martedì 5 settembre 2017

George Romero Day - Il giorno degli zombi

15:41
C'era una volta George Romero.
C'era, e oggi non c'è più. Ci ha salutati a luglio. Lui e la sua deliziosa faccetta andavano commemorati, e quando con gli altri blogger ci si è organizzati per questa giornata non mi sono tirata indietro.
Pausa ai vampiri, quindi, per oggi.
C'è un Maestro da omaggiare.



Il giorno degli zombi narra di un mondo completamente in rovina. Non abbiamo assistito all'apocalisse z, ne vediamo solo le conseguenze. Gli zombie sono ormai padroni del mondo e i pochi umani superstiti vivono sottoterra. Conosciamo gli abitanti di una base militare, in cui un gruppo di scienziati, con l'aiuto di alcuni militari, sta lavorando sulla possibile soluzione al problema dei ritornanti.


Per questa recensione commemorativa avrei potuto scegliere La notte dei morti viventi. Sarebbe stato facilissimo perché sarebbe stato niente più che un altarino di parole ad uno dei miei film preferiti di sempre. La cattiveria del finale de La notte, però, è stata presa, dilatata un po', aggiustata qua e là, e messa ne Il giorno degli zombi. 
Davvero, se è una brutta giornata, se non vi sentite benissimo, se avete perso la fiducia, guardate altro per l'amor di dio che non voglio avervi sulla coscienza.  Perché il terzo film del ciclo degli zombi è di un pessimismo estremo. Non pensate che vi siano segnali di miglioramento, di speranza, di happy ending. Non c'è NIENTE, NIENTE di positivo in questo film maledetto. Non un momento di respiro, di leggerezza (e quelli che ci sono, brevissimi, sono di un'amarezza spaventosa), mai uno spiraglio di luce. Il mondo è perduto e noi con lui.

I due grandi mondi ritratti nel film ne escono annientati. La scienza, che diventa ossessione, non guarda più in faccia nessuno, si fa beffe di qualsiasi etica e punta dritta all'obiettivo, regalandoci con il personaggio di Bub una delle scene più strazianti mai viste in un film sui ritornanti. Se però è chiaro che gli uomini di scienza ci vengono comunque presentati come 'i buoni' (ammesso che simile scemenza esista), per i militari davvero non c'è pietà. Sono barbari, sporchi, malvagi, egoisti fascistelli con un chiaro microcefalo, un po' troppa patata in testa per il contesto in cui sono e ben poco rispetto per il prossimo. Avesse potuto avrebbe diretto il film con ACAB scritto in fronte col sangue finto.

Estremo, di un gore notevolissimo che non lascia indifferenti, con un inizio storico e una posizione precisissima e nessuna paura di urlarla al mondo, Il giorno degli zombi mi pareva il modo migliore per salutare George Romero.

Negli ultimi 50 anni abbiamo avuto un film sugli zombi di Romero indicativamente (molto indicativamente) ogni 10 anni. Ha visto la società cambiare, non sempre in meglio, e, con lo sguardo acuto dei più intelligenti tra noi, l'ha criticata violentemente, con secchiate di sangue e viscere allo scoperto. Vederli oggi è interessante non solo perché sono film eccezionali, ma perché conosciamo la storia avendola vista da occhi esterni, quelli del futuro.
Avere la possibilità di guardare il marcio di oggi attraverso i suoi occhi sarebbe impareggiabile.
Un privilegio di cui siamo stati privati.
C'è una sola fortuna, in tutto ciò.
Gli uomini non cambiano mai.






I miei amici che insieme a me oggi ricordano quello che GR ci ha lasciato:

Delicatamente Perfido - La notte dei morti viventi

White Russian - La terra dei morti viventi

Non c'è paragone - La città verrà distrutta all'alba

Combinazione casuale - Martin

Una mela al gusto pesce - Bruiser

Pietro Saba World - Monkey Shines - Esperimento nel terrore

The Obsidian Mirror - George of the dead

Bollalmanacco - La metà oscura

domenica 3 settembre 2017

Vampires! - Nosferatu for dummies

15:27
In modo assolutamente non creativo la parte cinematografica dello speciale sui vampiri non può che partire con Nosferatu. È proprio previsto dalla legge marziale che si faccia così, non ho scelta.
Il destinatario ideale di questo post è il fruitore di cinema medio, quello non troppo appassionato ma che se la gode un po' e che non ha mai voluto guardare i film fossili per paura di dormire/non capire/ridere (selezionare voce a scelta). Ritratto peraltro pericolosamente somigliante alla me di qualche anno fa. 
Senza alcuna (giuro) pretesa di fare la maestrina mi piacerebbe parlare a loro di Nosferatu.


Intanto, ciao, fruitore medio di cinema che non ha mai voluto guardare i film fossili. Ti dò il benvenuto nella mia modesta magione. Ti immagino pronto ad addentrarti nelle antichità del cinema e come tutti i cristiani ti immagino a cercare informazioni nell'unico modo che conta davvero: Google. Cerchi Nosferatu e ti esce questa frase ormai scolpita nella storia: film del '22 diretto da Friedrich Wilhelm Murnau, caposaldo del cinema espressionista.
Caposaldo del Cinema Espressionista
(Leggilo piano, goditelo sulla lingua, perché adesso puoi iniziare a dirlo con aria snob, erre moscia finto francese per sbattere in faccia la tua cultura ai tuoi amici che vanno a vedere i film dei supereroi. Film che tu non vedrai più perché sei stato Iniziato.)

A questo punto, amico mio, ti immagino chiederti, con tutte le ragioni di questo mondo, che minghia vuol dire. Sono qui per te, perché potrei essermelo chiesto anche io, qualche tempo fa. E allora, lascia che la sigla di Superquark ti accompagni mentre ti racconto cosa è sto espressionismo tedesco così ce lo leviamo dai cosidetti.

Dunque, siamo negli anni 10 del '900, in Germania. Nell'arte pittorica e nel teatro si diffonde questa nuova corrente, questa tendenza artistica, l'Espressionismo, appunto. In un'epoca in cui a spopolare erano la voglia di realismo e di concretezza, ecco che l'Espressionismo, con la strafottenza tipica di chi sa che avrà la storia a dargli ragione, si è imposto per la sua voglia di andare in direzione diamentralmente opposta. Ah, tu vuoi l'oggettività? La fedeltà al reale? E io ti dò le emozioni, invece. Ti lancio addosso la soggettività come se fosse stella filante a Carnevale. Quella realtà per te tanto preziosa io la prendo e deformo, la tiro e la mollo come se fosse mia e voglio proprio vedere cosa fai per fermarmi. Quello che vedi non è proprio il mondo, è la mia interpretazione dello stesso. Nel cinema quindi le cose sono un po' ballerine. Le figure hanno forme esagerate, distorte, allungate.

Ad inserirsi in questo contesto casca a fagiolo la primissima trasposizione cinematografica del romanzo di Bram Stoker: Nosferatu.




Nosferatu non ha una sorte felice: uscito nel '22 viene ben presto preso a male parole dalla moglie di Stoker, alla quale non era stato proprio chiesto il permesso per fare un film dall'opera del marito. La signora Stoker ottiene che tutte le copie del film vengano distrutte, ma suna qualche intercessione di divinità unite ha fatto sì che una copia sopravvivesse.

L'ho visto per la prima volta in un cinemino spettacolare della mia città, con i ragazzi del corso di Musicologia della mia città che suonavano dal vivo, come il film era pensato in origine. Vedere lavori del genere in sala è un evento incredibile a prescindere dalla passione per il cinema quindi fatemi il favore di scollare le chiappe abbronzate dai multisala e tornate ad esplorare i cinemini.
(Per i cremonesi: se non andate al Filo puzzate di cacca.)

È inutile che ti prenda in giro, fruitore medio di cinema: io preferisco i film più vicini a me. Diciamo che ne godo di più, l'esperienza è più piacevole e rimane sul piano della passione. Quando mi avventuro in film del genere lo faccio per studiare. Mi metto lì, con i miei libri di teoria del cinema e cerco nel film le cose che leggo, e cerco di imparare. Mi aiuta a godere meglio della mia passione e mi piace sinceramente farlo, ma non è la prima cosa che cerco quando ho voglia di vedere un film.
Nonostante ciò, Nosferatu è riuscito laddove Il gabinetto del dottor Caligari con me (CON ME) aveva fallito: fa paura regà.
Il film di Murnau funziona alla grande anche dopo i suoi migliaia di anni. Il Conte Orlok è spaventoso. E non parlo dell'iconica salita delle scale che ho postato, gli basta stare sulla porta e niente, è agghiacciante. Non deve parlare, è bestiale, inumano, terrificante. L'aspetto di Max Schreck è sicuramente di grande aiuto, ma quello sguardo lì mica te lo dà la natura, lo devi fare tu, e lui lo fa in maniera straordinaria.
Murnau, poi, era fuori come un balcone. Intanto si era convinto che Schreck fosse un vampiro vero, aveva convinto tutti di questa cosa e secondo me un pochino questo timore nei suoi confronti traspare nel film (o forse sono io che ce lo voglio vedere, chissà). Poi, in un periodo in cui gli scenari dei film erano dei bellissimi pannelli colorati lui ha deciso di spostare baracca e burattini e girare in esterno, per la prima volta all'interno della corrente dell'Espressionismo. La natura diventa quindi parte integrante della pellicola, e collabora alla perfezione nel trasmettere quasi del misticismo.
Potremmo stare qui a parlare dei giochi di ombre, luci e specchi, dell'effetto Schufftan e tutto il resto, ma allo spettatore quelle cose qua spesso non interessano. Ci sono i tecnici per questo. Lo spettatore fruisce del loro lavoro, e oggi, millesettecento anni dopo, siamo ancora nelle mani di espedienti ormai abbondantemente superati. La storia e la tecnica sono andati avanti ma Nosferatu non ha perso niente.
Solo un inizio così sfolgorante avrebbe potuto rendere il Dracula cinematografico la leggenda che è oggi.

CONSIGLIO PER I NAVIGANTI
Attenti quando lo cercate online, evitate youtube (dove se ne trovano diverse versioni) per essere certi di stare guardando la versione corretta, perché la musica di Nosferatu è complice di Schreck nel incutere un'inquietudine di quelle viscidine che sembrano essere facilmente superabili ma che invece non si schiodano di dosso.


Simile capolavoro non sarebbe rimasto intoccato a lungo.
In realtà tra lui e il suo remake sono passati intorno ai 60 anni, ma cosa sono 60 anni rispetto all'immortalità dei due film in questione?
Sì, signora mia, lo so che il remake non è mai bello come l'originale, ma un giorno un tale, Werner Herzog (quindi insomma non l'ultimo degli stronzi), ha pensato bene di dirigere di nuovo la storia di Orlok ed è riuscito nel miracolo di creare un film che, portando i suoi dovutissimi omaggi all'originale, vive di vita propria e non ha proprio niente da rimproverarsi.
Da un punto di vista narrativo si sceglie di ripercorrere la stessa identica vicenda del '22, restituendo soltanto ai personaggi i propri nomi, quelli del romanzo. Inspiegabilmente spesso Mina diventa Lucy e viceversa, ma non andiamo troppo per il sottile.

Nel marasma di ottime idee che hanno portato Nosferatu, il principe della notte ad essere il bel film che è, una su tutte ha secondo me del glorioso: KLAUS KINSKI.
Non frintendetemi, almeno nei suoi primi anni al cinema Dracula ha avuto la fortuna di avere sempre dei volti ben più che dignitosi, quantomeno nelle trasposizioni più celebri, ma Klaus...un incubo.
E ricordate che parliamo di Dracula, quindi è un complimentone.
Più di tutti i suoi predecessori, Kinski ha uno sguardo assolutamente killer. Lo so, l'ho detto anche di Schreck poco sopra, ma lui era muto, aveva solo quello da sfruttare. Qua no, qua Kinski parla. Parla, è a colori, ha 60 anni di tecnologia in più da sfruttare a suo favore, ma tutto questo è NIENTE in confronto al sudore freddo che il primo sguardo di Dracula verso il taglio che Jonathan si fa ad un dito mi ha causato.
Amico mio, il fruitore di cinema medio, se sei giunto fino a qui: lo so che io parlo per iperbole e sono un po' drama queen quindi sembra sempre che esageri, ma mi devi ascoltare. Kinski è uno dei migliori Dracula che la storia ricordi e il fatto che spesso sia oscurato da altri è ingiusto e frustrante. Se anche tu pensi che sia giusto ridare luce ai talenti, lascia da parte la venticinquesima versione di Sir Christopher Lee (a cui comunque rivolgiamo una preghiera ogni sera prima di dormire) e dai una possibilità anche a lui.
Scoprirai un Dracula drammatico, umano, amaro.
Eterno.

Il Dracula in questa versione è pieno di gloria. Non mi stupisce che quindi, oggi, Nosferatu sia pronto a tornare. Non ha ancora finito con noi, e Robert Eggers lo sa.
(Qui per leggere le prime info!)

giovedì 31 agosto 2017

Vampires! - Dracula, Bram Stoker

13:31
Ogni anno, per il compleanno del blog, decido di scrivere un post più particolare, magari più ricercato o che sia per me in qualche modo significativo. Quest anno, invece, ho deciso che avrei approfittato della mia ricorrenza per colmare una mia grande lacuna. Per tutto il mese di settembre, quindi, a parte un paio di eccezioni con i colleghi blogger ai quali non posso dire di no, e a parte oggi che è ancora agosto, si parlerà di vampiri.
Così è deciso.


Prima di tirare in ballo il cinema, però, c'è da leggere almeno almeno Dracula. 
La mia prima lettura del romanzo di Stoker risale ai tempi del liceo, in cui leggere certe cose mi faceva sentire così outsider che le avrei lette anche per strada pur di far sfoggio del mio essere diversa. Non sembra, ma dai miei tempi del liceo sono passati un po' di anni, quindi, in previsione di questa serie di post, mi sono riletta Dracula.
Pensavo mi piacesse, prima. Ne avevo un buon ricordo, quindi mi era senz'altro piaciuto. Adesso, dopo anni, è amore. Se è vero che c'è un momento giusto per ogni cosa, allora io devo essere reinciampata sul romanzo nel momento perfetto, perché la lettura di Dracula è stata illuminante, e come le cose molto molto luminose ha annebbiato la vista e rincoglionito un po' il cervello, impedendomi di leggere oggettivamente quanto venuto dopo.

Ma andiamo con calma.

Anno domini 1890. Bram Stoker, un gentiluomo irlandese, fa un brutto sogno, come ne facciamo tutti. Si sveglia la mattina, decide di fare un po' di ricerche (ma giusto un paio, per qualcosa come sette anni), poi butta giù due cosette. Nel 1897 le sue ricerche producono un romanzo e la narrativa dell'orrore non è più la stessa. È più o meno la stessa sensazione che deve avere provato Freddie Mercury quando ha scritto Bohemian Rhapsody. Hai un'idea, e anni dopo le persone ancora vivono all'ombra della maestosità di quanto hai fatto. Letteratura e musica non sono mai più stati gli stessi. Chissà cosa si prova. Se esiste un'aldilà spero che entrambi possano vedere che ancora oggi pendiamo dalle loro labbra.
Insomma, esce un romanzo che si chiama Dracula. Finisce per diventare fenomeno di costume, vincolando per sempre la leggendaria figura del vampiro al suo nome. Sono passati 120 anni e le ristampe del libro non sono ancora cessate. Se chiudo gli occhi riesco quasi ad immaginare John William Polidori che alza la mano, si schiarisce la voce e dice timidamente che veramente quello che è considerato il primo racconto di vampiri lo ha scritto lui, ma uno sguardo di Bram, dall'alto della sua indiscussa superiorità storica, dovrebbe bastare a rimettere il povero John al suo posto.
Polidori lo ricordiamo essere portatore di una sfiga rara. Il suo racconto è stato prima offuscato da un certo Frankenstein, scritto nella stessa sera e oggi finito ingiustamente nel dimenticatoio (ironia alert), e poi da quest'altro qua, il cui nome è diventato sinonimo di vampiro, capostipite assoluto di una discendenza che, ancora oggi, non accenna ad estinguersi, prima fiammella di un fuoco che non ha alcuna intenzione di placarsi.

Il romanzo si apre - e si chiude - con un diario. Jonathan Harker, un giovane apprendista in uno studio legale, è in partenza per la Transilvania, per concludere un affare con un cliente del luogo. La gente intorno a lui gli fa intuire che non si tratti di una buona idea, ma il lavoro è lavoro e Jonathan e Dracula si conoscono. Li vediamo insieme solo nella prima parte del romanzo perché poi, con l'eleganza dei cattivi migliori della storia, Dracula sparisce. Sta sullo sfondo, mentre noi leggiamo dai racconti dei protagonisti le conseguenze delle sue azioni. E tutto questo, per me, è già straordinario. Dracula fa paura non essendoci mai, ma essendo sempre presente, Sta sullo sfondo, eppure tutto quello che succede in primo piano è in funzione di lui. Una città intera è piegata al suo potere, ma nessuno lo conosce.
Mina, Jonathan, Arthur, Lucy, Renfield, Quincey, Seward,e ovviamente l'amatissimo (almeno da me) Van Helsing sono personaggi di cui non facciamo mai conoscenza diretta, nel senso che non ci vengono mai presentati. Il romanzo è costituito solo delle loro parole, attraverso diari, lettere, memorie, e niente di tutto ciò è diretto ad un lettore. I protagonisti scrivono per se stessi, quindi sono onestissimi, e hanno una paura maledetta.
Oppure sono incuriositi, frustrati, addolorati, affascinati. L'unico a non avere voce diretta è proprio il protagonista indiscusso della vicenda, il Conte. (Non fate i pignoli, lo so che anche Renfield non parla mai direttamente.) Dracula parla e compare pochissimo, non abbiamo mai visione diretta dei crimini che compie, perché non ne ha bisogno. È già terrificante così.


Esistono creature particolari, chiamate vampiri. Qualcuno di noi ha prove di loro esistenza. (...) Un Nosferatu non muore come ape dopo che ha punto. Diviene solo più forte. (...) Questo vampiro che è tra di noi ha, da solo, la stessa forza fisica di venti uomini. Sua astuzia è più che mortale perché sua astuzia cresce con passare di anni. È bestiale, anzi più che bestiale! È demonio insensibile, senza cuore.
Solo un personaggio alla sua altezza poteva contribuire alla sconfitta del Conte più temibile della storia del mondo: Abraham Van Helsing. Badass senza precedenti, AVH ha cinque milioni di anni (iperbole, sempre iperbole), un centinaio di lauree in scienze dalla diversa utilità (Lettere e Filosofia vs Medicina, per dirne solo tre) ed è l'unico che abbia la più vaga idea di quello che sta succedendo, azzoppato anche dal lieve dettaglio di essere l'unico a crederci, a quello che sta succedendo. Dettaglio peraltro niente affatto irrilevante se si pensa che non si può uccidere qualcosa in cui non si crede.
È molto interessante, poi, che sia proprio lo scienziato a diventare la rovina di Dracula. Il sovrannaturale, il pericoloso, il mortale, vengono annientati, come nelle migliori favole a lieto fine, dall'uomo di scienza, dalla razionalità. Ai miei occhi non esiste niente di più rassicurante.

Io mi rendo anche conto che una che trova rassicurante Dracula possa non sembrare tutta a posto con il cervello, lo capisco. Ma nell'eterna lotta tra il bene e il male il romanzo di Stoker ci mostra che il Male è anche umano, che può essere anche un uomo per il quale sia lecito provare a volte anche sentimenti di tenerezza (all'inizio, il Conte solo nel castello a me ha stretto il cuore che vve devo dì), e che annientarlo non lascia mai privi di cicatrici.
Ma che si combatte, sempre.
Spesso con la scienza.
Il che mi porta a concludere che un romanzo di 120 anni fa scritto da un irlandese sia un baluardo dell'antigrillismo.
Ok, la smetto.



martedì 29 agosto 2017

Mari's Red Room diventa Redrumia!

21:13
Avevo detto che in agosto avrei avuto una programmazione ballerina, ma poichè amo le iperbole ho esagerato: non c'è stata alcuna programmazione. Ma proprio neanche un post vuoto per ricordare la mia esistenza sul web, zero al cubo.

a voi, chiaramente non a me

Con l'arrivo di settembre, però, riparte tutto, e Mari's Red Room doveva cambiare. Sono cambiata io, e lui, che di me è la parte che preferisco, doveva seguirmi o saremmo entrati in un pantano di noia e frustrazione.
Questo non significa che oggi tutto quello che è stato cambierà, anzi. Le recensioni continueranno, ma non saranno la sola cosa presente qui. Ambisco a scrivere anche altro, il mio primo libro ne è un esempio (e voi lo sapete perché lo avete comprato, giusto?).
Come anticipato, è cambiato il nome, la grafica è relativamente recente quindi è rimasta, e da dopodomani si parte con la Rassegnona di Settembre.
Il nome deriva dal nome che ho sempre dato nei miei vecchi post al regno fatato in cui vive il mio cervello quando sogna mondi idilliaci fatti di film bellissimi e libri magici e niente persone cattive: la Repubblica di Redrumia.

L'altra novità sono i social aggiuntivi.
Redrumia vuole essere un universo più completo di quanto non lo fosse MRR, quindi sono nati il suo profilo Instagram (dove non troverete colazioni su lenzuola bianche ma al massimo film e libri, pensate un po'), e che sarebbe bellissimo seguiste QUI, e anche uno sul mio social preferito della vita tutta: PINTEREST. Sì, scritto in caps lock perché è il link.
Oggi sono nati, nei giorni prossimi diventeranno operativi.
Poi ci sono i soliti Fb e Twitter dove di solito scrivo molte scemate che vorrei condividere con voi. Tutti i link sono a fianco, nelle bellissime iconcine bianche e nere che installare è una pigna potentissima nel sedere.

Per ora direi che è tutto, da dopodomani si riparte con i post in cui mi fingo intelligentissima.



lunedì 7 agosto 2017

Rapida chiacchierata estiva

21:09



La settimana scorsa non ho pubblicato post, non so se ne pubblicherò questa settimana (forse qualcosa giovedì, ma è da vedere) e non so come e quando pubblicherò per tutto agosto.
Il motivo è presto detto: sto preparando la rassegna più grande da quando ho Mari's Red Room. Mi sta portando via un'infinità di tempo, molto più di quanto ne avevo previsto, e da un lato ne sono felice perché più entro nell'argomento e più voglio entrarci.
La rassegna che occuperà tutto settembre e che mi sta privando del tempo libero sarà uno spartiacque. O almeno vorrei che lo fosse. Il mio blog è stato sempre uno specchio onestissimo di quello che sono fuori, e siccome fuori sento di essere in costante cambiamento vorrei che anche MRR lo fosse.
Credo cambierò il nome, per iniziare. I blog per funzionare hanno bisogno di tante piccole cose, e un nome breve, semplice ed efficace è una di queste. MRR non lo è.
Le recensioni di film e libri ci saranno sempre, ma voglio qualcosa di diverso, più ampio e magari meno schematico. Ho in mente l'impronta che voglio il blog prenda ma non voglio ancora metterla per iscritto, al momento lascio che maceri per un po' nella mia mente per metterla bene a fuoco.

Nel frattempo, mentre voi siete con i sederacci a mollo al mare o al fresco in montagna, io continuo a fare caffè, guardare film e leggere libri, non necessariamente con questa priorità. Se sopravvivo alla mole di post che devo scrivere per settembre ci leggiamo presto, nel frattempo buon agosto a tutti quanti!

sabato 29 luglio 2017

#CiaoNetflix: Fino all'osso

08:50
Oh Netflix guarda, c'è un argomento spinoso!
Benissimo, che dite, ne facciamo un film?
Com'è come non è, Netflix butta fuori una storia sull'anoressia, completa di disclaimer per le
immagini forti e tutto il resto. Decido di guardarla.



Lily Collins è Ellen, una ventenne che soffre di anoressia da tempo. Nessuna terapia tradizionale sembra funzionare con lei, quindi Susan, la seconda moglie del padre, contatta il dottot Beckham, un medico che della tradizione se ne è sempre fregato.

Partiamo subito col renderci antipatiche e dire che a me sti personaggi che vogliono fare i diversi, gli speciali, quelli che capiscono veramente i cciovani, stanno tendenzialmente sulle balle. Non venitemi neanche a parlare de L'attimo fuggente perché mi viene un prurito fastidioso. I carismatici, di solito con posizioni di 'potere' tipo medico, o insegnante per restare a Robin Williams, ed è bene che siano di ispirazione. Parola chiave, l'ispirazione. Questi personaggi che vogliono a tutti i costi essere particolari, imprevedibili, che tendenzialmente ad un certo punto del film si ritrovano a strillare in mezzo alla strada, o in classe, o in un museo, a fare cose assurde come salire sui tavoli o portare della gente sotto una specie di cascata artificiale o quello che è. Il mio non vuole nemmeno essere un elogio della normalità, nella vita reale mi piacciono le persone che non hanno paura di essere diverse, è proprio nei film che mi fanno venire il latte alle ginocchia.
Keanu Reeves, in questi film, è l'EMBLEMA di questo tipo di personaggi che detesto. Come si cura quella voce nella testa che ti dice che mangiare farà cascare il mondo?
Ma la si manda a fanculo, chiaramente.
È proprio una scena del film. Lui che dice ai ragazzi di dire 'fuck you' alla loro malattia.
Ma perché anni di studi? Ricerca, gente ammassata nei laboratori e sui libri a farsi un culo quadro a studiare medicina, quando la soluzione era dire una brutta parola cattiva alla malattia? Che spreco di denaro pubblico, mi verrebbe da dire.
Mi rendo conto che quando ho questo atteggiamento risulto poco simpatica, e me ne dispiaccio, ma ogni volta che vedevo la faccia di Reeves speravo di sentirlo blastato da Roberto Burioni.

Ciò detto, il film ha anche dei pregi interessanti. Non cerca una causa alla malattia. Ci si prova, per un po', a dire che la famiglia disastrata può aver contribuito a creare in Ellen un disagio, ma si molla presto la presa sulle cause per pensare alle soluzioni, ed è un atteggiamento che a me piace parecchio. Nessuno meglio di Lily Collins sa che l'anoressia, come quasi tutte le malattie, è l'emblema della democrazia: che tu venga da una famiglia perfetta o che tu venga dall'inferno in terra, ti puoi ammalare. La Collins e la sua Ellen vengono da realtà ben differenti, eppure eccole lì, malate entrambe.
In generale, però, ho trovato il tutto un po' troppo addolcito. Sì, Ellen è magra in modo impressionante, ma le storie degli altri ragazzi residenti nella casa del dottor Beckham sono solo accennate per lasciare spazio all'inevitabile storiella d'amore che un po' mi ha innervosito. Sarebbe stato interessante vedere come una stessa malattia colpisce persone diverse in modi diversi, sarebbe stato forse anche utile vedere una persona fare un percorso positivo.

Netflix, tu hai i soldi e le idee, un mondo di possibilità. A volte va benissimo, a volte meno, e va bene così. Ti voglio bene lo stesso.

giovedì 27 luglio 2017

Lamento di Portnoy, Philip Roth

16:48
Lo sapevo che prima o poi sarebbe scoccato l'amore tra me e Roth. Se La macchia umana mi era piaciuto ma non mi aveva fatto gridare alla nuova passione della mia vita, ecco che Lamento di Portnoy mi ha fulminato.
Ciao Philip, è un piacere amarti, approfondiamo la nostra conoscenza.


Alexander Portnoy è un uomo bianco ebreo. E se non vi dicessi che il libro è di Roth lo potreste intuire da questo. È dallo psicanalista, e in un lungo monologo ci racconta la sua vita, soffermandosi sulla sua erotomania (è una parola?) e sul rapporto con la madre e con le tradizioni ebree così radicate nella sua famiglia.

Conosciamo Alexander e la sua famiglia fin da quando lui è piccino. Non lo conosciamo solo attraverso il racconto che lui fa di sè e della sua storia ma anche attraverso il modo in cui gli altri, soprattutto i suoi genitori, lo vedono. Questo perché Alexander è sempre stato sveglio (magari non l'Einstein Secondo che crede - letteralmente - la madre, ma è intelligente) e osserva in modo inusuale e profondo la sua famiglia. Si conosce e li conosce alla perfezione, cosa per nulla scontata, e con la sua prorompente personalità ce li racconta tutti. Sa che sua madre morirebbe a saperlo così, ma non smette per un istante di provocarla, quella povera donna pazza.
È un personaggio gigantesco, invadente, che non lascia alcuno spazio al lettore. Se lo prende tutto e lo invade con il suo fiume di parole come se fosse un blob informe. Ma quanto è divertente.
Perché sì, il solito perculo della società che piace tanto alla critica ben più seria di me e blablabla. Ma quanto fa ridere Philip Roth quando vuole?
In Lamento di Portnoy lo vuole tantissimo.
Che scandalo.

La volgarità è per me soggettiva. Quello che scandalizza me non tocca altri e viceversa. (Elena, però, amica mia, se stai leggendo questo post stai lontana da Portnoy.) Il sesso è il centro della vita di Alexander, che non fa altro che parlarne, e parlarne, e parlarne, ad un povero terapeuta che finita la seduta si sarà calato una camomilla fredda in vena.
Nel '69, però, quando un certo signorino si mise in testa di scrivere le sporcacciate, tutta l'America inorridì eccome, altro che volgarità soggettiva, ché certe cose si fanno ma guai a parlarne. E lui, che è più intelligente di tutti noi, ne parla invece, eccome. Ne parla con il suo fare deliziosamente perculatorio e senza paura.
Inarrestabile uragano Roth.


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