domenica 21 gennaio 2018

Edward Hopper - i miei preferiti

15:07
Io non so niente di arte pittorica.
Conosco di fama i grandi nomi famosissimi e riconosco una manciata di quadri, ma mi fermo lì.
Quando ho visto per la prima volta un Hopper, però, mi si è agitato qualcosa nello stomaco e ho capito cosa provano le persone davanti ad un quadro che amano molto.
Ecco una carrellata delle mie opere preferite.

Finestre di notte

New York Movie

I nottambuli

Benzina

Tramonto sulla ferrovia

Sole di mattina

venerdì 19 gennaio 2018

Consapevolezza alimentare: i documentari su Netflix

13:59
Da anni nella lista dei miei buoni propositi c'è il dimagrimento.
Quest anno mi sono decisa a smettere. Non perché all'improvviso mi sia caduta dal cielo una improvvisa sicurezza in me tale da farmi accettare per come sono, ma mi sono semplicemente stancata di rincorrere una cosa e di non raggiungerla mai.
Per colpa mia, beninteso.
Ho deciso di prendere la questione 'prendermi cura di me' in un altro modo, ovvero informandomi. Questo non significa che da oggi sono vegana, nè vegetariana, ma ci sto pensando su, e ci sto lavorando. Capitemi, sono mezza mantovana, qui pane e salame li passa la mutua. È un percorso difficile, per tutti.
Non troverete mai qui una vegan-nazi per il semplice fatto che di quello che mangiano gli altri francamente mi frega meno di niente. Di quello che mangio io, però, da oggi mi frega un po' di più.



WHAT THE HEALTH

Ho iniziato con il più chiacchierato di tutti.
Ad oggi è ancora quello che preferisco, perché What the health è strutturato in un modo che ho molto apprezzato. È un documentario che spinge verso uno stile alimentare plant-based, ovviamente, quindi l'obiettivo è chiaro fin dai primi minuti, ma come ci si arriva è molto interessante. Si parla solo ed esclusivamente di salute. Non si parla di etica, di scelte, di possibilità: essere vegani è la scelta migliore principalmente per la nostra salute, punto e basta. Si portano studi, ricerche, esempi, tutti volti a mostrare come i principali beneficiari di questo stile di vita siano gli uomini stessi, più che gli animali risparmiati.
Si usano paragoni estremi spesso tipici di chi fa del veganesimo quasi una fede, ma se si sceglie di prendere le cose con le giuste pinze, è davvero un'ottima motivazione per iniziare un percorso di consapevolezza maggiore. Spinge ad altra informazione, ad approfondire, a provare.
Con me, personalmente, ha funzionato.

(qui un link per chi invece sia scettico e voglia un punto di vista diverso, in una critica al documentario fatta da time.com)

COWSPIRACY

Cowspiracy è un punto di vista completamente diverso.
Non vi frega nulla di mangiare esseri viventi?
Non vi frega nulla di morire male perché, per citare mio fratello, tanto muoio comunque?
Proviamo con l'ambiente.
Non credo che chi è strafottente cambi atteggiamento quando si parla di un tema piuttosto che di un altro, ma tanto vale chiarire che mangiare al McDonald's tre volte a settimana fa male anche all'ambiente.
Gli allevamenti intensivi sono una delle cose più inquinanti al mondo. Ci fanno una testa tanta chiedendoci di spegnere l'acqua quando ci insaponiamo in doccia (e questa è giusta ma è una violenza, diciamocelo), per non raccontarci che le salsiccie che mangiamo fanno danni ancora maggiori.
Nessun benaltrismo, bisogna fare tutto quanto è in nostro potere per non peggiorare una situazione già gravemente compromessa, ma è altrettanto giusto sapere tutto.
Cowspiracy ci prova, senza risparmiarsi niente. Non arriva ai livelli di Earthlings, ma quando si sposta dal tema principale, cioè l'ambiente, a quello inevitabile animalista, lo fa senza mezze misure.

LIVE AND LET LIVE

Questo documentario mi ha fatto un po' arrabbiare. Solo un po', perché ho iniziato meditazione e ho giurato di provare ad arrabbiarmi meno.
Si incontrano vegani di vario genere: attivisti, medici, sportivi, scrittori, nutrizionisti, biologi...
Ognuno di loro parla del veganesimo, delle sue motivazioni, dei suoi stimoli e della sua lotta contro i maltrattamenti animali.
Non fraintendetemi: continuo a pensare che sia tutto molto nobile. Ho solo molto, ma molto, poco apprezzato il tono generale del documentario. Credo solo che se si vuole avvicinare qualcuno ad un percorso così complesso come quello del cambio totale di alimentazione, usare toni quasi drastici non solo non avvicini nessuno alla causa ma anzi, la allontani.
Sentirmi dire che mangiare gli animali è inaccettabile è un modo basso e ingiusto di puntare sull'inevitabile senso di colpa che chi guarda certi documentari già prova. Altrimenti mi sarei fatta un toast al prosciutto e avrei acceso altro, su Netflix. Se sono qui è per avvicinarmi a questo mondo, sentire che siamo tutti miserabili assassini (più per tono che per effettive parole pronunciate) mi ha solo innervosita. Non è un tono utilizzato da tutti gli intervistati, è solo un'atmosfera (se così si può dire) diffusa per tutto il documentario, e mi ha scocciata.


SCELTE ALIMENTARI

Di tutti, questo è l'unico che consiglia di rivolgersi ad un medico prima di fare qualsiasi cambio di dieta. Mi sembra non solo saggio, ma una grave mancanza degli altri.
Scelte alimentari non si distingue poi molto da What the health, se avete poco tempo potete guardarne solo uno poi fare le vostre valutazioni. È comunque un altro documentario pro-veg che si pone in modo cordiale ma convinto. Con me sono questi i toni che funzionano.

EARTHLINGS

Questo l'ho lasciato volutamente per ultimo.
Earthlings è su Youtube, l'unico tra quelli di cui parliamo oggi che non è su Netflix, ma non mi sento di consigliarvelo a cuor leggero. Me ne avevano parlato e sapevo si sarebbe trattato di una visione estrema, ma non pensavo mi avrebbe colpita così.
Parliamoci molto chiaro: lo sappiamo tutti cosa succede nei macelli. Mangiamo la carne e il prosciutto e qualcuno il maiale di quella fetta di crudo lo ha fatto fuori. Lo sappiamo, lo accettiamo e lo mangiamo. Non ce ne frega niente. Magari se vediamo la fotina carina del maialino sorridiamo e pensiamo che poverino diventerà una braciola, ma finisce lì. Se bastasse parlare della sofferenza animale per indurre tutti ad una dieta vegana o almeno vegetariana non ci sarebbe nemmeno bisogno di parlarne: lo saremmo tutti e basta.
Ma non basta, perché la carne la mangiamo.
Quindi?
Quindi si prende una camera, si va nei macelli e si mostrano le cose. Si mostrano tutte, si sentono tutte. 
Io ve lo dico: avevo sottovalutato la questione etica. Se fino a questo punto i documentari mi avevano intrigato molto da un egoistico punto di vista della mia salute, da Earthlings non si esce indenni. È una visione estrema e dolorosissima, ma forse se siete in dubbio non serve altro.
So che parlando di Live and let live avevo detto che puntare sul senso di colpa è, per me, il modo sbagliato di affrontare un certo tema. Lo confermo, ma qua mica sono gli umani a sgridarti. Qua gli umani scelgono di mostrarti la verità e di non censurare proprio niente. Io ti faccio vedere, poi tu decidi.
È stata una delle cose più dure che ho visto in tempi recenti.

Il mio viaggio è solo all'inizio.
Ci sono migliaia di altri documentari, libri, articoli, saggi sul tema che aspettano solo di essere trovati da me. È stato interessante vedere le mie reazioni prima, durante e dopo le visioni. Ne sono uscita provata, impensierita e preoccupata. Immediatamente dopo le visioni ero anche determinatissima a cambiare vita.
Sono passate alcune ore, poi, ed è arrivata ora di cena. Quando mi sono trovata a dover pensare a cosa cucinarmi mi è scesa la morte nel cuore. Sono stata brava, ho solo aggiunto un po' di grana ai miei pancake agli spinaci, ma è stato sufficiente per capire che nessun documentario, nessuna consapevolezza renderà il percorso più facile.
Lo renderanno solo più informato, ed è già un grande punto di partenza.

mercoledì 17 gennaio 2018

Everyman, Philip Roth

17:41
Ho concluso la lettura da un po', eppure non mi decidevo a parlare di Everyman.
Philip Roth è stato insignito del prestigioso premio Scrittore Dell'Anno della Repubblica di Redrumia Edizione 2017, però, quindi mi faceva piacere riallacciarmi all'anno scorso con un un suo romanzo.
Poi dalla settimana prossima ripartiamo con scelte letterarie dettate solo ed esclusivamente dal caso.


L'uomo del titolo è un uomo qualsiasi, che noi conosciamo nel giorno del suo funerale.
Dall'ultimo saluto il viaggio è all'indietro, nell'esplorazione onestissima e profonda di una vita come tutte le altre.

Non è facile raccontare vite mediocri.
Ci piace buttarci in avventure eccezionali e in persone straordinarie, così mentre le leggiamo immaginiamo di essere un po' speciali a nostra volta.
A Philip Roth, invece, non gliene frega proprio niente.
Non gli servono viaggi interdimensionali, scienziati illuminati, mostri orrendi o fatine magiche. Gli escono dalle mani parole in apparenza comuni per parlare di persone in apparenza comuni. Everyman è l'apoteosi di questo. Mi ha quasi ricordato Stoner, senza però, devo ammettere, toccarmi nel cuore tanto quanto il racconto di Williams.
L'uomo la cui vita viene ricostruita non ha nome. Ha un lavoro, ha una famiglia, ha un background di vita sentimentale turbolento, ma sembra non esserci altro.
Quello che c'è, invece, è un'onestà quasi tremenda sulla vita dell'uomo.
Si parte con un racconto affezionato di un'infanzia comune, di un bambino che segue le orme del padre e di un fratello con il quale i rapporti sono sempre stati ottimi. Da lì la crescita del nostro uomo comune è segnata dal suo corpo più che da quello che ci sta dentro. Il primo intervento chirurgico, la prima moglie, una vita sportiva e sana, fino all'inevitabile deperimento del corpo. È questo, più di tutto, che ci viene raccontato. Il corpo è il protagonista del romanzo, il corpo che torna in vita attraverso il racconto.
La velocità e la freschezza del corpo bambino, quasi sconvolto dall'essersi malato, il primo contatto con la morte, grande protagonista invisibile del romanzo; il sesso, come sempre amicone di Roth, ma proprio amiconi che escono ogni tanto per una birra; la malattia.
Senza alcun pudore e senza timore di essere giudicato, ché tanto è morto, il protagonista si racconta in un susseguirsi di aneddoti e storie di vita comuni, infilando in mezzo tra un infarto e un rimprovero dal capo che ti scopre farti la segretaria in ufficio, piccoli momenti in cui a parlare non è più il corpo ma il cuore, lasciandoci come sempre senza fiato.
Rapporti sbagliati con i figli, tradimenti, relazioni prive di significato, diventano tutti tasselli di un'esistenza intera, parti di quella persona che durante il commiato viene celebrata e ricordata con affetto, come sempre ricordando le cose migliori.

Everyman ci ricorda che siamo piccini piccini e che non contiamo niente, e allo stesso tempo che nel nostro essere piccini così abbiamo un valore grande e persone intorno a noi con cui condividerlo.
Solo Philip Roth poteva dirlo così.

lunedì 15 gennaio 2018

The Hitchbook: Gli Uccelli

14:30
Ho questo blog da anni, ormai, e non si è mai parlato di Hitchcock.
Come sempre, è la soggezione verso i Grandi a bloccarmi dallo scriverne, ma il mio rapporto con Hitch è diventato tanto e tale che si meritava una rubrica tutta sua.
Ogni tanto, quindi, in mezzo alla casualità che guida le mie scelte da sempre, ci satrà un posticino per Lui, che tanto se lo merita.



Ho conosciuto Alfred Hitchcock con La finestra sul cortile.
Guardato per banalissima curiosità sulla trama, mi ha cambiato il modo di vedere al Cinema. C'è una scena, in particolare, che mi ha stregata: Jeff è, ovviamente, seduto in casa, bloccato da un gesso francamente ingestibile. È al buio, e dal corridoio si sentono dei passi avvicinarsi. Sappiamo benissimo chi sta arrivando, lo sa anche lui, eppure per quella manciata di secondi lì io puntualmente non respiro. Quando si vede l'ombra dei piedi dietro la porta temo sempre il mancamento.
Una volta vista una scena così, non si torna più indietro.

Preso atto del fatto che ci sono poche persone al mondo a mettermi nello stato di tensione totalizzante di cui Hitch è capace, io sto film sugli uccelli l'ho sempre snobbato.
È per questo che parto da lui. Per redimermi.

Melania si prende una sbandata per Mitch. Con una scusa si presenta a Bodega Bay, dove lui vive.
Triste coincidenza: proprio quando Melania arriva in città, iniziano una serie di eventi quantomeno inusuali. In poco tempo la città è in mano ad uno stormo di uccelli impazziti.

Presente quando sentite i ragazzini che dicono che L'Esorcista fa ridere? Ecco, io pensavo che Gli Uccelli mi avrebbe fatto un pochino ridere. Solo un po'.
Poi sono arrivata alla scena della scuola, me la sono fatta addosso e ho deciso insindacabilmente che la prossima volta che mi prende la Snobite Acuta qualcuno di voi, magari qualcuno di grosso, è autorizzato a prendermi a cinquine in faccia e a rimettermi al mio posticino piccolo e ignorante.

Hitchcock si prende la maestosa libertà di non far succedere niente per un sacco di tempo. La coppia si conosce, Melania va a Bodega Bay, conosce la ex, blablabla. Cose, cose, cose. Ci sembrano quasi inutili e stavo iniziando a scocciarmi quando è arrivata la scena della festa di compleanno.
Bambini terrorizzati, urla, corse, uccelli famelici.
Mi sono risvegliata dal torpore.
Da allora, una discesa fino all'infernale finale.
Ci sono uccelli veri, uccelli più finti di una banconota da 3€, uccelli in animazione, eppure mai una volta che lo sguardo ci si soffermi, perché il rumore delle ali che sbattono frenetiche fa venir voglia di coprirsi gli occhi per proteggerli, per difendersi da un nemico di cartapesta.

È facile cercare tutti i modi in cui Gli Uccelli è straordinario: l'attacco è senza una motivazione, crudele, e ogni tentativo di razionalizzare viene sedato alla svelta, se serve anche a sberle; ci sono momenti di grandissimo dramma, come la maestra morta per proteggere i suoi alunni; ci sono mille livelli di lettura metaforica che generalmente io sulla Redrumia non faccio ma che sono facilmente riassumibili in una spaventosa fragilità dell'uomo e del suo mondo.
Più di tutto, però, c'è il battito insistente delle ali, e quello, finito il film, non ti lascia più.

sabato 13 gennaio 2018

Di tutte le volte che qualcuno ha rifatto la locandina de Lo Squalo

19:28
Quella de Lo Squalo è la mia locandina preferita.
È perfetta così com'è, impatto enorme e aura iconica.


Eppure, c'è qualcosa nel film che scatena la fantasia dei creativi dell'internet e ci regala cosine magnifiche che vorremmo stampate in formato parete da appendere nel salotto di casa.








Questa sembra la copertina di un romanzo dei Cazalet, è un incanto

Prefe



venerdì 12 gennaio 2018

Star Wars: Cronaca di una maratona

07:21
Farò un veloce recap per chi capita da queste parti per caso.
Intanto: ciao!
Mi chiamo Mari, e per anni, letteralmente, ho preso in giro il mio povero fidanzato Erre per la sua passione viscerale per la saga di Star Wars. 
Questo fino a poche settimane fa, quando ho visto Gli ultimi Jedi e tutti i miei più sacri ideali (niente fantascienza, niente alieni, astronavi neanche a parlarne) si sono sciolti nei litri di lacrime che ho versato.
È nato un amore.



Erre è uno di quelli che con sta roba ci è letteralmente cresciuto, l'ho sentito recitare a memoria buona parte dei film e ho preso discrete gomitate nelle costole ogni volta che doveva dirmi: «Attenta a questa cosa, che poi torna!», oppure «Guarda questi due, tienili a mente!».
Io, invece, conoscevo la storia abbastanza bene grazie ai suoi riassuntoni appassionati, ma la mia competenza finiva lì.
Il primo gennaio, quindi, questa coppia insolita si è accasciata sul divano, assumento una forma semiliquida, e ha acceso La minaccia fantasma.
Non riesco a ricordare cosa è successo tra un film e l'altro, perché non c'è stato altro. La testa e il cuore sono finiti completamente nello spazio e ci sono rimasti, perché ad oggi ogni tanto ripenso a C3PO e sorrido tra me e me.
Siamo tutti concordi, credo, nel dire che Episodio I è un filmettino mediocre. Noi ci lamentiamo tanto di questa nuova trilogia ma pensate a quelli che dopo la fine magistrale della Sacra Trilogia si sono trovati questa roba.
Son traumi.
Oggi, però, e soprattutto con il filtro dell'amore grande che stavo provando, la visione è calata liscia come l'olio. Un po' perché ho (ri)visto la nascita di C3PO che, se non l'aveste capito, è la mia cosina preferita al mondo, brutto scemone logorroico tontissimo patatone. Un po' perché Ewan McGregor è sempre uno dei miei preferiti e lo guardo sempre volentieri. Un po' perché, ehm, abbiamo mandato avanti la gara di sgusci. Insomma, è stato un riscaldamento per quello che ci aspettava, e con il senno di poi vedere il piccolo Anakin è stato bellissimo e commovente.
L'attacco dei cloni segna quella che, a mio parere nemmeno troppo umile, è la vera disgrazia della trilogia nuova: la scelta di Hayden Christensen come Anakin Skywalker. La storia di uno dei più grandi e affascinanti villain della storia del cinema ridotta ad una macchietta soapoperistica per colpa della scelta di casting più infelice che si ricordi. Ma come gli sarà venuto in mente? Ma non ci sarà stato un povero cristo lievemente migliore? Christensen, che farà sicuramente piacere alle 13enni ormonali, è piatto come l'encefalogramma di uno stormtrooper. Non ha un grammo di fascino neanche a chiedergli di fingerlo, non funziona da nessun punto di vista se non, forse, il fatto di essere portatore di geni assolutamente interessanti che, mescolati a quelli della Portman, avrebbero dato vita ai due fratelli Skywalker più belli mai visti.
Su Jar Jar non esprimerò pubbliche opinioni per evitare nuovi litigi con il mio moroso che lo odia, dico solo che prendersela con uno perché è goffo mi pare ingiusto e anche un'offesa che io e la mia goffaggine potremmo prendere sul personale. È come dare a Vittorio Emanuele III tutta la colpa della Seconda Guerra Mondiale. Avrà anche dato un contributo fondamentale, ma i nemici da fare fuori erano altri, scusate tanto.
#freeJarJar
Durante La vendetta dei Sith ho pianto, bisogna dirlo. La resa definitiva di Anakin al Lato Oscuro è stata dolorosissima, il finale mi ha lasciata in pezzi e il solo pensiero che Obi Wan abbia dovuto vivere tutta la vita con dei sensi di colpa stratosferici mi ha lasciata in una valle di dolore e sofferenza. Ewan McGregor è bravissimo e anche se questa trilogia non è perfetta (e chi lo è?) mi ha preso il cuore e me lo ha lanciato lontanissimo tra le galassie in modo che io non potessi recuperarlo mai più. La prima volta che ho visto la miniLeia, poi, mi sono emozionatona. Sapete ormai che la Principessa è il mio personaggio del cuore, vederla piccina e vederla presa da chi poteva amarla tanto mi ha scaldato il cuore e reso tanto contenta.

INTERMEZZO ROGUE ONE

Ci siamo buttati nell'ordine cronologico non per una bizzarra forma di masochismo, ma solo perché volevo tanto rivedere Rogue One, perché al cinema mi potrei (o non potrei) essere addormentata.
Ho fatto male a volerlo rivedere, perché sto film è di una brutalità senza fine.
Di tutti e sei, però, è quello che più ricalca la cosa che mi ha fatto così tanto innamorare de Gli ultimi Jedi. È un film di sacrifici e di ideali potentissimi che infondono coraggio. Un gruppetto bizzarro di persone contro il Male Assoluto, rischiando la cosa più preziosa di tutte, per il bene degli altri.
Ma quanto posso avere pianto.
E lo sapevo che sarebbe finita così, perché avevo già visto Episodio IV, lo sapevo perché ho chiaro in testa lo sguardo di Erre dopo averlo visto la prima volta, eppure sono rimasta fregata. E il Cinema fa anche questo, gioca con i nostri sentimenti e le nostre illusioni, ci fa ogni volta sperare che finisca in modo diverso e poi ci riduce in polpette.
Sentimentalismi a parte, Rogue One è un film splendido, un vero film di guerra in cui non si fanno sconti a nessuno, senza buonismi nè pillole addolcite. Si combatte, si muore, si uccide. Un cast illuminato dalla luce divina, una storia bellissima e dolorosa e scene d'azione indimenticabili.

Guardare la Sacra Trilogia è stato bellissimo.
Lancio un messaggio di speranza alle persone che, come me, temevano la palla di pietra di tre e dico tre film su combattimenti con le spade laser e le astronavi. Mettetevi il cuore in pace perché ci sono.
MA, prima di ciò c'è un divertimento fortissimo. Si ride come dei dannati e davvero non mi capacito di come si possa criticare la leggerezza dei film nuovi quando in quelli vecchi c'è la coppia del secolo. No, non parlo di Han Solo e Chewbecca, perdonatemi. Parlo di R2-D2 e C3PO, ovviamente. Ogni momento di loro insieme è stato una gioia, ho riso come una pazza. C3PO a pezzi in spalla a Chewbecca che continua a parlare è una meraviglia, R2-D2 preso a calci è pazzesco e insieme sono la più spumeggiante delle coppie.
Deve esserci qualcosa in particolare che mi fa tanto ridere nella comunicazione unilaterale. Han che parla con Chewbecca e quello che fa solo versi, R2-D2 che risponde all'altro pollo solo con i suoi rumorini...non so che dire, mi spacco dalle risate. Mi basta poco, pare.
Del momento dell'allenamento di Luke con Yoda non so che dire. Anche lì, potrei aver riso più del previsto. È così che mi ha fregata, mi sa. Mi ha fatto un ridere che lo so solo io, poi appena mi sono distratta un momento TAC! Lacrime a cascata.
Yoda è stato incredibile. Per quanto sia shockante vederlo così concio dopo averlo visto nella Trilogia Nuova, io lo adoro. Una specie di Furby con i minivestitininini da Jedi, non ce la potevo fare.
Ho osato per una volta dire una cosa del genere a Erre. Mi ha squadrata come se fossi una squilibrata e mi ha sibilato: «Scherzi? Yoda è FORTISSIMO!»
Aveva ragione, ovviamente, e ho imparato a non sottovalutarlo più pur mantenendo un infinito amore per i minivestitininini da Jedi che sono una robina bellissima.

E poi, insieme al resto, c'è Lei: Leia.
Mi ha colpita dal primo istante.
Qualche tempo fa ho sentito una persona gioire perché essendo Doctor Who finalmente una donna, le bambine quando ci giocano possono anche fare il Dottore e non più solo la companion di turno.
Leia c'è sempre stata, ad ispirare le bambine di tutto il mondo. Presa schiava per il suo corpo, sottovalutata, ignorata, sfruttata, ha sputato in testa a tutti diventando la regina indiscussa della saga. È potente, senza paura, inarrestabile. Ma anche più saggia di tutti, materna, affettuosa, coraggiosa. È un incanto vedere un personaggio femminile così.
È anche importantissimo vederla in un contesto così ritenuto maschile come la fantascienza. Lei non solo c'è, ma comanda, e rimette tutti al proprio posto.

L'aggravarsi della situazione reso evidente dal deperimento del pelo di Chewbecca

Io, invece, sono stata rimessa a posto dal finale della trilogia.
Era l'unica parte che non conoscevo, perché Erre non me l'aveva mai raccontata.
Non me lo aspettavo, non lo sapevo, non potevo immaginare.
Potevo arrivarci dal titolo dell'episodio, invece no. Sono stata ignara fino all'ultimo momento, non ho mai saputo cosa avesse abbattuto l'Impero e adesso che lo so non penso ad altro e non mi riprendo più.
È stato un viaggio tra le stelle magnifico, di quelli che ti costringono a ricordarti dove sei quando alzi lo schermo dopo i titoli di coda.
Ma io sulla Terra non ci resto a lungo.
Non vedo l'ora di tornare.

mercoledì 10 gennaio 2018

Zerocalcare & Me: a love story

07:47
Ho visto Zerocalcare di persona una volta sola. Era al Festivaletteratura di Mantova, a cui tutti dovreste partecipare perché è un tripudio di gioie, intervistato dai ragazzini dell'associazione Blurandevù. I ragazzi sono stati carini, niente da obiettare, ma per tutto il tempo ho avuto la sensazione che di tutto quello che gli stava intorno non potesse fregargliene di meno.
Gli avrei messo in spalla una coperta e lo avrei portato via di lì, lo avrei lasciato in una camera d'albergo con il wifi e nessuno intorno.
Ovviamente queste sono solo impressioni di una persona che Zerocalcare lo ama molto, non vogliono essere una specie di biografia ufficiale. Però lo sentivo parlare e mi sembrava di avere davanti una persona tanto impacciata, tanto disinteressata al clamore e alla fama, che quella che prima era solo ammirazione verso un bravo autore è diventata Amore.


Non ricordo con precisione come ci siamo conosciuti, io e Lui.
Se vi state chiedendo se ci conosciamo davvero, ovviamente la risposta è NO. Ma come le ragazzine delle medie, io sono fidanzatissima con lui e lui mica lo sa. È un rapporto unidirezionale, ma l'amore è tale da coprire la metà mancante.
Ricordo solo che ho iniziato con il blog, come la stragrande maggioranza di noi. La prima volta che ho capito che c'era di più è stato per caso. Stavo leggendo una tesi di laurea sul G8 e sugli eventi della Diaz (per inciso, è la tesi di Irene Facheris, che lei ha messo gratuitamente sul suo sito, che trovate qui) e ci ho trovato una sua intervista.
L'uomo oltre i disegnetti.
Da quella volta lì l'uomo oltre ai disegnetti ho cercato di vederlo spesso. Nelle opinioni, nelle frecciatine incandescenti, nella delicatezza del tocco, nel cuore enorme, nelle tavole a pagina piena con solo una frase, sufficiente a far sanguinare i cuori.


Andando avanti col tempo le sue storie hanno smesso di farmi solo divertire per la sua bruciante autoironia, per i disegnetti buffi e i personaggi della cultura geek. Ben presto a tutto ciò, che comunque rimane, si è aggiunto un livello di profondità inaspettato. Non che questo mancasse nelle tavole del blog e nei primi libri, sia chiaro. Credo solo che da Dimentica il mio nome in avanti si sia fatto un salto di qualità inarrestabile, che ad ogni volume porta Zerocalcare a diventare sempre più la cosa migliore sia mai nata dal web italiano.
Se già la storia familiare era di una dolcezza e di una delicatezza rare, che anzichè cozzare si sposano alla perfezione con quei suoi disegni così grossi e nerissimi, con i due successivi, Kobane Calling e Macerie Prime per me si è toccato il capolavoro.

Questa mi ha colpito tantissimo ad un livello personalissimo, è stata dura da digerire

Secondo me sono invecchiata. Sono sempre stata lievemente anzianotta dentro, ma ultimamente i temi toccati da ZC mi toccano nel profondissimo, anche quando non vorrei.
Kobane Calling si apre al mondo esterno, esce dal guscio del nostro comfort e ci porta nel pieno della guerra. Senza voyeurismo (è troppo intelligente per quello), senza la lacrimevole vicenda dei bambini morti sotto le bombe, Michele Rech ha preso lo zainetto ed è andato in prima persona a vedere cosa stava succedendo nella città di Kobane, a conoscere il popolo curdo che stava combattendo contro l'ISIS. Ce lo racconta con il suo modo che ormai abbiamo imparato ad amare, comportandosi come farebbe chiunque di noi: a fronte di persone, ragazzi anche giovanissimi che ogni giorno abbracciano il fucile e proteggono la loro casa non si può far altro che sentirsi piccoli piccoli e anche un po' scemi. L'unico modo per smettere di essere piccoli piccoli e anche un po' scemi è informarsi, conoscere, capire. Non ci renderà al pari di chi rischia la propria vita in nome di una libertà perduta, ma ci ridà quella dignità che spesso, nella nostra comodità occidentale, perdiamo. Il reportage che esce dai suoi viaggi è il modo più bello che ci sia di onorare chi l'ISIS di cui blateriamo ogni giorno lo combatte davvero. Uscire indenni dalla lettura è impossibile.

Quel cuore in mezzo alla città è indimenticabile

Per me, però, Macerie Prime è stata una sassaiola in cui io ero l'unica vittima.
È riuscito a centrare con precisione da cecchino il modo in cui mi sento, oggi, più vicina ai 30 che ai 20. Quando mi sembra di snaturarmi perché cambiano i miei gusti e i miei ideali, quando mi arrampico nel mio castello di illusioni e mi ci barrico dentro autoprendendomi ostaggio, quando devo rivalutare quello che voglio, come lo voglio e perché lo voglio. Quando penso di avere la vita in mano e arriva la stangata che ti fa rimettere tutto quanto in circolo, quella sensazione lì che ti prende alla gola e ti fa temere che non ce la farai mai, lui la mette su carta come non ho mai visto fare a nessuno prima.
E forse è solo l'età, la confusione di chi sta diventando adulto e deve capire come si fa, la paura di dover fare passi grandi e di dover prendere decisioni ancora più grandi e, in questo casino che è la crescita, delinea i grandi punti fermi: gli ideali, la coerenza, e gli amici.
Il modo in cui si parla dell'amicizia, sempre nei suoi lavori ma in Macerie Prime un pochino di più, mi fa sempre, sempre pensare al mio gruppetto scalcagnato, che è più bello che mai adesso che mi manca tanto.


ZC sembra una cosa e poi è tutt'altro. I suoi lavori sono di una delicatezza portentosa che però travolge le emozioni come un fiume in piena, e siccome di solito c'è un armadillo enorme in mezzo alla stanza, fidatevi: non è così scontato.


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