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venerdì 1 dicembre 2017

Alias Grace

16:45
Volevo lasciar passare qualche giorno tra la mega chiusa che ho fatto ieri pomeriggio e il post su Alias Grace, la nuova serie Netflix tratta dal romanzo di Margaret Atwood. Principalmente perché mi servirà ancora qualche giorno per digerirla del tutto e poi perché è il quarto post in quattro giorni, e io faccio o troppo o niente.
Per stavolta vada per il troppo, la Atwood si merita questo e altro.



La Grace del titolo è una donna irlandese, emigrata in Canada da ragazzina, che deve scontare una pena in carcere per omicidio. Il dottor Jordan viene assunto per farle una valutazione psichiatrica, in modo da poter tramutare la sua pena in una diagnosi di isteria, in modo da farla scarcerare. Inizia così una serie di incontri in cui Grace si racconta al medico, dal momento del suo arrivo in Canada fino al giorno degli omicidi di cui è accusata.

Più di una cosa scritta da Margaret Atwood all'anno è autolesionismo. Se The Handmaid's Tale mi aveva lasciata ad un ameba informe di sofferenze, qua non siamo caduti tanto lontano. La narrazione è intima ed emotiva e il percorso di vita di una donna dell'800 è tutto tranne che delizioso intrattenimento. Mettiamoci il carico da mille, però: rendiamola un narratore inaffidabile.
La deliziosa Grace, che dai flashback appare creatura mite e pudica, ignara della malizia del mondo e profonda credente, a noi che la sentiamo parlare non appare proprio così. La comprendiamo corrotta dal manicomio prima e dal carcere dopo, e tanti cari saluti alla ragazzina che si prendeva cura dei suoi fratelli come se fossero figli suoi. La Grace che parla con il dottore è misurata e furba, sa quello che il dottor Jordan vuole sentirsi dire e perché, sa come dirlo e quando dirlo, e quando la situazione si fa più intrigante ecco sopraggiungere la sua lieve stanchezza, che le impedisce di proseguire. È scaltra e anche un'ottima attrice, con i suoi grandi occhioni celesti spalancati sul dottore che ormai ha l'ormone ballerino e se la figura in romantiche immagini sognanti.
Qual è la vera Grace? Quella che noi vorremmo fosse, l'innocente anima candida sporcata da una vita infelice o una donna crudele, indurita dalla vita e colpevole di un omicidio tremendo? L'ultimo episodio, da pelle d'oca e anche un filino di pauricchia di quella che si sente nelle viscere, dà risposte e allo stesso non ne dà, aprendosi ad almeno un paio di interpretazioni.

Le sue protagoniste hanno amiche che inevitabilmente ci spezzeranno il cuore. Laddove la Bledel che urla sul furgone ancora me la sogno la notte, è Mary che questa volta mi ha annientata. Mary la frizzante, Mary folle e libera, leggera come l'aria. La sua fine è stata un incubo. Dolorosissima, attualissima.
Le donne della Atwood non sono mai imbecilli. Magari sono ingenue, con uno sguardo infantile sul mondo, magari sono troppo fiduciose. Neanche tutte, in realtà. Ma ad un certo punto si svegliano, e non sono più cazzi per nessuno. Soprattutto per un motivo: sono spesso e volentieri complici. Non generalizziamo, ci sono le donnacce tremende che le vorresti fare fuori a pedate (ciao Anna Paquin, lo sai che parlo di te e anche a prescindere dalla parte) esattamente come nella vita reale. Ma non è un caso che i personaggi migliori siano quelli che fanno squadra. Le ragazze si consigliano, si mettono in guardia, si aiutano, si adorano. Fanno squadra e quando ci riescono diventano imbattibili.
Prendete esempio.

Se però non potete fare a meno di ammazzare una persona, tranquille: ci pensa Cronenberg a tirarvi fuori di galera.


giovedì 19 ottobre 2017

It

08:33
Avevo accolto la notizia di un nuovo It quasi tiepidamente. Non che fossi scettica, solo che non ero partita a mille, ecco.
Poi il film è uscito all'estero, con un anticipo ridicolo rispetto all'Italia, ed è uscito con il B O T T O.
Cifre astronomiche. Per un horror, quasi fantascienza.
Dopo lacrime di commozione e sempre crescente frustrazione legata all'attesa, il mio spirito, che nell'intimo è ancora un pochino cinico, ha immaginato che almeno il 60% del pubblico fosse composto da haters preimpostati pronti ad assaltare lo schermo con le balestre al grido di 'Tim, this is for you', citando la Donatella Versace nell'omaggio al fratello.
Invece anche questa volta la soluzione era la più facile: sono andati a vederlo tutti perché It è bellissimo.

Quando ho visto il titolo uscito così volevo piangere di bellezza


Dando per ovvio che conosciate almeno a grandi tratti la storia, passerei direttamente oltre. Se per caso invece non la conosceste, per favore, non cercatela. Lasciate che l'esperienza vi entri sotto la pelle perché vi garantisco che una volta sguinzagliato il pagliaccio, non ve ne libererete mai più.
It rappresenta un rito di passaggio nella vita dei lettori. Letto da giovanissimi, poi, è proprio un momento di separazione, perché dopo il romanzo di King la vita da lettori non è più la stessa. Chi l'ha letto da giovane ricorda distintamente il prima It e il dopo It. Io ricordo il primo giorno che ho visto il volumone in biblioteca, l'ho guardato per mesi prima di trovare il coraggio. Il punto veramente eccezionale, però, è che quando lo si rilegge (perché lo si rilegge...) magari si presta più attenzione ai dettagli, si va più in profondità, si analizza di più, ma delle cose importanti non cambia niente. E con cose importanti del mattone da combattimento kinghiano intendo la paura e l'amore.
Fingendo che la serie 1990 non esista, il film aveva tre possibilità: topparle entrambe, perché il rischio c'era, prenderne una e mollare l'altra, oppure, in una sorta di miracolo mariano, azzeccarle entrambe regalando un'esperienza impareggiabile.

Muschietti è al suo secondo film. Potevamo tutti tremare all'idea che toppasse, l'esperienza non era dalla sua. Invece Andy ci insegna che a volte non sono l'età o il curriculum a fare la differenza, ma l'intelligenza. Se già con Mama (fatta eccezione per la fine) a me aveva intrigata molto, adesso sono alla sua mercè. Fai di me quello che vuoi Andy, perché io ti amo. Ha ballato alla perfezione nell'equilibrio perfetto di un romanzo magistrale, che non solo faceva paura, ma che dava un calore impareggiabile. Il gruppo dei Perdenti è il vero punto di forza del romanzo. Bambini e basta, di un realismo che solo King, nel suo sempre splendido modo di parlare dell'infanzia, avrebbe potuto creare.

Nel film di Muschietti i Perdenti sono eccezionali. Oltre ad essere dei faccini da tenere sotto controllo singolarmente, perché sono stati tutti davvero bravi, sono stati un gruppo eccezionale. Bambini senza alcuna pretesa di eroismo, che hanno sincera paura e motivazioni non sempre altissime (la vendetta è molto presente), che vengono feriti, malmenati, sconquassati, sottomessi. Ma che si rialzano sempre, benda a coprire la faccia masticata e si torna a combattere. Sono bambini imperfetti, pieni di ansie e prese in giro sulla mamma, ma si vogliono un bene grande, tanto grande da superare l'istinto di sopravvivenza base. E il fatto che siano così cristallini dentro non era affatto scontato, perché come King fa sempre, e come Muschietti ha rispettato, tutti loro hanno alle spalle adulti di riferimento ben poco funzionali al loro ruolo di educatori. Gli adulti di It sono inesistenti, inutili, oppure dannosi. Non servono a niente nel caso, a cui comunque non crederebbero, e non sono di alcun supporto a dei bambini che stanno vivendo un'esperienza tremenda.

Ecco, l'esperienza tremenda. Quella, non preoccupatevi, la vivrete anche voi. Peché Muschietti non ha alcuna intenzione di farvi uscire sereni dalla sala: It fa una paura del demonio. Se già avevamo capito che Skarsgard era bello bello in modo assurdo dalle foto promozionali, qualcuno si era scordato di dirci che è anche mostruosamente bravo. Il suo Pennywise ha una mobilità eccezionale, un volto indimenticabile e, nel complesso, tende a farti salire una pellicina d'oca che te la levi forse forse la mattina dopo. Se dormi bene.
Siccome sappiamo da esperienze precedenti che una buona performance da sè non conta troppo se la sporchi di cacca tutto intorno, qui Pennywise viene quasi lodato. Il film ruota intorno a lui, viene valorizzato ogni suo piccolo sguardo, ogni suo movimento è sacrosanto. Intorno a lui è ricamata un'atmosfera spaventosa, che non fa niente per portare sollievo, neanche durante i momenti leggeri tra i ragazzi. Pennywise è sempre sullo sfondo e si fa proprio in modo di non farcelo dimenticare mai.
La scena del primo ingresso dei Perdenti nella casa di Neibolt Street è una scena lunghetta e piena, PIENA, di tensione. Non si molla un colpo, le sequenze spaventose sono una successione infinita che non dà un istante di tregua. È perfetta.

Si ride tanto, con questi Perdenti, e se non gli si voleva bene prima si esce dalla sala col cuore colmo di affetto. Poi, però, quando ti avvicini al corridoio luminoso del multisala è inevitabile voltarsi indietro preoccupati, It ha fatto il suo lavoro e ha fatto paura.
Tutto quello che gli serve per sopravvivere.

sabato 16 settembre 2017

Vampires! - Le notti di Salem

16:36


Quando iniziai a pensare al romanzo di vampiri che sarebbe diventato Le notti di Salem, decisi di provare a usare il libro un po’ come una forma di omaggio letterario e quindi il mio romanzo ha un'intenzionale somiglianza con Dracula di Bram Stoker, e dopo un po’ mi accorsi che quello che stavo facendo era giocare un’interessante, almeno per me, partita di squash letterario: Le notti di Salem era la palla e Dracula il muro contro cui la rimandavo, stando attento a come e quando rimbalzava, così da poterla colpire ancora. Andò che certi rimbalzi furono davvero interessanti, e questo è dovuto al fatto che, mentre la mia palla esisteva nel Ventesimo secolo, il muro era un prodotto del Diciannovesimo. Allo stesso tempo, poiché le storie di vampiri erano la materia prima dei fumetti horror con i quali ero cresciuto, decisi che avrei anche provato a inserire questo aspetto della storia dell’horror. (S. King, Danse macabre


Ho aperto il post nel modo che mi sembrava più corretto. Salem's lot, Le notti di Salem in italiano, è il secondo romanzo di Stephen King nonchè uno dei più grandi. Uscito nel '75, riletto oggi non perde un briciolo della sua inquietante bellezza. Per parlarne, quindi, c'era da partire dalle parole del legittimo proprietario.

Salem è l'abbreviativo di Jerusalem, una cittadina la cui tranquillità è scossa dall'arrivo di nuovi abitanti. Uno di questi è lo scrittore Ben Mears, molto incuriosito dalla storia terribile di Casa Marsten, la villa che si affaccia sulla città.

Nessuno al mondo, per quanto io possa saperlo con le mie limitate conoscenze, parla delle piccole comunità come Stephen King. Jerusalem's Lot è casa di tutti, è familiarità, routine, intimità, confidenza, fin dalle primissime pagine. È un paese in cui gli abitanti si conoscono da anni, in cui il professore ricorda tutti i suoi alunni, in cui non si possono fare le corna al marito senza che tutti lo sappiano e in cui la gente si saluta per strada chiamandosi per nome. Quello che ne esce è un ritratto semplice ma affettuosissimo.
Allo stesso tempo, però, questo è un romanzo di vampiri. Se posso permettermi, è anche un romanzo di vampiri coi contrococomeri, che regala strizza come confetti gli sposi. La dispensa così, a manciate abbondanti, sulla testa di noi poveri lettori che poi abbiamo i locali da chiudere la sera tardi e per non farcela sotto mandiamo messaggi vocali chilometrici a tutta la rubrica. Non che parli di me, sia chiaro.

Nel suo Danse Macabre SK dice che Le notti di Salem è un omaggio. A me sembra proprio una dichiarazione d'amore. Le dichiarazioni d'amore, quando sono sincere, sono belle a prescindere da come sono scritte. Accade però che ogni tanto, ed è decisamente questo il caso, le lettere degli innamorati siano ispirate, brillanti, potentissime. Dracula trasuda da ogni virgola, a volte in modo più sottile e in altre più palese, fino alla citazione diretta del mio adoratissimo professor Van Helsing. Leggere i due romanzi uno dietro l'altro è appassionante, diventa quasi un gioco. Stephen è fangirl come tutti noi del vecchio Bram, con la differenza che, mentre noi tagliamo gli articoli del Cioè e li appendiamo in camera, il suo fangirling si trasforma in uno dei più bei romanzi di vampiri (e non solo) che io abbia mai letto.

Uscita dal Lot, però, non ero pronta a lasciar andare i miei personaggi del cuore. Ero diventata cittadina, e non volevo salutare i miei compaesani. Mi sono quindi guardata la miniserie del '79, diretta da un tale Tobe Hooper, trasmessa dalla CBS. Hooper è morto pochi giorni dopo la mia visione, e l'infelice coincidenza è stata tristissima.
Un Barlow chiaramente attanagliato dai sensi di colpa

Il passaggio da un media all'altro è spesso impietoso, soprattutto quando si crea un legame forte con i personaggi del libro e si finisce per dare loro un volto e una voce che inevitabilmente finiscono per essere sostituiti da quelli scelti da qualcun altro per noi.
Quel Barlow, però, è una favola.
Avrebbe potuto avere ogni aspetto, e tanto ci avrebbe fatto paura comunque, però è stato scelto di usare il carico da mille e dare al vampiro l'aspetto che più gli si confà: quello del mostro. Di vaghiiiiiiissima ispirazione Nosferatiana (in che neologismi mi sono buttata?), il Barlow della serie non scherza proprio per niente. L'umanità non gli appartiene, non una parvenza di appartenenza alla nostra specie si intravede in lui. Chi lo biasima poi il povero Straker, suo discepolo e servo, se non ha il coraggio di disubbidirgli?
Questo fa paura, e lo sa benissimo.

Con mia estrema soddisfazione Hooper ha scelto di tenere quasi tutte le scene che nel libro mi avevano incollata alle pagine, riportandomi quindi non solo all'atmosfera intima della cittadina ma anche alla paura che avevo preso nelle pagine.
La trasposizione funziona proprio perché anche laddove adegua parti della storia alla sua nuova forma, non ne perde l'aria principale, rendendo ancora più difficile l'uscita dal Lot.

Voi, però, se ancora non avete vissuto la bellezza di arrivare a Jerusalem's Lot per la prima volta, fatelo, accomodatevi.
Avrete una gran paura, ma troverete casa.

domenica 3 settembre 2017

Vampires! - Nosferatu for dummies

15:27
In modo assolutamente non creativo la parte cinematografica dello speciale sui vampiri non può che partire con Nosferatu. È proprio previsto dalla legge marziale che si faccia così, non ho scelta.
Il destinatario ideale di questo post è il fruitore di cinema medio, quello non troppo appassionato ma che se la gode un po' e che non ha mai voluto guardare i film fossili per paura di dormire/non capire/ridere (selezionare voce a scelta). Ritratto peraltro pericolosamente somigliante alla me di qualche anno fa. 
Senza alcuna (giuro) pretesa di fare la maestrina mi piacerebbe parlare a loro di Nosferatu.


Intanto, ciao, fruitore medio di cinema che non ha mai voluto guardare i film fossili. Ti dò il benvenuto nella mia modesta magione. Ti immagino pronto ad addentrarti nelle antichità del cinema e come tutti i cristiani ti immagino a cercare informazioni nell'unico modo che conta davvero: Google. Cerchi Nosferatu e ti esce questa frase ormai scolpita nella storia: film del '22 diretto da Friedrich Wilhelm Murnau, caposaldo del cinema espressionista.
Caposaldo del Cinema Espressionista
(Leggilo piano, goditelo sulla lingua, perché adesso puoi iniziare a dirlo con aria snob, erre moscia finto francese per sbattere in faccia la tua cultura ai tuoi amici che vanno a vedere i film dei supereroi. Film che tu non vedrai più perché sei stato Iniziato.)

A questo punto, amico mio, ti immagino chiederti, con tutte le ragioni di questo mondo, che minghia vuol dire. Sono qui per te, perché potrei essermelo chiesto anche io, qualche tempo fa. E allora, lascia che la sigla di Superquark ti accompagni mentre ti racconto cosa è sto espressionismo tedesco così ce lo leviamo dai cosidetti.

Dunque, siamo negli anni 10 del '900, in Germania. Nell'arte pittorica e nel teatro si diffonde questa nuova corrente, questa tendenza artistica, l'Espressionismo, appunto. In un'epoca in cui a spopolare erano la voglia di realismo e di concretezza, ecco che l'Espressionismo, con la strafottenza tipica di chi sa che avrà la storia a dargli ragione, si è imposto per la sua voglia di andare in direzione diamentralmente opposta. Ah, tu vuoi l'oggettività? La fedeltà al reale? E io ti dò le emozioni, invece. Ti lancio addosso la soggettività come se fosse stella filante a Carnevale. Quella realtà per te tanto preziosa io la prendo e deformo, la tiro e la mollo come se fosse mia e voglio proprio vedere cosa fai per fermarmi. Quello che vedi non è proprio il mondo, è la mia interpretazione dello stesso. Nel cinema quindi le cose sono un po' ballerine. Le figure hanno forme esagerate, distorte, allungate.

Ad inserirsi in questo contesto casca a fagiolo la primissima trasposizione cinematografica del romanzo di Bram Stoker: Nosferatu.




Nosferatu non ha una sorte felice: uscito nel '22 viene ben presto preso a male parole dalla moglie di Stoker, alla quale non era stato proprio chiesto il permesso per fare un film dall'opera del marito. La signora Stoker ottiene che tutte le copie del film vengano distrutte, ma suna qualche intercessione di divinità unite ha fatto sì che una copia sopravvivesse.

L'ho visto per la prima volta in un cinemino spettacolare della mia città, con i ragazzi del corso di Musicologia della mia città che suonavano dal vivo, come il film era pensato in origine. Vedere lavori del genere in sala è un evento incredibile a prescindere dalla passione per il cinema quindi fatemi il favore di scollare le chiappe abbronzate dai multisala e tornate ad esplorare i cinemini.
(Per i cremonesi: se non andate al Filo puzzate di cacca.)

È inutile che ti prenda in giro, fruitore medio di cinema: io preferisco i film più vicini a me. Diciamo che ne godo di più, l'esperienza è più piacevole e rimane sul piano della passione. Quando mi avventuro in film del genere lo faccio per studiare. Mi metto lì, con i miei libri di teoria del cinema e cerco nel film le cose che leggo, e cerco di imparare. Mi aiuta a godere meglio della mia passione e mi piace sinceramente farlo, ma non è la prima cosa che cerco quando ho voglia di vedere un film.
Nonostante ciò, Nosferatu è riuscito laddove Il gabinetto del dottor Caligari con me (CON ME) aveva fallito: fa paura regà.
Il film di Murnau funziona alla grande anche dopo i suoi migliaia di anni. Il Conte Orlok è spaventoso. E non parlo dell'iconica salita delle scale che ho postato, gli basta stare sulla porta e niente, è agghiacciante. Non deve parlare, è bestiale, inumano, terrificante. L'aspetto di Max Schreck è sicuramente di grande aiuto, ma quello sguardo lì mica te lo dà la natura, lo devi fare tu, e lui lo fa in maniera straordinaria.
Murnau, poi, era fuori come un balcone. Intanto si era convinto che Schreck fosse un vampiro vero, aveva convinto tutti di questa cosa e secondo me un pochino questo timore nei suoi confronti traspare nel film (o forse sono io che ce lo voglio vedere, chissà). Poi, in un periodo in cui gli scenari dei film erano dei bellissimi pannelli colorati lui ha deciso di spostare baracca e burattini e girare in esterno, per la prima volta all'interno della corrente dell'Espressionismo. La natura diventa quindi parte integrante della pellicola, e collabora alla perfezione nel trasmettere quasi del misticismo.
Potremmo stare qui a parlare dei giochi di ombre, luci e specchi, dell'effetto Schufftan e tutto il resto, ma allo spettatore quelle cose qua spesso non interessano. Ci sono i tecnici per questo. Lo spettatore fruisce del loro lavoro, e oggi, millesettecento anni dopo, siamo ancora nelle mani di espedienti ormai abbondantemente superati. La storia e la tecnica sono andati avanti ma Nosferatu non ha perso niente.
Solo un inizio così sfolgorante avrebbe potuto rendere il Dracula cinematografico la leggenda che è oggi.

CONSIGLIO PER I NAVIGANTI
Attenti quando lo cercate online, evitate youtube (dove se ne trovano diverse versioni) per essere certi di stare guardando la versione corretta, perché la musica di Nosferatu è complice di Schreck nel incutere un'inquietudine di quelle viscidine che sembrano essere facilmente superabili ma che invece non si schiodano di dosso.


Simile capolavoro non sarebbe rimasto intoccato a lungo.
In realtà tra lui e il suo remake sono passati intorno ai 60 anni, ma cosa sono 60 anni rispetto all'immortalità dei due film in questione?
Sì, signora mia, lo so che il remake non è mai bello come l'originale, ma un giorno un tale, Werner Herzog (quindi insomma non l'ultimo degli stronzi), ha pensato bene di dirigere di nuovo la storia di Orlok ed è riuscito nel miracolo di creare un film che, portando i suoi dovutissimi omaggi all'originale, vive di vita propria e non ha proprio niente da rimproverarsi.
Da un punto di vista narrativo si sceglie di ripercorrere la stessa identica vicenda del '22, restituendo soltanto ai personaggi i propri nomi, quelli del romanzo. Inspiegabilmente spesso Mina diventa Lucy e viceversa, ma non andiamo troppo per il sottile.

Nel marasma di ottime idee che hanno portato Nosferatu, il principe della notte ad essere il bel film che è, una su tutte ha secondo me del glorioso: KLAUS KINSKI.
Non frintendetemi, almeno nei suoi primi anni al cinema Dracula ha avuto la fortuna di avere sempre dei volti ben più che dignitosi, quantomeno nelle trasposizioni più celebri, ma Klaus...un incubo.
E ricordate che parliamo di Dracula, quindi è un complimentone.
Più di tutti i suoi predecessori, Kinski ha uno sguardo assolutamente killer. Lo so, l'ho detto anche di Schreck poco sopra, ma lui era muto, aveva solo quello da sfruttare. Qua no, qua Kinski parla. Parla, è a colori, ha 60 anni di tecnologia in più da sfruttare a suo favore, ma tutto questo è NIENTE in confronto al sudore freddo che il primo sguardo di Dracula verso il taglio che Jonathan si fa ad un dito mi ha causato.
Amico mio, il fruitore di cinema medio, se sei giunto fino a qui: lo so che io parlo per iperbole e sono un po' drama queen quindi sembra sempre che esageri, ma mi devi ascoltare. Kinski è uno dei migliori Dracula che la storia ricordi e il fatto che spesso sia oscurato da altri è ingiusto e frustrante. Se anche tu pensi che sia giusto ridare luce ai talenti, lascia da parte la venticinquesima versione di Sir Christopher Lee (a cui comunque rivolgiamo una preghiera ogni sera prima di dormire) e dai una possibilità anche a lui.
Scoprirai un Dracula drammatico, umano, amaro.
Eterno.

Il Dracula in questa versione è pieno di gloria. Non mi stupisce che quindi, oggi, Nosferatu sia pronto a tornare. Non ha ancora finito con noi, e Robert Eggers lo sa.
(Qui per leggere le prime info!)

lunedì 26 dicembre 2016

Gli Invasati

09:21
Eoni fa, quando da queste parti si parlava del libro della Jackson da cui questo film è tratto, Erica del Bollalmanacco mi aveva detto di guardare il film. Se mi da un consiglio lei, io mi fido, e quindi mi sono armata del mio scarsissimo coraggio e sono tornata ad Hill House.



La trama è arcinota ma la ripeto per chi non si è ancora fatto il grande favore di leggere un libro di Shirley Jackson: Hill House è una casa maledetta (ormai nella mia mente LA casa maledetta). Forse infestata, ma di sicuro portatrice di grandi sventure e tragedie. Il dottor Markway è interessato a scoprirne una volta per tutte la vera natura e decide di partire e alloggiare nella casa per studiarne in prima persona i fenomeni. Non partirà solo, con lui ci saranno Luke, l'erede della villa, e due donne: Theo e Eleanor, la nostra protagonista.

Mi sento di dire, senza timore di essere contraddetta, che Gli invasati è un piccolo miracolo. Fa una cosa che credevo quasi impossibile: è quanto di più fedele al romanzo potessi immaginare. Non parlo della trama, che per forza di cose ha tralasciato alcune piccole parti che però trovo trascurabili, parlo di sensazioni. Se la Jackson con la sua mano fatata non aveva bisogno di un linguaggio forte e caciarone per fare una paura incredibile, qui Wise non ha bisogno di mostrare alcunchè. Qua si mostra il minimo indispensabile, non si usano facili stratagemmi per spaventare. Hill House non ti vuole far prendere uno spavento, ti vuole far morire di paura. E ce la fa.

I personaggi mi sono sembrati resi benissimo, Eleanor ha uno sguardo sbarrato e perso che ha fatto quasi più tenerezza che nel libro. Il viso dell'attrice è quasi infantile e fragilissimo, una scelta di cast perfetta per un personaggio che già nel romanzo mi aveva colpito al cuore. Theo, d'altro canto, non è da meno, e se la detestavo di là, figuriamoci qui che posso darle un volto.
La casa è, ovviamente, di uno splendore tetro, e vederla in bianco e nero è angosciante il giusto. Ovvero tantissimo. 
Il fatto che fantasmi e case infestate siano i miei preferiti da sempre forse influisce sul mio entusiasmo, sono disposta a riconoscerlo, ma vi dico questo: che leggiate il romanzo o guardiate il film poco importa, provate ad uscire indenni dalla scena della mano e poi tornate a dirmi che non vi ha fatto paura.
Buona fortuna.

mercoledì 31 agosto 2016

Hellraiser

14:31
Leggo libri con la stessa velocità con cui riesco a mangiare un etto e mezzo di patatine alla paprika (e ci riesco molto molto velocemente), eppure Barker è sempre stato fuori dai miei programmi. È nelle mie cartelle sul pc (io leggo in digitale), ma il nostro incontro non è ancora avvenuto. La visione di Hellraiser è stata quindi improvvisata e priva di preparazione.

La smaniosa ricerca del piacere porta Frank a giocare con un simpatico attrezzo (che a me ha ricordato il marchingegno di Cronos), e, sempre se abbiamo visto Cronos, sappiamo che giocare con i simpatici attrezzi ha delle conseguenze che raramente sono positive. Finisce sempre di smettere di essere umani e poi c'è bisogno di aiuto della gente per tornare in forze, e nessuno è contento.


A costo di ripetermi, devo parlare del fatto che scrivere di film così famosi diventa complicato, perché il web pullula di recensioni e opinioni e post sul tema, ma vi stupirò con mirabolanti effetti speciali dicendovi che a me non è che Hellraiser sia proprio piaciutissimo.
Spiegamoci.

Per spiegarci servono SPOILER.
Il film si apre con Frank che fa una cosa stupida (giocare col simpatico attrezzo), e prosegue con famigliola che trasloca, dove con famigliola intendo marito e moglie, dove con moglie intendo stronza maledetta.
(Sono molto bigotta verso il tema corna, stateci)
Non abbiamo grande tempo per empatizzare con la coppia, perché li conosciamo da una manciata di minuti e già vediamo che la moglie si fa il cognato. Brava, Julia, brava. Lo conosce, finiscono a letto, nessuno che valuta l'ipotesi si interrompere il matrimonio per vivere la relazione alla luce del sole, no, due conigli. Frank si rivela da subito un detestabile arrogante, incapace di pensare ad altro che a se stesso. Il suo ritorno, che avviene indirettamente grazie al fratello (oltre il danno la beffa), non può essere completo fino a che il suo corpo non tornerà ad avere sembianze umane, e questo può avvenire soltanto con dei contributi di sangue. Chi lo potrà mai aiutare? Chi, se non quel pagliaccio di Julia?
Sia chiaro, lungi da me mettere in discussione le relazioni altrui, so bene quanto un amore malato ti vincoli a sè facendoti fare quello che più gli aggrada.
Ma noi, di questo amore, cosa abbiamo visto? Uno sguardo di troppo, un paio di scene di sesso, poi di colpo Frank è diventato uno scheletro sanguinante e lei, senza fare la minima piega (sia mai che interviene un minimo di morale), raccatta uomini al bar e si trasforma in omicida. Da un horror non sempre mi aspetto grandissimo approfondimento psicologico, e non me lo aspettavo qui, ma mi è parso tutto molto rapido e forse anche un po' approssimativo.
Per finire, non ho amato nemmeno il finale. Se tu, Cenobita, mi dici che una volta avuto Frank io sarei stata libera, allora mi lasci libera per piacere. Altrimenti c'è qualcosa che non quaglia.


Del resto, tutto quello che non è stato speso in psicanalisi delle situazioni e dei personaggi è stato senza dubbio investito in sangue e make up e gore. Pochi soldi ma di sicuro ben spesi, per me è stato un buon lavoro. E sì, ammetterò anche che i Cenobiti, con tutti quei colori freddi intorno ai loro testoni, hanno esercitato su di me un discreto fascino. Niente a che vedere con l'angoscia che mi causa Michael Myers, ormai lo sapete, e di sicuro non hanno nemmeno un quarto della simpatia di Freddy, ma si difendono bene. Forse nella mia personalissima scala vengono prima anche di quel Jason a cui per ora non voglio benissimo. (Jason, non Pamela, ché a lei sono affezionata!)

Guardatelo, per carità, ché la cultura ci vuole e perché penso di essere una delle tre persone al mondo a cui non ha convinto del tutto, però poi non venite qua, carichi delle vostre aspettative deluse sottobraccio a dirmi che non ve l'avevo detto.
Poi qualche giorno leggo il racconto e torno qua ad aggiornarvi.

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