosa del signor autore è che tutti i suoi romanzi hanno copertine bellissime, di quelle che ti fanno scegliere un libro in libreria senza saperne niente. A voi una rapida carrellata:





Amici di Fazi: Bravi.

Torniamo al romanzo che al momento occupa i miei pensieri in modo costante.
Stoner è il cognome di un uomo, che di nome fa William. È un uomo come molti. Lascia la poverissima famiglia di contadini per studiare Agraria all'università, sperando di portare un valore aggiunto al lavoro di famiglia, ma gli viene fatto notare da un illuminato professore di avere in realtà la passione per l'insegnamento. E con la trama la chiudiamo qua, anche se sono convinta che raccontarvela non toglierà nemmeno un briciolo di valore all'incantevole libro che spero abbiate già tra le mani.

Cosa distingue William Stoner dagli altri uomini? Niente. È l'emblema della mediocrità, della vita che ci si aspetta da un uomo comune. Fa il percorso che i genitori vogliono da noi figli: studia, e intanto lavora ché è un uomo responsabile e si mantiene, conosce una ragazza, la sposa, mantiene il lavoro per tutta la vita.
Ho iniziato a piangere a pagina due e vorrei, VORREI, che questa fosse una delle solite esagerazioni di cui il mio linguaggio è pieno. Vi sia chiaro, però, che a Williams non interessa contare le vostre lacrime, e che di certo il suo interesse principale non è commuovere. E se lo è, (in quel caso gli augurerei le peggiori notti sul water), lo nasconde molto bene.
Cosa commuove così tanto nella banale storia di Stoner?
Credo che nelle sue poche pagine, è un romanzo che si legge in tre/quattro giorni. anche meno se siete presi quanto lo ero io, dia spazio ad ogni lettore per trovare quel quid che colpisce forte e fa un po' male. Il mio, ormai lo sapete, sono le storie familiari. I genitori di William sono persone poverissime, che vivono del loro lavoro nei campi e che non hanno alcuna pretesa. Le scene, che sono nelle prime pagine e quindi non sono un'anticipazione, in cui i genitori spendono i pochissimi risparmi della famiglia per comprare vestiti nuovi per partecipare alla laurea del figlio, o quella in cui, completamente fuori luogo, arrivano all'università, mi hanno stretto lo stomaco. E vi ci vedo a chiedermi se questa commozione fosse data dalla dolceamara descrizione dei sacrifici che i parenti fanno per gli adoratissimi figlioli. NO, non lo è. Nessuna descrizione del profondo sentimento di amore che ti spinge a privarti del pane pur di vedere l'erede avere tutto quello di cui abbisogna. Ad onor del vero, nessuna descrizione di alcun sentimento. Quasi mai. Va da sè che le poche emozioni esposte mi hanno devastata. Per la maggior parte del tempo non abbiamo accesso nè alla sua mente nè al suo cuore, poi succede che ogni tanto questa nebbia si spanna e ci è data un po' di visibilità, che colpisce forte.

Insomma, il giovane Stoner si laurea. Non in quello che la famiglia desidera, ma si laurea. Inizia il futuro radioso del giovane professore appassionato? Eh, insomma. La vita personale va male, quella professionale a rilento. E lui, William, sta lì, a guardare la sua vita scorrere senza mai prendere il volo, e lui la lascia fare.
Quanto mi sono arrabbiata, con quel Willy che avrei tanto voluto vedere felice.
Non credo certo nelle idilliache vite delle pubblicità, ma una gioia UNA gliel'avrei voluta donare. Un lavoro gratificante, un amore vero, una fonte di soddisfazione. Eppure lui, porca miseria, non fa niente per andarsele a prendere, eh, le gioie. Si accomoda in questa vita che gli è stata donata, così come gli è stata donata, e l'ha vissuta senza provare a migliorare alcunché. Ogni cosa successa gli è piovuta dal cielo, gli è stata suggerita, incoraggiata, consigliata. Ma lui, di suo, niente. Accomodato in un'esistenza mediocre.
Perché?
Perché ci fa paura concederci la possibilità di provare ad essere felici? Perché la comodità ci blocca così tanto, perché uscire dalla comfort zone fa così paura? Perché la mediocrità è così confortevole?
Mi tocca dirvi che Williams non conclude il romanzo con una gran morale che dà tutte le risposte.
E forse meglio così.

Sapevo che sarebbe stato bello, voci che considero autorevoli me ne avevano parlato in modo estasiato. Se possibile, lo è stato ancora più di quanto mi sarei aspettata.

giovedì 27 ottobre 2016

I film che farei vedere per Halloween ai miei amici se solo me lo permettessero

18:09
Io esco con un gruppo ristretto di persone. Quando si è così pochi si smette di essere solo amici, queste persone sono la mia famiglia. I brutti ceffi in questione rispondono ai nomi di: Riccardo, il sempre citato amorone, Elena, la mia partner in crime e decennale migliore amica, Alessandro, il complice di una vita (vorrei davvero potervelo mostrare mentre veste i panni di Virginia Raffaele), Tobia, l'amico scemo, Alessio, l'amico silenzioso, Irene, la di lui sorella e nostra amica. Nessuno, a parte chi scrive, che guardi gli stessi film che piacciono a me, quindi scelgo di portarli con me in una carrellata di cose che si avvicinano all'orrore come lo intendo io a me, ma senza entrare con le mani nelle budella delle persone. Va beh che Alessandro è un farmacista, ma se sta male anche lui siamo fregati tutti.

Inizia la serata, magari abbiamo appena mangiato una pizza, ci immagino come al solito a casa di Alessandro che dispone di a) grande televisore b) camino c) divani di una comodità illegale. Voglio partire con qualcosa di noto, magari per canticchiare davanti alla tv. Ci vuole lui: The Nightmare Before Christmas. 


Sarà anche ufficialmente un film di Natale, ma nel mio regno fatato, la Redrumia, lo proiettiamo dal giorno di Halloween fino a Natale con cadenza settimanale. E, a dispetto del mio snobismo verso i doppiaggi, questo si guarda in italiano perché Renatone Zero lo si ama con passione ardente. Alessandro, mio fedelissimo compagno di indimenticabili duetti, sarà di fianco a me a sostenermi nel canto. Mani sul cuore a cantare con voce struggente di bambini nella neve che giocano così, nessuno è solo e poi non c'è mai tristezza qui.


Alla fine, ancora col fiatone per la cantata a squarciagola, ci vogliono ancora un po' di risate: Shaun of the dead. 


Io lo so che i cinefili seri quando tirano fuori le horror comedy partono con L'armata delle tenebre, e c'hanno ragione c'hanno, ma sapete che non è la mia preferita, perché da quando ho conosciuto Shaun, niente è più stato lo stesso. Ci sono anche i Queen, e io e le personcine in mia compagnia abbiamo una storica passione per i Queen. Ci sono prove audio a testimonianza di ciò, e il solo pensiero che queste prove diventino di pubblico dominio mi tiene sveglia la notte. Oltretutto, le risate che mi ha fatto fare sono state le più sincere. Genuinamente divertentissimo.
A Erre piacerebbe di sicuro, ma ho il dubbio l'abbia visto, e credo piacerebbe anche a Tobia, ma confido si sia addormentato a metà del primo film.

Non si può ridere per sempre, però. Cerchiamo di andare dalle parti di qualcosina di serio ma di non impegnativo: Crimson Peak.


Abbiamo avuto mostri, scheletri e zombie, ora tocca ai miei preferiti, i fantasmi.
Appurato che in un modo o in un altro Del Toro in questa carrellata ci sarebbe entrato a costo di infilarcelo dentro a spintoni, voglio farlo con i fantasmi, con Tom Hiddleston acciocché io e la Elena, sue discrete ammiratrici, abbiamo anche qualcosa d'altro da ammirare oltre all'indiscutibile bellezza del film. Scenari e colori incantevoli, splendide case vittoriane abbandonate, amori dolori, Crimson Peak ha tutto quello che serve per piacermi, punto e basta. E merita di essere visto anche da loro. Avrei messo il Fauno, eh, ma mi hanno promesso che lo vedremo insieme un giorno di questi. (The North Remembers).

Siccome lasciare fuori Sam mi spezzava il cuore, inseriamoci un Raimi: Drag me to hell.


Divertente e disgustoso, pagherei ORO per fotografare le loro facce in un paio di scene e soprattutto nel finale. La faccia che Erre ha fatto quando l'ha visto è stata impagabile. Piccole gioie del cinema.
Per l'esperimento 'Voglio vedere come reagiscono al finale' avrei scelto Musaranas, ma non voglio che smettano di rivolgermi la parola, un po' ci tengo. Lo so che ho detto che non voglio che entrino nelle budella delle persone, e infatti scelgo livelli di tensione minimi, ma è pur sempre Halloween.

Io mal tollero quasi tutti i cartoni animati, Alessandro li ama, perché noi opposti sempre. Per venirci incontro il modo è solo uno: Paranorman.



Eh, questo è amore. Voglio a Norman un bene dell'anima e voglio che gliene voglia (letto tre volte al contrario allo specchio e la voglia esce a voi, in faccia) tutto il mondo. Simpatico da morire.

E ora li immagino tutti sereni, perché ho scelto solo cose che non fanno paura, quasi tutte divertenti, leggerine, una cosa lieve. Però una cosinaina per lasciarli dormire un po' peggio non ce la vuoi mettere, in conclusione di serata? Non vuoi spaventarli neanche un po', sti cristiani? Neanche una cosina con i mostri di quelle che saltelli un bel po' sul divano?
E allora The Descent sia.



E sogni d'oro a tutti. 
<3

martedì 25 ottobre 2016

Incontri ravvicinati del terzo tipo

14:53
Me ne frega qualcosa di alieni? No.
Me ne frega qualcosa di Spielberg? No.
Quindi che film guardo?
Incontri ravvicinati del terzo tipo.
Chiaro.

Roy è un elettricista, Jillian la madre di un bambino tra i più belli che io abbia mai visto in un film. Insieme ad altre persone assistono a strani fenomeni in cielo, e capiscono che si tratta di alieni. La loro curiosità non viene affatto soddisfatta dalle autorità,e toccherà a loro andare a fondo.


Io non lo so cosa mi sia venuto in mente, perché se oggi penso a me che guardo un film di millecinquecento ore (va beh, sono due abbondanti, ci siamo capiti) che parla di astronavi con le lucine mi viene da ridere. Non è la mia cup of tea, e capisco che in effetti verrebbe da chiedere quale sia, la mia cup of tea, dato che non mi piace quasi niente.
Come mi era già successo guardando Pacific Rim, però, ho provato ad uscire dalla mia adorata comfort zone, e a buttarmi su qualcosa di fuori dai miei canoni. Come con Pacific Rim, ne è valsa la pena.

La curiosità è una di quelle caratteristiche che mi fa piacere le persone. Figuratevi quindi come mi è piaciuto Ray. Avrebbe potuto archiviare tutti i folli eventi che gli sono capitati sotto l'etichetta 'eh va beh avevo sonno' oppure 'forse dovevo bere un pochino di meno'. E invece no. Lui si è fissato che gli alieni stanno arrivando e ne vuole sapere sempre di più, lui e quella sua esilarante faccia mezza scottata.
Come spesso mi capita, non avevo letto niente al riguardo, volutamente. So di essere molto influenzabile e non volevo essere una di quelle per cui Incontri ravvicinati è bello perché sì. Non sapevo se aspettarmi uno di quei film in cui gli alieni sono brutti e cattivi e ci vogliono morti, e speravo di no perché l'ultima volta che ne ho visto uno è stato quella pagliacciata de Il quarto tipo e non volevo ripetere l'esperienza. Avevo anche paura che fosse uno dei film pieni di buoni sentimenti di SS, che a me in generale non soddisfano e fanno un po' sbuffare.
Effettivamente, è stato questo il caso.
La differenza è stata nel modo in cui ai buoni sentimenti si è arrivati, perché poco prima un bambino era stato rapito e va bene tutto ma di buono non ce n'è nemmeno l'ombra.


Riesco tranquillamente a vedere i bambini degli anni 80 a fremere dall'eccitazione per questo film, e questo non può che essere un complimento. La scena dell'arrivo della nave madre (si dice così? Riccardo invoco il tuo aiuto) è incredibile, da bocca spalancata. E mi immaginavo milioni di bambini così, con le manine incollate allo specchio ad ammirare le luci e l'enormità della nave, e secondo me questo è sinonimo di successo spaventoso. Perché prima è stato brutto, e spaventoso (sappiamo per esperienza che i papà che perdono la testa ci fanno paura), poi però è diventata magia.

Non se se arriverà il giorno in cui film come questo mi faranno gridare al miracolo. L'altro giorno, però, mi sono molto divertita, mi sono lasciata di nuovo andare all'inaspettato e non esiste esperienza migliore.

martedì 18 ottobre 2016

Un lupo mannaro americano a Londra

12:07
Ah, i film iconici.
Tutti li hanno visti, tutti sanno di cosa si tratti, tutti li amano.
Io me la faccio sotto perché generalmente le cose cariche di aspettative mi mettono soggezione. Il mio percorso nel mondo dei film non è per niente lineare, guardo cose senza alcuna logica, nè seguendo il filone del 'questo è storico e va visto per forza', tanto è vero che centinaia di film cult non li ho mai visti e li guardo se e quando mi viene voglia.
Qualche giorno fa me ne è venuta voglia.
Come al solito, poi, mi è venuta voglia di parlarne e di conseguenza ho iniziato a farmela sotto ché parlare di cose Grandi e Importanti sul web spaventa sempre un po'.

Per chi, come me, è caduto ora sulla Terra, ecco chi è il lupo mannaro americano a Londra: è un giovane, capitato nella brughiera inglese per una vacanza con un amico, che ha uno sfortunato incontro con un licantropo. La sfortuna non è tanto quella di averlo incontrato, quanto piuttosto il fatto di essere sopravvissuto all'attacco.


Non ho mai subito in modo particolare il fascino degli uomini lupo, ma c'è un aspetto che li rende sempre molto interessanti: la colpa. I licantropi sono spesso torturati dal proprio 'dono', il senso di colpa è devastante, come se peraltro loro avessero davvero una qualche responsabilità.
Remus Lupin, da sempre uno dei miei personaggi preferiti dell'universo Harry Potter, ha rischiato di perdere l'amore della sua vita, perchè si ostinava a impedire la nascita di una relazione con l'adorata (anche da me) Ninfadora, a causa della sua natura. Come se tentativi di protezione dell'amata servissero a qualcosa. Se ormai ti amo sono già fregata, bello, ti conviene rassegnarti.
(Sì, la maggior parte dei miei riferimenti sono sempre ad Harry Potter. Confido che ci siate abituati.)
E così il povero David, come se tutta la vicenda fosse stata per lui una passeggiata, si ritrova in uno squallido cinema a luci rosse, circondato dalle anime di chi aveva perso la vita per mano sua. Tremendo. Non stupisce che poi si lanci a Piccadilly Circus disperato, cercando di porre rimedio all'irrimediabile.

Onestamente, non credevo che il film di Landis mi sarebbe piaciuto, un po' per disinteresse generale verso il tema, un po' perché non mi aveva mai ispirato particolarmente. È stato piacevole, per l'ennesima volta, essere smentita. Il film è di una leggerezza completamente inaspettata, per me che non ne avevo mai nemmeno letto un post a riguardo, o un articolo, e riesce con una grazia piacevolissima a passare da momenti davvero divertenti (senza pai passare per quel passaggio sgradevole in cui percepisci che si stanno tutti sforzando un casino di farti ridere) a momenti di reale sgomento. So che tutti amano la scena della metropolitana (adesso i post a riguardo li ho letti), ma a me sono state le visioni in ospedale a colpire di più, insieme alle varie comparsate del compianto Jack, di volta in volta più malmesso. Vedere l'amico perduto, con le sue nefaste profezie, non è stato proprio esattamente piacevole.


Come al solito, il cinema mi insegna che mettere da parte il mio snobismo non può che essere una buona idea. Aprire la mente all'inaspettato riesce ad essere una sorpresa continua. Non dico che da oggi il lupo mannaro americano sarà uno dei preferiti, non è così nonostante ne riconosca l'indubbia importanza, ma la simpatia che mi ha fatto è stata piacevolissima.


NB per il mio amicone Alessandro: Doc, sono QUESTI i lupi mannari che devi guardare! <3


domenica 9 ottobre 2016

Maripensiero: Guillermo Del Toro

14:04


Il Cinema è una di quelle cose, come l'arte in genere o i profumi, per esempio, che segnano le fasi della vita, sia di chi se ne dichiara grande appassionato sia di chi lo vive come un semplice svago. Non è un caso se da adulti ci ricordiamo ancora le canzoni dei film che guardavamo da piccoli.
(Garantisco che se li ricorda anche chi di cinema se ne frega, avrei qualche amico da citare ma confido che chi di dovere si riconosca!)

Una nuova, diversa, fase della mia vita è iniziata quando ho visto il mio primo film di Del Toro, quell'omone dal viso incredibilmente simpatico che oggi compie 52 anni. Una fase molto recente, eh, questo non è un amore che dura da una vita. È iniziata così: io e Riccardo abbiamo il nostro personalissimo cineforum, che ha sede sulla sua auto ogni volta che torniamo dal cinema. Un giorno mi dice che secondo lui mi piacerebbe tantissimo Il labirinto del fauno. Lo conosco solo di fama, mai visto. Riccardo, però, ha totale accesso alla mia mente, se vede una cosa sa immediatamente quale sarebbe la mia reazione a riguardo. Se mi dice di vedere il Fauno, quindi, io lo guardo. E la mia vita cambia.
(Credo di non averti mai detto che è tutto merito tuo. Grazie.)

A lui non è piaciuto granché, dice. Io lo so il perché. Non è vero che non gli è piaciuto, è solo troppo ferito. Io ci ho messo giorni a riprendermi, e ancora adesso vedere Ofelia mi lascia un macigno sul cuore. Esiste una recensione, qui sul blog, che ai tempi era piaciuta e che io ora mi vergogno a rileggere perché la odio. La strapperei, ma nessun post è mai stato cancellato dall'universo redroomiano e non inizierò certo ora. 
A film finito ho pensato che allora una dimensione adatta a me ESISTEVA. Solo che non l'avevo ancora trovata. Un mondo in cui la magia esiste, ma senza le bacchette magiche, in cui i colori non erano solo lì perché ci erano capitati, ma perché qualcuno ci stava giocando, in cui la mente e la fantasia sono IMPORTANTI, e non capricci di un bambino. 
Ho pianto fino a sentire i dolori alla pancia, la prima volta che ho visto un film di Del Toro, e se ad una persona sana questo può far dire 'Ok io di questo non vedo più niente' a me ha fatto dire 'Non voglio altro che questo'.

Palesato il mio entusiasmo a Riccardo, mi sento dire che è il turno di Hellboy.
Uououo, calma, che a me i supereroi stanno tendenzialmente sulle balle. 
'Ma no, fidati, guarda che è una cosa diversa.'
E nella mia vita entra anche un coso rosso molto grande con il sigaro e i gattini. 
Dopo di lui ci sono stati altri bambini, con i loro fantasmi reali o metaforici, vampiri, uomini pesce, generali, robottoni giganti, amanti sofferenti.
È troppo facile dire che i film di Del Toro sono belli. Lo sono, fine del post e ciaone con la manina. Lo sapete che non sono una tecnica, se volete che vi dica quanto e perché sia un bravo regista non è qui che dovete rivolgervi. Ricordo un post di Lucia in cui parlava di quanto fossero ben girate le scene d'azione di Pacific Rim, cercate lì, che io non ci capisco un cazzo.

Quello che a me ha lasciato interdetta è il filtro straordinario attraverso cui le persone come Del Toro interpretano il mondo. Lo stesso mondo che vedo io. Le stesse foglie degli alberi, le stesse risate dei bambini, le stesse notizie al tg. Vive come me, mangia come me (forse un po' di più, ma niente body shaming), suppongo espleti anche le mie stesse funzioni corporee. Eppure sembra che sia stato dotato di qualcosa che ai comuni mortali non è stato consegnato. Una mente incredibile grazie alla quale quella che io vedo come una bambina per lui diventa una principessa strappata al suo regno. È strabiliante. 
La Mari di qualche tempo fa avrebbe provato invidia per questo superpotere: quello di rendere magico il mondo. Oggi, sebbene non neghi che avere il cervello di questo signore non mi dispiacerebbe per niente, sono grata che ce l'abbia lui. Grata di essere nata in un'epoca in cui posso andare al cinema a vedere che cosa la sua mente stavolta ha fabbricato. Grata di poter accendere il pc, e di permettere ad un universo nuovo di entrarmi dentro e di rendermi un po' migliore, ogni volta.
Un po' più sensibile, un po' più aperta alle storie di chi mi circonda, un po' più umana, perché è proprio il fantastico, quando è così, che ti fa amare ancora di più la realtà.
Le persone come Del Toro (insieme a lui mi viene in mente il solito Neil Gaiman, per esempio) mi fanno credere che allora il problema non è il mondo, il problema sono io. Il mondo non è grigio, o triste, o monotono, o banale. Sono io che quando guardo un albero vedo solo un tronco con delle foglie, loro mi stanno insegnando ad aprire bene gli occhi, quelli che stanno dentro al cervello, perché dentro l'albero ci sta Doug Jones, e non è mica colpa sua se io non l'ho visto. 
Perché i segni del passaggio della principessa sulla terra sono visibili solo agli occhi di chi sa guardare, e dio solo sa quanto sono grata a Guillermo Del Toro per avermi insegnato a farlo.



martedì 4 ottobre 2016

#CiaoNetflix: Amanda Knox

15:40
La nostra splendida Costituzione dice (all'articolo 27) che si è considerati innocenti fino a condanna definitiva.
La nostra (a volte) miserabile popolazione dice che se compari in tv associato ad un omicidio, allora sei colpevole. E se ti assolvono è colpa della giustizia e dei poteri forti e delle scie chimiche.
Amanda Knox, per la quale nessuno di voi necessiterà di alcuna introduzione, mi è sempre stata di un'antipatia allucinante. E sì, anche io a volte sono scaduta nella trappola del 'È stata sicuramente lei'. Ma quanto mi ha affascinato il suo essere eletta super paladina delle vittime del sistema negli Stati Uniti! Arriva il documentario su Netflix, mi ci fiondo perché i documentari di Netflix > tutto il resto.


L'inizio è folgorante. La Knox, su sfondo grigio dice questa cosa che trovo pazzesca, e ve la riassumo: se sono colpevole faccio paura, perché non vi aspettereste che una così sia un'omicida, se sono innocente significa che tutti siamo vulnerabili. Quindi o sono una psicopatica o una di voi.
Qualunque sia la sua posizione, ha ragione da vendere perdio.

Prima di entrare nel merito del caso specifico, però, diciamo la solita cosa: Netflix ha una cura nel realizzare documentari che è impareggiabile. Sono quasi tutti medio-brevi (si parla di un'ora, massimo un'ora e mezza ciascuno), intensi, curati, appassionanti. Solo per questo varrebbe la pena di fare l'abbonamento. Le immagini sono quasi cinematografiche, e i toni non sono mai melò nè pedagogici. Splendidi e basta.

Torniamo al caso Kercher.
Il doc si propone semplicemente di raccontarlo, dall'inizio alla fine. Con chiarezza e completezza hanno preso tutta la vicenda e l'hanno completamente vivisezionata sotto i nostri occhi, partendo dalla tesi che ha dato a lungo Knox e Sollecito come colpevoli, arrivando alla sentenza di assoluzione definitiva, e spiegandocene le motivazioni. Come al solito non si prendono parti, si ascoltano le persone coinvolte, si leggono i giornali, si ascoltano i notiziari, si analizzano i documenti ufficiali. E la conclusione è che sì, a dispetto dell'opinione pubblica pare proprio che i due siano innocenti. La storia finisce così.

Quello che è successo nel frattempo, però, è che due vite ne sono comunque uscite rovinate (non parleremo di Meredith perché anche il documentario in questo è molto elegante e non si sofferma su qualcuno che non può dire la sua): i giornali di tutto il mondo hanno perlustrato vite private anche in quegli ambiti che ci piace tenere chiusi a chiave, il bigottismo universale si è palesato in tutta la sua gloria, rovinando l'immagine di una donna la cui sola colpa è stata, pensate un po', fare tanto sesso con tante persone.
E allora brutta Amanda, non sei seria, sei una zoccola (ma anche cagna ci piace tanto dirlo, vero?), devi per forza essere stata tu con quella mente da piccola pervertita che voleva fare il sesso strano e la povera Meredith non voleva e allora l'hai ammazzata. Trovato il nomignolo, l'umiliazione era ormai pronta e calda da essere servita. (Ma ci pensate se tutto il mondo vi chiamasse con il nick che vi eravate messi su social preistorici? Fuori allora i vostri nomi su Netlog, Myspace, 2.0, MSN, chè secondo me rideremmo tutti un po')

L'Italia non ne esce benissimo, va detto. Ci sono certe scene di perculo che mi hanno ferita, perché questo Paese lo amo tanto anche se a volte lo picchierei selvaggiamente. Credo che, alla luce di come si sono conclusi gli eventi, Giuliano Mignini (pubblico ministero colpevole di aver accusato la coppia) abbia fatto una bella figura a comparire nel documentario. È un uomo che ha sbagliato, e il cui errore ha causato sofferenza, ma che piuttosto che nascondersi e difendersi ha preferito comparire e dire le sue ragioni, con calma e consapevolezza.

Un tremendo lato dell'umanità si palesa, in Amanda Knox: i malefici media, rappresentati dalla ripugnante personalità di Nick Pisa. Questo, per tutto il tempo, parlando di una tragedia in cui, ricordiamolo, un essere umano ha perso la vita e altri due hanno fatto anni di carcere da innocenti, RIDEVA. Lo stavano intervistando su un caso storico di cronaca, su una pagina poco gradevole di storia, e questo sghignazzava, perché 'siamo fatti così', perché 'vedere il tuo articolo in prima pagina è bello quanto il sesso', perché 'è così che funziona il mondo delle notizie'. Ovviamente, non mi metterò a fare la stessa cosa che Pisa stesso ha fatto, ovvero la pubblica gogna. Il web ci sta già pensando da sè. Lui è parte di un sistema più grande, per cui se lui ha bisogno di questo per sopravvivere come giornalista (e se quindi la testata ha bisogno di lui) è perché noi, miserabili, di queste cose ci campiamo. Perchè siamo curiosi fino alla nausea, perché crediamo di avere il diritto di sapere, perché ne siamo lontani, e allora siamo dispiaciuti ma non ci fa male. E mi ci metto anche io, che mi sono guardata il documentario a pochi giorni dall'uscita, perché ne ero affascinata.

In ogni caso, fossi in voi lo guarderei comunque. Se non altro per imparare che ogni caso di cronaca con così tanta risonanza non è mai solo quello che sembra.

lunedì 3 ottobre 2016

Non solo horror: Una tomba per le lucciole

15:38
Oggi sono incazzata. Di quell'incazzatura che ti prende quando ti svegli alle 6 e alle 6 e 10 già vorresti finire in galera per omicidio. Quantomeno in galera non devi avere a che fare con chi ti fa girare così tanto i cosiddetti.
Così, qualcosa mi suggerisce che una giornata di merda ce l'abbiate avuta grossomodo tutti, quindi capirete lo stato d'animo che mi ha portata a sedermi sul divano, coperta con un plaid, tisana ai frutti rossi piena di miele (perché, come se i nervi scoperti non fossero sufficienti, ho pure il raffreddore da quelli che sembrano venticinque anni), gatti di fianco, e film di quelli capaci di farti piangere anche le lacrime che non hai.
E quando sto così solo il Ghibli mi può salvare.


Il film si apre con un giovane, Seita, che parla del giorno della sua morte. Dalla scena seguente ripercorriamo la sua vita, quella di un giovane orfano che deve occuparsi della sorellina Setsuko durante la Seconda Guerra Mondiale.

Io i film sulla Seconda Guerra Mondiale li odio, in linea di massima. Trovo sia impossibile fare qualcosa sul tema e che non sia un polpettone melò di quelli che non avendo altro puntano sulla disperazione. Sì, odio anche Schindler's list e La vita è bella. Mi urtano e basta.


Poi, però, è successo lo Studio Ghibli.
Come una specie di Attila al contrario, anziché distruggere al proprio passaggio, i film Ghibli hanno il potere quasi surreale di creare. Luce, emozione, parole. Il Ghibli stimola la creatività di chi si lascia trasportare dalla magia, e questo sempre, in ogni film, anche in quelli meno riusciti come Marnie. 
(Che poi, sia chiaro, con loro quando parlo di 'meno riusciti' intendo che sono comunque film incantevoli, qui si passa da 'capolavoro' a 'comunque film molto bello')
Per quanto nessuno dei film sia una semplice poesiola colorata per bambini, Una tomba per le lucciole riesce nell'impossibile. Far crollare me, detestatrice di film sulla guerra, in una pozza di disperazione come poche altre volte mi era successo. Ho pianto per ogni genere di film, nella mia vita, Interstellar mi aveva ridotto ad un pozzo singhiozzante. A volte ho frignato ascoltando Unconditionally di Katy Perry, e la canzone nemmeno mi piace. Qui, dove mi aspettavo di cadere in pianti a dirotto, non sono riuscita a versare nemmeno una lacrima.
Ho guardato il deperire di due esistenze, e non sono riuscita a piangere. La loro morte ci era chiara dal primo fotogramma, non è stato un subdolo colpo di scena. Eppure li abbiamo visti vivere, li abbiamo visti combattere per sopravvivere. E quanto questo sia stato difficile ci è mostrato senza alcuna censura: morti, botte, bombe, umana crudeltà. Non siamo certo di fronte ad un altro Totoro. Sapevo che mi avrebbe distrutta, e ci ho provato a non affezionarmi, a non empatizzare, perché ero stata avvertita. Ad un certo punto, però, Setsuko si toglie il cappuccio che la mamma le metteva, e svela una testa circondata da un caschetto nero come la pece, tagliato corto, con la frangetta densa. Che ci crediate o no, il taglio di capelli storico della Mari bambina.


In questo quadro di disperazione (che però non cade mai nel 'State piangendo, pubblico? Non ci siamo riusciti? Rincariamo la dose'), la guerra sta sullo sfondo. Presente, ogni tanto rimbalzata all'attenzione di chi guarda con un suono o un accenno, tanto per ricordarci perché siamo qui, in una grotta. Ma non è la protagonista, è solo la scusa per prendere i nostri cuori e farne qualcosa di diverso da quello che erano solo un'ora e mezza prima. Il mio, al momento, sta in un angolo, a leccarsi ferite autoinferte. Ha appena visto un film in cui apparentemente niente accade, ma in cui accade tutto.


Le immagini, cosa ve lo dico a fare, sono poesia. Non mi capaciterò mai di come possiate preferire l'animazione occidentale ad una cosa del genere. E la musica, con la solita dolcezza infinita, sembra non capire che stiamo vivendo il più grande dei dolori, e ci accompagna verso il lutto con una tenerezza che non fa altro che infliggerci sofferenza in più.


Sì, fiera delle banalità: la morte dei bambini è qualcosa a cui si fatica a credere, qualcosa che per nostra stessa natura non possiamo accettare. Il Ghibli ce la serve su un piatto dorato, facendoci ancora più male. E sì, sto continuando a premere sul pedale della sofferenza, perché oggi il Cinema mi ha ferito ancora una volta. Continuo a perdonarlo, come un'amante tradita che torna dal fedifrago. Fino a che esisteranno film del genere, io sarò qua a parlarne.

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