martedì 16 marzo 2021

Un'altra novità?

17:21

 Lasciate che apra questo post con i soliti fatti miei, questa volta un po' più miei del solito.

Ho iniziato questo anno con tutta una serie di buone prospettive ma soprattutto con un passo importante: io e Erre stiamo comprando casa insieme. 

Lo stesso giorno in cui la banca ci ha comunicato che le nostre pratiche erano messe bene e che avevamo fatto uno step in più verso l'obiettivo mi arriva una seconda telefonata, che mi comunica una brutta diagnosi per mio papà. Da quel giorno lì, poi, anche con la casa le cose sono andate male, abbiamo avuto diversi problemi di natura burocratica e le cose non stanno filando liscio come sembrava stessero andando.

Ah, poi, sì, una pandemia mondiale. E io sono lombarda. 

Nel momento in cui scrivo la situazione è questa: sembra che abbiamo preso la malattia di mio papà in tempo e forse (sottolineo, evidenzio, marchio FORSE) stiamo facendo passi avanti con la casa. Per quanto riguarda la pandemia, invece, le cassiere sono completamente escluse dal dialogo sui vaccini. La sinceramente vostra cosa fa? La cassiera.


L'insieme di queste cose simpatiche come i miei gatti quando si arrampicano sulle gambe nude mi sta facendo questo effetto: ho sempre mal di testa, mi alleno come una maledetta per sfogarmi poi non cammino per giorni, dormo peggio del solito ma soprattutto non metto a tacere la testa.

Quando la testa non tace inizia a pensare, progettare, muoversi come un criceto impazzito per rimandare il più possibile i pensieri utili. Pensare a come risolvere il problema di una perizia sbagliata? Ma quando mai. 

Pensare a novità per il blog o per i miei libri che mi ruberanno ancora più tempo e per le quali mi sentirò sempre inadeguata? Sempre pronta.

E quindi eccoci qua.


Caspar Camille Rubin on Unsplash


Ho questa idea che mi balla in testa da un po' e che pian piano è diventata una conversazione più seria e adesso se la metto sul blog vuol dire che ci devo davvero iniziare a lavorare su.

L'idea è questa: voglio aprire un canale su Twitch per fare live a cadenza settimanale a tema cinema, preferibilmente dell'orrore. Twitch, per chi non la conoscesse ancora, è una piattaforma che permette di fare video in diretta, usata in gran parte dalla community del gaming. Ha però una fetta di persone che la usano solo per fare due chiacchiere, e questa è la fetta in cui mi vorrei inserire. Anche perché è proprio meglio per tutti se non metto online me stessa mentre gioco, sono imbarazzante. 

L'idea di farlo da sola, però, non fa per me. Quello che vorrei fare è ospitare ogni settimana un blogger diverso, fargli scegliere un film e fare due chiacchiere insieme per un'oretta. 

Le live sono temporanee, non sono come video Youtube. Chi è nuovo sulla piattaforma mantiene online le sue dirette per 14 giorni, agli utenti vipppps è concesso un tempo più lungo. Non ho le idee chiare su cosa farei con queste live per non perderle, o se le lascerò andare nell'oblio dell'Internet, non ci ho ancora pensato.


Ma quindi, se non ho ancora deciso nulla, perché scriverci già un post sul blog? 

Per invitarvi.

Alcuni generosissimi amici blogger mi hanno già dato la loro disponibilità (grazie, ragazzi!), ma ho contattato solo quelli che partecipano alle varie giornate celebrative della blogosfera. Non ho ancora iniziato a segnare una vera e propria programmazione, voglio solo guardarmi intorno e capire quante persone effettivamente sarebbero interessate a partecipare. Si tratta di metterci la faccia, un film a scelta, la voglia di farci su due chiacchiere con la sottoscritta. Due settimane dopo la faccenda è sparita dall'internet!


Direte voi, che siete più bravi di me: ha senso pensare a questa cosa con (SE TUTTO VA BENE) un trasloco imminente e di conseguenza internet che per un po' sarà più inagibile di un cantiere?

Ma certamente no, solo che quando la testa parla così non la so far tacere fino a che non faccio quello che dice lei, e quindi eccoci qua. 

L'invito è aperto a chiunque: blogger, ex blogger, futuri blogger. Gente che scrive solo sui social, gente che ha webzine, gente a cui piacciono i cinemacci brutti e che si diverte a parlarne.  


Può anche essere un'occasione interessante per far conoscere al web la vera star di casa: Augusto Sirius Daolio, il mio cane.





giovedì 11 marzo 2021

WandaVision

19:27
WandaVision è finito, e con lui le scorte di lacrime che avevo a disposizione per il mese.

La facciamo la solita premessa? Ma facciamola.
Come sa chiunque sia in una relazione di lungo corso, si arriva ad un punto in cui le passioni si mescolano. Lui viene sottoposto a più film dell'orrore di quanti ne voglia tollerare e io mi sono guardata tutto l'MCU. Poi è successo che mi sono affezionata ai tizi in calzamaglia (ma che modo di dire vintage è? bellissimo) e ho letto un paio di fumetti. Poca roba, giusto le cose più cattive tipo Planet Hulk. 
Questo per dire che su questo blog in generale, e quindi in questo post, troverete le opinioni di una che ha fruito praticamente solo dei film.
E, adesso, di una serie che l'ha ridotta ad uno straccio.
Ma non è bello venire sulla Redrumia e trovare solo cose scoppiettanti di allegria? 



Breve accenno di trama, perché poi andiamo in FULL SPOILER MA PROPRIO FULL FULL FULL.
Wanda e Vision sono una felice coppia fresca di casa nuova, e sono i protagonisti di una cotonatissima sit com anni '50. Sembrano usciti dai migliori manuali per signorine dell'epoca, ma ci è chiaro da subito che qualcosa non va, soprattutto perché arriviamo alla serie sapendo che Vision è morto, e che cosa sia lo scopriamo ripercorrendo la storia delle più famose sit com familiari della storia della tv. 

Avevo già scritto un lunghissimo post sulla serie, ma rileggendolo mi sono accorta che era una sbrodolata logorroica su quanto tragico fosse il personaggio di Wanda, sulla sua infelice sorte, su quanto ero triste per lei e su quanto era stato doloroso. 
Nulla di falso, sia chiaro. Ho davvero sofferto come una cretina, ma forse è il caso di argomentare un po' meglio. Diciamo che metterei un trigger warning per i cuori sensibili perché si piange davvero, ma giuro che poi mi fermo qua.

Anche perché quello che ho amato di WandaVision e del suo finale è che non si tratta di una delle sdolcinate faccende con la morale del "Se non ti uccide ti rende più forte". Wanda esce da Westview e sembra tutto ok (per quanto possibile, sia chiaro), fino a quando la vediamo nelle scene post credits. Wanda non solo non è guarita dai lutti della sua vita, ma è più incazzata che mai. E chi la biasima.
Quando Scarlet Witch ha fatto la sua comparsa Erre, che è la persona che mi fa da guida nell'esorbitante mondo dei supereroi a fumetti, mi aveva detto da subito che era in poche parole la più figa di tutte. Nasconderò al mio ego il fatto che probabilmente parlasse anche della bellissima Elizabeth Olsen per concentrarmi sul fatto che i poteri di Wanda sono strepitosi. Non solo sono impressionanti, ma sono anche inseriti in un personaggio molto umano e facile da amare, il che la rende ancora più forte. Anche Capitan Marvel ha una forza senza senso, ma è un'intollerabile snob, quindi non c'è proprio gara.
La serie non solo mette bene in mostra di cosa Scarlet Witch sia capace (cosa impressionante di per sè), ma mostra come i fenomenali poteri cosmici siano pericolosi in mano ai sentimenti umani. 
Wanda è ferita, soffre tantissimo, ed è anche incazzata durissima. L'enormità di quello che crea, assoggettando al suo dolore i suoi poteri, è impressionante. Ho adorato le scene in cui le persone prigioniere riprendevano conoscenza, perché erano la prova di quanto fosse crudele quello che Wanda stava facendo. 

Quindi, collegandoci a questo e in virtù della scena post credits: Wanda è la cattiva della serie?
Non dirò mai niente di cattivo contro quella che è diventata la mia preferita, scusatemi. Più un personaggio soffre più me lo sento vicino e mi ci affeziono e lei soffre come una dannata. Non credo però sia la villain, perché come nei più felici standard marvelliani, il vero cattivo è l'uomo bianco etero preferibilmente con un ruolo in una agenzia governativa. A fianco a lui, all'esterno di Westview, ci sono i comprimari della serie, che ho ricollocato nei propri film di provenienza solo grazie all'intervento del sopracitato Erre. Tranne Asian Jim, quello l'ho riconosciuto da me. (Sì, mi manca ancora The Office.)
Sono personaggi secondari deliziosi, che riempiono bene senza invadere lo spazio dei protagonisti, simpatici e interessanti. Ben scritti.
Poi, però, parlando di comprimari, succede il patatrac. Il vero fallimento della serie. Pietro Maximoff. Fan in visibilio, nerd di tutto il mondo uniti con bandierine celebrative pronti a festeggiare (finalmente!) l'arrivo degli amati X-Men nel MCU. Io faccio parte del gruppo, perché preferisco di gran lunga i mutanti agli Avengers, Giorni di un futuro passato è uno dei miei cinecomic preferiti. Evan Peters è arrivato calandosi dal cielo con ali angeliche a farci sognare. Prima di tutto perché il suo cazzonissimo Quicksilver è un adorabile cretino, e poi per tutte le implicazioni della sua presenza nella serie.
E invece no. La Paraculata Suprema. La Faciloneria Mephistofelica (Erre, sto diventando brava?). Il Martyrs dei finali dei cinecomics. (scusate, questa era esagerata.) Pietro non era davvero Pietro e i nostri cuori si sono infranti, di nuovo. In una serie struggente non ce n'era davvero bisogno, 'nfami. 
C'era gente che era scesa in cantina a ripescare spillati incellophanati a cercare risposte, c'erano forum infuocati, i server di internet rotti. Scusate, mi faccio prendere dal mio iperbolismo. Però mi dispiace, poteva essere una cosa bellissima e invece proprio no. 

Insomma, Pietro non era davvero Pietro, Vision e i bambini sono morti e Westview è tornata alla normalità, con quella frase di Monica che è stata peggio di una spolverata di sale su un graffio: "Non sapranno mai a cosa hai rinunciato per loro."
Vuoi altro, Marvel? Hai sentito che ho goduto un po' troppo per la dipartita dell'odiato Iron Man e hai deciso di punirmi così? Lo accetto. 

La serie finisce, negli episodi finali, per tornare ad essere un classico prodotto Marvel, con la sua battaglia bella grossa e importante e il resto che passa in secondo piano. Non la parte che ho preferito, come non è mai la parte che mi interessa dei film, però nel complesso è un prodotto ben più che godibilissimo. Non esattamente la ventata d'aria fresca che speravo restasse fino alla fine, ma mi sono comunque ritrovata in lacrime a soffrire come una cretina per un personaggio di finzione quindi immagino che abbia funzionato alla perfezione.

Concedetemi di concludere con una riflessione di parte e assolutamente superficiale: le supereroine donne sono le più forti di tutti, non c'è proprio gara. Ora, non so se anche questo sia parte del retaggio culturale per il quale una donna per far parte di un mondo maschile deve essere assolutamente superiore a chiunque o per lei non c'è posto, ma io penso di apprezzarlo. Tra Carol Danvers, Wanda, ma anche Wonder Woman. Non c'è spazio per la mediocrità, tra le donne supereroine.
Devo riflettere su come la penso su questa cosa, ma la bambina che è in me gongola e vorrebbe vederle spaccare tutto, nello specifico i culi dei compagni maschi. 


martedì 9 marzo 2021

#novecento italiano: di cosa parliamo quando parliamo di Resistenza?

18:29

 


Eccoci finalmente con il mio primissimissimo articolo. E' un post da archivio, perché in realtà è pronto dall'inizio di febbraio, ma aspettavo di aver pronto tutto per poter cominciare. Quindi, intanto, vi delizierò con questo. E dunque, introdotto dal mio bel faccione in grafica...

Io e la mia amica Marika, qualche mese fa, abbiamo sapientemente deciso di cominciare a recuperare i classici imperdibili della letteratura italiana del Novecento. 

Ho scritto una frase e sono già necessarie delle precisazioni… Il “sapientemente” è giustificato dal fatto che, entrambe, abbiamo delle lacune in materia paragonabili solo al Gran Canyon. Ci rendiamo conto che selezionare tutti i libri che, nel corso di questi anni, si sono guadagnati l’appellativo di “classici” per affrontarli e, nel frattempo, cercare di mantenere le buone abitudini come mangiare, dormire – io tanto, lei poco – e avere anche delle relazioni sociali, è quasi impossibile. Quindi, da brave maniache degli schemi e dei programmi – che mai riusciremo a rispettare – abbiamo preparato un programmino. Programmino… abbiamo mescolato in un pentolone tutto ciò che ci veniva in mente, e poi l’abbiamo suddiviso in categorie, per autore, per tema, per anno… insomma un programma pieno di sub-programmi.

L’esordio di Calvino, però, non è il primo che abbiamo affrontato. Visto che non siamo per niente masochiste, abbiamo deciso di cominciare con Menzogna e Sortilegio della Morante – un libricino niente male che si aggira intorno alle 700 pagine. Bello, magari qualche punto in più e qualche frase più corta, ma… Ce l’avremo fatta ad empatizzare con i personaggi come piace a noi? Ovviamente no. E questo è un forte punto in comune con Il sentiero.

Facciamo un salto indietro: di cosa parla questo libro? In una frase – e quasi banalmente – ha come soggetto principale la Resistenza e la lotta partigiana durante la Seconda Guerra mondiale. Come ho già accennato poco sopra, si tratta dell’esordio di Italo Calvino, colonna portante soprattutto della seconda parte del Novecento letterario italiano. Chi di Calvino ha letto anche altro – vogliamo fare qualche esempio? Il barone rampante, Se una notte d’inverno un viaggiatore, e tanti altri… - noterà una grossa differenza, soprattutto nello stile. Per la mia esperienza personale, questa lettura nello specifico non rientrerà nell’olimpo dei libri “della vita”. Poco male. Parto dal presupposto che non sono in grado di lasciare andare e troncare la lettura di testi che non mi convincono e che, in alcuni casi – fortunatamente pochi – non mi piacciono proprio. Allo stesso tempo, sono convinta che, nella maggior parte dei casi, ogni universo letterario a cui ci approcciamo riesca ad arricchirci in qualche modo. Ma parlare di ciò, ci porterebbe ad aprire un’enorme parentesi, difficile da chiudere…

Cosa facciamo io e Marika quando leggiamo, in sincro – più o meno – i libri che scegliamo? Se non ce ne scordiamo – e questa volta era successo – ci troviamo e ne parliamo. Ultimamente solo virtualmente perché non ci siamo viste per mesi, complice il simpatico periodo storico che stiamo vivendo. Passiamo circa quindici minuti a parlare dei fatti nostri, e poi cominciamo a parlare del libro “ospite” dell’incontro. Dedichiamo una media di dieci minuti, a essere generosi, ad analizzare elementi prettamente tecnici: l’ambientazione, lo stile, i personaggi, la trama, etc.… Non abbiamo competenze vere e proprie in materia, siamo solamente due grandi lettrici che nel tempo libero, o in quel poco che ne rimane, preferiscono (non dirò rispetto a cosa…) stare in compagnia di un libro. E poi? Il delirio, per lo meno questa volta. Ne è venuto fuori un brainstorming incredibile: da me, il termine più appropriato per definire quello che abbiamo fatto è “misturotto”.

La cosa che mi ha affascinato di più e da cui siamo partite è lo sguardo di bambino. Sì, perché l’elemento peculiare di questo romanzo non è tanto l’aver raccontato della Resistenza, quanto l’averlo fatto attraverso gli occhi di un bambino. Avete presente il punto in comune con il romanzo della Morante di cui parlavo prima? Idealmente, un personaggio di questo tipo proietta nella mia mente l’immagine di qualcosa di candido, innocuo e non corrotto. Il protagonista di questo romanzo non è decisamente descritto in questo modo e non è stato in grado di suscitarmi alcunché, men che meno compassione. Forse, non era nemmeno l’intenzione dell’autore. Nonostante ciò, rimane uno degli espedienti che più ho apprezzato durante la lettura. Sì, perché dopo la fine della guerra, tantissimi autori si sono cimentati con il racconto di esperienze – spesso anche personali – della Resistenza e della lotta partigiana. Quanti, poi, effettivamente rimangono nella memoria del lettore?  
Pin, il protagonista, non è il mio preferito – e s’era capito; ma il suo occhio di bambino ci fornisce una visione di uno dei più terribili e paurosi momenti della storia in una maniera completamente diversa e inedita. Come la conosciamo la Resistenza? Di cosa parlano gli innumerevoli libri presenti sul mercato? Per me è sempre stato un movimento prettamente intellettuale – visione, come è ovvio, errata – fatto principalmente di personaggi già noti prima e ancora più noti dopo. È stato sicuramente questo, ma non solo. La Resistenza è stato il movimento del civile; un insieme di tante piccole battaglie personali. I contadini, gli operai, gli abitanti dei paesi non avevano, molto probabilmente, la minima idea dei grandi ideali intellettuali e filosofici, ma alla Resistenza ci si sono uniti lo stesso. Perché? Perché era la loro guerra personale, per un’infinità di motivazioni diverse. La Resistenza, fatta di persone semplici. Non posso sapere se fosse proprio questo l’obiettivo di Calvino; per me è stato così: un rendere più reale, più concreto e più umano un movimento così lontano dal mondo dei giorni nostri.
A proposito dello sguardo innocente di bambino, Marika – che ha decisamente più memoria di me – ha fatto un pregevolissimo accenno e collegamento con il romanzo Il buio oltre la siepe, di Harper Lee, mettendone in luce le analogie ma, soprattutto, le differenze. 

Il brainstorming di cui parlavo prima era composto di tantissimi altri spunti di riflessione che, più o meno, abbiamo cercato di approfondire. Abbiamo accennato alla sospensione del giudizio e, soprattutto, di umanità in una circostanza come la guerra – situazione che modifica profondamente l’animo di una persona. Chiamato alle armi come essere umano e congedato come automa. Questo ci ha portate a parlare della guerra in Vietnam e, più in generale della Guerra Fredda e, poi, della psicanalisi, del disturbo da stress post traumatico. Spunti allegri e leggeri da affrontare il mercoledì sera dopo una giornata di lavoro. Nonostante ciò, ne siamo uscite abbastanza soddisfatte.

Quale sarà il nostro prossimo salto nel vuoto?

Spoiler: in realtà il salto nel vuoto l'abbiamo già fatto. Il titolo seguente è stato Le ambizioni sbagliate, di Alberto Moravia. Per me è no, ma lo sapevo già... 

Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno



lunedì 8 marzo 2021

I classici del femminismo: Donne, razza e classe

16:05

Sorelle, compagne, amiche, buona Giornata Internazionale dei Diritti della Donna. 

La Redrumia è uno spazio femminista, ma non solo. Femminista, comunista e antirazzista, perché, checché se ne dica, le tre cose non possono essere separate. Sapete chi lo ha detto prima e molto, molto meglio di me?

Angela Davis.

Ѐ di lei e del suo testo più famoso che parliamo oggi, per fare una dovuta celebrazione della giornata. 




Come sempre, un disclaimer. Con questi post non ho la pretesa di insegnare niente a nessuno, figuriamoci recensire. Quello del femminismo è un mondo ampio e che merita e necessita di uno studio approfondito.  (Andrebbe fatto nella scuola dell'obbligo, dite? Sono d'accordo.) Io sono solo all'inizio ma sto cercando di farlo, ma quello che faccio su questo blog è solo condividere il mio viaggio. Non sono nella posizione di insegnare nulla.


Dunque, femminismo, comunismo e antirazzismo. Perché non possono essere separati? Perché una persona di destra non può definirsi veramente femminista senza rischiare che a qualche compagna venga la voglia di portarla in un vicolo e dargli tutte quelle che non ha preso da piccola? 

Perché l'origine della diversità deriva dalla struttura stessa della società capitalistica. 


Ma facciamo un passo indietro. Il testo di Davis si apre con un saggio sul periodo della schiavitù. Le donne nere erano trattate esattamente come gli uomini: parità di ore di lavoro, stessa intensità delle mansioni. Ci sono vari problemi a riguardo: i corpi di donne e uomini sono per natura diversi, ma non solo. Le donne fanno figli. Aldilà dell'ovvio (nessuna maternità, nessun riposo, nessun alleggerimento del lavoro), le schiave erano forzate a fare più figli possibile. Più bambini più futura forza lavoro. 

Come si forza una donna a fare figli? Con la violenza, sessuale, sistemica. Lo stupro come strumento di esercitazione del potere dell'uomo sulla donna non è certo roba nuova. 

Da questo primo capitolo in poi Davis ripercorre la storia delle donne nere e della loro lotta, passando attraverso tutte le fasi principali e i nomi più rilevanti. Il movimento abolizionista, il suffragio femminile, i congressi, il razzismo, la nascita della società capitalista, per arrivare a stupro, sterilizzazione forzata e controllo delle nascite. Il testo è storico, e la lettura che si dà della storia è inequivocabilmente marxista.


Quello che fa Davis è mostrarci che nessuna separazione sarà mai di beneficio al movimento femminista. Ignorare che le donne bianche hanno sistematicamente evitato di considerare le nere all'interno del movimento, sotterrando così la prova di un loro grande privilegio, vuol dire ignorare che ancora oggi siamo così. Aprire gli occhi di fronte al fatto che ci sono molte più cose da considerare oltre al nostro piccolo giardinetto di fronte a casa è solo il primo passo di reale conoscenza di quello che ci circonda. Leggere un libro di 40 anni fa è solo un piccolo sguardo, ma è il primo, ed è necessario. 


L'approccio marxista al femminismo è quello che trovo più affine ai miei ideali. Nonostante sia costantemente abbattuta da politica, attualità e da quello che mi circonda, non posso smettere di credere in un sistema più giusto. In cui le persone siano tutte uguali, in cui si lotti insieme per i diritti di tutti, in cui non si possa avere una singola persona al mondo con un proprio personale programma spaziale mentre in giro mancano le basi per una vita civile. Davis, con un testo difficile da leggere per tematiche ma non certo per stile, che ha un enorme pregio nell'essere davvero alla portata di quasi tutti, mi motiva a continuare a crederci, a non smettere, nel mio piccolo e pigro mondo, di lottare perché si smetta di essere considerate macchine che producono denaro per qualcuno più grande di noi. Che esista, magari non ancora ora e non qui, una società in cui l'individualismo non sia più importante dell'uguaglianza, in cui l'esistenza delle persone sia votata al lavoro e non alla crescita personale e sociale. In cui non siamo più strumenti. 


Io faccio la cassiera, in un discount. Una larghissima fetta della clientela del mio punto vendita è straniera, assisto a piccoli episodi di razzismo su base quotidiana. Vedo centinaia di persone al giorno, vedo il modo in cui gli uomini trattano le compagne, vedo ragazze nere sole con bambini e le occhiate delle benpensanti elegantissime cremonesi dietro di loro in coda, vedo donne col velo parlare qualche volta poco bene in italiano ed essere accolte da occhi al cielo, vedo sguardi sorpresi quando invece l'italiano è parlato benissimo. Chissà se sarebbe così, se persone come Angela Davis fossero studiate a scuola, se il rispetto fosse dato per scontato, se le differenze fossero non nascoste ma valorizzate, se ci insegnassero fin da piccoli il valore dell'umanità in quanto tale e non per tali o presunti meriti (economici, s'intende).


Mi perdonerete se questa non è una vera e propria recensione, e se del libro si parla poco, ma quello che l'autrice ha fatto a me è stato creare desiderio di ancora di più. C'è troppo che non so, troppo su cui ancora lavorare, troppo su cui mi sono a lungo distratta, troppo che ancora sbaglio, e di sicuro non basterà leggere un paio di libri a cancellare anni di crescita in una società che oggi trovo così marcia. Ma ci si lavora, ci si prova sempre a migliorarsi e a diventare un po' più umani di ieri. 

In giorni come oggi, che non sono solo date sul calendario per farci regalare dei fiori, ci si prova un pochino più forte. 







mercoledì 3 marzo 2021

I 200 di Rue Morgue: The bad seed / Il giglio nero

12:38

 Continua il nostro viaggio tra la selezione dei migliori horror alternativi di Rue Morgue, e questa volta è il turno di un film che a me era completamente sconosciuto: The bad seed, inspiegabilmente diventato da noi Il giglio nero, del 1956.



Christine ha una vita invidiabile: un marito bello e innamorato, una bambina che sembra uscita da una casa della bambole, una buona posizione sociale...sembra non mancarle niente. O almeno, è così fino a che un compagno di scuola di Rhoda, la sua bambina, muore in circostanze tragiche, e la tragedia inizia anche per Christine.


Più guardo film, più leggo saggi, più mi informo, più, nella più socraticamente banale delle considerazioni, mi rendo conto di non sapere proprio nulla e infatti questo film era completamente fuori dai miei radar. Eppure The bad seed sembra davvero essere il papà dei film con i bambini cattivi. Arriva ancora prima del ben più noto (a me almeno) Il villaggio dei dannati. 

Oggi di bambini cattivi ne abbiamo visti in tutte le salse, e io li amo praticamente tutti. È un sottogenere che mi piace sempre. The Bad Seed li ha anticipati tutti. Rhoda è il perfetto esemplare di bambina crudele. Due adorabili treccine bionde, una faccina da bambolina e un vestitino bianco che lei rende il perfetto abbigliamento angelico da bambina che va in chiesa tutte le domeniche, comincia ad essere spaventosa dai primi istanti. 

La mamma e il papà sono naturalmente accecati dal più grande amore del mondo, ma noi la vediamo arrivare in scena e già sappiamo che qualcosa non va. Sorride un secondo di troppo, si inchina un po' troppo in basso, muove le trecce all'indietro con un pochino troppa forza. E infatti poi muore il compagnetto di scuola e lo sappiamo da subito che volatili senza zucchero. Rhoda si srotola pian piano, mostrandosi per il mostro che è lentamente, per tutta la durata del film. Il vero livello dell'orrore esce dalla sua boccuccia santa solo alla fine, quando le sue intenzioni (e anche quella che ormai è la sua abitudine) vengono palesate in modo innocente al papà e molto meno angelica a noi. La bambina è interpretata da una piccola Patty McCormack, che non stupisce abbia poi avuto una carriera molto prolifica, perché qui è bravissima. Il solo modo in cui scuote le trecce e si inchina sono da brividi lungo la schiena. Il perfetto archetipo di quello che ormai è un grande classico. 


Il film è tratto da uno spettacolo teatrale, a sua volta tratto da un romanzo, e la cosa traspare tantissimo nella messa in scena: è ambientato quasi del tutto nel salotto di casa, da cui entrano ed escono diversi personaggi. La cosa non fa perdere la tensione, anzi. La paura quella più sottile, che si infila nella schiena, non ha sempre bisogno di azione. Il mistero che circonda la morte del compagno di scuola di Rhoda si risolve con osservazione e chiacchiere. Il dramma di Christine si rivela nello stesso modo, e nessuno dei due perde di intensità. L'interazione con gli altri rende il disastro palese, se le persone che le circondano non fossero mai entrate nel loro salotto di casa probabilmente Christine starebbe ancora dando il basket of kisses che la bambina chiede ai genitori per tutto il film. 


Questo film è stato non solo una scoperta bellissima, ma l'ennesima conferma che degli anni '50 non so proprio nulla. Roba in più da studiare. Ѐ bellissimo.

mercoledì 24 febbraio 2021

I 200 di Rue Morgue: L'arcano incantatore

15:37

 Ho scritto fino alla nausea su questo blog che quelli di Pupi Avanti sono horror che porto nel cuore, eppure ancora mi mancava L'arcano incantatore, che guarda caso sta in mezzo alla lista di film che la rivista Rue Morgue consiglia di recuperare.

Non solo la rivista lo consiglia, ma lo fa con una mini intervista a Guillermo del Toro, che come sapete è il grande amore della mia vita. E non solo di nuovo, perché del Toro, parlando del film, cita una frase di un altro mio grande amore filmico: pare che Edgar Wright, quel benedetto tatone che non è altro, abbia definito L'arcano incantatore (titolo pazzesco) un "Barry Lyndon del cinema dell'orrore". 

Chi sono io per smentire quei due qua. Loro hanno sempre ragione.




Siamo nel '96, sono passati più di dieci anni dall'ultima volta in cui Avati ha girato un horror (l'ultimo era stato Zeder). Per tornare in carreggiata decide di raccontare una storia che contiene tutti i suoi temi più cari, che sono quelli che me lo fanno amare.

Siamo sugli Appennini bolognesi nel '700. Giacomo, un giovane seminarista, è costretto a lasciare Bologna per aver conosciuto una donzella in senso biblico e per averla poi costretta ad abortire. Per non subire le tremende punizioni della Chiesa chiede aiuto ad una donna misteriosa che lo manderà a lavorare come aiutante di un ex monsignore, allontanato dalla Chiesa e dalla società per passati interessi verso il mondo dell'occulto. L'ultimo aiutante del monsignore, Nerio, è da poco defunto in circostanze misteriose e Giacomo è deciso a fare luce sulla faccenda.


Ma quanto piace, ad Avati, parlare della Chiesa? Un casino. I legami tra religione ed occulto, e soprattutto il loro essere così sottili, sono onnipresenti nella sua filmografia (almeno in quella dell'orrore, a meno che ci sia da qualche parte un film in cui Silvio Orlando fa il papa con strani intrallazzi di cui non sono a conoscenza). Credo che il motivo per cui questi film io li amo così tanto stia proprio qui. La Chiesa cattolica, che ho conosciuto da vicino e frequentato per decenni, è oggi per me fonte di grande inquietudine. L'immaginario cattolico, l'estetica cattolica, le credenze, popolano i miei incubi. Avati è straordinariamente bravo a sfruttare proprio questo. Gli abiti, le ambientazioni, le luci delle candele, i movimenti delle benedizioni, le croci, l'estremismo delle credenze popolari, il folklore. Non solo riconosco come "miei" i luoghi in cui ambienta le storie, ma sento vicine le cose tra cui sono cresciuta e vederle sfruttate a dovere per un film dell'orrore mi fa saltellare di gioia per poi nascondermi gli occhi dietro le mani. La piccola chiesetta che si vede in questo film è uguale a tutte le altre piccole chiesette sperdute padane che circondano le vie in cui abito. La foschia della sera è la stessa che vedo tutte le sere, innesca in me un meccanismo di attaccamento al film immediato. 

Forse li amerei così anche se fossero ambientati in Toscana, o in Abruzzo, ma il fatto di sentirli così vicini è solo l'ennesimo punto in più a favore di storie che hanno tutto quello che amo. La lentezza dell'inquietudine sottile che non ha bisogno di gran fragori, i pochi dialoghi e i tantissimi sguardi, le luci, i colori. L'occulto che non si manifesta solo nelle persone che attivamente lo ricercano ma anche in quelle che, standogli intorno, ne parlano in ogni momento: le donne, Giacomo che fa mille domande, le persone del paese, il monsignore che lo ricorda. Nerio è protagonista per tutto il film solo per quanto ne parlano gli altri. Non c'è, ma è il più presente di tutti. 

E pian piano, tra una domanda e l'altra, tra un mistero e l'altro, finisci avviluppato in questo film così lento e così intrigante, con i suoi personaggi così ambigui, con i suoi finali che ormai conosciamo ma che non per questo amiamo meno. 

Sono tanto affezionata, ad Avati. Talmente tanto che, quando è venuto al mio paesello per un'iniziativa che nemmeno ricordo, non sono riuscita a dirgli nulla e sono scappata via ad intervista finita. Che polla.

giovedì 18 febbraio 2021

I 200 di Rue Morgue: L'abominevole dr. Phibes

21:36

 Questo percorso nei 200 (abbondanti) film dello speciale di Rue Morgue è sempre più divertente. Mi porta fuori dalle mie consuetudini e mi fa recuperare cose famosissime ma che per qualche motivo io ancora non avevo guardato. Se non sapete di cosa sto parlando, l'intro al progetto è qui.

Anche questo film, come Abby di cui abbiamo parlato la scorsa settimana, si trova facilmente su Youtube in lingua originale.




Anton Phibes, celebre organista, ha perso la moglie in un incidente stradale. Tutti considerano anche lui scomparso nell'infelice evento, ma non solo Phibes è vivo, è anche incazzato nero. Dopo l'incidente la moglie era stata sottoposta ad un intervento chirurgico, estremo tentativo di salvarle la vita, che purtroppo è finito male. Phibes non ha perdonato, ed è pronto a vendicarsi di chi gli abbia portato via la sua amata Victoria.


Questo è davvero un portento, un film bellissimo. 

Riesce, con un equilibrio raffinatissimo, ad alternare morti grottesche (di cui parliamo dopo) a scene strazianti di dolore puro. Del resto Phibes è Vincent Price, a cui qua dentro pensiamo sempre con un affetto infinito, e solo lui, anche se privato quasi sempre della caratteristica voce, poteva dare a Phibes un'intensità così spiccata. Il suo è un personaggio distrutto dal dolore, il modo in cui si ferma a guardare l'immagine della moglie scomparsa è da cavarsi il cuore con le mani, e allo stesso un sadico bastardo che si compiace dei suoi tremendi omicidi. 

Basta aprire un link a caso online per vedere paragonato questo capolavoro di creatività a quella robaccia che risponde al nome di Saw. Non lasciatevi ingannare, se per caso ancora non aveste visto il film di Robert Fuest. I due non hanno niente a che spartire e se cortesemente Jigsaw volesse con la sua maledetta arroganza sedersi in un angolo ad imparare come si fa, grazie. 

Phibes organizza i suoi omicidi basandosi sulle bibliche piaghe d'Egitto, e le rende modi molto scenografici di togliere la vita alle persone. Parlo di locuste calate dal soffitto su facce riempite di roba che sembra melassa, di maschere a forma di rana e teste di unicorno, di pipistrelli affamati e topi sugli aerei, ma che ne sa quello sul triciclo. La scelta e la messa in scena di queste morti, poi, sono da applausi a scena aperta, ma quanto sono estetici? Che scelte incredibili ha fatto, una dopo l'altra, Fuest? 


Il film, poi, sarebbe anche senza queste morti, una meraviglia di colori. Quelli che sanno di arte e architettura più di me lo chiamano art decò, io, ignorante, lo chiamo "Ma quanto sei bello?".

Le pareti dell'ospedale verdi, la casa del dottor Vesalius, i vestiti, ogni cosa. L'estetica di questo film ripulisce le cornee anche dallo smog. Ogni inquadratura l'avrei screenshottata per stamparmela in casa. 

In questo goduriosissimo insieme di morti succulente e immagini da rivista di interior design, non passa mai in secondo piano la storia di un uomo ferito. Per questo parlavo dell'equilibrio, prima. Si mettono insieme cose che all'apparenza sembrerebbero così lontane e che invece si rivelano, insieme, miscelate alla perfezione.


Guardatela, se non l'avete già fatta, la storia di un Vincent Price fatto a pezzi dalla vita e dalla strada che si prende la sua vendetta. Già solo con questa descrizione ne varrebbe la pena.

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