martedì 13 dicembre 2022

Idee regalo per i vostri amici blogger a cui davvero non sapete mai cosa prendere

17:35


 


Questo, amici miei della blogosfera, non è un post per voi. Questo è il post che invierete per errore ai vostri cari per farvi finalmente regalare qualcosa che desiderate e non il solito paio di calzini. 

A meno che, ovviamente, non siano calzini cinematografici, come per esempio questi di Happy Socks per gli amanti Disney nelle vostre vite.


ABEditore
si è fatto notare negli ultimi anni come l'editore da regalare per eccellenza. I loro libri sono delle piccole delizie per gli occhi, molto economici anche per fare solo un pensierino, e contengono raccolte di racconti da gustarsi come piccoli dolcetti. Per l'amic3 amante dell'orrore è pieno di piccole gemme, tutte contenute nella collana Ombre e Creature, che trovate a questo link, ma la delizia che vi consiglio è invece la collana Piccole Guide Tascabili, che contiene quelle piccole dolcezze che vedete in foto. Li adoro, li vorrei stringere tutti tra le mani come se fossero piccoli gattini.




Sempre per l'ossessionat3 all'orrore delle vostre vite: House of Psychotic Women è uno dei libri culto sul tema. Quest'anno ha compiuto 10 anni, e per l'occasione ne è uscita una versione tutta nuova, espansa, piena di fotografie da guardare quando la lettura si fa troppo impegnativa. La trovate qui. La desidero con la bramosia con cui desidero il caffè la mattina.




Makeup Revolution è un brand di trucchi super low cost che negli ultimi anni ha sfornato alcune collezioni cinematografiche che sono una meraviglia, tra Il Grinch, Shrek, Game of Thrones e Coraline, c'è solo da preoccuparsi di non riempire troppo il carrello. Segnalo per esempio la palette della Fata Madrina di Shrek 2 che mi fa spaccare dal ridere, se siete in grado di usarla senza cantare Cerco un eroe in fondo non siamo anime poi così affini. Il link sta qua.



Per l'amico scrittore, quello che vedete sempre crucciarsi perché ha una roba nel cassetto - o più verosimilmente nell'hard disk - che non riesce a concludere: Fabula. Un mazzo di carte che dovrebbero aiutare a portarsi a casa la missione. Esiste anche nella versione kids per i più piccoli. Il link qua.



Per il master delle vostre vite, a cui davvero non sapete come dire che si potrebbe fare un po' di meglio nella prossima campagna del vostro gioco di ruolo c'è un libro che può farlo per voi, dal titolo autoesplicativo. Lo trovate al link.





E a proposito di giochi di ruolo, a Modena Play ho la fatto la conoscenza di Need Games e dei loro giochi di una bellezza senza senso. Io e il Moderatore abbiamo comprato Chtulhu Confidential, un gumshoe one-2-one, a cui quindi si può giocare in due, un master e un giocatore. CC è un noir lovecraftiano, ambientato negli Stati Uniti degli anni '30. Qua vi consiglio gli altri due che i bravissimi ragazzi dello stand ci avevano fatto vedere a Modena e che ovviamente rimangono nel mondo dell'orrore. Il primo è Achtung! Chtulhu, ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale. Se amate molto la persona a cui state per fare il regalo c'è questa edizione che contiene sia Guida del giocatore e Guida del Gamemaster. Il secondo, invece, è Il re in giallo, composto da 4 volumi giocabili separatamente oppure insieme per una campagna più lunga.



Io lo so che ormai i funko pop stanno stancando, che li hanno tutti, che sono banali. Dite quello che volete, non mi importa. Quello di Vincent Price con in braccio il gattino ce lo meritiamo tutti quanti. Ha anche le rughine intorno agli occhi e lo amo intensamente. Sta qui.




Per l'amica strega e amante della letteratura, il perfetto connubio: i tarocchi delle scrittrici. Un pensiero regalo troppo bello perché io non lo condivida. Sono al link.




E con questo, amic3, spero di avervi dato qualche consiglio un po' simpatichello per non rovinare il Natale all3 vostr3 blogger del cuore. Nel dubbio, c'è solo un modo per non sbagliare: i buoni del Libraccio. Giuro, sono il solo modo per farci davvero felici.



lunedì 5 dicembre 2022

Le cose preferite di ottobre e novembre

12:26

 Il mese scorso ho saltato completamente il post sulle cose belle, quindi recuperiamo questa volta con una double feature, per unire tutto quanto di piacevole ho visto/sentito e amato in questo autunno.




Salterò a piè pari la sezione podcast, principalmente perché non ho fatto nessuna nuova scoperta. Non solo, sono pure un po' in carenza di materiale. Ascolto i soliti noti, ma sono un po' in una fase di calma piatta. Se avete cose interessanti da segnalarmi, seguirò volentieri i vostri consigli. Tranne il podcast su Federico Aldrovandi di cui sta parlando il mondo intero, quello non lo ascolto perché già la vita è dolorosa così. È forse giunto per me il momento di darmi agli audiolibri? Non mi sento di escludere questa possibilità. 
Approfitto però della sezione podcast per affrontare il tema del mio, di podcast, che è ovviamente Nuovi Incubi. Io e Lucia siamo state in questi giorni sepolte d'amore, perché sono giorni di Spotify Wrapped e tanta gente ha il nostro piccolo prodotto tra i preferiti, ed è una gioia immensa. Lo diciamo nel prossimo episodio ma lo volevo dire anche in questo spazio: grazie di ascoltarci, di apprezzarci, di condividerci. È una gratificazione stupefacente.

Per quanto riguarda invece le letture, in questi due mesi mi sono lanciata in una maratona R.L.Stine. Sul mio instagram è salvata una diretta in cui insieme alla mia amica Martina parlo di uno dei miei libri, Una storia vera successa altrove. In quella circostanza avevo parlato di una grande ambizione, ovvero creare una mia collana di horror per ragazzi, una sorta di Piccoli brividi all'italiana. E come farlo, senza studiare prima il re delle narrazioni dell'orrore per i più piccoli? Quindi sono partita ovviamente con i Piccoli brividi più famosi, per finire infine alla saga di Fear Street, di cui per ora ho letto i primi due capitoli, The new girl e The surprise party. 
Sarò sincera, e sono pure disposta ad ammettere di non avere compreso qualcosa: leggere Stine da adulta non è stato piacevole come lo desideravo. Le narrazioni per ragazzi che funzionano (e attenzione, non sto di sicuro parlando delle mie in un eccesso di autocelebrazione, è un discorso generale) sono buone anche per gli adulti, ne è un clamoroso esempio il nostrano Davide Morosinotto, le cui avventure per i giovani sono letture travolgenti e divertentissime. I libri di Stine invece sono piccole macchinette costruite con un preciso meccanismo sempre identico, fatte per funzionare. E funzionano, ovviamente, il suo successo parla per lui. Però io non vi ho trovato alcun cuore, e se non lo mettiamo neppure in quello che facciamo per i piccoli, allora l'arte che senso ha? Mi spiego nel dettaglio. Tutti i Piccoli brividi hanno una struttura identica: capitoli brevi costruiti solo sui dialoghi, tutti che si concludono con un cliffhanger (problema che tendo ad avere anche io quando scrivo), con una risoluzione felice e sporadicamente un'ultima frase ad effetto tanto perché forse poi così felice non lo era. 
Fear Street è identica nella struttura, ha solo temi da adolescenti come le cotte, le prime relazioni, i primi limoni, e poco altro, almeno per i volumi che ho letto io. 
Qualche mese fa io di Stine avevo seguito la Masterclass. Tutte queste caratteristiche lui non solo le riconosce, ma le rivendica come qualcosa di ricercato. Non c'è niente di male nello scrivere libri che siano piccole ricette costruite a modino per funzionare, e dalle mie vendite è decisamente qualcosa che io non so fare e lo accetto, però da lettrice cerco altro. Comprerò ugualmente ai miei figli tutti i volumi possibili? Ovviamente. Da lettrice, però, speravo in qualcosa di diverso. 

Per quanto riguarda le letture da persona, invece, a novembre ho fatto la conoscenza, finalmente, di Valeria Parrella. Ho letto il suo Almarina, e mi ha fulminata. È la storia di due donne le cui vite si incontrano in un momento in cui entrambe hanno bisogno di qualcosa di salvifico. Elisabetta è un'insegnante di matematica presso un istituto di detenzione minorile, recentemente rimasta vedova. Almarina è una sua studentessa, finita lì perché la vita e la società fanno schifo. Il romanzo è il loro incontro, la nascita di un affetto immotivato e potente. E, per restare sempre a parlare di me, la prosa di Parrella è esattamente quello che vorrei fosse la mia. È potente il modo in cui parla di ambienti e cuori, di solitudine e di rapporti nuovi, del modo in cui ci si guarda senza ancora conoscersi e di come gli sguardi diventano sempre più familiari, sempre più casa. Mi sono immediatamente procurata altro di suo, ho la sensazione che Parrella e io passeremo tanto tempo insieme.

A ottobre, poi, ho letto parecchi fumetti, e naturalmente la cosa più bella è stata la nuova uscita di Zerocalcare, No sleep till Shengal. Ormai Michele Rech e il confederalismo democratico viaggiano insieme, e il lavoro che fa per raccontare agli occidentali di che cosa si tratta è sempre puntale e molto emozionante. Questa volta è andato in Iraq a conoscere la comunità ezida. Si allontana quindi dal popolo curdo per conoscere come questo modello di "stato" (passatemi il virgolettato) si applichi anche in zone e comunità differenti. Il modo in cui ogni volta prende l'accetta e distrugge tutte le convinzioni - e le convenzioni - occidentali è maestoso. Reportage a fumetti come questo e Kobane Calling sono diversi dalle storie in cui racconta le nostre generazioni attraverso storie ben più familiari, ma la sua personalità, i suoi ideali, il modo in cui osserva il mondo sono sempre quelli, e lo rendono il più bravo sulla piazza. Io riconosco di non essere un'esperta del mondo comics e riconosco anche che siamo in un periodo magnifico in cui gli autori italiani eccellenti sono tantissimi ed è un piacere scoprirli, però questo ragazzo qua ha un modo di parlare di noi che, per ora, non ho trovato in nessun altro. Gli voglio bene come se lo conoscessi.

Per quanto riguarda il tema serie tv, ho già ampiamente parlato in più sedi di quella che è stata indubbiamente la mia preferita dei due mesi, ovvero The Midnight Club. In realtà poi c'è stata anche la chiacchierata Cabinet of Curiosities, curata ovviamente da Guillermo del Toro. Per me è stato un progetto riuscitissimo, ben equilibrato e con episodi notevolissimi, con quello di Jennifer Kent che spicca sugli altri in maniera notevole e che avrei voluto diventasse un film intero. 

Dei film visti ad ottobre ho ampiamente parlato in tutti i post sui film visti per il mio compleanno, ma indiscutibilmente il mio preferito è stato quella gemma di Deadstream, di cui ho già ampiamente parlato ovunque ma che voglio elogiare anche in questa sede: è il film più divertente degli ultimi anni, che omaggia i giganti rendendo l'esperienza spassosissima. Non voglio nemmeno descriverlo a chi non lo avesse ancora visto, dirò soltanto che è un film su una casa infestata. Fa così ridere da doverlo mettere in pausa. E poi, alla fine, quando ci si è scompisciati, si va a fare la pipì da soli e ci si accorge che, porca miseria, fa anche una bella paura. Decisamente nella mia top dell'anno. 
A novembre, invece, il mio cuore è stato rapito da due visioni fatte una in fila all'altra che mi hanno proprio coccolata: The Curse of Bridge Hollow e Wendell&Wild.
Il primo è un delizioso horror per ragazzi, e la prova di quanto dicevo su a proposito dei racconti per i più giovani. Bridge Hollow è una cittadina con una maledizione, e la nuova famiglia che vi si trasferisce deve farci i conti. Protagonisti sono la figlia della famiglia e il suo oppressivo padre, che è tanto simpatico quanto ostacolo alla crescita individuale della figlia, che per tutta la vita non ha fatto altro che compiacere il papà. Lei aperta e ottimista, lui cinico e scettico. Insieme, devono spezzare la maledizione e salvare le sorti della città, che rischia di trasformare la notte di Halloween in un incubo eterno. È davvero una delizia, una di quelle cose coccoline, fatte di buoni sentimenti (ma buoni davvero, però, e quindi a volte scomodi) e di bei personaggi. Piacevolissimo.
Il secondo è il ritorno - inspiegabilmente in sordina - di Henry Selick, prodotto e sceneggiato da Jordan Peele (anche voce di Wild). Parla di una ragazzina rimasta orfana e diventata mezza criminale che torna nella propria città natale per frequentare un prestigioso istituto scolastico che ha proprio un programma per aiutare "quelle come lei" e che finirà per scoprire la verità su quello che nasconde la cittadina insieme ai due demoni che danno il titolo al film e che lei finisce per evocare per errore. 
Di nuovo, a costo di essere ripetitiva: viva il cinema per i giovani che diverte così. I demoni sono stupendi, affascinanti stupidoni, la protagonista è il sogno di ogni adolescente che guardi il film. Ribelle, nasconde la sua sofferenza dietro i piercing e le cinture con le borchie, è incurante del sistema e delle regole. In più, fa un ritratto stupendo dei giovani, cosa che ormai sapete essere una mia fissa: le altre ragazze della scuola non la trattano come un'outsider come sarebbe stato se questo fosse stato un film degli anni '90, ma anzi la amano da subito, la coinvolgono, le ronzano sempre intorno. Bellino davvero.

Insomma, due mesi di comfort, in cui mi sono chiusa in cose che sapevo mi avrebbero accarezzato il cuore e consolato un po' dal freddo autunnale. Vediamo cosa ci riserverà il periodo delle feste.


lunedì 21 novembre 2022

Gli anni '50: Teenage Dirtbags

12:25
 Poichè vi ricordo che il caos è il solo agente che guida questo posto, ho deciso che la nostra rubrica era pronta per passare al decennio successivo, gli anni '50. 
La rubrica ha altresì deciso da sé che questa volta non ci sarebbe stato alcun post introduttivo: partiamo parlando direttamente dei film, perché da questo decennio in poi credo che il post introduttivo sarebbe stato un mero elenco di cose da vedere e fare che poi, come ci insegna la storia, non sarei stata in grado di portare avanti. 
Quindi, accompagnata solo dal desiderio di vedere alieni e mostri giganti, mi addentro nel decennio più repubblicano del cinema di genere.




Gli anni '50, che oggi ricordiamo come un decennio glorioso soprattutto per il sci-fi, si portano appresso le conseguenze del decennio precedente e dell'enorme circostanza storica che lo ha caratterizzato. In questo caso specifico non mi riferisco alle paure e alle conseguenze psicologiche del conflitto, che spero avremo modo di approfondire nei prossimi post della rubrica, ma ad un aspetto più semplice: bisognava riportare la gente in sala. Nello specifico, era importante portarci i giovani.
I giovani, nel cinema dell'orrore, sono un motore fenomenale - cosa che nei decenni non è cambiata, ed è una gioia - e portare loro in sala era il successo che si desiderava. Cosa era piaciuto ai giovani nei decenni precedenti? I mostri Universal, quelli proprio se li erano goduti un sacco. E allora rifacciamoli, ma proprio diretti a loro. Anzi, meglio ancora, rendiamo adolescenti i mostri classici. 

Questa sarebbe la premessa perfetta per una serie di deliziose horror comedy che parlano di crescita e scoperta del proprio corpo, ed esplorazione del mondo e del senso di mostruoso, e invece gli anni '50 non avevano cazzi per nessuno e hanno deciso che se questo dovevano fare, dovevano farlo seriamente. 
Il numero di film con la parola teenager nel titolo è notevole, e unisce ottimi film e lavori di minor valore, ma quelli che ci limitiamo a vedere in questa sede sono quelli che compongono il trio che ha visto la luce nel 1957 per AIP. 

DA QUESTO MOMENTO PARLO DEI FILM MA ANCHE DEI LORO FINALI, OCCHIO AGLI SPOILER!

Si aprono le danze con un film che mi ha tirato tutta una serie di colpi bassi emotivi che dire che mi hanno colto di sorpresa è un eufemismo. Parlo ovviamente di I was a teenage werewolf, di Gene Fowler Jr., forse il più rappresentativo dei tre del decennio in cui è stato partorito. Il film si trova comodamente in inglese su Youtube, e sotto i video si trovano commenti di persone che hanno avuto il piacere di vederlo in sala, al momento dell'uscita, e quasi tutti lo ricordano come un film che li ha sconvolti dalla paura. Il che è interessante, e non è certo la prima volta che vediamo una dinamica del genere: quello che a loro ha tanto spaventato, a noi commuove. È stato così fin dai tempi di Lon Chaney. Ricordano incubi ricorrenti e mani davanti agli occhi, mentre riguardarlo oggi è una visione tragica e molto emozionante. Nel suo Danse Macabre Stephen King ricorda che insieme ai timori di cui parlavo su, ce n'era uno prevalente tra i genitori: gli Adolescenti Terribili. I teppisti, quelli che si azzuffano con la sigaretta dietro l'orecchio e la motoretta rumorosa. E allora Tony è il perfetto ritratto di quello che la società tanto temeva. È una testa calda, è fumantino, rissoso. Il padre di Arlene, la sua fidanzata, non gliene fa certo segreto: non lo apprezzano proprio. E quindi Tony è colpito da ogni lato: si sente non apprezzato, percepisce il mondo degli adulti come ostile e quello dei giovani come una guerra in cui viene costantemente bombardato. Persino le persone che lo amano genuinamente, come il suo buon padre e Arlene, gli chiedono di essere meno se stesso, di adeguarsi a chi non lo capisce. E allora lui, con tutta quella rabbia che sta maturando sotto la pelle, è la cavia perfetta per chi quella rabbia è convinto di saperla indirizzare. Ovviamente c'è lo scienziato cattivo, perché come dicevo questo è proprio un film del suo decennio, e lo scienziato cattivo come al solito dispone delle persone che lo circondano dispone delle persone che lo circondano nel modo in cui crede perché il suo ego gli suggerisce essere il modo giusto. La giustificazione è sempre la stessa: il bene dell'umanità, il bene più grande. Quale sia, ovviamente, è stabilito dallo scienziato stesso. In tutti e tre i film che vedremo, però, c'è la scena in cui il teenage monster supplica per la liberazione. 
La mostruosità, che nella stagione in corso di Nuovi Incubi stiamo analizzando come liberatoria, è qui una maledizione. Non solo per chi ne è colpito direttamente, ovvero i tre adolescenti che vengono resi mostruosi dalla scienza, ma anche per chi li circonda, ovviamente. Sono tutti film tragici, seppur in modo diverso. In questo Werevolf è il migliore perché Tony è un personaggio disperato, solo anche quando è circondato di persone. Interpretato magnificamente da Michael Landon, ha lo sguardo triste, confuso. Anche quando è arrabbiato e tira pugni alla gente come se gli uscissero in autonomia dalle mani, lo fa con la forza della disperazione, ed è proprio da prendersi il cuore e cavarselo con le mani dal petto. Soprattutto perché, e questo è elemento comune a tutti e tre i film, il solo modo per liberarlo è togliergli la vita. E i giovani, alla fine, ne escono sconfitti.

In Blood of Dracula, di Herbert L. Strock, è sempre il temperamento fumantino ad essere punito. Questa volta, però, ci concentriamo sulle ragazze, il che me lo rende particolarmente caro. Il film è molto simile al precedente: c'è una protagonista tutta nervi - una donna poi, grande aggravante - che incontra una scienziata, donna pure lei, che vuole sfruttare questo lato del suo carattere per un esperimento, che renderà Nancy peggiore ma l'umanità, a suo dire, migliore. Nancy, che qui diventa vampira e non lupa mannara, ha dei motivi per essere incazzata col mondo: sua madre è mancata da poche settimane e il padre, che si è già risposato con una signora che sembra non gradirla, la spedisce in un collegio mascherato da prestigiosa istituzione scolastica. Quando l'insegnante di chimica comprende che il suo temperamento potrebbe portare a qualcosa che potrebbe esserle utile, la sottopone ad una seduta di ipnosi che la trasforma. Anche in questo caso, quindi, a giocare con le vite degli adolescenti sono le persone a loro vicine che dovrebbero aiutarle. Se a trasformare Tony era stato lo psichiatra a cui si era rivolto proprio per placare il suo animo inquieto, qui è l'insegnante. Non un'insegnante a caso, però. Miss Branding sta combattendo con il mondo scientifico perché il fatto di essere donna la penalizza. I suoi articoli vengono rifiutati prima ancora di venire letti, perché riportano il suo nome e pertanto non sono degni di essere presi sul serio. Il mondo, poi, è impegnato con lo spauracchio radiattivo, che qui è presenza ben più costante che nelle due altre uscite, e nessuno ha tempo da dedicare all'hobby della signorina col camice bianco. E lei allora, bramosa di riconoscimento, vuole fare il colpo del secolo, e rovina la più fragile delle ragazze che la circondano. Di nuovo, per lei finirà male. Ad onore del vero, in questi film pure per la scienza finisce male: le creature si rivoltano sempre contro i propri creatori. Non prima, però, di aver supplicato libertà. E noi distrutti proprio sul divano che ci ammazziamo di dolore.

Diverso il discorso di I was a teenage Frankenstein, invece, che dell'adolescenza non frutta il temperamento ma il fisico, anticipando di qualche decennio parte - e solo parte ovviamente - di quello che Jordan Peele ci avrebbe poi raccontato, meglio, con Get Out. La strage di Frankenstein è il titolo in italiano, che per una volta, se lo si legge in un certo modo, potrebbe essere migliore di quello originale, che, uscito in double feature con la storia di Nancy, ricalcava il titolo dell'opera di maggior successo. Ovviamente non è il dottor Frankenstein ad essere adolescente, ma la sua Creatura. La storia la potrete facilmente immaginare: uomo di scienza dalle grandi ambizioni e dall'ancora più grande ego scava tombe e sfrutta i corpi di giovani defunti per creare una giovane creatura, che sfrutterà la giovane età delle sue membra per guarire più velocemente e adattarsi meglio alla composizione di tetris che è il proprio nuovo corpo. Onestamente, tra i tre lo considero il minore, perché facendo un ragionamento sul corpo e non sullo spirito mi emoziona di meno e per essere proprio antipatica mi interessa anche meno. Fa però un discorso interessante sull'identità, che possiamo applicare ad ogni versione di questa storia volendo ma che qui è particolarmente interessante perché la Creatura, oltre a non avere nome come di consueto, qui non ha il volto. La ricerca di una faccia, prima cosa di noi che mostriamo al mondo, è parte dell'evoluzione del rapporto tra il dottore e la Creatura, ma sarei ingiusta se non specificassi che è in fondo la sola cosa che mi ha coinvolto.
Ah, no, ne ho un'altra: questo Frankenstein smaltisce gli avanzi dei corpi che usa attraverso un sistema innovativo. Tiene un coccodrillo sotto il laboratorio e gli lancia i pasti. Soluzione molto poco etica ma se non altro abbastanza sostenibile.

Provo molto interesse per chi parla male o con saccenteria dei giovani, forse perché nella testa ho ancora 16 anni e me li sento affini o forse perché è cretinetto farlo, e questi film per me rendono loro, visti oggi, giustizia. I teenager non sono mai stati il problema, sono stati sfruttati da adulti incapaci di gestirli, di ascoltarli. Lo sono diventati quando hanno chiesto una voce e non è stata loro concessa. Forse all'epoca hanno davvero traumatizzato una generazione, questi film.
A traumatizzare, oggi, è che non abbiamo ancora imparato a trattare i giovani come quello che sono: persone che stanno imparando che cosa sia il mondo e come fare per renderlo migliore. 


mercoledì 2 novembre 2022

Redrumia32: la notte di Halloween

16:33
 Come previsto i film in effetti non sono stati 31. Ma va bene così, perché ho avuto un mese molto soddisfacente dal punto di vista delle visioni, e soprattutto perché la causa del rallentamento è dovuta a quattro prodotti seriali che ho tanto aspettato e a cui ho dedicato ben più che volentieri il mio tempo. Oltre alla serie nuova di Flanagan, infatti, ottobre mi ha portato la nuova stagione di Unsolved Mysteries, la prima di Dragula: Titans e il Guillermo del Toro's Cabinet of Curiosities. 
Non ho avuto un horror al giorno ma ho avuto tante coccole audiovisive comunque.
Il mio regalo di compleanno, però, si conclude sempre con una maratona per Halloween, che dura da quando iniziamo a cenare a quando ci regge il corpo, e quest'anno ci ha retto per tre film.







Siamo partiti con il film più chiacchierato dell'anno perché dura come un dispiacere e avevo il terrore di addormentarmi. Poi mi sono ricordata che dormire con Art è impossibile, ma almeno ci siamo tenuti la delizia per prima. Terrifier 2 vede il ritorno del nostro pagliaccio preferito - con buona pace di Pennywise che tanto un clown non è - più crudele e violento che mai. 
Non che la trama nelle vicende di Art abbia alcuna importanza, ma visto che un pochino qui ce n'è tanto vale raccontarla: Sienna è la sorella maggiore del giovane Jonathan, che ha tutte le intenzioni di vestirsi dall'assassino Art per Halloween. Quando però Art comincia a comparire in sogno anche a lei, comprende che forse quella del fratello è un'ossessione che potrebbe avere delle fondamenta nella storia della loro famiglia. Art, nel frattempo, sta un fiore e ammazza la gente che circonda i due fratelli, con la sofisticatezza che lo contraddistingue.
La fama del film lo precede, e ne abbiamo parlato anche nella live della scorsa settimana (qui se voleste recuperarla): twitter è pieno di testimonianze di gente che ha perso i sensi o ha vomitato. Terrifier, questo bisogna riconoscerglielo, potrebbe non essere per tutti: è la fiera del cattivo gusto, della violenza bruciante e ingiustificata, è il classico film che ci fa passare tutti quanti per dei deviati.
E tutto sommato va bene così.
Il due cerca di rattoppare in qualche modo la totale assenza di una storia del primo capitolo, introducendo qualche dinamica familiare ben nota ma comunque molto gradevole, cerca di collocare Art in una dimensione sovrannaturale ma al tempo stesso lo tiene ancorato al piano terreno legandolo in qualche modo alla famiglia di Sienna. Lei, altra gradevole aggiunta, è un'ottima final girl. Ha quel particolare e preciso senso materno che appartiene solo alle sorelle maggiori, che non le rende madri ma quasi, è carica di rabbia e di un dolore che nessuno le fa sfogare. È quella che dovrebbe essere seria, responsabile, che si prende cura di sé da sola. Appena può, quindi, diventa una bestia. Sienna è incazzata, dolorante, ma ha un fratellino minore da portare a casa se possibile tutto intero ed è pronta a tutto. La amo. Il suo look di Halloween è una favola, vorrei essere lei.
Ciò detto, mai come in questo slasher il protagonista è il killer. Art è silenzioso come i villain più spaventosi, sarcastico come quei due che invece parlavano un casino, ma più brutale di tutti loro messi insieme. Lo scopo degli altri era uccidere, qui è torturare. Art uccide per fare male, e non solo Leone lo sa ma per lui è molto importante mostrarcelo bene affinché noi non lo si dimentichi mai. Per cui sì, è molto più forte di altri suoi simili. Nella live abbiamo parlato di come la stessa Bloody Disgusting ammetta candidamente che per distribuirlo non avevano due lire, e puntuale come un orologio svizzero è arrivata la dinamica che di gente in sala ne ha portata a tonnellate, usando il consueto mezzo della "gente svenuta in sala". Me ne lamento? Assolutamente no, perché Terrifier 2 è un baraccone divertentissimo, e se lo hanno visto in tanti io ne sono felicissima. È un proliferare di momenti poetic cinema (se non sapete di che parlo rimando all'ascolto di Nuovi Incubi, il podcast di cui sono cohost), e secondo me un piccolo Art che si prova gli occhiali da sole con i girasolini secondo me in questo anno difficile ce lo meritavamo tutti quanti. È un eccesso, un fumettone, un giocattolo. È un tipo di cinema che non fatico a credere possa respingere qualcuno, non per colpa della sua violenza ma proprio della sua sfacciataggine. Si prende gioco di ogni anima che respira e lo fa senza pietà alcuna, e non tutti hanno voglia di questo quando guardano un film, neppure se dell'orrore. 
Annebbiato dalla sua violenza, però, c'è un altro elemento che secondo me è importante dire: Terrifier 2 fa paura. Art non è solo, di sicuro avrete visto qualche foto in giro, e quella cosa che lo accompagna fa una paura incredibile. Un character design splendido, ma che infamata.
Ha anche una durata inspiegabile, e ogni articolo che leggerete sul tema sarà concorde nel dire che avrebbe necessitato di parecchi tagli.
Io mi sono annoiata?
Neanche per un istante.




Eh, questa è difficile.
Questo film lo abbiamo tutti atteso come la pioggia d'estate, perché il suo regista, Rob Savage, ci ha dannato l'anima con il suo primo lavoro, quell'Host che ci ha tolto un po' di notti di sonno. 
Questa volta ha voluto girare un found footage in cui una protagonista antivax porta il caos in piena pandemia nella vita di un ex compagno di band, gli ruba la macchina , prende su una sconosciuta e va tutto molto male. 
Dashcam è caotico, frastornato e frastornante, intenso e complicato da tollerare, perché è proprio quel genere di found footage in cui non si capisce niente e viene mal di mare. Non sono tutti così, naturalmente, e questo film non aiuta la mia causa not all found footage. 
Tutto sommato, però, questo importa poco. È caotico perché lo è la sua protagonista, una re Mida al contrario che tutto quello che tocca lo trasforma in merda. È caotico perché parla di sovvertire le regole nel modo più sbagliato possibile e di come si finisce per pagarne le conseguenze, e quindi avrei potuto ampiamente tollerarlo. Anzi, stando ai miei gusti, avrei dovuto adorarlo. C'è tutto quello che potrebbe servire a renderlo un buon film: c'è l'atmosfera, ci sono i momenti di genuino terrore che ormai sappiamo Savage sa bene come gestire, c'è la frenesia della situazione tragica.
Però poi c'è la cazzo di Annie Hardy per davvero e tutto quello che di buono stavamo costruendo lo buttiamo sotto un ponte e seppellito nel fango. Io mica la conoscevo, lei, è stato letterboxd che come al solito mi ha spiegato le cose. Nel film interpreta se stessa, e per quanto Savage cerchi di pararsi il culo - perché è questo che fa - in interviste come questa - questa decisione non va bene, perché la voce ha un cazzo di valore e Savage l'ha buttato via. Mi spiego meglio. La protagonista è l'attrice stessa, che nella vita vera fa davvero uno show in livestreaming dalla sua auto, in cui canta e improvvisa. È anche un'antivaccinista, un'antiscientifica persona priva di qualsiasi contatto con la realtà, una razzista con una visione nauseabonda del mondo e della società. Il suo account twitter parla per lei, in modo cristallino. Vi invito, in ogni caso, a non andarlo a vedere. Non vedo perché autoinfliggersi questa roba. Ma dicevamo: il valore della voce.
In un momento come questo, l'ennesimo replicarsi delle pagine più infelici della storia, la voce è sola cosa che abbiamo, come comuni cittadini. Poi accade che ci siano persone che per ragioni diverse abbiano una voce un po' più forte, che risuona di più. E quando si ha un potere così, perché di potere si tratta, si ha il dovere di usarlo bene, perché è dai cazzo di tempi di Spiderman che dal potere derivano le responsabilità. Allora quando si ha una voce che risuona forte bisogna usarla con coscienza, e spesso usarla con coscienza significa passare il microfono a qualcun altro. 
Se passi, di proposito, il tuo microfono a questo genere di persone, con qualunque intento tu dica a te stesso quando ti guardi nello specchio per giustificarti, allora sei complice.
E mi dispiace, ma Savage è complice.
Dica quello che gli pare. 




Dopo quella roba di cui sopra mi meritavo gli adolescenti scemi. E allora è arrivato Bodies Bodies Bodies. E sono pure arrabbiata un po' con questo però. Giuro di solito mi piace tutto.
In effetti, per essere chiara, a me tutto sommato è piaciuto. Sovverte alcune delle regole più importanti dello slasher, creandone uno in cui manca l'elemento fondamentale: l'assassino. Anche in film in cui del killer non si conosca l'identità, come in Scream, qualcuno con il coltello in mano c'è. Qui il punto del film è riassunto nelle regole del gioco a cui i protagonisti stanno giocando quando ci scappa il primo morto: qualcuno muore e c'è tutto buio e non si sa chi è stato. L'ho trovato godurioso, divertente, con un finale che ho adorato e che ha rimesso in sesto tutto quanto accaduto fino a quel momento in modo creativo e spiritosissimo. È un ottimo discorso sulla paranoia, sulla fiducia tra le persone coinvolte, sui trascorsi personali che si mettono in mezzo e offuscano la capacità di giudizio. 
PERÒ.
Io sono stanca di questa narrazione degli adolescenti. Sì, l'ho colto l'intento parodistico e sì, forse me la prendo perché sono sotto sotto una di loro (ma magari fossi stata così cool), e ancora sì, forse sono una di quelle pesantone woke paladine del politicamente corretto che non scherzano su niente. Sono stanca della droga sempre coinvolta come se i giovani non facessero altro, pure con un tono lievemente giudicante che, per piacere, ha smesso di avere senso nel '97. Sono stanca dei giovani come frivoli stupidini che adesso si riempiono la bocca delle parole del linguaggio woke ma che in fondo manco sanno dove stanno di casa. Solo Sophie sembra avere un minimo di grip sulla realtà, sul loro essere privilegiatissimi e viziati e sul concetto di doppio standard, ma è cacciata in mezzo ad un ritratto davvero ingiusto. Me la prendo troppo io?
Possibile. Mi dispiace solo un po'.

Mi piange il cuore che sia finito ottobre. Naturalmente la Spooky Season qui dura tutto l'anno, è solo un po' più bello quando è Halloween per tutti.

lunedì 31 ottobre 2022

Nuovi Incubi: Speciale Halloween 2022

01:00

 



Questa Spooky Season l'abbiamo celebrata finora con due episodi speciali che ci hanno tanto divertito, ma il meglio ce lo siamo riservate per il finale.
Per festeggiare a modino il fatto che il nostro podcast ha compiuto un anno Lucia mi ha fatto una proposta che meritava una denuncia penale: una classifica. Che già partiamo male. Dagli anni '60 a oggi. Molto male. Un solo film a decennio. Gravissimo.
Io ho accettato perché si dice che se se condividono i problemi è meglio e scegliere un solo film a decennio è un grosso problema. Ci abbiamo provato. Abbiamo fatto rinunce dolorose e scelte con cui dovremo convivere, ma ormai l'episodio è online, ci siamo giocate la possibilità di cambiare, di nuovo, idea.
Potete ascoltarci soffrire qui.

lunedì 24 ottobre 2022

Gli anni 40: Il ritorno del vampiro

10:25
 Vediamo di togliere un po' di polvere da questa rubrica. Quando ho deciso di ripercorrere la storia del cinema dell'orrore mi ero preparata una scaletta, una serie di obiettivi soprattutto temporali e un planning ben preciso. Avevo solo dimenticato di renderlo compatibile con il resto della mia vita.
Quindi, ora la ricominciamo perché ne ho tanta voglia, però con modi e tempi diversi, altrimenti finisco in un burnout autocausato che non ha assolutamente alcuna ragion d'essere. La rubrica riprende quindi con tempi molto dilatati. Non sono in grado di fare un post a settimana sull'argomento e quindi preferisco farne di meno ma farli meglio senza rischiare di impazzire.

Come era prima, alterneremo singoli film a discorsi più ampi su qualche autore, qualche attore o qualche tema più nel dettaglio. Ho deciso di ricominciare con un film forse minore rispetto ai grandi suoi contemporanei, ma che secondo me valeva la pena di essere discusso.
Siamo nel 1943 e ad opera di Lew Landers esce Il ritorno del vampiro.




Il vampiro Armand Tesla si avvale dell'aiuto del suo assistente licantropo Andreas per procurarsi le sue vittime. La loro vita diventerà più difficile quando sceglieranno come vittima la futura nuora di Lady Jane, che non ha alcuna intenzione di farsela portare via.

Parlando degli horror anni '40 di Universal l'abbiamo già detto nei post precedenti: hanno la fama di essere solo uno strascico del glorioso anno precedente.
Il ritorno del vampiro fa tutto quello che può per subire lo stesso fraintendimento. Ha dei titoli inequivocabilmente familiari, sceglie Bela Lugosi per il ruolo del vampiro (ultima volta in cui lo fa in un contesto che non sia una commedia), è diretto dallo stesso regista che ha diretto - tra le altre cose - The Raven, il film del '35. Si chiama addirittura Il ritorno, facendo intuire il suo essere un ipotetico seguito.
Eppure non è un film Universal. È della Columbia. 
Gioca con un modo ben preciso e rodato di fare cinema, che prende tutti gli elementi di valore del decennio precedente e li riutilizza in un contesto nuovo, in cui un immenso cambiamento ha sconquassato il mondo: la guerra.
Nello specifico, a farci sognare de Il ritorno del vampiro è lei, Lady Jane Ainsley, forse la prima volta che vediamo al cinema qualcosa che sia assimilabile a una Rosie the Riveter. Lady Jane da sola prende in mano una situazione anomala e tragica, salvando, con i mezzi a sua disposizione, tutte le persone sottomesse e violate dall'uomo potente: Tesla (che buffa e trista coincidenza il suo nome). Lady Jane è una figura femminile che al cinema vedremo sempre più spesso: pur essendo scientifica nel suo raccontare l'evento soprannaturale, non viene creduta. Pur conoscendo il male del mondo sceglie di portare avanti i suoi ideali di fiducia nell'umanità, dando una seconda possibilità ad Andreas e aiutandolo a costruirsi una vita piena e soddisfacente ma soprattutto libera. È la donna che, lasciata sola dagli uomini che la circondano, prende in mano la situazione e la risolve, con nessun riconoscimento finale se non la consapevolezza che senza di lei la situazione sarebbe inesorabilmente degenerata. In una tradizione - quella dei vampiri - in cui le donne sono le prime vittime, lei è la salvezza. 
Non solo questo, però. A rendere speciale il film è anche Andreas, un'estremizzazione del ben più noto Renfield. Andreas non è solo una vittima del vampiro. Quella che lo colpisce è una maledizione in piena regola, perché è un licantropo: la più classica delle condizioni tormentate. A Tesla non è bastato prenderlo come schiavo, ma ha anche dovuto snaturarlo, privarlo della sua condizione umana e vincolarlo, in questo modo a sé. È infatti la prima - presunta - morte del vampiro a liberare Andreas. Muore il vampiro e rinasce il licantropo. E non è neppure un caso che il vampiro sia riportato in vita proprio dalla guerra (e poi ne riparliamo). Andreas è tanto vittima di Tesla quanto lo è della situazione storica in cui sta vivendo. È un soldato caduto, è un veterano. Se non l'avessi reso per bene, Andreas mi strazia il cuore. 
La guerra, dicevamo. Incontriamo in questo film entrambe le guerre mondiali, perché Tesla giustamente mica può saltarne una. O tutto o niente. È lei la causa della sua rinascita e del suo, invocato dal titolo, ritorno. Lady Jane, insieme al collega Saunders, lo aveva già fermato nel '18 Tesla, impalandolo. Durante la Seconda Guerra Mondiale, però, un bombardamento riporta alla luce il suo cadavere, infilzato anche dai frammenti di una bomba che, per le persone che lo trovano, lo qualificano immediatamente come una vittima proprio di quel bombardamento. Liberato dalla bomba, lui torna, fresco come se non fosse successo nulla. La guerra ha influenzato le vite di tutti i coinvolti, ha facilitato il suo ritorno, è a tutti gli effetti un personaggio del film. Il vampiro è un invasore, nella vita dei suoi rivali, un mondo esterno che entra e si prende quello che vuole. È lo sconosciuto dell'est che arriva e frantuma la quotidianità, che allontana le famiglie, che distrugge esistenze. È uno tra i modi più efficaci che conosco per parlare di conflitti.

David J. Skal, forse lo storico di cinema dell'orrore più famoso del mondo, definisce Il ritorno del vampiro un "fascinating junk film". Lungi da me voler considerare la mia opinione al di sopra di quella di una persona con competenze come le sue, però lo trovo un giudizio un po' severo. Non siamo di fronte a un capolavoro senza tempo di quelli che ridefiniscono i contorni del genere, però ha delle cose da dire. Ha un modo emozionante di parlare delle conseguenze della guerra non solo sulla società ma sui singoli individui, e sulle donne soprattutto, lasciate sole a dover portare avanti il mondo. È nebbioso, cupo, triste. 
Quando penso a dei junk film, non è lui che mi viene in mente.

venerdì 21 ottobre 2022

Redrumia32 - parte 2

11:34
 Continua ottobre e con esso il mio regalo di compleanno: un horror al giorno. 
Tra parvenza di vita sociale e serate impegnate in live non sempre il progetto riesce nel suo intento ma io sono già molto felice così e anche i film non saranno proprio 31 mi riterrò ugualmente molto fortunata.






Io ammetterò che questo non lo volevo vedere. Accetto che spesso il cinema mi faccia del male, ma ho dei limiti anche io e ci sono visioni che francamente mi mettono troppo alla prova. Era stato così per L'uomo invisibile del 2020 ma anche per il grande classico Gaslight. Quindi una storia di una donna convinta di essere in pericolo e che non viene creduta da nessuno si avvicinava troppo pericolosamente al territorio per cui sento di avere delle remore.
Parlando con le amiche ho cambiato idea, e ci ho provato. La storia è quella di Julia, che si trasferisce in Romania per il lavoro del marito e che dal primo istante sente che nel condominio di fronte qualcuno la osserva con insistenza. Poi forse la segue anche fuori casa. Poi forse le può fare del male. E, lo avrete indovinato facilmente, nessuno la prende sul serio. È solo stressata, è lontana da casa, si sente sola, il marito è lontano tutto il giorno...è tutto a posto.
Eccetto che forse di a posto non c'è proprio nulla.
È chiaro che Watcher è un ottimo film, le opinioni sono quasi tutte concordi e c'è una ragione: è teso, crudele, fa sincera paura ed è girato da brividi. Maika Monroe è una forza della natura, si tiene tutto il film sulle spalle da sola e lo fa con classe.
Però. E siccome il però riguarda il finale occhio agli spoiler.
A me sto finale non ha soddisfatto a sufficienza. Non l'ho trovato sufficientemente catartico, e dio sa se ne avevamo bisogno dopo una visione così sofferta. Julia è psicologicamente seviziata per tutta la durata del film, col cazzo che mi posso accontentare di qualche colpo di pistola. Avrei voluto qualche momento in più, in cui il marito, che è a tutti gli effetti un complice della violenza che la moglie ha subito, ne pagasse a sua volta le conseguenze. Avrei voluto vedere lui patire e lei partire. Avrei voluto vedergli addosso una scarica di colpi, ma mi sarei accontentata delle botte. Questo per tutto il film l'ha ridicolizzata, sminuita, annientata, abbandonata. E finisce con uno sguardo. Monroe in quello sguardo l' ha tutto l'odio del mondo, lo avrei voluto vedere sfogato, tutto qui. 




Ho riguardato lo splendido nuovo film di Jordan Peele per preparare l'episodio di Nuovi Incubi che gli abbiamo dedicato e che potete ascoltare qui e confermo che ha scalato la mia personale classifica dei film del suo regista. Ne approfitto per scusarmi per la prima parte del mio audio dell'episodio. Avevo sbagliato microfono con cui registrare. Da metà si riprende ma tutto sommato poco importa: le cose intelligenti di solito le dice Lucia.




Vi ho visto che lo avete odiato tutti. Vi ho letto sconsigliarne la visione.
Avete spezzato il cuore mio e quello di questo bel faccino qui sopra. Io ho adorato Halloween Ends. 
La trama per quei due che ancora non l'hanno visto. Sono passati 4 anni dalla fine degli eventi del secondo film della trilogia, e Laurie deve convivere con l'ennesima cosa che Michael le ha tolto: la figlia Karen. Ora vive con la nipote, Allison,  e sta scrivendo la sua autobiografia, per esorcizzare una volta per tutte la presenza che le ha rovinato la vita. Ma sappiamo bene che Michael non se ne va mai per davvero.

Questa di David Gordon Green, per me, è stata una trilogia piena di scelte molto intelligenti. Abbiamo visto prima una final girl tormentata dal trauma, e quindi abbiamo visto cosa accade dopo il The End, quando il film finisce e la sopravvissuta deve continuare a convivere con la tragedia che le è accaduta. Poi abbiamo visto gli effetti della tragedia sulla comunità intera, che dopo il dramma si deve ricostruire e deve imparare a convivere con il proprio passato, e ora vediamo le conseguenze dell'incubi sui fragili. Ora finalmente vediamo l'eredità del male. In un momento storico in cui l'orrore è spesso riportato su un piano razionale, realistico, Michael non può vivere per sempre. Come può proseguire la sua legacy? Con un incubo nuovo. E siccome stiamo mettendo il tutto su un piano di realtà, che cosa crea un Michael? Da dove nasce il male? Se in Corey - uno stupendo Rohan Campbell - non riconoscete qualcuno della vita vera è perché non conoscete la brutalità della vita nelle piccole comunità, in cui tutti credono di conoscerti e credono di poter usare questa supposta conoscenza per annientarti. Haddonfield qui ha un volto nuovo: se nel film precedente l'abbiamo vista unita per superare insieme un dramma, qui la vediamo per come è davvero. Costantemente alla ricerca di qualcuno da incolpare per la propria violenza. Qualcuno su cui sfogarla. Questa Haddonfield è fatta di persone che hanno bisogno del proprio Michael, e che quando non lo trovano se lo creano. Conoscono solo violenza e solo quella sanno perpetrare. La cosa che viene rimproverata con asprezza a Corey, infatti, è quella di essere sopravvissuto ad una cosa orrenda, di avere recuperato una parvenza di esistenza, di avere continuato a vivere. Lui, che non se lo merita. La vita nella piccola comunità è fatta prima di tutto di giudizio, di persone che credono di poterti dire come si fa a stare al mondo e soprattutto come dovresti starci tu, alla luce di quello che, mi ripeto, credono di sapere di te.
Ho parlato spesso di quanto amo l'orrore delle piccole comunità perché sono il mio mondo, quello in cui vivo e che conosco. Nessuno, però, a mio modestissimo parere, le aveva mai ritratte con questa sincerità. Haddonfield senza Michael non esiste, perché ne ha bisogno. Serve qualcuno su cui sfogare la propria brutalità sentendosi legittimati. Ricorda nulla? Avete mai letto i commenti su facebook sotto le notizie di cronaca? Le persone bramano qualcuno che sbaglia perché così possono farlo a loro volta, con la copertura morale del "ma l*i se lo merita". 
In questo senso, allora, Halloween Ends porta avanti benissimo la legacy della saga originale, perché è un film che parla del Male, quello che non ha scopo altro se non alimentarsi di se stesso, bearsi della propria esistenza. E, per me, è un film bellissimo.
E poi scusate ma se quella camminata lenta di Laurie, sul finale, in mezzo a quella stessa comunità che l'ha più volte tradita, non vi emoziona siete senza cuore e io non vi voglio bene.





Continuiamo a parlare di cattiveria.
Cecilia è una lifestyle influencer. Lancia messaggi di speranza e il suo tema principale è la salute mentale. Non è un medico e lo riconosce, ma cerca di aiutare e far sentire i suoi follower amati ed ascoltati. Un giorno, mentre fa la spesa, incontra la sua migliore amica d'infanzia, Emma, che si sta per sposare. Proprio quel weekend, infatti, c'è il suo addio al nubilato, e quale occasione migliore per le due per ritrovarsi e festeggiare insieme? Cecilia accetta l'invito senza sapere che alla stessa festa è invitata anche Alex, la ragazzina che ai tempi della scuola la bullizzava. Non sarà un weekend piacevole.
Appena conclusa la visione mi ritenevo insoddisfatta. Prima di tutto le scene di bullismo sono per me un disagio esattamente come dicevo parlando di Watcher. Ho la fortuna di non averlo mai subito nei modi raccontati nei film, ma provate a immaginare di crescere poveri in canna in una piccola comunità (vedi quanto detto su Haddonfield) e capirete perché non amo vederle. In questo film ce ne sono parecchie, anche di bullismo tra adulti, quindi mi sento di segnalarlo come una sorta di content warning. 
Nei giorni successivi, però, mi sono ritrovata a pensarci molto spesso. Sissy è un cazzo di film crudele. 
Non dura molto ma porca miseria non concede un solo istante di tregua. Arrivati alla villa in cui si tiene la festa comincia un susseguirsi di crudeltà che partono ai danni di Cecilia e che finiscono in una tragedia folle e insensata, senza un attimo di pace, senza un attimo di respiro. L'ho visto definito in giro come un film che vuole discutere della falsità dei media, dell'ipocrisia dei social network, ma non sono completamente d'accordo. È ovviamente uno dei temi che fa parte del tutto, ma è prima di tutto un'analisi sulla violenza. Sui danni a lungo termine, sul solito discorso che è uno dei miei preferiti: la violenza genera violenza. La cattiveria distrugge, cancella, rovina. Rovina menti perfettamente sane, distrugge persone che avrebbero potuto essere altro e invece si rivelano gusci fragilissimi in attesa di esplodere, di nuovo. Non cambia, però, chi la mette in atto. Il confine tra vittima e carnefice è qui completamente annullato, perché nessuno è nessuno dei due. Sono tutti incastrati in meccanismi così radicati nella mente di chi li mette in atto che il mondo non è più bianco o nero. È un film che decide di non fare la morale. Ad un certo punto il film ci racconta cosa sia successo tra Cecilia e Alex e dal quel momento in poi scardina ogni nostra certezza, senza mai parteggiare per nessuno e senza mai fare delle semplificazioni. Non è giudicante, racconta solo cosa succede a fare gli stronzi con la persona sbagliata. E lo fa utilizzando in parte i social media, perché siamo nel 2022 e sono parte della quotidianità delle persone, ma non l'ho mai interpretato come una critica agli stessi.




Io questo l'ho scelto perché dopo 20 giorni di solo horror iniziavo a sentirmi in colpa per il povero moderatore. Questo è descritto ovunque come un ultra violenti epic fantasy, che coinvolge magia nera e animazione dallo squisito gusto retrò.
Parla di fiori magici che hanno un potere immenso e di tutte le persone che hanno cercato di utilizzarli per scopi personali.
Non voglio dilungarmi perché ho la sensazione di avere un po' mancato il punto io, con questo, ma non è, come direbbero gli anglofoni, la mia tazza di tè. Forse non ho capito nulla io? Conoscendomi, è molto probabile. Oggi, però, rimpiango solo di non aver scelto altro, ieri sera.  




Ho riguardato questo cosino adorabile per dedicargli una live, quindi ho proceduto a discuterne per un'ora. Qui quello che ho detto:




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