venerdì 13 ottobre 2023

La caduta della casa degli Usher - NO SPOILER

19:07
 Sono giorni che nelle storie di Instagram dico che per digerire Flanagan mi serve tempo, che non posso parlarne subito perché devo elaborare per bene, ma se siete mai passati da queste parti sapete bene che mi contraddico in continuazione, e quindi eccoci qua. 
Dopo qualche ora spesa a pensare agli Usher e alla fine della loro dinastia ho deciso di provare lo stesso a scrivere qualcosa a caldo. Per una riflessione più strutturata e magari anche full spoiler potrei fare una live la settimana prossima su Twitch, sempre compatibilmente col periodo infelice.
Vediamo se esce qualcosa di sensato.




Nel suo ultimo lavoro per Netflix, Mike Flanagan ha deciso di trarre ispirazione dai racconti di Edgar Allan Poe. Il livello di ispirazione è lo stesso delle serie precedenti, ovvero piuttosto vago. Dal racconto che dà il titolo alla serie prende la famiglia protagonista, ovviamente, gli Usher. Questi, di Usher, sono magnati dell'industria farmaceutica, vessati da un avvocato - Dupin, chi altro? -  che da anni prova ad incastrarli perché il loro prodotto di punta ha effetti collaterali molto più gravi di quelli dichiarati. Quando i membri della famiglia cominciano a cadere come foglie d'autunno il patriarca, Roderick,  decide di confessare a Dupin le sue colpe, in un lungo racconto che spiega perché degli Usher non sia rimasto più nessuno.

Non so quanto sia appropriato giudicare un prodotto in relazione agli altri del suo showrunner, ma penso che in casi come quello di Flanagan sia un po' inevitabile. Tutto il suo lavoro è una lunga disamina sugli stessi temi e temo che per forza di cose qui mi ritroverò a fare diversi paragoni.
Per la prima volta il regista decide di parlare di una famiglia molto ricca. Non che abbia mai davvero parlato di povertà, le famiglie precedenti sono quasi sempre state borghesi, ma è la prima volta in cui si cimenta con un discorso di classe, e questo cambia le carte in tavola perché prende le tematiche a lui molto care (lutto, famiglia, rapporto tra fratelli, l'abuso di sostanze) ma per forza di cose le affronta in un modo diverso, perché cambiano le posizioni di partenza.
Nelle storie precedenti ci ha abituato ad amori immisurabili: Hugo, il padre dei Crain, ha perso i figli per quasi tutta la vita per proteggere l'immenso amore che avevano per la madre, in Bly Manor Henry priva i bambini della sua presenza affinché mantengano un ricordo pulito dei loro genitori, e così padre Pruitt mente sulla sua identità per la figlia. Sono tutti ritratti genitoriali costruiti su una concezione straordinariamente generosa dell'amore, che vede l'amante annullare se stesso per proteggere l'amato. La vita di figli tanto amati cambia e li rende le persone che sono proprio perché benedetti da un sentimento così altruista, nel bene e nel male. Tutto l'immenso amore che ha messo nelle prime tre serie, ma che è presente anche in alcuni dei film, qui viene messo da parte. 
Gli Usher sono troppo potenti per volersi davvero bene. Tolte di mezzo le madri - frequente in Flanagan, sono i papà il centro del discorso - rimane un uomo milionario con sei figli che non ha idea di cosa fare di loro. Raggiunta un'età consona li omaggia di un'importante soglia di denaro - condizionale, però, perché viene elargita solo se c'è una buona idea di business in cui andrà investita - e limita la relazione allo stretto indispensabile. Può permettersi di farlo perché nessuno dei figli reclama la sua presenza, almeno non direttamente. Questi figli avuti in giro per il mondo con molte madri diverse sono arrivati a lui in virtù della vita agiata che lui poteva offrire e non hanno chiesto altro. Lui ha chiesto loro di tenere bene il nome della famiglia, con investimenti sensati e senza troppe scelleratezze. Un rapporto basato sullo scambio economico di cui tutti hanno beneficiato fino a che, uno dopo l'altro, i figli hanno iniziato a morire.
Roderick, dal canto suo, non aveva altro da offrire, e si sono bastati. Quando è giunto per lui il momento della confessione a Dupin, non è stato un momento doloroso per salutare i figli, ma solo l'unica chiusura possibile ad un disastro annunciato. Aveva creato delle condizioni tali per cui la storia non poteva che finire così, e ha agito di conseguenza. Questa non è la storia di Hugo Crain, in cui un personaggio pieno di disperazione ci fa fare un viaggio che lo renderà l'eroe. Queste sono persone che non si vogliono bene perché nemmeno si conoscono. Condividono il sangue ma alcuni nemmeno condividono il nome, condividono sporadicamente dello spazio senza che tra di loro scorra alcuna parola buona. Roderick coltiva questo clima ostile, ponendo i figli uno contro l'altro come in una partita a scacchi in cui il solo vincitore possibile fosse sempre e solo il patrimonio. 
Annullata questa componente, che nei lavori precedenti era fondamentale, quindi, cosa resta? Resta un discorso sociale di straordinaria importanza, perché se non è l'amore che ti guida, cosa può essere? In questi otto episodi prova a dimostrarci che la sola risposta possibile dovrebbe essere la morale, ma che non esiste morale in chi ha troppo potere per mettersi in relazione all'altro. La caduta della casa degli Usher diventa un dialogo sull'etica personale, su quali valori ti guidano quando non hai una guida.
Privati della radice principale, quella famigliare, i figli di Roderick sono smarriti. Sono persone di immenso successo, con uno sconvolgente potere tra le mani, ma quando vengono messi di fronte alla possibilità di fare la scelta giusta non sanno nemmeno da che parte cominciare e prendono la sola strada possibile: quella egoista. Ogni episodio vede un personaggio messo di fronte alla possibilità di essere una persona migliore, e nel momento in cui si capisce che queste persone sono senza speranza si ha già la risposta. E infatti che siano tutti morti non è uno spoiler, è l'inizio della serie.
La loro posizione li ha privati del contatto con l'umanità, anche il più semplice, e sono diventati mostruosi. Inconsapevolmente, mostruosi, perché per otto episodi non vedremo mai la minima traccia di pentimento. La società, che loro comandano come fossimo in un teatro di marionette, non ha posto per loro, così lontani da non riuscire nemmeno a metterla a fuoco davvero.   Questo si riflette molto nelle vite sentimentali dei figli, nessuno dei quali ha una relazione equilibrata. Gli Usher, nelle loro relazioni, sono sempre in una posizione di comando: chi si fa gli assistenti, chi ordina al marito cosa fare della propria vita sessuale, chi tratta a pesci in faccia il fidanzato solo perché può. 
La domanda principale che si pone è che cosa dà valore alla nostra esistenza. Se è chiaro quale sia la risposta dei personaggi, e nello specifico di Madeline, la sorella di Roderick, è allo spettatore che si rivolge. Loro hanno avuto tutto, ma non hanno lasciato nulla. La legacy della persona che si è stati come si valuta? Quali sono gli elementi di te che resteranno nel mondo dopo che te ne sarai andato? E se non resta niente di buono, qual è il senso di stare qui? Una volta che tu avrai avuto una vita straordinaria, fatta di successi e lussi ma senza nessuno che dopo ti te ne faccia qualcosa, ha comunque avuto senso?
Gli Usher hanno le idee chiare, e subiscono le conseguenze di quello che ritengono essere il senso del loro posto nel mondo, ma tu, spettatore? 
Non intendo certo dire che fa della facile morale: è chiaro che i soldi non sono tutto e che la ricchezza vera risiede in altro, ma Flanagan non è così superficiale, e va oltre. Sei più rilevante tu, che hai cambiato il mondo, o la persona inferiore vicina a te, che ha fatto cose più piccole? Perché in realtà gli Usher, da un certo punto di vista, non escono sconfitti: sono tutti morti dopo vite vissute al massimo. 
Non è il senso della vita, quello che rimette in discussione, è quello della morte. L'andarsene che cosa significa? Che cosa comporta? Apre o chiude qualche possibilità? Valiamo di più per quello che facciamo quando ci siamo o quando ce ne andiamo?
Gli Usher hanno messo sulle proprie teste una sentenza, ma essendo pieni di potere hanno avuto il lusso di dimenticarsene, e quindi agire come se non si morisse mai. Roderick e Madeline, che portano sulle spalle il peso di milioni di morti causate dal loro farmaco, hanno il privilegio della memoria corta. Eppure la loro morte non porta giustizia, e in questa mancata catarsi sta la differenza con alcuni dei lavori precedenti: se in Hill House la famiglia Crain trova una chiusura e trova nella verità il modo per sopravvivere ad un grande dolore, gli Usher sono talmente lontani dal vivere comune che nemmeno ne hanno bisogno, tanto è vero che muoiono tutti facendo quello che li ha identificati in vita: qualcuno si droga, qualcuno annulla se stess3 (censura per non spoilerare), qualcun3 muore facendo il lavoro che l3 appassionava. Anche la piccola nota positiva che ci regala l'unica nella famiglia che non ha la rogna, non serve a bilanciare il male fatto da loro, perché non è investita nello stesso settore ma finisce su strade diverse, e forse è giusto così, proprio per mantenere quel tono privo di speranza.
Gli Usher di tutto il mondo non pagano per quello che fanno, non rimettono in discussione il valore della loro presenza sul pianeta ma anzi cercano in chi gli è inferiore elementi per continuare a legittimare le proprie nefandezze. Flanagan lo sa, e non li tutela mai. Li mette di fronte all'orrore delle loro esistenze lasciando che ad indignarsi sia solo lo spettatore ferito, toccato da un senso di giustizia che loro non avranno mai. 

È una serie più cattiva, che centellina l'immenso cuore del suo creatore perché quando si parla di stronzi non gli puoi dire stupidini, devi dimostrare tutti i modi in cui sono stronzi, tutti i modi in cui non potrebbero essere altro che stronzi, tutte le maniere in cui la vita ha insegnato loro solo ad essere stronzi. Lo grida con tanta intensità che alla fine, ovviamente, lo spettatore con un po' di sentimenti soffre per loro, vittime dello stesso sistema di cui hanno così a fondo goduto. Poiché comunque quel cuore lì lui ce l'ha, ci mette tante ore per farti vedere che tutto quell'amore lì negato, che la serie ha tenuto chiuso fuori, era la sola cosa che serviva a tutti, e che nessuno è stato in grado di elargirla, prima ancora che di trovarla.
Stupido Flanagan, mi fa piangere anche per i miliardari. 

lunedì 9 ottobre 2023

Redrumia33 - settimana 1

11:53

 Tradizione di casa Redrumia vuole che ad ottobre si guardi un horror al giorno. Per me questa sarebbe la norma, da tenersi tutto l'anno, ma non posso rischiare il matrimonio, quindi mi limito a chiederlo come regalo di compleanno al mio povero marito che non è esattamente un grande appassionato.

Questi sono quelli che abbiamo visto in questa prima settimana.


Abbiamo naturalmente cominciato con l'horror più chiacchierato dell'anno, che mi sono persa al cinema con grande dolore. Alla fine forse per Riccardo è stato meglio così: è davvero spaventoso come il trailer ci aveva fatto intuire. Ho visto che sui social è un film piuttosto controverso quindi ci tengo a chiarire la mia posizione: sono tra quelli che l'hanno amato. 
Come ormai saprete, è una storia di possessione che vede un gruppo di ragazzi giocare con una mano che permette loro di farsi brevemente possedere. Quando permettono al fratellino di una ragazza della compagnia di partecipare, le cose si fanno ben più intense di una semplice goliardata.
Ne ho amato molti aspetti: quanto è spaventosa la prima parte, il modo in cui affronta il lutto in modo semplice ma non superficiale, il modo in cui racconta gli adolescenti, che non sono creature mostruose e senza cuore ma che a volte fanno degli errori gravissimi convinti di stare facendo la cosa giusta. È un film in cui i protagonisti sono costretti ad assumersi le responsabilità delle proprie scelte, e soprattutto vi è costretta Mia, che è in una fase delicatissima della propria vita: la mamma è morta, la sua vita sociale va malissimo, ed è la principale responsabile del disastro combinato col fratellino della sua migliore amica. Nel corso del film Mia deve imparare che spesso per mettere una pezza ai propri errori bisogna sacrificare qualcosa di proprio, e questa esplorazione conduce il film ad un finale che secondo me è magnifico e commovente. 
Un coming of age che si muove attraverso sbagli e sofferenze, in cui diventare migliori è possibile solo se prima si scivola sul terreno accidentato dell'esistenza. L'ho molto apprezzato anche se penso si perda un pochino nella seconda parte, con quel finale si è assolutamente fatto perdonare.




Questo l'ho riguardato per un progetto a cui sto lavorando e ogni volta lo apprezzo di più. Chi non lo ama non capisce il cinema degli anni duemila ed è un vero peccato, perché si perde un cinema scatenato e violentissimo, che riaccende spesso la mia fiammella di passione ogni volta che avverto un po' di calo. 
Non è stupido come ve lo ricordate, è perfettamente rappresentativo della sua epoca e al tempo stesso un'anomalia: costo ridicolmente superiore ai suoi contemporanei non ripagato dal successo che ci si aspettava, ma brutale e macellaio esattamente come tutti quelli dello stesso decennio. Non si riesce a distogliere lo sguardo, gli sono sinceramente affezionata.




Per poter recuperare il suo seguito uscito di recente e di cui in tanti mi hanno parlato bene, abbiamo recuperato il primo The Nun, che avevo ignorato alla sua uscita. Sbagliavo, ovviamente, perché per me è stata una visione simpatica. Per chi non lo conoscesse, è uno spin off del Warrenverse, in cui si esplora il passato del mio adorato Marchese dei Serpenti. Ha per me dei momenti molto buoni, di grande suggestione, ed essendo un horror religioso sapete bene che ha il mio cuore. Purtroppo avrei voluto osasse un po' di più, ma ho trovato belli affascinanti i momenti con la madre superiora e carino il modo in cui si riaggancia al suo universo narrativo. Raga io son contenta con poco.




Esattamente come col film sopra, anche Insidious 4 l'ho recuperato per poter vedere il 5, uscito quest'anno. La saga di Insidious per me è molto equilibrata, e i film sono tutti buoni. Questo, nello specifico, esplora il passato di Elise, costringendola a tornare nella casa d'infanzia, in cui il suo dono non era visto di buon grado. Oltre ad aver apprezzato la scelta di dedicare a lei e al suo percorso un capitolo intero, ho trovato questo il sequel più simpatico della saga, che dedicando un po' di spazio ai colleghi della medium dona un po' di leggerezza in una storia in cui invece di leggero non c'è nulla.
Parla bene di violenza domestica, della condanna del diverso, di come a volte l'unico modo per superare il passato è riportarlo nel presente. 
Molto carino, io faccio spesso l'errore di mettere questa saga in secondo piano e sbaglio, è tra le migliori degli anni recenti.



 
L'ultimo capitolo, infatti, lo conferma. L'esordio alla regia di Patrick Wilson è un film che riprende la storia da dove l'avevamo lasciata col secondo capitolo. Josh e la moglie hanno divorziato e lui e il figlio Dalton si sono sottoposti ad un'intervento di rimozione della memoria di quanto accaduto loro. Se Dalton ha vissuto 9 anni senza che questo avesse su di lui alcuna conseguenza, Josh è ben più provato: è un uomo smarrito, allontanato dalla famiglia, incapace di adattarsi ad una vita nuova e a recuperare una relazione sana col primogenito. Quando qualcosa nella memoria di Dalton comincia a muoversi c'è bisogno che il padre ritorni in sé, per salvare il figlio, se stesso, e quello che resta del loro rapporto.
Il modo in cui la relazione tra il padre e il figlio adolescente è messa in discussione è molto buono, anche se a tutti gli effetti la saga salva sempre i padri dando la responsabilità delle loro colpe a fattori esterni. Se si accetta questo, ne esce un film commovente, che vede un uomo doversi ricostruire dopo il momento più basso della sua vita, e che, come la medium nel film precedente, per poterlo fare deve lasciar spazio al passato nel suo presente. Bisogna sempre ripercorrere i propri passi per chiudere tutto quello che è stato lasciato aperto e poter proseguire facendo della propria storia un mattone su cui costruire un presente, e Josh ha bisogno di rimettere in discussione il proprio ruolo come genitore per poter davvero diventare una persona diversa nella vita del figlio.
Una bella conclusione, molto coerente con i messaggi dati nei film precedenti e con il percorso dei suoi protagonisti, sono rimasta molto soddisfatta.




Era qualche mese che mi volevo rivedere Shutter, uno dei film che mi fa più paura di sempre, quindi una sera in cui Riccardo era al lavoro me lo sono concessa. Lo ricordavo bene: fa parecchia paura. 
Non ho molto da dire di nuovo, perché ne ho parlato spessissimo su ogni piattaforma, ma per me è un ottimo rappresentante del cinema orientale, con la caratteristica fantasma vendicativa; un racconto importante su cosa sia la colpa e su cosa ci rende complici della sofferenza altrui. Per me ha uno dei finali più spaventosi e significativi di sempre. 
Per rivederlo aspetterò altri 4 o 5 anni, però, che vorrei evitare la prematura dipartita.




Altra uscita piuttosto chiacchierata del periodo è Nessuno vi salverà, variazione dell'home invasion che vede gli alieni al posto dei noiosi invasori umani. È un film senza dialoghi, che gestisce a mio parere molto bene questa sua caratteristica che risulta sempre molto naturale e mai forzata, coerente con la situazione iniziale che il film ci racconta: la sua protagonista è una giovane donna rimasta sola, in cattivi rapporti col vicinato per via di qualcosa accaduto nel suo passato e che una notte riceve una visita indesiderata. Anche in questo caso per me il punto di forza è il finale: una riflessione su solitudine, colpa e disperazione, in cui il diverso può essere l'unica soluzione per sopravvivere. Non ho amato il creature design degli alieni che un po' troppo spesso mi ha fatto sorridere e il mistero su cosa la nostra protagonista abbia combinato non ha nulla di misterioso. Non che per me la prevedibilità sia necessariamente un difetto, ma lo segnalo per chi in effetti la consideri tale.
Una visione comunque interessante che, se vi va, trovate su Disney+.


martedì 19 settembre 2023

Redrumia Summer Compilation 2023

10:57
 Non c'è niente che mi metta più amarezza della fine dell'estate, di solito. Non voglio sentire discorsi sul caldo e il sudore: noi rettili stiamo bene così, grazie tante. 
Questa, però, è stata senza dubbio alcuno l'estate peggiore della mia vita e sebbene i prossimi mesi non si prospettino migliori sono contenta di essermela messa alle spalle. Poiché la Vita Vera ha preteso che io le dessi tempo e attenzioni, in questi mesi sono riuscita a leggere e guardare pochissimo. La verità è che quando le cose vanno malemale non è solo il tempo a mancare, ma anche e soprattutto la testa. Il tempo libero che ho avuto l'ho sprecato scrollando i social senza sosta perché lo scorrimento di video veloci e leggeri mi ha distratto più di quanto facessero in quel momento i film e i libri. Questa fruizione rapida e che non richiede niente è stata un rifugio, ma non le permetterò più di prendersi così tanto tempo perché, come penso possiate ben immaginare, è solo un modo di scappare, ed è una cosa che non voglio più concedermi, non così.
Nonostante questo, qualcosa sono riuscita a godermi, e ve ne parlo un po'.
Sarà lunga, mettete su il caffè.

Foto di Dakota Roos su Unsplash



CINEMA

Questo è l'argomento che mi dà più dispiacere e quindi ce lo leviamo subito. Ho guardato così pochi film che mi sono sentita svuotata di ogni motivazione. Sono a mia discolpa uscite molte poche cose che mi interessassero davvero, e quelle poche che ho visto non mi hanno fatto strappare i capelli dalla gioia. Non ho neppure partecipato al fenomeno Barbenheimer, nel senso che non ho ancora visto nessuno dei due e sono interessata a recuperare solo Barbie a giorni.
Mi sono principalmente dedicata a riguardare pellicole già viste per un progetto di cui non comincio a parlare ora solo perché nei prossimi mesi vi ammorberò, ma mi ha fatto piacere perché riguardare cose già note è spesso di comfort e un bell'esercizio di analisi. Devo farlo più spesso, la fomo mi spinge sempre verso la ricerca di cose nuove quando invece anche prendersi del tempo per riguardare cose già note è molto gratificante.
Tra le pochissime prime visioni vi cito solo L'esorcista del papa - così odiato dal web ma così squisitamente autoironico che io mi sono divertita come una pazza - ma anche The Blackening, una horror comedy che parla di poc, molto meta e scanzonata ma che secondo me manca del mordente che avrei voluto avesse, e infine The Borderlands, un found footage inglese del 2013, così spaventoso e curato che mi ha confermato per l'ennesima volta che i ff sono proprio i film della vita mia. È ambientato in una piccola comunità, in cui due sacerdoti sono invitati dal Vaticano ad investigare perché all'interno della chiesa si sono verificate delle attività sospette. Quindi, ricapitolando: piccola comunità, film minimal con pochissimi ambienti e altrettanti personaggi, ambientazione religiosa. Ha tutti gli ingredienti necessari per diventare uno dei film del cuore della Redrumia e infatti sono certa che sarà uno di quelli che tornerò spesso a vedere.

E, con mio sommo sgomento, mi tocca riconoscere che per il cinema è tutto qui.

LIBRI

Un pochino meglio è andata per quanto riguarda le letture. Involontario fil rouge è stato il lutto, e anche se ammetto che non è il periodo giusto per me per letture di questo tipo, ho trovato in questi mesi dei romanzi davvero eccezionali.
Il primo è  Appunti sulla tua scomparsa improvvisa, di Alison Espach. È il racconto, in prima persona, di una sorella minore che sopravvive alla morte della maggiore. Non è solo una narrazione molto intensa sul lutto e su come si è costretti a sopravvivere, ma anche un racconto così lucido dell'infanzia che è per me stato sconvolgente scoprire che non si trattasse di un'autobiografia. Il modo in cui la protagonista, Sally, racconta alla memoria della sorella Kathy che cosa sia accaduto dopo la sua morte in un incidente stradale, non è pornografia del dolore. È un dolcissimo modo di raccontare come si rimane, come il mondo prosegue anche se una sua piccola parte si è cristallizzata nel tempo. Un romanzo molto doloroso ma onesto con il lettore, che non sfrutta facilonerie letterarie per infliggere sofferenza non necessaria. Mi è piaciuto tanto.
Sempre di lutto parla How to sell a haunted house, l'ultimo romanzo di Grady Hendrix, in cui due fratelli che si sono allontanati col tempo devono ritrovarsi dopo la morte accidentale di entrambi i genitori per gestire le questioni burocratiche e in particolare la vendita della loro casa. Parla di sorelle maggiori che per tutta la vita si sono sobbarcare il peso del loro ruolo e di come crescendo devono scontrarsi con chi la difficoltà del ruolo in questione non la comprenda. Hendrix parla sempre in qualche modo di prigionia, e anche questo non è da meno: la prigione familiare è quella da cui non ci si scrosta mai, e che lascia segni e cicatrici che durano per sempre. Qui, a restare indietro, non sono solo i segni, ma anche delle inquietantissime bambole di pezza da ventriloquo, che la mamma dei due fratelli ha cucito con passione per tutta la vita e che hanno uno spietato attaccamento alla vita.
Cito in velocità Maeve, il libro di Germano che sicuramente conoscete già e che io mi sono comprata a Vinci alla Festa dell'Unicorno. Si tratta di uno spin off di Girlfriend from Hell, il suo primo romanzo sulla Pandemia Gialla, e mi è piaciuto tanto quanto. Sono libri pieni di una disperazione cruda, che anche in questo caso non ha tempo di piangersi addosso: sono degli apocalittici privi di speranza ma non per questo privi di umanità. Le persone sono autentiche, l'empatia totale. 
Forse il libro dell'estate però è stato per me Sirene, di Laura Pugno, che mi ha consigliato la mia amica Silvia (grazie!). È un testo breve ma spietato, completamente diverso da qualsiasi cosa io mi aspettassi. Siamo in un mondo in cui l'umanità è annientata da un cancro causato dal sole, e i pochi sopravvissuti ora allevano sirene, la cui prelibata carne viene sfruttata in ogni modo possibile. Pugno non ha paura di essere estrema: sesso e cibo si fondono in un ibrido in cui tutti i desideri della carne vengono soddisfatti da creature il cui livello di autocoscienza non è chiaro. In un mondo finito sono comunque gli uomini a farla da padroni, piegando la natura a proprio piacimento, plasmando la realtà in modo da trarne in ogni caso il maggior profitto possibile. La criminalità organizzata comanda quello che resta della società, il potere è corrotto, le donne sono merce di scambio e le sirene tutto quello di cui un uomo ha bisogno per sopravvivere. Un grande lavoro che, tra le altre cose, è profondamente antispecista. Sirene è un testo spietato, esplicito, crudissimo: per me un lavoro eccellente davvero. 
Infine, un consiglio piccino piccino che arriva sempre da una mia amica. Martina, infatti, mi ha prestato Quel che resta delle case, un racconto di Emanuela Canepa uscito con la nuova casa editrice Tetra, che pubblica ogni mese quattro racconti in un formato piccino picciò, quadrati e a soli quattro euro. Questo parla di folklore, stregoneria, legami familiari, eredità, assenze, case affamate. Lo fa senza mai esplicitare nulla, solo il dispiacere della mancanza e la paura del nuovo. L'ho trovato molto affascinante e ne avrei voluto molto di più. Esplorerò meglio Canepa, nella speranza che decida di farlo diventare un romanzo intero.

MIX

Soli due podcast hanno caratterizzato la mia estate: Tredici, il racconto curato da Il Post sulle rivolte nelle carceri di marzo e aprile 2020 e Dove nessuno guarda, il lavoro di Pablo Trincia sulla vicenda di Elisa Claps. Sono entrambi lavori professionali la cui qualità non è in discussione, ma diciamo che tendo a preferire il tono più giornalistico e analitico del Post a quello di Trincia che a volte trovo un po' melò, soprattutto quando si parla di true crime. I due casi, però, sono ovviamente frustranti e dolorosi, e hanno in comune la totale assenza di empatia, il disinteresse per l'altro, la mancanza di cura e premura per gli esseri umani. E poichè siamo in un periodo storico in cui questa mancanza di premura ci pare legittimata da chi invece le persone dovrebbe proteggerle, ecco che ascolti del genere diventano più importanti che mai. 
Quest'estate, poi, ci ha lasciato Michela Murgia. Poiché il suo uso delle parole mancherà molto, sto recuperando tutti gli episodi di Buon vicinato, la piccola rubrica che durante la pandemia ha tenuto sul suo canale Youtube insieme a Chiara Valerio. Valerio è la mia girl crush del momento, una mente che trovo strabiliante. Vederle fare, insieme, questo esercizio di argomentazione e pensiero è incredibilmente stimolante. Due menti brillanti che giocano con pensiero e parola, per me bellissimo e arricchente.
Infine, il recente viaggio in Irlanda. Ci siamo concessi di partire, io e Riccardo, nonostante il periodo non fosse ideale per allontanarsi da casa, perché dopo i due mesi precedenti io ero a tanto così da un esaurimento nervoso. Avevo bisogno di andare via, e questo viaggio, che in teoria è stato il nostro viaggio di nozze, era già stato rimandato dopo l'evento molto spiacevole di questa primavera. Ci siamo regalati due settimane in cui dedicarci solo a cercare di riempirci gli occhi di bellezza e leggerezza, ed è stato fondamentale. L'Irlanda si presta molto a viaggi anche piuttosto introspettivi, di quelli che si fanno quando c'è bisogno di prendere davvero contatto con quello che si affronterà una volta tornati a casa, e per me è stato davvero così. Abbiamo passeggiato tra abbazie abbandonate e immensi prati verdi, toccato l'oceano e rallentato i ritmi di una vita che non concede tregue. È stato salvifico, e l'Irlanda è così bella che si è presa un pezzetto del cuore. 

Ora si riparte con una delle parti belle della vita, quella in cui parlo di cinema dell'orrore su internet con degli sconosciuti. Sono tornata su Instragram, su TikTok, su Twitch. A breve tornerà anche Nuovi Incubi, e chissà che in questa stagione io non riesca ad essere più costante anche con il mio amato vecchio blog. Il resto, piano piano, si sistemerà.


mercoledì 16 agosto 2023

Notte Horror 2023 - in ritardo: Darkman

14:22
 Avevo giurato a me stessa che, qualunque cosa fosse successa, il mio blog non lo avrei mollato. Poi è successo il 2023, l'anno che sento di poter definire il peggiore della mia vita - eppure di competizione ne ha avuta parecchia, eh - e le cose si sono un po' rimesse in un ordine diverso. Al lento e pacifico processo di scrivere dei post ho preferito l'immediatezza dei social, che mi hanno permesso di comunicare comunque quello che volevo ma richiedendomi meno tempo. L'introspezione che Redrumia mi richiede quest'anno non sarei stata in grado di gestirla.
Mi ero ripromessa che sarei stata in grado almeno di partecipare alla Notte Horror 2023, evento mitologico della blogosfera, ma sono riuscita a toppare pure quello, e il post arriva infatti con più di 12 ore di ritardo. Chiedo scusa ai colleghi, sono stata poco rispettosa.
Cerco di farmi perdonare chiacchierando di uno dei film dimenticati di Raimi, che sebbene sulla carta non sia un horror duro e puro, è pur sempre figlio del suo papà, e qualche elemento a noi caro ce l'ha lo stesso.




Darkman è la tragica storia di Peyton Westlake, uno scienziato alla ricerca del segreto per restituire una pelle a chi l'abbia persa col fuoco che finisce invischiato in una brutta faccenda di mafia che gli porterà via il lavoro, l'amore e proprio la pelle, lasciandogli solo sete di vendetta.
Esce nel 1990 e questo lo colloca esattamente a metà tra le due saghe che hanno reso il regista il mito che è, Evil Dead e Spiderman. Non solo a metà temporalmente, però, perché è facile individuare nel primo capitolo di questa ulteriore saga tutti gli elementi che abbiamo imparato a conoscere negli altri lavori. È un film di supereroi che arriva molto prima del suo Uomo Ragno, e che uscendo insieme ai Batman di Tim Burton se ne porta appresso le tracce: è un film tragico, desolante, in cui allo sconforto di due vite distrutte non corrisponde alcuna catarsi. Allo stesso tempo è pur sempre un film del tizio di Evil Dead 2, e quindi è quasi barocco: elicotteri, danze davanti ai gatti, facce intinte nell'acido, nasi che si sciolgono, mitragliatrici nascoste nelle gambe di legno, Bruce Campbell. 
Eppure, neppure la componente ironica - che qui è comunque centellinata rispetto agli standard a cui ci ha abituato - riesce a compensare la grande sofferenza di un film come Darkman, in cui nessuno ne esce vincitore e la crudeltà dei cattivi è qualcosa da cui non c'è scampo. Sceglie, Raimi, di unire il supereroe all'entieroe tipico del cinema del decennio precedente, regalando al mix una triste sorte, privandolo della sua identità e del suo futuro. 
Dopo l'attacco al laboratorio in seguito al quale tutti lo credevano morto, Westlake finisce tra le mani di medici che pur di salvargli la vita gli distruggono proprio la cosa che per uno scienziato è più importante: la mente. Peyton, infatti, comincia ad avere allucinazioni e a perdere il controllo sulle proprie reazioni, è suscettibile e facilmente infiammabile. Il suo desiderio di vendetta lo porta a diventare un eroe brutale, incontrollabile. Si burla della mente delle sue vittime, assumendo il loro aspetto per creare un crudele gioco con la loro identità, lasciando emergere un lato dark dell'eroismo che forse solo Raimi ha fatto così esplicitamente. L'incidente non causa al protagonista solo la perdita del proprio aspetto, ma di tutto quello che lo identificava: la mente, il carattere, il lavoro. Privato di tutto può mostrare al mondo il vero aspetto dell'uomo qualunque, proprio come si identifica nel finale. 
Un vero uomo invisibile, quello di Liam Neeson, che priva il mondo del suo aspetto per mostrare solo quello di cui è capace. Se nel caso dell'uomo invisibile originale, quello di Wells prima e di Whale dopo, la scelta di annullare il proprio aspetto è volontaria, in questo caso è una conseguenza che però porta allo stesso risultato: sporche bende a coprire il viso e una mente che non è più quella che era. Privando il protagonista dell'elemento della volontarietà, però, Raimi crea un mostro ancora più disperato, frutto dell'avidità e non dell'ambizione. Pur omaggiando così chiaramente i classici Universal cambia le carte in tavola, smettendo di attaccare la scienza che non è più la responsabile ma che al tempo stesso risolve le cose lasciando comunque dei danni. Darkman non diventa un supereroe che mette i propri simil - superpoteri al servizio della comunità, quello che ne viene tratto non è un felice insegnamento di straordinaria generosità: quello che vuole è solo un modo per piangere la vita perduta, eliminando uno ad uno quelli che gliel'hanno tolta. 
Nei cinecomic di oggi questa è la perfetta origin story di un cattivo MCU. Raimi, invece, che è sempre stato più coraggioso, ne ha fatto il protagonista, che non ha eroi ufficiali con cui scontrarsi se non la realtà della nuova vita che gli è stata imposta. Ne ha fatto quello che ha potuto, il povero Westlake, e ha scelto la strada più generosa e difficile insieme: dare alla donna perduta la possibilità di un futuro normale, relegando se stesso ai margini, dove non c'è luce.

Un film che gioca con le etichette e i generi, che rimescola in tavola le carte della consuetudine e approccia in modo nuovo qualcosa che è vecchio come la storia del mondo. Raimi ci ha abituati ad un cinema in cui niente è una realtà consolidata e tutto è modificabile, aggiornabile, sempre nuovo.
Questa volta ce lo ha fatto capire in un modo più intenso, in un film che oggi è quasi sparito dal discorso pubblico perché ci siamo abituati a supereroi più vitaminici, colorati e pop. Questo, invece, con la sua oscurità e la sua malinconia, ce lo teniamo nascosto come si fa con le cose più preziose. 


A settembre andrò, se tutto va bene, in vacanza, e finalmente mi lascerò alle spalle questa estate da dimenticare. Dalla seconda metà del mese, però, torno ovunque: qui, twitch, instagram, tiktok e anche con Nuovi Incubi. Che sia un nuovo inizio per tutto!
A voi auguro una felice fine estate, bella lenta e malinconica come piace a noi!

lunedì 5 giugno 2023

Primavera 2023: un riassunto

12:47
 Nel mio personale calcolo delle stagioni, la primavera finisce con il mese di maggio, affinché io possa far durare il più a lungo possibile la sola stagione che conti: l'estate.
Poiché per me ormai il cambio di stagione c'è già stato, mi pareva un buon momento per fare una carrellata delle cose più significative tra quelle viste, lette e ascoltate nei mesi passati.




Libri

Sono stati mesi abbastanza soddisfacenti dal punto di vista delle letture, perché ho goduto di un po' più di tempo libero che mi ha permesso di concedermi lunghe ore in poltrona immersa nel mio primo amore. Non mi dilungherò sui libri del progetto Dark Ladies, che sono stati oggetto di dirette su instagram, tutte salvate sul profilo per chi desiderasse recuperarle, ma in questa sede mi fa piacere condividere che sono molto contenta di come sta procedendo l'anno con loro, le signorine della narrativa di genere, e che mi stanno dando grandi gratificazioni.
Sempre in tema di signorine e orrore, in questi mesi ho finalmente recuperato Il mostruoso femminile, quello di Jude Ellison Sady Doyle che ha un'infelice omonimia con quello di Barbara Creed. I due testi parlano di tematiche simili effettivamente, ma se quello di Creed è più accademico, quello di Sady Doyle affronte i temi in modo più immediato e semplice, rendendole alla portata di chiunque. Un ottimo modo per entrare nel tema del mostruoso femminile ed essere indirizzati verso le sue tematiche principali.
Prosegue inoltre la mia lettura del Ciclo di Avalon di Marion Zimmer Bradley. Le nebbie di Avalon è diventato il mio libro preferito, l'ho amato di una passione ardente. Il secondo capitolo è La casa della foresta, che continua il discorso al femminile che sta al centro della saga intera, ma che si sposta indietro nel tempo, ben prima di Camelot. Questa volta ci si concentra sulle sacerdotesse, e sulla storia che ha portato Avalon in essere, ma raccontata intorno ad una storia d'amore di cui purtroppo mi è importato troppo poco perché il coinvolgimento potesse essere lo stesso. Impazzisco per la scrittura dell'autrice e proseguirò comunque nella lettura, ma questo per me non ha toccato i picchi del suo predecessore.
Grandiosa scoperta è stata invece per me Guida il tuo carro sulla ossa dei morti, di Olga Tokarczuk. Un romanzo brillante e divertentissimo, la cui protagonista è forse il personaggio femminile migliore che ho mai letto su carta: un'anziana insegnante che rifiuta di andare in pensione, appassionata di astrologia e delitti, che traduce poesie con uno studente molto più giovane e nel tempo libero risolve i delitti che le stanno accadendo intorno. Un romanzo fortemente antispecista, se non proprio un manifesto intero di un movimento che vuole il bene di altri esseri viventi, un noir moderno e irresistibile, una scoperta felicissima. Non finirò mai di tesserne le lodi. 
Mi sono poi sottoposta alla lettura di V13, l'ultimo libro di Carrére, il racconto del processo per gli attentati terroristici avvenuti a Parigi il 13 novembre 2015. Quando Carrére scrive true crime, lo avevamo già sperimentato con L'avversario, è un maestro: sa su quali tasti premere per coinvolgere emotivamente il lettore senza usare mezzucci poco eleganti e scorretti, sa quali sono le cose su cui puntare l'attenzione per dare un resoconto completo e nel rispetto di quanto accaduto. In questo caso era ancora più difficile, perché non toccava solo storie personali ma anche la coscienza collettiva francese. Ha diviso il testo in tre parti: una dedicata alle vittime, una all'estremismo islamico, per comprendere come nasca il fenomeno del terrorismo e come siano nati, nello specifico, questi terroristi, e una sulla conclusione del processo. È breve, accessibile e completo. Per me, portentoso.
Ho appena ultimato la lettura più dilaniante degli ultimi mesi, Appunti sulla tua scomparsa improvvisa, di Alison Espach. È il racconto di Sally, che si rivolge alla sorella Kathy per raccontarle cosa è accaduto dopo la sua morte improvvisa, da adolescente. Sally ricostruisce il rapporto con la sorella con una lucidità disarmante, racconta dell'infanzia come se ne fosse appena uscita, ed esamina il lutto con tale introspezione, tale chiarezza, da essere ammirevole. Non mi avrebbe stupito se fosse stato autobiografico. Pare non lo sia, il che lo rende un lavoro letterario ancora migliore. 
Infine insieme a Riccardo stiamo leggendo la saga di Blackwater. Leggiamo libri insieme nel senso che io li leggo a voce alta mentre lui guida, e questi libretti piccini e dall'estetica splendida si prestano alla perfezione per questo metodo di fruizione. Sono la storia di una cittadina che si rimette in piedi dopo una piena che ne ha alterato finanze ed equilibri, ma principalmente raccontano la storia di una famiglia, i Caskey, e delle loro diatribe: eredità, figli, potere. A metà tra Dinasty e The Shape of Water, ci stiamo divertendo come i matti.

Film

Anche cinematograficamente sono stati mesi gratificanti. La seconda stagione di Nuovi Incubi - che ci sta dando grandi soddisfazioni ma purtroppo sta volgendo al termine - parla del teen girl horror e quindi mi sono guardata un sacco di ragazze ricoperte di sangue, incazzate e violente, e mi sono divertita come una bambina. In generale, però, di tutti gli horror che ho guardato ho parlato in live o su Instagram, qua mi limiterò a fare una carrellata delle visioni non di genere che più mi hanno toccato nei mesi passati, con una promessa a me stessa: ritornare a scrivere anche post più di frequente su film singoli, come ho fatto per anni.
Prima di tutto ci sono stati i due documentari sulle montagne: se da un lato Free Solo si è rivelato una visione appassionante e coinvolgente, lo stesso non posso dire di Sei tu, Micheal? recentemente approdato su Disney+. Una storia di ego, denaro e potere, che nulla ha a che vedere effettivamente con la montagna. Il fatto di essere realizzato con tanti soldi però fa sì che ci siano riprese interessanti sulla scalata e sulle ricerche di un corpo dopo il Camp 4, il più alto momento di sosta prima della salita per il summit. Però non ha alcun valore se non mostrare quanto certe operazioni siano possibili solo grazie allo sfruttamento delle popolazioni locali, e questo è sempre importante tenerlo a mente.
Sono anche stati i mesi in cui ho visto i due Assassini con Kenneth Branagh, esattamente le cose che cerco quando desidero un film leggero e che si sono rivelati all'altezza delle aspettative. Knives Out 2, Glass Onion, invece, non solo le ha rispettate, le ha superate: goduriosissimo.
Mai avrei pensato, però, almeno prima di conoscere Riccardo, che i miei due film della primavera sarebbero stati uno Spiderman e un film su Dungeon&Dragons.
Honor Among Thieves si è rivelato un gioiello di comicità e avventura, con un inaspettato Chris Pine e il desiderio evidente di far vivere allo spettatore un film dal profumo quasi vintage, da avventura di altri tempi. Ci siamo divertiti come i matti, all'arrivo del Paladino che cammina solo in linea retta eravamo con le lacrime agli occhi. Era da tempo che al cinema non mi sentivo così per un film che non fosse un horror.
Across the Spiderverse è invece un capolavoro fatto e finito. Un film potentissimo sulla lotta al sistema, sul sovvertire le regole, sul prendersi il proprio posto nel mondo con le unghie e i denti. Si prende il supereroe popolare per eccellenza, quello di quartiere, vicino alle persone, e gli si dà il volto di un ragazzino nero, alla base della società, lontano dai grossi e potenti Spiderman degli altri universi. Non gli si dà un'intelligenza fuori dalla norma, un potere diverso dagli altri, una caratteristica unica. Lo si lascia umano, solo questo, con la necessità di avere uno spazio per sé, il bisogno di rivendicarsi il proprio diritto di esistere. Lontano dai meccanismi che portano i grandissimi supereroi in essere, Miles vuole solo essere se stesso e fare quello che può per dare una mano. E solo così, esigendo lo spazio per essere, cresce, ispira e diventa modello. Per la prima volta un film sui giovanissimi fa anche un importante discorso sulla genitorialità, senza il cinismo tipico di narrazioni anni '80, per esempio, ma con grande affetto ed empatia. Unisce un personaggio femminile complesso e intrigante, una SpiderGwen che mi aspetto sia la vera protagonista del prossimo film. Un'animazione mai vista prima, un messaggio di certo non nuovo ma mai visto messo in scena così, con questa potenza, con questo coraggio, un film incredibile. 

I Critical Role

Non guardo una serie tv da settimane intere, e tutto per colpa dei Critical Role. Per chi non li conoscesse, sono un gruppo di doppiatori, amici da una vita, che gioca a D&D in live su Twitch da tanti anni. Col tempo sono diventati così famosi che hanno una serie su Prime ispirata alla loro campagna, ma anche fumetti, manuali di gioco - addirittura è in arrivo un gdr tutto nuovo creato da loro, Candela Obscura - merch. Un fenomeno enorme di cui ovviamente io non ero a conoscenza. Poi, siccome abbiamo iniziato a giocare una campagna con i nostri amici, ho pensato che sarei diventata più brava guardando qualcuno con esperienza giocare, e Riccardo mi ha presentato loro. È stato amore a prima vista. Guardare gente che gioca di ruolo ha una caratteristica interessante. Quando guardo una serie molto a lungo finisce che non mi affeziono solo ai personaggi ma anche ai loro interpreti e al loro rapporto fuori dal set, perché penso sempre che quando si passa così tanto tempo insieme facendo una cosa così bella il legame diventi importante. Non amo i film di Harry Potter ma quando vedo le scene dell'ultimo giorno di lavoro del cast piango come un vitello. Guardare gente che gioca di ruolo unisce queste due caratteristiche, perché si unisce l'interesse per l'avventura - nello specifico noi dei CR stiamo guardando Vox Machina - a quello per i giocatori, che in questo caso sono amici da anni, sposati e fidanzati tra di loro, testimoni di nozze e madrine di figli nati proprio durante le campagne. 
Nella mia, di campagna, mio marito è il master, e giochiamo con la mia migliore amica, il suo migliore amico e la nostra coppia del cuore, per cui è come essere a casa quando guardo loro.
In più, hanno un portentoso master che ha messo in piedi un'avventura piena di emozioni, e giocatori di rara simpatia. Adesso siamo arrivati ad un punto in cui ci si è liberati di un giocatore che appesantiva un po' l'atmosfera e gli altri sono diventati folli anarchici: si trasformano in mucche, danno fuoco alle case, ammazzano le vecchie. In questa casa sono diventati praticamente i protagonisti delle nostre vite.

L'outernet

Questa primavera per me è stata caratterizzata da un evento molto significativo e spiacevole, che mi ha sconquassata a modino e che al tempo stesso mi ha rimesso in discussione le priorità. Piano piano mi sto rimettendo in sesto anche se mi accorgo che ne porto addosso più conseguenze di quante avrei creduto, però mi è stato utile a capire di cosa avevo bisogno. 
Con Riccardo ci siamo concessi una vacanza nella Tuscia, di cui avevamo un disperato bisogno e che ci ha permesso una parte d'Italia che sottovalutavamo e che si è invece rivelata di inaspettata bellezza. 
In più sono riuscita a convincerlo ad andare a visitare l'ex manicomio di Mombello, pietra miliare dell'urbex lombardo. Ormai è un luogo troppo noto perché l'esperienza sia autentica: è stato completamente svuotato da chi non ha ancora capito che se vai a visitare un luogo abbandonato devi tenere le manacce a posto, ma ammetterò che i graffiti hanno contribuito ai brividi dell'esperienza paradossalmente. Io mi sono molto divertita, Riccardo un po'  meno. 
È stato per me anche molto significativo, questa primavera, aver potuto contribuire ad un saggio a sei mani, scritto insieme alle mie amiche Lucia e Ilaria, che è uscito sull'ultimo numero di Segnocinema, la mitologica rivista di settore. L'ho ripetuto mille volte sui social, ma mi emoziona molto ripensarci.


Ancora una volta, questa primavera ho avuto la prova del potere delle storie. Mi è successa una delle cose più difficili della mia vita, e ho come sempre cercato rifugio nelle parole e nelle immagini di chi crea delle storie per mettere meglio a fuoco la vita vera. Non saprei dire se mi ha aiutato a elaborare meglio, ma di sicuro mi ha aiutato a spostarmi per un po' dalla mia, di vita vera, che in quel momento non volevo frequentare, e in certi momenti è stato fondamentale. È fondamentale ridere di gusto al cinema mentre un tipo cammina su un grosso sasso senza scansarlo, è fondamentale piangere quando si legge di una sorella maggiore mancata, è fondamentale guardare delle giovani donne mettere insieme una squadra di supereroi disastrati per salvarne un altro. So per certo che la parte migliore di me è diventata tale perché l'hanno modellata le storie. 

sabato 22 aprile 2023

Evil Dead Rise

10:39
 È una delle storie che racconto qui sul blog più di frequente: La casa è il film che mi ha preso per mano e mi ha dimostrato che cosa potesse essere per me il cinema dell'orrore. Gli sono così tanto affezionata da così tanto tempo che è come se fosse un compagno di percorso. 
Ogni evento legato alla sua saga, quindi, è da queste parti accolto con l'entusiasmo che mi ricorda ogni volta quanto sia bello avere una passione che fa battere il cuore. E quindi direi che torno a soffiare via le ragnatele da questo posto, sui cui scrivo sempre meno ma a cui non sono disposta a rinunciare, per parlare a testa e cuore caldi di La casa - Il risveglio del male, la quinta installazione in una saga che non accenna a perdere colpi.
Ci sarà una piccola parte con spoiler, opportunamente segnalata, perché c'è una storyline secondaria che mi ha infastidita e vorrei parlarne.




La trama è quella di ogni Evil Dead che si rispetti: ci sono persone che trovano un libro che non avrebbero dovuto trovare e che ascoltano parole che non avrebbero dovuto ascoltare, e liberano il male nella casa in cui si trovano. 
Evil Dead Rise però modifica la posta in gioco cambiando un elemento in questa struttura. La casa non è più un posto isolato in cui i protagonisti capitano per varie ragioni. Non siamo più nei boschi in fatiscenti cabine isolate, ma siamo a casa. Questo elemento porta la discussione su un livello completamente diverso, e per questa ragione il quinto film affronta temi mai toccati finora. La casa, e pertanto la famiglia, sono gli elementi originari del male e dei traumi. Non è neppure un caso che tutto questo avvenga poco prima che la casa venga distrutta per volere di proprietari poco interessati agli inquilini: la casa la stavano già perdendo prima che iniziasse tutto, e non ne avevano una nuova. Sono le pareti domestiche le iniziatrici della sofferenza, e il male è completamente interno, tanto è vero che quando il male assume volti esterni al nucleo familiare la questione si risolve in modo rapidissimo e indifferente ai fini dell'economia della storia. Quelli che contano, qui, sono i dolori interni, le sofferenze che con i nostri amati ci infliggiamo involontariamente. 
Ancora più nello specifico: quelli che contano sono i traumi inflitti dalle madri, imperatrici supreme del mostruoso femminile. Sono i figli ad aprire il libro, è quello del figlio maggiore - adolescente chiuso h24 nella sua stanza, che non vediamo quasi mai interagire con la madre prima del fattaccio - il sangue che consente al libro di aprirsi, è la sua curiosità che fa sì che si ascoltino le infauste registrazioni. Sono loro i parassiti che le annullano l'identità e la rendono il mostro. 
Il padre li ha lasciati, e lei, la madre cool con i capelli colorati in casa che fa la tatuatrice, è vittima di un sistema che la vuole prima madre che individuo, e ne esce indemoniata. 

Indemoniata, appunto, perché anche questo Evil Dead è, come i suoi precedenti, un film di possessione. Uno di quelli come non se ne vedevano da anni, forse da un decennio. È una possessione silenziosa e sbraitata insieme, in cui ci sono momenti più dimessi, in cui i demoni compaiono lenti e silenziosi alle spalle, ed altri sguaiati, con le quantità di sangue che vi aspettate da La casa. Il mix è micidiale: erano anni che un film non mi faceva così paura. Sono solo dispiaciuta di essermi rovinata alcuni momenti avendoli visti nel trailer: senza preparazione mi avrebbero annientata. 
Ellie, la madre, aveva già prima dell'infelice incontro in ascensore un volto e un corpo molto spigolosi. L'immaginario della possessione che ci siamo costruiti con Reagan vedeva protagonista un corpo morbido, cucciolo. Quello di Ellie è stanco, provato, con le ossa sporgenti e le occhiaie, piegato sul tavolo di lavoro e incurvato dalle responsabilità. Prima del suo volto, quindi, è il suo corpo che vediamo piegato dall'invasore: il momento in cui compare sulla porta, in controluce, in una posa ancora umana ma già innaturale, è così spaventoso che me lo porterò appresso per un po'. La vediamo andare a compiere la più canonica mansione da madre, cucinare per nutrire i suoi figli, e ancora il volto non ci è mostrato del tutto: è umana, ancora per un po'. Quando poi la vediamo per intero, coperta da un makeup francamente eccezionale, una delle prime cose che fa è rivendicare la sua libertà: di nuovo il mostruoso si rivela liberatorio. Non solo per lei, però: la seconda ad essere posseduta è la più grande tra le figlie femmine, naturale erede di un ruolo che non ha mai chiesto. E la faccenda, per quanto riguarda lei, non è troppo diversa.

La possessione è brutale, e Evil Dead Rise finisce per essere tra i film più spaventosi che ho visto di recente. Alterna momenti di paura purissima, come l'ormai troppo vista scena allo spioncino (non temete, il fatto di averla già vista non significa non faccia comunque una paura della madonna), ad altre più silenziose, in cui il demone si muove lento sullo sfondo, fuori fuoco. Ci si sofferma sempre per una frazione di secondo di troppo sul volto indemoniato, fino a che sembra che quegli occhi marci guardino dentro allo spettatore, con infiniti primissimi piani, perché non ci si possa scansare mai. Tutta l'attenzione è sul volto di Ellie, che ha tantissimo tempo in scena concentrato spesso tra il volto e le mani: di nuovo, i simboli della maternità se vogliamo. Il volto caro e familiare che smette di esserlo, e le mani che fino al momento prima hanno accarezzato diventano gli artigli che si aggrappano alle vasche da bagno, alle porte, agli angoli, e che se possono cercano di ammazzarti. 
I figli, già provati da un primo abbandono da parte del padre, si aggrappano gli uni agli altri per mantenere una parvenza di famiglia, per stringere quello che rimane loro, chiusi tra le pareti familiari del solo luogo che conoscono come casa. 

È un film per appassionati, perché si prende il tempo, nella sua rinfrescante breve durata, di omaggiare in ogni modo che gli riesce tutto quello che ha condotto al momento in cui sarebbe arrivato in sala. Lo fa con accenni direttissimi e con altri solo accennati, ma è pieno di un grande affetto per tutto quello che lo ha portato in essere e a me non importa se per qualcuno possa sembrare fan service: io gli ho voluto molto bene. Ha riportato in sala quell'equilibrio perfetto che aveva il primo film: fare paura - tanta, non so se lo ribadirò mai abbastanza - e al tempo stesso creare alcune situazioni così estreme da far sorridere. Ci sono botte da orbi con attrezzi da cucina, arti strappati, lacerazioni, motoseghe: l'anima di Evil Dead è salva, o forse dovrei dire che continua ad essere dannata, e non gli si poteva rendere omaggio meglio di così.


DA QUESTO MOMENTO SPOILER

Un elemento che vale la pena prendere in considerazione, prima che io inizi a lamentarmi di quello che non ho amato, è la tanto famigerata rape scene, che fa sempre parlare di sé quando si parla della saga. Qui si sceglie di non inserirla, o almeno di non renderla visibile. Ellie finisce in ascensore, i cavi la prendono per gli arti e io ero certa si andasse in quella direzione, con i cavi al posto dei rami. La scena si interrompe prima, e sebbene io non sia una detrattrice delle scene in questione nei film precedenti sono contenta che qui si sia fatta questa scelta. Quello che si è visto è stato sufficiente e soddisfacente. 

In questo glorioso festival del sangue che è stato, però, un elemento della trama mi ha fatto storcere il naso. Parlo della storyline della zia. Ellie e i figli ricevono la visita inaspettata della zia Beth, l'effettiva protagonista, che in un momento precedente abbiamo scoperto essere incinta. La notizia della gravidanza non la rende felice, tanto è vero che la definisce "una cazzata" quando lo racconta alla sorella. Beth fa una vita sempre in tour, per via del suo lavoro da tecnica del suono, si allontana sistematicamente dalla sua famiglia e tende un po' a sparire. 
Inizia la tragedia, e lei si vede costretta a prendersi cura dei nipoti. Questo, però, non avrebbe dovuto essere uno scenario alla M3gan. I nipoti lei non li deve adottare, deve solo salvare loro la vita, portarli vivi a mattina, e poi si vedrà. Se la storia fosse rimasta così sarebbe stato un film perfetto. Invece no, eccoci a dover inserire la bellezza e la straordinarietà della maternità, che si fa strada anche nei cuori più ostili, in aperto contrasto col lavoro di decostruzione fatto in precedenza con Ellie. 
Beth finisce per fare la mammina, che protegge il suo feto dalla sorella che lo vuole far fuori - non in uno scenario alla Inside ma solo perché è matta in culo e vuole ammazzare tutti - e che prende la sua piccola e adorabile nipotina in quella che è stata evidentemente ritratta come una relazione madre - figlia. Inserire la sua gravidanza in che modo ha fatto del bene alla storia? Non ha aggiunto alcun valore alle circostanze iniziali del racconto, ha solo aggiunto un elemento in più. Non si conclude in modo platealmente reazionario come quello di A Classic Horror Story, ma alla fine a Beth il ruolo viene comunque imposto, e nel giro di una notte. 

Questo è il solo elemento che non ho amato in un film adrenalinico, eccitante, sanguinolento, spaventosissimo. Tutto quello che amo nel cinema dell'orrore. Che immensa gioia poterlo vedere in sala.

lunedì 27 marzo 2023

Ho guardato un po' di serie tv

12:39
 In questi giorni in cui la sorte mi ha concesso un po' più tempo libero del consueto ho avuto la possibilità di recuperare molte più serie tv del solito. Preferisco sempre i film alla serialità, ma mi serve compagnia quando cucino, o quando sono troppo stanca per un film intero, quindi ho raccolto un po' di visioni di cui mi fa piacere parlare insieme.
Pronti? Temo sarà un post fiume.




Lo scorso mese mi sono dedicata ad un rewatch di The Big Bang Theory, che avevo cominciato all'epoca della sua uscita e mai concluso. È uno di quei prodotti che le persone della mia Vita Vera© amano molto mentre la mia bolla del web detesta appassionatamente. Io, con una diplomazia che non mi appartiene, in questo caso mi colloco nel mezzo. Non mi diverte quanto diverte altri, mi fa decisamente ridere meno, principalmente perché ho passato metà del tempo incazzata. I quattro subumani di genere maschile che sono protagonisti sono ripugnanti, al limite della violenza nei confronti delle loro compagne, viscidi insicuri con tanto bisogno di buona terapia. Le ragazze, però, sono quelle che mi hanno fatto restare. Penny non si sottovaluta mai, se non quando le fanno notare la sua supposta inferiorità intellettiva, è deliziosamente autoironica e la sua crescita non la rende più simile ai suoi amici ma solo più sicura di sè. Certo, il suo finale è dolceamaro, visto che le accade qualcosa che non desiderava e viene fatto passare come segno di "maturazione", ma sono disposta ad accettarlo visto che nel momento finale viene riconosciuto il suo contributo significativo in anni di amicizia. Bernadette è priva di etica, concentrata sul lavoro e la carriera, che non ha paura di imporsi. Amy, la mia preferita, è molto significativa: ha un ruolo di rilievo nello STEM, e non dimentica di incoraggiare le giovani donne nel suo discorso finale, ma soprattutto è quella che più di tutte beneficia dell'amicizia femminile, che la tira fuori dal suo guscio imposto da anni vissuti con una madre complessa, che la rende libera di essere se stessa, che la accetta anche quando è difficile comprenderla. Amy brama amicizia femminile e quando la trova la sua vita ha un'impennata in positivo che la sua relazione sentimentale non le darà mai.
Sto con questo insinuando che TBBT sia una serie femminista? Assolutamente no, e ho anche il sospetto che alcune delle cose positive siano quasi involontarie. Amy Farrah Fowler, sono qui solo per te. 




Mi vesto come una diciassettenne che ascolta solo pop punk ma potete giurarci che Next in Fashion lo guardo appena esce. Ho capito col tempo che mi appassionano le persone che hanno grande talento e pertanto i reality talent mi divertono parecchio. Mi piace vedere gente che ha evidentemente una mente superiore e che dal nulla riesce a creare qualcosa, in questo caso vestiti. La seconda stagione ha cambiato la co-host, Gigi Hadid ha preso il posto di Alexa Chung e sebbene preferissi la prima devo dire che la modella non se l'è cavata male. I concorrenti erano magnifici, e ho parecchio faticato a trovare un preferito anche se la vittoria mi ha reso piuttosto soddisfatta. 




Ho finalmente recuperato la tanto chiacchierata The Bear, e ho capito perché ha fatto così tanto parlare di sé. Mai avrei pensato di finire così coinvolta dalle sorti di un piccolo e piuttosto marcio diner di Chicago, eppure l'effetto Jeremy White ha colpito anche me. Se l'effettiva sopravvivenza del locale è un punto di grande coinvolgimento, è agli umani che ci lavorano dentro che si rivolge tutto l'affetto di chi la serie l'ha messa in piedi. Sono persone che in modi differenti si trovano a dover affrontare un lutto importante e che non sanno come comunicarsi che tutti vogliono la stessa cosa. Ci sono menti forgiate dalla propria storia personale che sono così diverse da cozzare costantemente ma che devono imparare a convivere perché hanno un obiettivo in comune e lo stesso peso sul cuore. Ogni piccolo gesto, quindi, nella frenesia della vita della ristorazione, diventa fondamentale per passarsi messaggi. Un grembiule di un colore diverso, un colpo sparato per aria per spaventare, una rissa tra gang placata con dei panini, la ricetta perfetta per il donut migliore possibile. Non si comunica a parole, ci si siede vicini a fumare insieme per mandare in fumo i pensieri sgradevoli e si torna a comunicare lavorando insieme.
Un piccolo gioiello di cui non vedo l'ora di vedere il seguito.




L'ho guardata principalmente per l'amore della mia vita Ewan McGregor? Ovviamente.
So che tutti i grandi amanti di Star Wars hanno quasi detestato Obi-Wan Kenobi, però io no. Era forse una storia che avrebbe potuto essere un film? Credo di sì, con i giusti tagli avrebbe potuto essere una storia carina e accattivante. Hanno deciso di farne un prodotto seriale probabilmente ancora scottati dai fallimenti di cose come Solo (che a me aveva anche divertito, ma si sa che sono di bocca buona), e il risultato è molto diluito. Ho amato pazzamente la piccola Leia, cavallina imbizzarrita e senza paura, e ho amato Obi-Wan, per quel mio consueto debole per i personaggi tormentati, avrei solo voluto vederli più "concentrati". Però non credo affatto sia la delusione che tanti hanno descritto.




Tra le cose guardate come spegni-cervello c'è stata la seconda stagione di Dinner Club, la serie di Prime nella quale Cracco porta in giro per l'Italia alcune personalità dello spettacolo per conoscere le specialità locali per poi cucinarle insieme per gli altri partecipanti. Cracco mi sta simpatico come un attacco di cervicale, ma in ogni stagione ci sono persone che sia a me che al Moderatore piacciono, e quindi tutto sommato abbiamo tollerato il cuoco. Se nella prima stagione c'era il nostro venerato Mastandrea a portare sulle spalle il peso del programma intero, in questa Giallini e Zingaretti ci hanno dato discrete soddisfazioni. C'è da dire che la vera scoperta però è stata Sabrina Ferilli, presente in entrambe le stagioni. Con ogni probabilità abbiamo scoperto l'acqua calda, ma l'attrice è matta come un cavallo, sboccata e spontanea ed è diventata la nostra preferita. 
A parte questo, lo sguardo divertito con cui il cuoco guarda e si rivolge ad alcune delle persone che incontrano sul loro percorso è di violenta superiorità (ha bene da fare il piacione, ma si vede eccome), ai limiti del perculo, e questo è imperdonabile. Che se ne vada affanculo nei suoi locali di lusso e non vada a disturbare la gente reale che fa il suo lavoro.




Avevamo guardato le prime stagioni di LOL perché i meme su Twitter erano sinceramente bellissimi. La prima stagione in effetti era stata piacevolissima, complici buoni nomi coinvolti e la - almeno parziale - spontaneità della prima volta. La seconda stagione aveva avuto dalla sua un cast pure migliore, e infatti non ci aveva deluso. Questa terza sinceramente fiacca, noiosa, di un cringe quasi senza precedenti. Sono riusciti a far sembrare piatta Marina Massironi e questo è ai limiti del penale. Un vero flop.




Avevo letto il romanzo di recente e non ho resistito al richiamo della serie tv che è appena arrivata su Prime. L'ho trovata un lavoro ottimo. Atmosfera, costumi, musica, interpreti: è tutto davvero bellissimo. Le canzoni scritte per la serie sono magnifiche, i concerti sono una meraviglia, il modo in cui si parla dei media e della loro influenza è importante. Sceglie persino di dedicare un po' più di attenzione ad  un personaggio nero e queer che nel libro era trascurato. Si respira l'aria del tour musicale del tempo, si mette a fuoco la pericolosità di una vita vissuta sul filo del rasoio, si mostra la complessità delle relazioni e non si fa un ritratto edulcorato dell'amore, ma anzi si evidenzia come anche le storie più belle hanno momenti orrendi e difficili. Ci sono personaggi spezzati da vite complesse, da famiglie sbagliate, da amori malsani che fanno il male di tutti i coinvolti. Le sue tre protagoniste femminili sono così carismatiche che da oggi vorrei solo essere il cosplay di tutte e tre, con i loro capelli stupendi e i loro vestiti magnifici.
Eppure si arriva al finale, che decide deliberatamente di buttare tutto nel water e tirare lo sciacquone. In 9 episodi si è costruita la storia di Billy affinché capisse quale strada prendere, quale vita scegliere, quale persona essere, per poi, negli ultimi minuti, liberarsi di tutto quanto. Se quello che accade è perfettamente nelle corde del personaggio di Camila, è del tutto sbagliato per quello di Billy, che tossico era nel primo episodio e tossico si è rivelato fino alla fine, e di certo non faccio riferimento al suo abuso di sostanze stupefacenti. Che immenso peccato, che spreco di ottimo materiale, che brutto.




Mi sono consolata ricominciando la mia serie teen preferita: Veronica Mars. La storia della giovane investigatrice privata del liceo di Neptune ci aveva conquistato tutti, nei primi anni 2000, perché tutti volevamo essere lei: cool, sicura di sé, senza morale ma con un forte senso di giustizia che le fa aiutare chiunque, forte e bellissima. Veronica aveva conoscenza nei luoghi malfamati della città, amici tra i criminali locali e persone potenti in debito con lei. Eppure era l'outsider, quella esclusa e che il resto della scuola prendeva in giro, cosa che la rendeva ben più simile a noi comuni mortali.
In tutto questo appeal della sua protagonista, la storia funzionava, e oggi lo posso dire col distacco del tempo, perché si trattava di gialli ben costruiti, di mistery in cui non si temeva di mettere nulla in discussione. Le famiglie, l'autorità locale ma non solo, i ricchissimi 09ers, l'intero sistema giudiziario statunitense: tutto è potenzialmente sbagliato se ci si mette in mezzo una ragazzina che non ha nulla da perdere. Veronica, guardata con gli occhi di un'adulta (sob) è una pazza incosciente, incapace di imporsi limiti ragionevoli, incapace di comunicare realmente con chi la circonda se non vi è costretta, confusa ed emotivamente caotica: è un'adolescente come tutti gli altri, e per questo la amiamo tanto e l'abbiamo tanto amata quando avevamo la sua età. Era quello che eravamo, ma al tempo stesso molto più figa di quanto saremmo mai stati. Le voglio molto bene e sono felice sia arrivata su Prime, per tornare a Neptune a giocare alla detective insieme a lei.
Dalla comodità del mio divano, però, che io incosciente così non lo sono mai stata.


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