venerdì 25 dicembre 2015

L'OST della mia vita.

18:13
Ogni tanto faccio prendere alla cameretta una boccata d'aria, cambiando il tema principale per finire a parlarvi dei miserabili fattacci miei. Approfitto quindi dell'aria dolceamara che si respira in questo periodo per ripercorrere un po' la mia (lunghiiiiiiiiiiisssssiiiima) vita in canzoni.
Se in questo spazio parlo di cinema e poco altro, nella vita 'reale' il mio argomento preferito è la musica, soprattutto considerato che è la passione che mi lega ad alcune delle persone più importanti della mia vita.
(Ho paura che sarà un post di quelli luuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuuunghi)

Primi ricordi
Il perculo nei miei confronti da parte della mia famiglia scorre selvaggio da quando ho memoria. I primissimi episodi vedono mia madre canticchiare questa canzone per mostrare ad amici e parenti quanto fosse brava la sua scimmietta ammaestrata a ballare:
(Queen - Living on my own)


Se avete letto questo post qui sapete che sono venuta su a pane e Dirty Dancing, film che mi accompagna da 25 anni grazie alla passione di mia madre. Tra tutte le (bellissime) canzoni che ci sono nel film, una in particolare è per me simbolica, ancora oggi la ascolto con le palpitazioni:
(Eric Carmen - Hungry Eyes)



Per quanti di voi ancora non lo sapessero, io sono cremonese. Vivo nella radiosa nebbiosa Pianura Padana, e c'è un gruppo famoso in tutta Italia che qui nelle mie zone viene adorato con fede simil-religiosa: i Nomadi. Il mio primo concerto dal vivo è stato loro, sulle spalle del mio gigantesco cugino, alla bellezza di anni 5. Oggi le canzoni che amo di più sono Ofelia e La canzone della bambina portoghese, ma quando ero piccina la mia preferita era per forza di cose la preferita di mio padre: Il pilota di Hiroshima.


[P.S. malinconica: di questo concerto avevo una videocassetta che veniva trasmessa con regolarità settimanale in casa mia, dovrebbe essere uno degli ultimi concerti dei Nomadi con Augusto Daolio. I miei l'avevano visto e poi si erano comprati il video. Per me il gruppo è morto con lui, ascoltarli con un'altra voce mi è impossibile.]


Un po' dopo l'infanzia 

Se pensate che la qui presente me sia stata indenne al periodo boyband la risposta è NO ovviamente e per me la parola boyband ha solo un significato: i Backstreet boys. Amante folle di Nick Carter quale ero ascoltavo solo loro e sebbene tutti stiate pensando ad Everybodyyyyy yeah rock your bodyyyyy yeah eccetera, sappiate che la canzone #1 dei signori qui sopra è un'altra, Larger than life.



La fase boyband non si è certo conclusa con loro. Forse dovrei vergognarmene, e invece no. Perché sono arrivati i Blue e ragazzi quanto stavo male, roba che le directioners se vogliono levarsi per favore, le principianti vanno in fondo a destra. Una malattia, numero massimo di foto e poster raggiunto in camera CENTODICIASSETTE e vorrei che fosse solo un eufemismo. Vittima del mio amore era Lee Ryan, lo ricordo ancora con l'affetto che si prova verso il preferito tra gli ex morosi. Io e la mia migliore amica del tempo (ciao Kià, non vergognarti, vieni qua a ricordare il nostro passato, facciamoci due risate) praticamente non parlavamo d'altro, e meno male che lei amava Duncan, perché non credo saremmo potute stare entrambe sullo stesso pianeta se avessimo amato lo stesso. Il primo concerto a cui sono andata di proposito è stato il loro, lacrime e singhiozzi, momenti d'oro. Potrei linkarvele tutte e voi sareste autorizzati ad immaginarvi una quindicenne con i calori che piange in camera sua, ma sceglierò quella che è stata responsabile di parecchi miei prosciugamenti. Pregasi notare la zarraggine potente della copertina dell'album.
Elements


(Altri grandi amori: Alive, How's a man supposed to change, When Summer's Gone, Breathe Easy rmx, No Goodbyes)

In modo del tutto inaspettato, è in questo periodo che è nato il mio amore per i Pink Floyd. Non ridete, non lo so neanche io cosa ci azzeccano con i Blue. Ho trovato un giorno una cassetta di vecchia musica di mio padre e sono rimasta folgorata da Another brick in the wall, con incredibile originalità. Oggi, però, la canzone su cui mi commuovo più di frequente, un gigantesco orgasmo uditivo a cui non riesco ad abituarmi, è quel capolavoro qui:



Periodo superiori, che chiameremo 'Era Sofonisba' in onore della mia super scuola

Nel periodo delle superiori ho sperimentato molto, fino a che sono giunta a quella conclusione che vale ancora oggi come mio principale metodo di approccio musicale: io vado per colpi di fulmine. Ascolto una canzone una volta, se faccio 'Ah! Interessante!' allora di solito son fregata, parte la mania.
Nel tempo, queste canzoni e di conseguenza questi gruppi sono stati la mia mania:

Panic! At the disco - I write sins not tragedies (ai tempi si scrivevano col punto esclamativo, non lo scriverò mai senza)


(Amatissime da moi anche Lying is the most fun a girl can have without taking her clothes off, Always e Let's kill tonight. La voce di Brendon Urie ancora oggi non mi è indifferente)

Blink 182 - Adam's song


Ditemi che al liceo non avete ascoltato i Blink o i Sum 41 e non vi crederò MAI.
MAI.

Fall Out Boy - This ain't a scene it's an arms race
Ma di cosa stiamo parlando, esageratissimi. Mai dimenticati, sono ancora il gruppo che metto su quando faccio ginnastica. Carica immensa, mine notevoli, un ultimo album che non è bello quanto Infinity on High ma insomma.


(Non scherziamo, i FoB si ascoltano tutti, ma in particolare: Chicago, Dance Dance, The take over the break's over e, OVVIAMENTE Thnks fr th mmrs, quest'ultima possibilmente urlando come se non vi importasse di conservare le corde vocali)

Michael Jackson - Dirty Diana
Il Re. Uber alles. Figura controversa quanto volete, non indago sui fatti che vanno oltre la sua musica, ché quella è sufficiente a darmi quello che mi serve. E' morto il giorno in cui avrei dovuto fare la seconda prova dell'esame di maturità, quel giorno andare a scuola è stato ancora più difficile.


(Ascolto regolarmente: Ghost, Billie Jean, Scream, The way you make me feel, In the closet)

Come ogni persone della mia età ho amato i 30 Seconds to Mars, per cui è obbligatorio per me condividere con voi Lei:


Ma, fossi in voi, ascolterei anche The Kill. Ricordo con lacrime dalle risate quella volta che io la mia amica Elena (attualmente la persona con cui parlo principalmente di musica e di un'altra tonnellate di altre cose che però sono off topic) abbiamo sospirato convinte che Jared ci dicesse 'Marry me' e invece era 'Bury me'. Sono attimi di vita che restano.

Per un periodo limitato mi sono piaciuti anche i Linkin Park, nel periodo di Meteora per intenderci, ma oggi non li sopporto e ascolto una sola loro canzone, questa:


Da brava adolescente che si credeva ribelle, poi, non potevo lasciare fuori i System of a down, da urlare contro la porta dopo un litigio con i genitori.


Da tenere poi sempre a mente che Serj Tankian si ascolta anche da solista e in particolare si gioca a star dietro alle parole di Empty Walls.

Sono poi andata un po' per fasi, Articolo 31, The Kooks, The OffspringsIncubus, Oasis, Pink, Lana Del Rey...

L'età dell'anzianità (aka oggi)

Da un simile passato non poteva che uscire un minestrone. Vale ancora la sacra regola per cui ti ascolto - mi colpisci subito - mi viene una fissa.

I Flogging Molly
Gruppo preferito del mio moroso, ho negato di amarli fino alla morte, per non ammettere che in realtà quello di cui mi ero innamorata era lui.
Il problema è che loro sono musicisti incredibili, dal vivo (mi sono dovuta fare 3 giorni in Germania per riuscire a sentirli, ma sono valsi ogni chilometro) sono straordinari, coinvolgenti, ubriachi e divertenti.
Sentite che roba.


(Da questo concerto è stato tratto un album. ASCOLTATELO)

The Black Keys
Sento già i miei amici dire 'Baaaaaaaaaaaastaaaaaaaaaaaaaaa' perché per MESI gli ho rotto il rompibile canticchiando Howling for you. Canzone divertentissima, eh, ma li amo soprattutto per questa:


Voci di corridoio dicono che dal vivo non siano grandiosi, ma io sono in fase di negazione. Molto molto molto carino anche l'album di uno di loro che ha fatto l'egoista solista - Dan Auerbach, io ascolterei fossi in voi Trouble Weighs a ton.

Ed Sheeran
Ascoltatemi: lo so che è associato alle peggio bimbominchia, lo so. Ma date una chances a Sheeran perché è uno degli entertainer più talentuosi del momento. No no, spegnete Spotify che le sue canzoni in versione studio non rendono. Lui va visto in live. Sempre in quel festival che mi sono fatta in Crucchilandia ho goduto della magia che il gingerino sa fare: lui da solo sul palco quasi spoglio, una chitarra, un loop, e una voce di quelle sexy in modo imbarazzante. Vi dò un esempio:


Mumford and sons
Mamma i Mumford. Compito per domani: mollare tutto e ascoltare tutto, album a scelta ma consigliato Babel. Canzoni da alzarsi in piedi sulla sedia e battere le mani. Hanno un banjo e non hanno paura di usarlo. E COME lo usano, signori.
Canzone da ascoltare sempre:


Ascoltate il testo, e provate a cantarla senza sentirvi Tyrion Lannister, avanti.

Paolo Nutini
Due parole: brau e bèl.


Passenger
Ci hanno talmente frantumato l'anima con Let her go che ci siamo dimenticati di che incanto di canzone sia. Talmente incantevole da far venir voglia di conoscere Passenger, che ha una modalità di ascolto che segue regole precise: si ascolta SEMPRE guardando i video, di una bellezza rara, con delle candele accese e un po' di malinconia. Dal vivo emozionante ed emozionato come pochi, un gioiello che ancora si sorprende del suo meritatissimo successo e del fatto che le persone lo amino.
Holes, la canzone che vi faccio ascoltare, è un moderno inno alla gioia, è la speranza, la critica al vittimismo, il tutto nascosto in un brano frizzante che pare uno spumantino da farci lo spritz.


Canzoni miste che per qualche motivo mi colpiscono dritto sullo sterno

Closer, Kings of Leon


The Wolves, Bon Iver


The blower's daughter, Damien Rice


Like real people do, Hozier


Writing's on the wall, Sam Smith


Alessandro Mannarino, Statte zitta


Poi se volete parliamo dei Gogol Bordello, dei Dropkick Murphys, di James Bay e del suo omonimo Taylor, degli Oasis, di chi volete!
Ne parliamo? Eh? Eh?
Mi dite chi ascoltate così mi innamoro di musica nuova in modo da potervi tediare con nuovi post musicali? Eh?

EH?

lunedì 21 dicembre 2015

Non solo horror: Star Wars - Il risveglio della Forza

14:22

Caro R,
di nuovo Star Wars e quindi di nuovo tu. Facciamo che l'altra volta non è mai esistita, eh? Che io La minaccia fantasma non l'ho mai visto.
Ti ho regalato i biglietti, prenotati con largo anticipo, nonostante io sia completamente estranea alla fandom (che parola da bimbaminchia oh), nonostante ti prenda sempre in giro, perché poche altre volte ti ho visto così impaziente nell'attesa di qualcosa. Così entusiasta, così coinvolto. Penso di averti reso così felice poche altre volte in questi quattro anni. Ti ho invidiato anche un po', per questo tuo essere parte di questa planetaria famiglia di persone felici, in fremente attesa di quella che è una cosa solo apparentemente piccola, un film. Mai che mi sia lamentata della devastante campagna online, dell'esplosione delle guerre stellari dell'ultimo periodo, perché per me eravate bellissimi. Adoro gli esseri umani quando sono legati da una passione così forte. So che il motivo per cui comprendi come mai amo così tanto questo blog e quello che ci faccio dentro è perché anche tu hai una passione così.

È stato bellissimo sentirti raccontare l'Episodio IV alla tua morosa ignorante, è stato coinvolgente e vederti così eccitato, gioioso, è stato stupefacente come vedere un bambino per la prima volta davanti ai fuochi d'artificio. Se possibile ai miei occhi eri ancora più bello.
Ero preparata a dormire, però, e io dormo SEMPRE in sala, lo sai bene. Due ore e passa di roba fantasy con i robot pronte a spedirmi tra le braccia del mio nemico di sempre, Morfeo. 
Alla faccia delle migliori delle aspettative, sono stata sveglia. 

Sono tanto sorpresa quanto lo sei tu, che il giorno dopo hai raccontato a tutti traboccante di gioia che 'Star Wars è piaciuto anche alla Mari!!'. Eppure mi è piaciuto davvero. 
Leggo online cose estreme, sto film è osannato (lo vuoi leggere o no questo post del Doc Manhattan che te l'ho già detto mille volte?) oppure screditato e liquidato con due paroline buttate lì tipo 'Fa cagare', cosa che mi sta sulle balle a prescindere.
Chiaramente il mio giudizio è filtrato sulla base del fatto che non ho colto mezzo riferimento manco a domandarlo per piacere, fattelo bastare com'è.

Nonostante la mia estraneità ai personaggi l'aria di 'ritorno in famiglia' mi è stata chiarissima, tanto da fare sentire un po' l'emozione di rivedere certi volti anche a me che non sapevo nemmeno a chi appartenessero, a parte Harrison Ford che però io associo solo al nome Harrison Ford. Sono i dettagli che fanno la differenza, e la scelta di far dire proprio quel 'Siamo a casa' che si sente anche nel trailer, oppure quella di mettere in stand-by un droide perché manca il suo 'compagno' (come si dice? che relazione c'è tra i due? aiutami dai), sono state adorabili ma mai cheesy. 
Ho avuto la sensazione che ci sia un'aria di tolleranza che noi ci sogniamo, nel mondo che tanto ami. Persone di pianeti diversi, di razze diverse, amiche come se fossero identici, legate da un rapporto tale che supera le apparenti problematiche comunicative. Noi facciamo fatica a sopportare gente come noi, questi comunicano con uno alto due metri e venti abbondanti come se fosse uno di loro. Visi deformi, pelosi, troppe troppe zampe, ma tutti uguali. L'unica cosa che li distingue è il loro appartenere al Bene o al Male, ovvero quello che possono scegliere. Mi pare che la sola cosa veramente fantascientifica di sto film sia questo.
La scelta è un bel temone del film,o così mi è parso. Ha fatto una scelta Finn (e però a quelli là del Primo Ordine sta di un bene che mi ridono persino le chiappe, perché se lavori con gli esseri umani questo è quello che ti può succedere, non importa quanto bene li addestri. Abbiamo capacità di pensiero, abbiamo quella cosa che ai cristiani piace chiamare libero arbitrio. Vi tenevate i cloni e poche balle), ma l'ha fatta anche Kylo Ren. Entrambi sono stati torturati dal cervello fino a che hanno preso una posizione, è quello che succede anche a noi, eh. Le cose ti girano in testa, e ballano e ballano e ballano fino a che non le blocchi. E le blocchi agendo.
Agiscono entrambi, portandosi appresso le conseguenze. 
Ho temuto un po' per te e la tua emotività, ma hai conservato la tua preziosissima dignità, sono molto fiera. 

Vorrei dirti che anche le scene d'azione mi hanno tanto appassionato, che mi sono sentita fomentatissima e che domani inizio anche io l'addestramento da giovane padawan, ma conosci troppo bene la tua polla, di quelle cose lì non me ne frega niente. Per me spade, navi, armature, zero proprio, non noto la differenza tra una cosa e l'altra e per il momento mi va bene così.
Mi importa quanto mi sono divertita, quanto il ritmo sia stato (incredibilmente) in grado di tenermi sveglia sebbene fossi reduce da diversi turni di mattina al lavoro, quanto mi sono emozionata nonostante arrivassi al cinema conoscendo già la fine del film. 
È per questo che nessuna recensione negativa avrà mai presa su di me: mi ha intrattenuto quando credevo avrei odiato ogni fotogramma, e questo nessuna critica oggettiva e ben argomentata può togliermelo.
Non solo è stato un bellissimo modo di trascorrere una serata con te, questo Star Wars ha fatto anche una cosa che ha dell'utopico: mi ha fatto venir voglia di guardare subito sto benedetto Una nuova speranza. 
Tu porta il film, io faccio i muffin.



giovedì 10 dicembre 2015

Non solo cinema: Annientamento

08:00
Se siete qua significa che avete una connessione Internet, e avere una connessione Internet di questi tempi è la sola condizione necessaria per sapere cosa sia Annientamento.


Per chiunque sia appena tornato sulla Terra da un viaggio interplanetario: trattasi del primo libro della trilogia del momento, quella dell'Area X, frutto del lavoro del buon Jeff Vandermeer, che se amate scrivere come moi conoscerete per quell'incanto del Wonderbook. Pare essere la trilogia che dà nuova veste al new weird, la rivoluzione, il culto.

Sempre se siete appena tornati dal viaggio di cui sopra vorrete sapere di cosa si parla: si parla di quattro donne, senza nome ma identificate solo tramite il loro lavoro, che partono per una spedizione all'interno di una particolare zona degli Stati Uniti, la famigerata Area X. Pare che questa Area sia una zona particolare, in cui la natura ha ripreso il sopravvento e in cui si verificano fenomeni poco chiari. Le precedenti spedizioni sono state un fallimento, nessuno è tornato e chi lo ha fatto era meglio se ne stava dov'era. Noi affrontiamo la dodicesima, la prima ad essere composta da una squadra di sole donne.

Io sono convinta che Vandermeer abbia una mente di quelle a cui guardo con un misto di invidia marcissima e sconfinata ammirazione. Lo pensavo sfogliando il Wonderbook e lo penso avendo concluso il primo volume di questa benedetta trilogia di cui non me ne poteva fregare di meno fino a quando il web si è messo in testa che la dovevamo amare tutti.

Io sono una lettrice veloce, mangio i libri e non c'è alimento che mi sazi di più.
Eppure, queste 180 paginette mi hanno portato via un sacco di tempo. Perché all'inizio ho DETESTATO Annientamento con tutte le mie forze.
Poi ho realizzato che non era il libro ad essere il destinatario del mio odio, quanto quella viscida, algida, supponente e presuntuosa della sua protagonista.
Ho faticato a proseguire nella lettura perché tutte queste pagine sono in prima persona. Sono considerazioni personali e riflessioni di questa sublime stronzetta.
Resa assolutamente umanissima e tridimensionale dalle capacità del suo creatore, ma detestabile come poche.

Bisogna essere disposti a passarci su. Accettando che lei è così e facendosela andare bene, si passa a vedere tutto quello che c'è dietro, e quello che c'è dietro, in quanto frutto della mente di cui sopra, non poteva che essere un lavoro incredibile.
Si tratta 'semplicemente' di sana ma atroce inquietudine, quella che pervade completamente e lascia annientati, appunto.
Con quella brutta cretina di una biologa entriamo in un luogo ostile e di cui non sappiamo nulla, non sappiamo niente di quello che ci può succedere, nè del modo in cui ci può accadere. L'Area X è un mistero di quelli completi e totalizzanti: ci vai (volontariamente, per i motivi più disparati) ignorando quasi tutto di quello che la riguarda e nel giro di pochissimo tempo ti renderai conto che anche quel poco che sai è falso. Non sai niente nemmeno di chi ti circonda, chi sia o meno meritevole della fiducia che, volente o nolente, in una situazione simile sei costretto a dare. E, a loro volta, gli altri non sanno niente di te, e tu hai delle importanti limitazioni su quello che puoi o vuoi dire.

La biologa è vittima da qualsiasi punto di vista: è vittima dell'Area, che ha su di lei un'influenza che non si può controllare, è vittima della psicologa che ha il ruolo grossomodo di leader della missione, è vittima della misteriosa organizzazione che studia l'Area, è vittima delle proprie radicali e infrangibili convinzioni. Ogni passo compiuto in una certa direzione potrebbe essere l'ultimo, ogni scoperta, ogni volta che sembra di stare andando nella direzione giusta, ci si sta avvicinando invece sempre più al pericolo.
Un pericolo senza faccia, senza nome. Perché non si tratta solo di una creatura, di un mostro che, in quanto reale e singolo, si può sempre (in potenza) sconfiggere. Qui il problema è che il pericolo è ovunque e non si ha la più pallida idea di cosa sia e di cosa possa causare.
È paralizzante.

Il mio amico Jeff va letto.
Se non altro per sapere se questa volta l'amore collettivo del web è stato ben incanalato.
E per me, nonostante tutto, sì.

sabato 5 dicembre 2015

#CiaoNetflix: Sense8

17:45
A parte rare eccezioni pertinenti con l'anima del blog, non parlo mai di serie tv. Un po' perché con quelle ho la bocca buona, sono una delle poche che ancora segue quel disastro che è diventato The Big Bang Theory.
Però sono una che sulle serie si emoziona tantissimo. Piango ancora al Not Penny's boat, alla proposta di matrimonio combinata tra Monica e Chandler, alla ironica e dolceamara ricomparsa di Sherlock, al ristorante. 

Con quelle premesse qui, poteva essere una buona idea guardare Sense8?
No. Ma io, come i calabroni, non lo sapevo e l'ho guardato lo stesso.
E ora, dopo una maratona di due giorni (siano lodati i lavori su turni), sono qui che mi lecco ferite autoinferte.


Non leggete le trame su Netflix che le ha scritte un ragazzotto sotto droghe leggere, ascoltate me: Sense8 parla di persone che, per motivi che al momento non ci interessano, si ritrovano ad essere estremamente collegate e a condividere tutto, pensieri ed emozioni.
È definita una serie di fantascienza, ma continuate ad ascoltare me quando vi dico che anche se la fantascienza vi fa schifino (come, ehm, a me) questa cosa qui la dovete guardare perché proprio siamo su un altro livello. 

Siamo dalle parti di quelle cose che, più o meno consciamente, fotogramma dopo fotogramma, ti entrano dentro e si prendono ogni aspetto della tua emotività. Alla fine del primo episodio sei già un Sensate pure tu: le loro emozioni sono le tue, le loro sensazioni le provi come loro, altrettanto intense. 
I Sensate sono otto persone comuni, ognuno con le sue gabole per la testa. Problemi familiari, economici, legali, sentimentali, professionali. C'è l'attore che non può vivere la sua storia d'amore (incantevole, mi hanno fatta sognare dal primo momento) per non rovinare la sua carriera, la ragazza trans in lotta con la famiglia. . . nessuno di loro è un personaggio assolutamente irreale. Sono persone comuni, tridimensionali, ogni loro azione, anche quelle più lontane da noi (penso al tedesco criminale), sono comprensibili e, in un certo senso, condivisibili.


Ci sono sentimenti già nati, di cui noi veniamo solo fatti partecipi, ed altri che nascono sotto i nostri occhi ed è quasi inevitabile che sia così. Incontri (beh, più o meno) una persona nella tua vita e per la prima volta senti che comprende davvero quello che senti. Ha totale accesso alla tua parte interiore, la sente propria, è il concetto massimo di apertura all'altro, noi ce lo possiamo solo sognare. Noi saremo sempre condizionati, il nostro esporci anche alla persona che amiamo non potrà mai avere questo livello di genuinità. Se Lito ed Hernando avessero avuto questa possibilità si sarebbero risparmiati una bella dose di dolore. È il mio cuore che è il tuo, il mio cervello che è il tuo.

Perché è un po' questo il senso che ho più amato di Sense8: è tutta questione di menti aperte. Sono aperte in maniera esponenziale le loro otto, di menti, connesse anche nei pensieri e nei momenti più intimi. Ma anche quelle di chi li circonda: Amanita e sua madre, comprendono e sono incuriosite da quello che succede a Nomi senza farsi troppe domande, Daniela è fin troppo aperta verso la coppia di amici, Rajan è aperto a comprendere il lato religioso della fidanzata pur non condividendolo, il collega di Will è costretto a lavorare con uno che limona da solo ma tranquillissimo, gliene frega meno di niente. E l'intelligenza convenzionalmente intesa, e la cultura, non hanno niente a che vedere con questo: il ragazzo di Nairobi, nullatenente e con una vissuta di stenti. è quanto di più aperto alle possibilità che il mondo gli ha dato.
Ed è quanto più si avvicini al mio intendere il viaggiare: in pochi episodi abbiamo attraversato il mondo restando nel nostro, proprio come i ragazzi coinvolti. Il tuo corpo è nella 'solita' Chicago, ma ti sei ritrovato a Nairobi, in Corea, a Berlino, in India. E tu, che con la tua mente sei dentro a persone che quell'ambiente così lontano e diverso lo vivono come proprio, cresci. Diventi come carta assorbente per le culture, le usanze, il modo di pensare. È incredibile, è il mondo che è un paese solo, è l'intera umanità rinchiusa in un solo cervello. 
È che siamo tutti uguali, che i miei bisogni sono i tuoi, che i miei dubbi sono i tuoi, che le mie crisi sono le tue. È che io posso essere in crisi sulla mia omosessualità, e tu sulla tua transessualità. Siamo lontani, lontanissimi, eppure così uguali. È che come amo io, ami tu. Ed è tutto quello che conta.


Un incredibile viaggio all'interno dell'umanità, che è una e un milione, che è poliedrica e colorata, ma che finisce per essere perfettamente identica: tutti che cantiamo le 4 Non Blondes, e godiamo del momento liberatorio che una canzone così bella ti regala.

martedì 1 dicembre 2015

Signs

17:34
Si sta parlando in massa di The Visit, ultima fatica di uno registi più perculati della blogosfera: Shyamalan. Lo so che non lo trovate mai in giro scritto col nome giusto, noi ci divertiamo a storpiare il suo nome da brave personcine mature quali siamo, ma garantisco che il film è suo.
Ne ha parlato anche Frank, qui, e parlandone diceva che Shallallà ha fatto delle belle cosine (e guardate che Frank è uno a cui non era piaciuto Il sesto senso) tra cui la prima parte di Signs, che ho realizzato di non avere mai visto.
Per cui, mentre i blogger seri parlano di nonni e mockumentary, io, facendo leva sulla mia possente trasgressione, parlo di Shyamalan sì, ma di alieni.

Alieni che travolgono le vite di Graham, Bo, Morgan e Merrill, una famiglia già scottata dalla perdita della donna di casa: mamma, moglie e cognata. Si parte dai cerchi nel grano, fino all'arrivo degli autori degli stessi.


Premesso che gli alieni non mi hanno mai fatto paura e che il fenomeno dei cerchi nel grano mi incuriosisce in un modo incredibile, a me il film di Shallallero è piaciuto.
E non è scontato, perché con questo qui o si parla di filmoni o di misere cacchette, non so come ci riesca. Vogliamo ancora tutti un gran bene a The Village, ma siamo gli stessi che cercano di capire come gli sia venuto di mettere Zooey Deschanel in un film horror.

Guardare Signs per la prima volta in questo particolare momento storico rimanda alla mente certi riferimenti che danno al film quasi un'aria di inquietante premonizione.
Enormi problemi globali (il mondo intero è colpito dai cerchi nel grano, si parla di Gerusalemme, Pechino...) vissuti nella piccola quotidianità di una fattoria sperduta chissà dove. Un pericolo incombente, la possibile fine del mondo (come lo conosciamo). Mi è stato fin troppo semplice pensare a quello che stiamo vivendo, al nostro comodo e pacifico mondo occidentale che viene scosso tremendamente da 'alieni' che, forti delle loro convinzioni, vengono qui e ci uccidono mentre siamo ad un concerto. E noi, comuni cittadini, non abbiamo alcuna arma per difenderci, possiamo al massimo inchiodare le finestre e calmare i nostri bambini raccontandogli il momento della loro nascita. Accendi la tv e senti le notizie, vedi la cartina dell'India tempestata di fenomeni di cerchi nel grano e pensi che l'India è lontana da te, quel segno strano nel tuo, di campo, te l'ha fatto il vicino di casa dispettoso. Poi non è più solo l'India, è la Cina, Israele...è il mondo intero che sta combattendo un nemico comune. Quando poi vai dal compaesano e scopri che quel nemico lì è chiuso nel suo sgabuzzino, cominci a fartela sotto dalla paura. Più le cose sono vicine a te più sono reali. E non è indifferenza verso il resto dell'umanità, è timore. Se il cerchio nel grano è proprio nel tuo giardino, a meno di un miglio dal viso di tuo figlio, il timore diventa terrore.
Mi sono riconosciuta in tantissimi sentimenti dei quattro personaggi: nell'ingenua paura della piccola Abigail Breslin, che sapete essere la salamotta che ha fatto nascere in me l'istinto materno (come si partoriscono bambine belle così? non me ne capacito), nella feroce curiosità del giovane Morgan, nella spietata serietà del padre. E nel liberatorio pianto finale dei quattro,


Posso quasi anche accettare che l'alieno sia francamente ridicolo, davvero. Ho sempre più paura del non visto, e unghie lunghe verdi avrei preferito davvero non vederle. Ma non ho mai detto che fosse un film perfetto. Joaquin Phoenix, poi, piccola perla che non è altro, lo voglio ricordare con un imbuto di alluminio in testa, perché nessun'altra immagine gli renderà mai altrettanta giustizia.
E poi, sì, poi parliamo anche di nonni.

giovedì 26 novembre 2015

#CiaoNetflix: Coraline e la porta magica

22:09
Chi è che sta per iniziare una nuova rubrica che non finirà mai?
In questo caso forse il fatto che sia infinita è un bene, vuol dire che Netflix continuerà ad ampliare il suo catalogo, cosa di cui tutti noi gioiamo battendo felicemente le manine.

Iniziamo a parlare delle offerte Netflix parlando dell'incantevole Coraline, storia di una bambina che, in seguito ad un trasferimento, si accorge di avere una famiglia 'alternativa', notevolmente superiore a quella in cui è nata, fatta da genitori assenti e distratti. Come al solito, non è tutto oro quel che luccica.


Sapete quanti traslochi ho fatto nella mia vita? Sei. E ho 25 anni.
Ogni volta rabbia e frustrazione come se fosse la prima, soprattutto quando ero più piccola e da un paesino della provincia di Cremona sono finita in una cittadina della Toscana. Ogni tua certezza, ogni aspetto della tua routine se ne va a farsi friggere, e tu devi ricominciare da capo, trovare un nuovo equilibrio, adattarti alla nuova vita, come se adattarsi alla prima, di vita, non fosse sufficientemente difficile. (OST del mio primo trasloco: Daniel, di Elton John. Non giudicatemi) Ti restano giusto i tuoi genitori, la sola cosa rimasta uguale a prima del trasferimento.
Quando questi lasciano un po' a desiderare, però, è un attimo desiderare di cambiarle anche quelli. Come abbiamo sempre desiderato tutti, una volta nella vita, e come ogni ragazzino finisce per augurarsi non appena le cose non vanno proprio come le voleva.

Coraline ha subito il trauma di un trasferimento, e ha bisogno di ogni attenzione. Ma i suoi, assolutamente a sorpresa, sono umani. In quanto tali, a volte hanno la testa altrove, sono stressati, distratti, e non si accorgono dell'ovvio. Non si accorgono di quanto un paio di guanti possa essere importante per affrontare il primo giorno in una scuola nuova. E quindi, non li comprano.
L'avremmo desiderata tutti quell'occasione lì, quella che ha avuto Coraline. Provare a cambiare vita, avere i tuoi genitori nella versione migliore di loro stessi.
Perché la vera carognata del film di Selick, a cui sarà sempre rivolto il nostro cuore da amanti di Jack Skeletron, non è che a Coraline siano offerti genitori nuovi, modelli da Mulino Bianco. No no, quelli lì sono i suoi, però al loro meglio. E questo è crudele, è impedire a due persone di avere dei difetti, dei momenti di cedimento, delle debolezze. Perché la versione migliore di te sarà sempre in forma, sorridente e composta, mentre tu sarai lì, spettinata e col fiatone, a correre per starle dietro.


Certo, questo lo vedo a 25 anni. A 15 avrei IMPLORATO per avere i miei sempre al meglio. Ma il momento in cui devi comprendere che tua madre non è soltanto tale ma è anche una donna, una moglie, un'amica, è il momento in cui devi crescere. È il momento in cui inizi ad apprezzarla sul serio, perché inizi a vedere un po' di più il mondo con i suoi occhi, il momento in cui il giardino fiorito comincia ad essere meno importante del tuo dover assolutamente avere una divisa per non dover andare a scuola in mutande, in cui fare la noiosa spesa diventa di vitale importanza se vuoi dare qualcosa da mangiare alla tua famiglia, per cui cerchi di renderlo gradevole proponendo a tua figlia di comprarsi quello che vuole ma lei no, lei vuole i guanti.
Ed è questo scontrarsi sui desideri, questo cercare di capirci spesso non riuscendoci, che rende il rapporto così impegnativo da gestire. È che io da ragazzina sono sempre convinta che tu, madre, non mi capirai mai, perché quando eri ragazzina tu il mondo era diverso. E invece no, noi siamo sempre uguali, il disagio, il malessere di crescere sono uguali.
È solo quando ci scontriamo con chi egoista e crudele lo è davvero che ci accorgiamo della differenza. Che ci accorgiamo che l'amore di una madre si manifesta anche solo sgobbando per la famiglia nonostante il mal di collo, o nell'insegnarti i ruoli nelle faccende domestiche.
Che l'amore sta lì, dove meno ci viene in mente di cercarlo.


Ci voleva un gatto, perché Coraline lo capisse. La soluzione è sempre un gatto.


martedì 24 novembre 2015

PPPasolini day: Salò o le 120 giornate di Sodoma

08:32

Fino a poco tempo fa, se qualcuno mi avesse sfidato a guardare Salò gli avrei risposto, citando Veronica Mars, indossando un rossetto fatto con il mio dito medio.


Poi un giorno Alessandra (DIrector's cult, qui), anche in seguito a quella polemica lì di cui però qui non si parla, ha detto che, insomma, prima o poi lo si doveva fare un giorno dedicato al Pasolini. Prima o poi significa oggi. Le mie dita non mi hanno lasciato tempo per pensare e hanno scritto, sborone, 'Io faccio Salò!'.
Le mie dita sono state severamente punite.

Sottolineo con forza la mia assoluta assenza di pretesa di recensire una cosa del genere. Non ne ho le competenze e non so quante persone al mondo effettivamente le abbiano. Chi sicuramente le aveva oggi non è qui a parlarne, per cui ci arrangiamo. Qui oggi si parla di sensazioni, più o meno a caldo.
Altra premessa dovuta: non si parlerà di Pasolini, paradossalmente. Non lo conosco se non di fama, questa è la prima volta che incontro qualcosa di suo, pertanto ogni frase che scriverò e che conterrà il suo nome sarà da riferirsi solo ed esclusivamente a Salò. (Sì, ho accettato di partecipare al day proprio per iniziare a conoscerlo.)

La trama la conoscete: nell'Italia fascista quattro signori, rappresentanti di quattro forti poteri (il Presidente, l'Eccellenza, il Duca e il Monsignore) si rintanano in una villa, opportunamente isolata, in compagnia di diversi giovani. In questa villa daranno sfogo alle loro perversioni, che non sono poche.

Vi dico immediatamente la mia opinione flash così chi non è interessato agli sproloqui può fermarsi qui: non fa per me.



E adesso, con calma, argomentiamo.

Non conoscendo, mi ripeto, Pasolini, non ho idea di quali potessero essere i suoi obiettivi, con Salò. Se voleva spingere alla riflessione, con me ci è sicuramente riuscito, ma forse non nel modo più scontato. È da quando ho finito la visione che ci penso, ma non rifletto sui contenuti del film quanto piuttosto SUL film. Cerco di spiegarmi.
Io sono una di quelle per cui l'umanità è composta per la maggiore da deficienti. Non pensiate che li guardo con superiorità, io sono una di loro. Per questo motivo ho sempre pensato che per aprire certi occhi troppo chiusi e certe menti troppo ottuse ci volesse la forza. Immagini shockanti. parole intense, contenuti impegnativi. (Dando per scontato il rispetto, chiaramente: non credo che si debba mostrare il corpo di un bambino morto in spiaggia per parlare della situazione dei profughi siriani, per me è stato shockante quell'articolo che mostrava i contenuti delle loro borse, per esempio. Il bambino che alza le mani terrorizzato di fronte ad una macchina fotografica per me è un'immagine sconvolgente. Parlo di cose di questo tipo.). Per questo tutto credevo tranne che sarei finita a fare la moralista. Perché, spoiler, è quello che sto per fare.
Conscia di questa mia opinione credevo che la potenza delle immagini di Salò mi sarebbe stata indifferente a fronte del messaggio che tramite esse si andava a lanciare. Non è stato così. Ovviamente è un film difficilissimo da guardare, anche per gli occhi più consumati dall'orrore, ma non è quello. Il problema per me è stato questo: con queste immagini prepotenti e crudeli si è andati ad affrontare temi fondamentali. Il problema è che in me non sono nate riflessioni nuove rispetto a quelle che ho sempre fatto rispetto, appunto, ai temi in questione. Non so se mi sto spiegando bene per cui faccio un esempio: uno dei temi portanti è il potere, no? Il potere e le conseguenze che ha sulle persone (sia su coloro che lo portano sia su coloro che ne sono vittime) mi hanno sempre fatto paura. L'autorità mi mette in soggezione da che ho memoria, da piccolina odiavo tutti gli uomini adulti tranne Patrick Swayze. Scappavo anche dal mio vicino di casa, e garantisco che non è colpa di alcun trauma, era proprio una brava persona. Non è che Salò mi abbia aperto gli occhi, ha solo dato un'ulteriore conferma a quelli che già erano i miei pensieri. Allora quello che mi chiedo è: mi è servito a qualcosa, vedere stupri, cene aberranti, torture, persone trasformate in pezzi di carne? Credo di no. Ma qui spunta un'altra riflessione. Una mente filofascista, una mente che magari alla questione dell'abuso di potere non ha mai pensato, può avere tratto giovamento da una visione così? Può essere stata per qualcuno una pellicola pedagogica? Qualcuno con il paraocchi, qualcuno che per natura è poco portato al pensiero più astratto, qualcuno che si è avvicinato alla pellicola sperando di vedere tante donnine nude, può avere tratto dei benefici da un film simile? Badate bene che non sono domande sarcastiche, sono riflessioni che condivido con voi. Può effettivamente essere stato il punto di svolta all'interno del cervello di qualcuno?
E se non lo è stato, la colpa a chi è da attribuirsi? A chi non l'ha saputo capire, o a Pasolini, che ha usato un linguaggio che non è fruibile ai più?

Perché quando sei un personaggio così popolare e fai un film, sai che avrà attenzione massima, e che quindi lo guarderà un buon numero di persone. Oggi meno: la sua fama lo precede, e chi si approccia alla visione sa esattamente a cosa andrà incontro. Ma chi invece non se ne rende conto? Chi sperava nel filmettino soft porn? Perché tra tutte le critiche che si leggono raga, quella sulla pornografia non sta proprio in piedi, come sottolinea giustamente Exxagon, perché se riuscite ad eccitarvi con una cosa del genere vuol dire che state male tanto quanto i signori. C'è tanto sesso, sì. Ed è ripugnante, nella sua forma peggiore. Quasi più del sesso in sè, però, a disturbarmi sono stati i baci. Ripetuti e disgustosi baci strappati a quei giovani resi corpi senz'anima; credo mi disturberanno il sonno per un bel po'.


Ogni cosa di questo film è volta ad angosciare chi lo guarda, c'è una cura per i dettagli che mi ha reso difficile vedere ogni singolo fotogramma. Dal soffermarsi un secondo di troppo sugli sguardi vuoti di chi ha perso completamente la dignità, all'inquadrare le mani dei signori, elegantemente ornate da fedi nuziali che non hanno fatto altro che dare un tocco disturbante di umanità a chi di umanità ne sembrava privo del tutto. È stata proprio questa totale assenza di umanità a rendermi il film insopportabile, più che le (efferatissime, ho dovuto distogliere lo sguardo molte più volte di quanto mi piaccia farlo) scene di violenza tanto chiacchierate. Non c'è speranza di salvezza, nè di redenzione, nessuno sarà salvo. Occhi spenti indossati da giovani privati dei vestiti (la nudità obbligata per me è terrificante, un'angoscia che non pensavo di provare), come se tutta la loro dignità fosse nascosta lì, nei taschini delle camicie. E le risate, ah quelle mi hanno fatto bollire di rabbia. E la leggerezza delle tre ex prostitute mi ha dato la nausea, sembravano dire 'Vedete, ragazzi? Fate i buoni, che il sacrificio che state facendo ora vi porterà ad essere eleganti e spensierate signore come lo siamo noi.'

Se era questo l'intento di Pasolini, allora con me ha funzionato. Se voleva suscitare in me ogni tipo possibile di sensazione negativa, il film è un capolavoro. Se invece voleva portarmi alla riflessione, invece, non ci è riuscito, per i motivi di cui sopra.
La sola cosa certa è che questo non è la mia cup of tea. Non è il cinema che amo, che mi fa brillare gli occhi, che mi solleva da un periodaccio.
Volevo scrivere 'da un periodo di merda', ma passerà un po' prima che possa dire certe parole con leggerezza.

Ovviamente non ho parlato di Pasolini solo io. Ci sono anche i miei amicy:
Directors' Cult - Mamma Roma
Non c'è Paragone - Medea
Solaris - Pasolini di Abel Ferrara
White Russian - Accattone
Combinazione casuale - Teorema

venerdì 20 novembre 2015

200esimo post: La storia di Andrea

12:32
Qualcuno di voi saprà che scrivo storie per bambini e ragazzi, per cui oggi volevo andare un po' OT e farvi leggere, se lo vorrete, il primo capitolo di un racconto che per me conta come l'aria, ma che no, non si chiamerà 'La storia di Andrea'. Lo voglio regalare al mio blog, che ha avuto la pazienza di sopportare altri 199 post di sproloqui. Spero che pubblicarlo qui sia per me uno stimolo a regalargli molto più impegno. Il cuore no, quello ce l'ha già tutto. Spero anche che vorrete dirmi cosa ne pensate!

EDIT: Non chiedetemi info sul perché sia così malgiusto. Ho provato a risolvere ma Blogger fa quello che gli pare, io alzo le mani.


Andrea Neri aveva deciso che sarebbe scappato di casa. Eccome se l'avrebbe fatto. Fissava con lo sguardo pieno di determinazione la porta dietro cui sua madre – altrimenti nota come L'Arpia – lo aveva appena chiuso, in punizione. La fissava da un sacco di tempo, come se avesse il potere di farla scomparire oppure, cosa che gli avrebbe dato molta più soddisfazione, mandarla in frantumi.
Certo, era la porta della sua cameretta e non quella dell'inferno, ma questo dettaglio era assolutamente irrilevante in confronto al cocente imbarazzo di vedersi mettere in punizione alla bellezza di 12 anni. Come se avesse fatto chissà quale enorme danno, poi. Quel vaso in fondo apparteneva alla povera defunta zia Dina, e non piaceva a nessuno.
Deve leggere, lui! Ha bisogno dei suoi libri, lui! A chi importa se camminando prima o poi darà fuoco alla casa, l'importante sarà che almeno lui abbia i LIBRI!” si sentiva strillare furiosamente la madre, il suono ovattato dal filtro della porta chiusa.
Due settimane di punizione! Due settimane per un vaso! Come se l'avessi fatto apposta. Vuole farmi impazzire, L'Arpia, lo so.” continuava a pensare, camminando istericamente su e giù per la camera. “Devo andarmene di qui.”
Una fuga però non si improvvisa dal nulla e Andrea lo sapeva. Bisogna organizzarsi per bene.
Aveva giusto due settimane libere davanti a sé.

L'Arpia, in realtà, non era così tremenda. Era sicuramente apprensiva, sempre convinta com'era che tutti i mali del mondo si sarebbero incontrati sopra la testa del suo bambino. Ed era severa, quasi sempre. Ciò che agli occhi del suo primogenito la rendeva la creatura terribile che lui descriveva era proprio l'età del figlio in questione.
Andrea infatti stava iniziando a cogliere la vastità del mondo che stava fuori dal suo territorio conosciuto, come se non fosse sempre stato lì ma fosse piuttosto comparso senza preavviso. Ora che lo notava con tanta chiarezza il suo desiderio di conoscenza era diventato incontenibile e ogni limite imposto da L'Arpia appariva ai suoi occhi un crimine contro l'umanità.
Certo, questa apprensione era comprensibile. Erano passati due anni dalla morte di Chiara, ma la mamma ancora non era scesa a patti con l'ingiustizia di vedersi strappata la sua figlia più piccola. Come se l'orrore della prima perdita dovesse necessariamente replicarsi con la prematura dipartita anche di Andrea. Da mamma giusta e tranquilla quale era, quindi, si era trasformata in Arpia.
Il riferimento mitologico non è certo casuale. Andrea andava pazzo per la mitologia, ma pazzo per davvero. Quando era piccolo suo papà (che ancora non aveva nomignoli leggendari, anche se il figlio non escludeva di affibbiargliene uno a breve) gli leggeva una storia ogni sera, e anche ora che i due non vivevano più insieme la mitologia era uno dei loro principali argomenti di conversazione. Avrebbe potuto stare chino sulle pagine di un libro oppure incollato alla tv a guardare documentari sulle sue adorate leggende per ore senza minimamente accorgersi del tempo che scorreva.
In particolare, nutriva una sincera adorazione per gli dei nordici. Non per mancare di rispetto alle dignitosissime divinità greche o romane, dotate anche loro di una discreta dose di fascino, ma gli dei del Nord hanno un'epicità tutta loro. Si sarebbe comprato un cane pur di poterlo chiamare Fenrir. E lui non sopportava gli animali, quindi questo dovrebbe dircela lunga sulla sua passione. Mica come il suo banalissimo nome, scelto in onore dell'attore preferito della mamma.
Avrebbero potuto trascorrere molto velocemente queste due settimane, se solo lui le avesse spese coricato sul divano con un libro sospeso sopra al naso. Ma ormai era questione di principio: non si punisce un dodicenne per un incidente domestico, e che cavolo!
Se la mamma non lo capisce con le buone, devo per forza fare qualcosa.” rifletteva Andrea, in fase di organizzazione del suo piano di fuga, “eppure mi sembrava una donna ragionevole, proprio non riesco a capire.”

Si potrebbe dire senza pericolo di offenderlo che Andrea aveva un aspetto piuttosto buffo, soprattutto in questo momento di scarso controllo. Non appena apriva bocca sorprendeva chiunque grazie alla sua notevole proprietà di linguaggio, che appariva ancora più notevole se si considera che il ragazzino dimostrava al massimo nove anni. A chiunque sottolineasse questa caratteristica veniva riservata la medesima risposta: “Ho alle spalle sei anni di onorato servizio come lettore appassionato. Le parole si imparano.”
Era basso, davvero basso, con la testa leggermente troppo grande e troppo tonda, decorata da un paio di imbarazzanti occhialetti rossi.
Andiamo, nessuno porta gli occhiali rossi alle scuole medie, ma nessuna argomentazione pareva convincere L'Arpia, che non ne voleva sapere di sborsare altri soldi per la sua vista almeno per i prossimi 3 anni.
In questo preciso momento, poi, era fuori di sé per l'umiliante reclusione e si sentiva un po' in colpa per quel vaso. In casa Neri si sentivano troppe assenze, e secondo la mamma gli oggetti erano il modo più immediato per colmarle. Non che Andrea fosse d'accordo, ma pare che i figli non abbiano un gran potere decisionale quando si parla di arredamento.
Insomma, in preda a stati d'animo poco piacevoli il giovane stava seduto sul bordo del letto, con il pigiama ancora sporco della crema di nocciole con cui aveva fatto colazione (e che si era rovesciato addosso perché, ehm, stava leggendo), le guance violacee dalla rabbia e i capelli arancioni arruffati.
Un disastro.
Odino non avrebbe mai permesso ad una futile umana di ridurlo in condizioni che così poco si convengono ad un uomo della sua levatura. Quindi nemmeno Andrea era disposto a lasciare questo trattamento impunito. Una fuga sarebbe stata la soluzione. Mica voleva lasciare sola sua madre per sempre, eh. Il suo intento non era nemmeno spaventarla, non era così crudele. Sperava solo di riuscire a dimostrarle di essere diventato un uomo in grado di badare perfettamente a se stesso, e un uomo adulto non può essere messo in punizione.
Quello che Andrea stava escogitando, quindi, era un piano piuttosto complicato: uscire di nascosto, cercando di portare con sé quanti più soldi possibile, cercare un luogo in cui stabilirsi e infine trovare un lavoro. A questo punto avrebbe contattato sua madre, per mostrarle quale radioso futuro si stava costruendo tutto da solo.
Sembra lineare, così, ma le difficoltà erano notevoli.
Innanzitutto uscire non sarebbe stato così immediato: quando tua mamma è una sarta che lavora in casa, le tue possibilità di libero movimento si riducono drasticamente. Portare soldi con sé era il problema minore, paradossalmente. Quando L'Arpia dimenticava gli occhiali da vista a casa chiedeva a lui di comporre il codice della carta di credito al supermercato, bastava prenderle la carta in un momento di distrazione. L'ostacolo principale era trovare casa e lavoro. Pare che in una società barbara come la nostra, non fosse permesso ad un dodicenne maturo come lui di firmare contratti. Non importano il quoziente intellettivo o il buonsenso, si continua a giudicare le persone dall'anno di nascita, cosa che ad Andrea pareva retrograda e superficiale.

Certo com'era di trovare una soluzione ad ogni problema, non si era reso conto dell'assurdità del piano nel suo complesso, il pensiero che un dodicenne non potrebbe mai vivere indipendentemente dalla sua famiglia non lo aveva nemmeno sfiorato. Stava quindi studiando il piano in ogni minimo dettaglio: il giorno stabilito per la fuga era il 19 luglio. Data scelta accuratamente, dato che il 19 luglio era non solo il suo compleanno, ma era anche un giovedì, il giorno di Thor. Avrebbe decisamente avuto bisogno della protezione del dio del tuono, mica di uno a caso.
Il caso, ma solo il caso, voleva anche che il giovedì fosse anche il giorno in cui L'Arpia andava dal fisioterapista, per quelle sue spalle così intirizzite dal lavoro.
Di fronte a lei Andrea cercava di mettere in gioco tutte le sue migliori capacità recitative, per farle credere che tutto fosse tranquillo e che lui nemmeno fosse più arrabbiato per la punizione, che comunque rimaneva ingiusta. Questa messinscena non gli stava nemmeno costando troppa fatica, da quando Chiara era morta la mamma sembrava sempre vivere su un altro pianeta e si accorgeva dell'umore del figlio solo quando questo era influenzato da qualcosa di molto rumoroso. Un vecchio vaso che si rompe, per esempio.
Questa distrazione non sarebbe nemmeno dispiaciuta ad Andrea, se non fosse che aveva il potere di scomparire per magia quando lui combinava qualcosa. Ogni danno, ogni rumore improvviso, ogni starnuto di troppo venivano prontamente ripresi, ma da tanto tempo ormai non si faceva più caso ai sorrisi.

Il giorno della partenza si stava avvicinando, e Andrea stava rifinendo gli ultimi dettagli. Innanzitutto, grazie ad alcuni tutorial su Youtube aveva imparato a rifarsi il letto, così che L'Arpia potesse tenersi alla larga dalla sua cameretta. Era importante che non notasse il bagaglio che Andrea stava preparando, o lo avrebbe lanciato fuori dalla finestra. Il bagaglio, non il figlio. Il problema della sistemazione era stato momentaneamente accantonato, perché il nostro fuggitivo era giunto alla conclusione che per qualche giorno se la sarebbe potuta benissimo cavare con la vecchia tenda da campeggio che suo padre aveva lasciato in soffitta. Ancora non la sapeva montare, ma era certo che Youtube gli avrebbe fornito un tutorial anche per quello. Sulla scrivania, ben nascosta tra il Dizionario degli animali nordici e le Leggende di Asgard, stava la lista delle cose da mettere nello zaino, che suonava più o meno così:
Carta igienica
Carta di credito
Crackers
Vestiti
Spada di Frodo
Cartina della provincia di Reggio Emilia
Torcia
Panno per pulire gli occhiali
Deodorante
Patatine alla paprika
Beowulf, edizione a fumetti

Quello che lo preoccupava maggiormente era la ricerca di un lavoro. La soluzione che per ora aveva accreditato come migliore era quella che lo vedeva sfruttare la connessione internet di qualche biblioteca per cercare lavoro come consulente esperto di dèi, con specializzazione in tutto ciò che riguarda il Nord, il freddo e i vichinghi. Effettivamente non aveva mai sentito di nessuno che svolgesse questa professione, ma niente gli impediva di essere il primo.
A parte questo particolare, ogni dettaglio era ormai definito e a prova di bomba, L'Arpia non lo avrebbe mai scoperto e tutto sarebbe filato liscio come l'olio.
Voglio proprio vedere se dopo avrà ancora il coraggio di mettere i vasi sul bordo dei mobili e poi dare la colpa a me se si rompono. Mai vista una madre che si lamenta di un figlio che legge! Dovrebbe essere orgogliosa!” si ripeteva come una specie di mantra l'avventuroso Andrea, che aveva bisogno di una pacca di incoraggiamento prima del grande passo.

Perché definire Andrea avventuroso era un po' un azzardo. Non fraintendiamoci, amava moltissimo la natura: gli piaceva leggere a piedi scalzi sull'erba all'ombra di grossi alberi, con i quali ogni tanto conversava fingendo che fossero Barbalbero, sognava di visitare terre sconfinate e lo faceva guardando infiniti documentari sugli animali della Nuova Zelanda. Il problema era che era troppo attaccato alla comodità del suo letto spazioso, e che rinunciare al suo Nintendo DS sarebbe stata la vera sfida di questa fuga. L'Arpia aveva cercato di iscriverlo agli scout, ma la risposta di Andrea era stata:
Posso portare il computer?”
Insomma, le difficoltà di questo viaggio erano molte più di quelle che apparivano ad una prima visione, ma Andrea sembrava abbastanza motivato da poterle affrontare tutte quante.

Certo, sperava che almeno giovedì 15 settembre non piovesse!
E invece, appena spalancate le finestre la mattina del giorno X, a salutarlo trovò certi nuvoloni che pareva di essere in pieno inverno.
Questo non era previsto. Come ho fatto a non pensarci?”
Innervosito e teso per la giornata che lo aspettava, scese a fare colazione sovrappensiero e con aria indispettita. Seduto a tavola, allungò un braccio e rovesciò tutto il succo di frutta sul tavolo e, come di norma, la voce della mamma partì immediatamente con un tono di voce decisamente non adeguato alle otto di mattina:
Ma insomma, sei sveglio o stai dormendo in piedi? Fila a cambiare la tovaglia!”
Sbattendo nervosamente i piedi nelle ciabatte, obbedì, riflettendo su quanto sollievo gli dava il pensiero che quello fosse l'ultimo ordine che avrebbe ricevuto per molto tempo.
La seduta della mamma dal fisioterapista era fissata per le 10, per cui aveva ancora un paio d'ore per finire di riempire lo zaino, rifarsi il letto e riuscire a guardare la nuova puntata del suo telefilm preferito.
Stavano giusto partendo i titoli di coda del telefilm quando L'Arpia chiamò il figlio:
Andrea, io esco! Dopo la terapia mi fermerò a consegnare dei vestiti, farò tardi. Se hai fame hai in forno un trancio di pizza avanzato da ieri, fattelo riscaldare, ma stai attento! Ciao!”
Va bene mamma, ciao!” basico, non lasciava indizi.
Ah, Andrea!”
Dimmi, mà.”
Buon compleanno!”
Ugh. Se ne era dimenticato. Non poteva permettersi di impietosirsi, non oggi, per cui liquidò la conversazione con un sincero ma freddo “Grazie!”.

Se ne stava seduto sull'ultimo gradino delle scale, in attesa di sentire la porta chiudersi e l'auto partire per poi raccogliere le sue cose ed uscire a sua volta.
SBAM. Porta chiusa.
CLICK, CLICK.
Click?
Ha chiuso la porta a chiave? Ma perché ha chiuso la porta a chiave? Mi ha chiuso in casa? E io ora come esco?”
Allarmato, corse giù dalle scale, rischiando un paio di volte di caracollare giù, per controllare se la porta fosse proprio chiusa.
E lo era.
Il panico iniziale si trasformò rapidamente in rabbia verso se stesso: convinto com'era di avere controllato in dettaglio ogni evenienza e ogni particolare del suo viaggio si era completamente dimenticato di guardare le previsioni del tempo e non aveva considerato che, essendo stato messo in castigo, con ogni probabilità sarebbe anche stato chiuso in casa.
Poco male” si ritrovò a pensare “le dimostrerò che non sarà certo un mazzo di chiavi a cambiare i miei programmi!”
Mentre elogiava mentalmente il proprio sangue freddo scese a controllare le finestre del piano terra. Avrebbe potuto tranquillamente sgattaiolare fuori da ognuna, la possibilità di iniziare la vita da campeggiatore con un braccio rotto si poteva escludere. Non era ancora da escludere, invece, il rischio che a rompersi fosse il contenuto dello zaino, molto più importante dell'avere il braccio perfettamente dritto. La soluzione gli giunse dal ricordo di un vecchio cartone animato: posizionato lo zaino in un cestino e legato il suddetto cestino ad una corda, lo avrebbe lentamente calato giù. L'altezza della finestra da terra era sinceramente ridicola, ma non avrebbe mai permesso che la sua copia di Beowulf si macchiasse con l'olio delle patatine, era meglio essere prudenti. Lo avrebbe coperto con un vecchio impermeabile di papà per non farlo bagnare, e infine sarebbe saltato dalla finestra. Per quanto riguarda l'imprevisto meteorologico, invece, c'era poco che Andrea potesse fare. Quello stesso impermeabile lo avrebbe poi indossato lui per proteggersi.
Conclusi tutti i controlli del caso, allacciate per bene le scarpe da trekking, recuperato il trancio di pizza avanzato e calato il cestino dalla finestra, saltò giù.



lunedì 16 novembre 2015

American Horror Story Hotel (Ep. 6 - Room 33)

12:48
Lavoro in un bar, miei amati, non so se ve l'avevo detto. Stamattina entra un cliente di quelli abituali, che conosce la mia passione per un certo tipo di cinema, e se ne esce così: "È inutile guardare i film horror, basta aprire il giornale."
Eh, no, però. Non sono d'accordo. Non mi si può privare dell'unico orrore da cui so per certo di avere scampo.
Per questo su blog non voglio parlare di Parigi. Beirut, di nessuna città piangente. Non ho soluzione, non ho via d'uscita da quello. Voglio parlare solo di orrori da cui mi stacco con facilità estrema, anche se sulle prime mi viene paura al pensiero di dover andare a fare la pipì da sola e allora parlo apposta a voce alta con mio fratello così mi calmo. La paura vera non la so gestire. Guardo le persone che amo, ci parlo, le stringo, ringrazio di averle ancora qui con me. Poi tremo di nascosto al pensiero di perderle, perché vivo in un mondo in cui ogni giorno ho un po' più paura del giorno prima.
Mi dispiace soltanto per tutto il dolore.

E allora, siccome ho paura, e siccome mi dispiace, mi concedo un po' di quella fibrillazione che ti danno i brividi finti. E allora, American Horror Story.

Anche questa settimana le cose in questione invece che iniziare a sistemarsi e a diminuire di numero sono cresciute. Di nuovo. Mi pare di non riuscire nemmeno più a capire quante cose ci sono in ballo. Proviamo a fare ordine:


  • Liz Taylor: la scorsa settimana l'abbiamo vista venire al mondo, questa volta la vediamo innamorata, in modo assolutamente inaspettato. Di Tristan, sta povera scema. Ma è innamorata sul serio, perché gli ha regalato i suoi libri preferiti. Se anche voi siete feticisti della narrativa, sapete quanto arduo sia condividere. Deve amarlo davvero, sto modello belloccio che però non sia mai a chiamarlo gay. Lui è ETERO, va bene? Più lo dite forte più è vero. Insomma, si amano, ma Tristan è l'amante della Contessa, e in quanto tale verrà punito per il tradimento, dopo una scena francamente commovente in cui Liz si apre con lei, in una resa totale, ai sentimenti e alla sua dipendenza dalla Contessa. Mi si è spezzato il cuore, lo sapevo che volere così bene a O'Hare sarebbe stato nocivo. Gli voglio ancora più bene, nonostante la ben poco goduriosa visione delle sue coscette striminzite.
  • Holden e Mommy: non ti voglio più bene, Chloe. Ora, io non sono madre, però comprendo che ci possano essere delle preferenze. Non lo sopporto (sono la figlia non favorita, comprendetemi), ma lo comprendo. Ma non si può neanche guardare con quello sguardo gelido la propria bambina che sta vivendo un periodo così confuso. Famiglia a pezzi, padre che sta bene ma non benissimo, fratello scomparso o forse no...sta creatura non ha nessuno a cui appoggiarsi e mi fa una tenerezza infinita. 
  • Contessa e soldi: non è che mi sia molto chiaro a cosa le servano effettivamente, i soldi che intende spulciare al marito che è gay però ama le donne. Qua abbiamo un problema con la sessualità delle persone o se non altro c'è un concetto di apertura mentale tale da superare persino la mia, di cui mi sono sempre fatta vanto. Nessuno che abbia un'idea chiara su cosa ama o no. Nemmeno uno che dica beatamente di essere bisessuale per esempio, no no, tutti vanno con tutti e nessuno è gay. Avanti così. Non paghi di tutto ciò, le diamo un figlio. Ignorato fino ad oggi, nella camera 33 vive una piccola creatura mostruosa dal gradevolissimo nome dal sapore molto british - Bartoholomew. Mi aspetto grandi cose da te, piccolino.
  • Ramona, Donovan e Kathy Bates: Ramona inumana, talmente accecata dal dolore che potrebbe far fuori la qualunque pur di ferire la Contessa. Donovan e la sua mammina più clementi, ma non dubito che i bimbi moriranno comunque, Holden compreso immagino. Chi la tiene poi la Sevigny. 
Ignorata la Paulson, che non ho mica tanto capito alla fine della fiera a cosa serva. Non fraintendetemi, è bellissimabravissimaamatissima, ma devo inserirla di più nel contesto. Il caso dei dieci comandamenti è un attimino in stand by, cosa che comprendo perché se parli di millemila cose ogni volta devi fare 3 ore e 20 di episodio, io non c'ho tempo poi. 
Mi disturba un po' di più che siano stati messi in coda anche i bimbi vampiri, non vedo l'ora di vedere la strage!
Ditemi che anche voi, come Vincenzo, avete in mente piani e possibili risoluzioni, facciamo i complottisti insieme. 

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