domenica 13 giugno 2021

Hell House LLC, la trilogia

13:32

 Un tempo su questo blog si pubblicavano tre post a settimana. A SETTIMANA. Ora se faccio la brava riesco a pubblicarne più di uno al mese. Finalmente, però, il processo di acquisto casa e trasloco più lungo del mondo sta giungendo al termine, Internet ha fatto la sua comparsa nella nuova casa Redrumia ed è ora che io ricominci a prendere in mano i miei progetti.

Il blog lo riprendiamo parlando di una trilogia che si è presa il mio cuore diventando immediatamente una delle mie preferite, quella di Hell House. Era completamente scappata ai miei (seppure miopi) radar, e Shudder invece continuava a propormela, con questo titolo così banalotto e una locandina così dimenticabile. Che cosa mi sarei persa se non lo avessi ascoltato...


L'Abaddon Hotel, che non brilla per lusso e che sarebbe stroncato da rece con una stellina su Tripadvisor


Una cosa non me la dimenticherò mai nonostante le lunghe pause tra un post e l'altro: come si fanno le premesse con i fatti miei. In questo caso, userò la premessa per ricordare ai lettori quanto io ami il found footage e il mockumentary. È proprio una passione adolescenziale la mia, che mi fa giudicare tutti i film della categoria in un modo assolutamente irrazionale. Laddove ovviamente riconosca che alcuni film abbiano meriti oggettivi ben più spiccati rispetto ad altri, io voglio bene a tutti. Riconosco persino la faciloneria dei meccanismi che mi portano ad amarli così tanto. Mi bastano due scrittine su sfondo nero, finte foto tratte dai social e finti servizi del tg e io volo nello spazio. Hell House è una trilogia di mockumentary, come potevo arrivarci oggettiva? E infatti. La a do ro.


POSSIBILI UN POCHINO DI SPOILER, NIENTE DI ECCESSIVO.



Halloween 2009. Un gruppo di amici che gestisce delle haunted houses sceglie di organizzarne una all'interno di un hotel abbandonato, l'Abaddon. La scelta ricade proprio su quell'hotel, lontano dalla vita cittadina nella quale sono soliti lavorare, perché l'Abaddon ha nel proprio passato una storia tragica che ha contribuito a dargli la fama di hotel infestato. Quale luogo migliore per la loro attività?

La notte dell'inaugurazione, però, avviene qualcosa e quindici persone perdono la vita in circostanze misteriose. Una crew di giornalisti decide, qualche anno più tardi, di ripercorrere le tappe che hanno portato a quella tragica notte con un documentario. 


Il primo film della saga è semplicemente brillante. Un mockumentary come non ne vedevo da un po', divertente, intelligente e sinceramente spaventoso. Si basa su un concetto che col senno di poi è incredibile nessuno abbia mai sfruttato prima: un horror ambientato in una haunted house (quelle attrazioni da fiera con i percorsi spaventosi, per intenderci) ambientata all'interno di un hotel infestato? Ma sarà geniale. Vorrei averci pensato io. Seguiamo la crew degli organizzatori fin dal loro primo giorno all'interno dell'hotel, vediamo l'attrazione prendere forma, ci ambientiamo nell'Abaddon. Iniziamo a conoscere spazi che nei successivi film ci saranno familiari e che sono così efficaci in questo primo episodio che quasi non ci si crede. L'hotel è claustrofobico, gli spazi scuri e angusti già in partenza. In più, lo scopo principale dei ragazzi che lo affittano è proprio di mettere in evidenza questo aspetto così losco e ovviamente di arricchirlo con "oggetti di scena", luci e rumori. Fare paura è proprio il suo scopo e so solo io quanto con me abbia funzionato. Ha personaggi così veri, umani, teneri, che vederli soccombere sotto l'enormità di quello che sta succedendo loro è un vero dispiacere.

Certo, il punto del film è proprio questo: non si ha davvero idea di cosa sia successo loro. Al film non interessa darci descrizioni dettagliate di quello che è accaduto nello scantinato dell'hotel in cui le persone sono morte, non è importante. Anzi, indubbiamente una rappresentazione più chiara degli eventi li avrebbe resi meno spaventosi. Questo è un film che ci mostra in prima persona cosa succede quando hai il sospetto che le cose stiano sfuggendo al tuo controllo, quanto la paura e la suggestione siano deleterie per la mente delle persone e cosa succede ad un gruppo molto unito quando le cose si mettono male. Gli equilibri si sfaldano, le relazioni si logorano, la fiducia salta completamente. 

E nel mentre, noi spettatori, che siamo ormai così coinvolti dalla situazione, ce la facciamo sotto tanto quanto loro. L'Abaddon funziona divinamente. Apparizioni, movimenti inaspettati di cose che non sono pensate per muoversi, rumori, luci che saltano. Si usano elementi, movimenti, effetti, ben noti all'interno del genere, ma sono sempre posizionati nel momento e nel modo migliore per far sì che, pur essendo ormai conosciuti, funzionino sempre. Esempio? In scena ci sono tre personaggi e la luce è accesa. La luce si spegne, si riaccende e i personaggi sono diventati quattro. Lo sappiamo, lo vediamo arrivare, pensiamo di essere sempre pronti. E invece saltiamo comunque dal divano. Ed è sempre, sempre, divertentissimo. 





Hell House si conclude con un finale tipico da creepypasta dei forum dell'internet, eppure a me ha convinto anche quello, ero tanto investita nelle sorti dei poveri ragazzi che me la sono fatta sotto pure con quella conclusione lì. 

La trilogia, poi, ha la sfacciataggine (soprattutto nel suo secondo episodio) di ripetere all'infinito gli stessi schemi, spesso proprio le stesse scene. Ce ne importa? Personalmente nemmeno un po'. Questo hotel esercita su di me un tale fascino che persino il suo secondo episodio, che oggi credo sia il più debole, mi è piaciuto tanto. L'Abaddon è il Micheal Myers degli ambienti: è cattivo punto e basta, e se ci entri puoi pure stare tranquillo che non ne esci. Qualunque cosa si muova lì dentro è crudele e orrenda e si prende con particolare gusto il personaggio di turno (ce n'è uno in ogni episodio, chiaramente) che la prende meno sul serio. 

Ha il grande merito, questa saga, di non aver voluto sfruttare l'immensa magione vittoriana, il lusso decadente di un grande albergo cittadino. L'Abaddon è un piccolo e malconcio motel di paese, che nessuno considera particolarmente rilevante, che ha chiuso per colpa di un precedente proprietario discutibile. Io vivo in un piccolo paese della campagna cremonese e mi vengono in mente nel giro di 15 km almeno due strutture così. Non ha fascino di per sé, non è architettonicamente interessante, non è manco di classe. Eppure, ha tutto il male del mondo dentro e vederlo scatenarsi così è ancora più eccitante, anche in un film di minor interesse come il secondo. 


Hell House II, però, fa l'inevitabile per condurre ad un terzo episodio: apre la strada alle spiegazioni. Si parla di porte dell'inferno, chiaramente. Che stanno dove? Sotto l'Abaddon, dove altro? Insomma, succede che sono state aperte e qualcuno deve pur chiuderle. Arriva il terzo episodio, per questo.


Il pregio di Hell House III: Lake of fire è quello di cercare di dare almeno un piccolo twist nuovo alla storia del nostro hotel del cuore. L'Abaddon è pronto per essere abbattuto quando un ricco e stravagante imprenditore decide di comprarlo e usarlo come sede per un suo spettacolo teatrale, Insomnia, basato sul Faust. 

Siamo pur sempre nel territorio del mockumentary, quindi anche questa volta una crew televisiva segue la fase di preparazione dello spettacolo. Gli eventi non sono più quindi strettamente legati a quanto successo nei primi due episodi, eppure si sceglie di usare scene dai film precedenti per fare una cosa ben migliore: ricordarci che l'Abaddon non è un luogo sicuro, neppure per chi lo sottovaluta. E questo fa sì che noi partiamo con la visione del terzo film già allarmati: lo sappiamo per certo che le cose non si metteranno bene per i nostri protagonisti, eppure il regista ha scelto comunque di mostrarcelo, ricordandoci brevi episodi della storia di Hell House e di tutte le persone che hanno girato intorno alla tragedia della sua inaugurazione e a tutto quello che è successo dopo. Il clima di ennesimo disastro imminente è costante, e il film ci tiene che noi non ci distraiamo mai. A volte persino in modo eccessivo? Ve lo concedo. Però per quanto mi riguarda funziona, perché il clima è opprimente per tutto il film. 

Non so se è la conclusione che avrei voluto, ma forse parlo così solo perché io, di giovani sconsiderati che entrano nell'hotel infestato, ne avrei voluti ancora. E vedere l'Abaddon bruciare così è proprio un peccato. 


Parliamo di grande cinema autoriale? Ma chiaro che no. Parliamo però di film molto genuini, che riflettono in un modo fresco e leggero sui media e la loro etica (senza ammazzare tartarughe nel mentre, scusate), sull'ambizione accecante - ridimensionata al fatto che non stiamo parlando di squali di Wall Street chiaramente, sulle relazioni messe in difficoltà e soprattutto sui fantasmi.

Tanti, tantissimi fantasmi. Ovunque.

Mi sono divertita un mondo.

domenica 9 maggio 2021

Tre saggi sul cinema dell'orrore

08:31

 Devo soffiare via la polvere dal blog, è un po' che non torno.

Presente quando dicevo che il 2021 mi stava mettendo alla prova? Pare che non sia ancora bene convinto dei risultati, ecco, e che mi voglia testare ancora un po'. 

Mi sfogo usando molto di più Instagram, che è un po' più immediato, però poi quel posto qua comincia a mancarmi molto e quindi rieccoci, questa volta per parlare di libri.


All'inizio dell'anno sono entrata in possesso, attraverso modi che il fruitore medio di internet conosce alla perfezione, di un numero bello sostanzioso di saggi sul cinema dell'orrore, di quelli che si trovano su amazon a 50 paperdollari l'uno spediti dall'inferno con 70 milioni di euro di spese di spedizione. Parlo sempre per iperbole, ma ci siamo intesi.

Insomma, finalmente quest'anno ho ricominciato a fare la cosa che mi piaceva di più: studiare. Non che prima non lo facessi, ma adesso ho a mia disposizione una bella serie di libroni che accarezzo tutte le sere prima di andare a dormire.

Oggi parliamo dei primi tre.


Foto di David Kennedy su Unsplash

. Men, Women and Chainsaws. Gender in the modern horror films. Carol J. Clover

Non potevo che cominciare unendo due delle mie passioni più grandi: horror e femminismo. Questo, del 1992, è la vera pietra miliare sul tema. Non è solo il testo che ha introdotto la final girl sia come termine che come oggetto di studio, ma ha davvero vivisezionato alcuni dei generi principali per presentarceli in ottica femminista. 
Si parla nello specifico di slasher (ovviamente), di demoniaci (altrettanto ovviamente) e infine di rape and revenge (va beh chiaro, no?).
Quello che fa la favolosa autrice, con un linguaggio semplicissimo e discorsivo, è portare alla luce le dinamiche che hanno fatto sì che storicamente certi film siano stati tutti realizzati in un certo modo. La motivazione principale è una, quella che possiamo facilmente immaginare tutti: il target del cinema dell'orrore è stato da sempre l'uomo bianco. Basta ampliare di un minimo le proprie conoscenze sul tema per sapere che l'uomo bianco è il target di tutto, anche inconsapevolmente. Del resto, Simone de Beauvoir lo ha sempre detto, noi donne siamo l'Altro, il diverso, l'eccezione. Il cinema è un'industria, e in quanto tale si unisce a tutte quelle dinamiche che vedono le donne come la minoranza. Le donne sono quindi le sole vittime deliberate dei villain degli slasher (se si uccide un uomo è perché si è messo in mezzo ai piedi), e il "tifo" dell'audience è orientato verso il killer per quasi tutto il tempo. Quasi, perché ad un certo punto si delinea il profilo della final girl, e l'attenzione dell'uomo si sposta. La final girl è sì la virginale candida che ha visto morire le sue amiche disinibite, ma assume caratteristiche maschili al punto che spesso persino i nomi lo sono: Laurie, Charlie, Sidney, Max. Ma non solo. Sono le donne quelle possedute nei film demoniaci, perché per la religione cattolica stessa la possessione avviene in caso di maggiore fragilità, sono loro quelle che aprono la mente al demonio. 
Infine, ma non per importanza, il tanto chiacchierato rape and revenge. 
Qua va segnalato un trigger warning importantissimo: il libro parla approfonditamente (mooooolto approfonditamente) di I spit on your grave, e lo fa con dovizia di particolari. Il film è una visione di merda (non che faccia schifo il film in sé ma che di sicuro sia difficilissimo, quasi impossibile per una donna, è innegabile) ma il libro non lo rende più semplice. L'analisi che ne fa è importantissima, approfondita, su un tema che a me ancora oggi non fa avere le idee chiare.
Questo non è mica un libro che posso consigliare io, è uno di quei testi fondamentali che avrei voluto conoscere molto prima, ed è anche quello che mi ha fatto capire che voglio prendere una direzione che unisca sempre di più i miei due argomenti del cuore, almeno per quanto riguarda lo studio. E se un libro mi fa venire ancora più voglia di studiare, per me è il libro migliore del mondo. Questo, peraltro, è molto vicino ad esserlo davvero. Lo rileggerò spesso.


. Hideous progeny. Disability, eugenetics and horror cinema. Angela M. Smith

Avevo deciso di concentrarmi su saggi che non fossero semplici storie del cinema, per aumentare la mia capacità di analisi e di raccontare il cinema su questo spazio. Mi sa che con questo libro ho fatto il passo più lungo della gamba. Chissà se è un modo di dire di tutta Italia.
Dunque, questo è un saggio che, come si intuisce dal titolo, mette in relazione i grandi film classici degli anni '30 con, appunto, disabilità ed eugenetica.
Voglio chiarire subito come la penso: qua è stata colpa mia. Io per quella lettura qua non ero proprio pronta. Mi interessava da morire il tema, proprio perché come dicevo su voglio fare un percorso che non sia solo storico. Però per me questa è stata una lettura troppo impegnativa. Non ne ho tratto troppo di positivo perché ho passato metà del tempo su google a cercare di capire cosa mi stesse dicendo. Leggo in inglese da diverso tempo, ma questo testo ha un linguaggio molto scientifico (potevo arrivarci visto che ha già l'eugenetica nel titolo? sì) che mi ha reso la fruizione complessa. Già io e la scienza siamo due mondi lontanissimi, sono una capra totale (migliorerò) pure in italiano, figuriamoci in inglese. 
Alla fine ne sono uscita indispettita e con l'ego in frantumi, ma a quelli di voi che sono interessati lo consiglio molto perché il tema è interessantissimo: si rileggono Dracula, Frankenstein e naturalmente Freaks in modo da approfondire attraverso di loro il significato che l'eugenetica ha avuto in quel momento storico e il modo in cui la disabilità è stata vissuta. Non posso quindi dire nulla di male sul saggio in sé, che parla di cose importanti e lo fa con enorme competenza.
Sono io che quella competenza lì ancora non ce l'ho. Ma ritornarci è una delle missioni del mio viaggio tra tutti questi saggi.

. Shock value. How a few eccentric outsiders gave us nightmares, conquered Hollywood, and invented Modern Horror. Jason Zinoman

Dopo la batosta precedente, dovevo darmi una ridimensionata. Ok Mari che vuoi fare un bel percorso di studio, ma non devi partire subito dalle cose più toste. Ho deciso quindi di passare a questo testo adorabile ma decisamente più leggero. Jason Zinoman ci racconta di quei nomi che oggi guardiamo con le stelline negli occhi. Parla (tanto) di Carpenter, di O'Bannon, di Romero, Craven e Polanski. Ci parla di loro con grande affetto, delle loro vite e delle cose che hanno portato i loro film in essere. Ci sono racconti di litigate, gossip su matrimoni falliti, amicizie rovinate e problemi con i produttori. È un libro divertentissimo, che offre uno sguardo sui retroscena, su cosa significava all'epoca avere un film in testa e dover trovare il modo di realizzarlo come lo si voleva. 
Non è un saggio che analizza il cinema, ma racconta come certe storie oggi iconiche sono nate, e questo passa anche attraverso la vita dei loro creatori. Per quanto mi riguarda un testo ben più leggero dei precendenti, ma non per questo meno interessante, anzi. 
Ottimo per ricavarne aneddoti da raccontare a tavola per fare colpo su quella tipa che vi piace e che è venuta a cena con la maglietta di Debra Hill. Lei con ogni probabilità l'aneddoto lo saprà già, ma voi mi sentirete più sicuri di voi e la serata filerà liscia come l'olio.


mercoledì 7 aprile 2021

I 200 di Rue Morgue: 3 in 1

19:19

 Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui avrei unito più film di questa rubrica in un solo post, e quel giorno è oggi. Nelle scorse settimane sono stata un po' in balia delle cose della vita e non mi sono messa a scrivere un post singolo per questi tre film, che ora poveri si ritrovano in un post cumulativo. 

Temo accadrà sempre più spesso.



Riflessi sulla pelle è un film che sta sul confine tra i generi, ma che mi piace definire, come fanno proprio nel trafiletto dedicato a lui nel numero di Rue Morgue protagonista di questa rubrica, un "prairie goth". Con questa premessa aveva tutta la probabilità di piacermi, perché anche solo l'estetica in questione mi appaga la vista e mi mette in pace col mondo. Purtroppo non è andata proprio così.

Seth ha 7 anni, un papà un po' perso nel suo mondo, una mamma ossessionata dal pensiero del figlio maggiore che sta nell'esercito e due grandi amici. Ha anche una vicina di casa, Seth, che si chiama Dolphine, che agli occhi del bambino è quasi certamente una vampira. Quando il fratello torna e si innamora proprio di Dolphine, Seth non la prende benissimo, soprattutto perché i suoi amici hanno iniziato a scomparire.


Questo film, come tanti altri in questo genere paxxerello che tanto ci piace, usa creature soprannaturali per dire quanto schifo facciamo noi che soprannaturali non siamo. Riflessi sulla pelle tira indirettamente in ballo vampiri e compagnia danzante, ma li mette negli occhi di un bambino, e sullo sfondo mostra i peggiori predatori che possiamo concepire. Avrebbe potuto essere un film molto intenso e commovente, ma io, e lo dico con un enorme dispiacere, l'ho solo trovato noioso. 

Ora, io ho 30 anni e ho accettato il fatto che spesso i film li devo guardare a rate perché il mio corpo mi tradisce e mi fa addormentare a metà. È una triste realtà con cui convivo. Di questo film mi sono ampiamente goduta la prima parte per crollare come un'infante nella seconda. Quindi mi sono svegliata, ho mandato indietro per recuperare quello che mi ero persa, ho ripreso. Addormentata di nuovo. Ripreso da dove avevo perso. Addormentata di nuovo. Ci ho messo un sacco di ore e alla fine non mi è piaciuto come avrei voluto. Peccato.

Voleste comunque dargli una possibilità, nel momento in cui scrivo sta su Prime.




Questo è un film che conoscevo di fama ma che ancora non avevo recuperato. Su Shudder sta alla categoria A good scare e questo francamente mi ha deluso più del film in sè, perché non mi ha fatto paura mai e per me questa è una rarità, io ho sempre paura.

Parla di un uomo che è sopravvissuto ad una terribile tragedia: ha perso moglie e figlia in un incidente sulla neve. Alcuni amici, per aiutarlo a superare il periodo, gli offrono un lavoro in un'università e lo aiutano ad affittare una casa per l'occasione. La casa è uno splendido edificio che appartiene ad una società storica, e ovviamente è infestata.


Quando sono le storie di fantasmi a non piacermi proprio me la prendo sul personale. Sono le mie storie preferite, piango tanto e ho tanto paura. Questa non era solo una storia di fantasmi. Questa è la storia di un fantasma bambino. Con una disabilità. Ci ha proprio messo il carico da undici per provare ad emozionarmi, e invece non è successo niente. Questi occhi lacrimevoli sono rimasti asciutti anche alla vista della carrozzina che si sposta da sola. È come se non si andasse mai veramente a fondo con la storia, che si mantenesse una comoda distanza di sicurezza che però allontana anche me spettatore. Questo non è un peccato, è un peccato 3 volte. Uno, perché avrebbe potuto essere il mio punto debolissimo e invece zero. Due, perché essendo così dimenticabile sminuisce anche l'interessante interpretazione del suo protagonista. Tre, perché non mi puoi mettere una cosa nella categoria di quelle spaventose e invece no. 

Una ragazza avrà pur diritto ai suoi sacrosanti salti sul divano, o no?





Arriviamo infine alla mia visione più recente, Behind the mask: The rise of Leslie Vernon, che ho giusto finito prima di iniziare a scrivere questo post.

Si tratta di un mockumentary, nel quale 3 ragazzi seguono Leslie Vernon, un giovane uomo il cui obiettivo è seguire le orme dei più famosi serial killer della storia: Jason, Michael e Freddy. Nella sua realtà non sono solo esistiti, ma sono la sua più grande ispirazione. Non è che sia matto, esistono proprio nell'universo del film. Leslie ha tutto: la cittadina, il luogo isolato, il dottore che lo segue, un vecchio mentore, la maschera, l'arma, ha già la sua final girl, ed è pronto a colpire.


Questo è decisamente il film migliore del trio. La usiamo la frase più inflazionata di internet? Usiamola: è una lettera d'amore al cinema slasher. Anzi no, forse non una lettera d'amore. Una tesi di laurea sul genere. Un dottorato di ricerca. Ogni singolo istante di questo film è un'analisi di quello che è un sottogenere storico (e che non accenna a morire, con nostra immensa gioia). E noi quelle cose qua le guardiamo sempre con gli occhi a cuore. Dico noi perché mi assumo la responsabilità di parlare un po' a nome di tutti, perché come si fa a non amarle, quelle operazioni qua? Sono così appassionata che diventano contagiose, e se quell'amore lì ce l'avete già è come trovare finalmente un collega che ascolti la vostra stessa musica. 

Un film divertentissimo, che unisce due dei sottogeneri per i quali la Vostra ha un debole per tirarne fuori un esperimento ben più che riuscito. 


Forse queste sono state le prime volte in cui i consigli del numero speciale di Rue Morgue mi hanno un po' delusa. La strada per arrivare in fondo alla rivista però è lunga, e mi mancano più film di quanti mi piace ammetterne, quindi nel dubbio mi preparo a tutto.

venerdì 26 marzo 2021

Horrornomicon: The Shape Lives

12:43

 Parlando di Wandavision avevo raccontato di come le relazioni di lungo corso finiscono per far mescolare i gusti e le passioni. Ecco, se io mi sono guardata ore ed ore di onde energetiche lanciate dalle mani di persone con i mantelli, Erre ha dovuto tollerare un numero di film dell'orrore ben superiore a quello che avrebbe voluto. 

Sono serviti esperimenti, tentativi, errori, ma finalmente ho trovato qualcosa che gli piacesse davvero. 

La saga di Halloween lo ha conquistato. Sono una donna più felice per questo? Sì. La mia missione è solo all'inizio, ma presto sarà uno di noi, uno che smetterà di chiedermi che film ha fatto Brian De Palma oltre a Carrie. E pure per fargli ricordare quello ci ho messo un po'.




Questo post conterrà spoiler su tutti i film della saga. Tutti, anche La resurrezione. Anche quelli di Rob Zombie. 


Non scriverò la trama di nessuno dei film credo, ma soprattutto non scriverò quella del primo. Se siete su questo blog lo avete certamente già visto, ma se siete qua per caso e ancora non avete avuto l'immenso piacere, non rovinerò in nessun modo la vostra esperienza.

Perché guardare Halloween, quello del '78 diretto dal Sempre Sia Lodato John Carpenter, continua ad essere un'esperienza unica nel suo genere e dio non voglia che ve la rovini io solo perché voglio scriverci su un post. Se anche conoscete Michael Myers di fama e di aspetto, guardarlo tornare ad Haddonfield per la prima volta è proprio tutta un'altra cosa.


Lo dico prima ancora di cominciare a parlarne, per dimostrare subito la persona seria che sono: con l'ovvia eccezione di quelli girati da Rob Zombie, a me i film della saga dell'ombra della strega piacciono tutti. Ho detto tutti quanti. Mi piace quando a Michael tagliano la testa e poi non era lui, quando fanno diventare Laurie sua sorella, quando diventa un reality show, quando assoldano Ant-Man (smettila, internet, di idolatrare Keanu Reeves, il vero immortale è Paul Rudd), quando ci mettono di mezzo le sette e persino quando si dimenticano di metterci Michael e fanno un film diverso. Il mio è amore appassionato. La mia è devozione. Non posso resistere a quella maschera vuota e spenta, mi emoziona. E il motivo per cui non posso resistergli è che a me, signori, Michael Myers fa una paura maledetta. 

Mi piacciono gli slasher proprio perché genericamente hanno un fattore spavento relativamente basso e posso propinarli ad Erre ogni volta che voglio senza doverlo prima preparare a quello che lo aspetta. Michael no. Il Boogeyman per eccellenza mi ha regalato ancora adesso un paio di notti di tensione. Il suo incedere lento, la sua ineluttabilità, il suo silenzio, sono gli elementi che lo rendono il più affascinante di tutti, ma anche il più spaventoso. 


Ma dicevamo, Halloween del 1978. Un film girato da un uomo giovanissimo, in manco un mese, con 5 euro nel portafoglio e una sceneggiatura buttata giù di corsa in poche settimane. Risultato? 40 anni dopo ancora fa scuola, e soprattutto fa soldi.

Se si riconoscono tutti i meriti di chi è venuto prima di lui e gli ha spianato la strada, è anche giusto dire che Carpenter, col suo film, ha creato un genere. Ha scritto le regole che vent'anni dopo Craven avrebbe selvaggiamente preso per i fondelli con quello Scream che giustamente tutti amiamo di un amore romantico, ha aperto la strada ad un'epoca del cinema dell'orrore che ancora oggi diverte come se non fosse passato un giorno. E lo fa con un film che è la dimostrazione di come anche l'orrore a basso costo possa essere allo stesso livello del cinema d'autore. Perché quello che rende il primo film così straordinariamente superiore a tutti quelli arrivati dopo, che vi ricordo io adoro lo stesso, è il suo autore. Che Carpenter sia la storia di un genere non lo devo certo spiegare io a nessuno, è uno di quei nomi a fronte dei quali ci si leva il cappello.

Mi piace pensare che sia questo il film che più di tutti lo eleva al rango di Maestro, perché forse con Il seme della follia sarebbe troppo facile. Quella è roba complessa, lovecraftiana, di quelle che alla fine ti fanno cercare su google la spiegazione del finale. Halloween aveva tutte le carte in regola per essere un film semplice: ha una trama che più minimal di così non si può. Un uomo scappa da un manicomio e uccide delle adolescenti. E invece lui ne tira fuori un opera immensa.

Quello che fa il film è rendere questa cosa così apparentemente lineare molto più interessante di così, e lo fa regalandoci il villain più iconico di tutti, con buona pace di Jason e gli altri. Scusatemi, sono sempre di parte. Michael ha sembianze umane, e pare che il suo DNA lo renda proprio uno di noi. Eppure, quella dell'uomo è solo una forma, la Shape, appunto, perché quello che c'è dentro non ha nulla di umano. Come il povero dottor Loomis cerca di spiegare in ogni benedetto film per tutta la durata della saga, Michael Myers è il Male. Non ha scopi, non ha motivazioni, non ha emozioni (poi magari ne riparliamo), non ha nulla. Dietro la maschera c'è solo il vuoto, e un vuoto che uccide. Così d'impatto è la sua presenza che non serve altro. Non pronuncia mai un solo verso, non ha un volto, non ha nemmeno un solo attore che lo interpreti per tutto il tempo, tanto questo è insignificante: Micheal Myers è il Male, e tanto ci basti sapere. Non hanno alcun interesse Carpenter e Debra Hill, a spiegarci cosa e perché, perché non ne esistono. L'anti spiegone per eccellenza, paradossalmente in un film in cui si parla molto. Loomis è molto, molto verbale su quello che Michael rappresenta e su come sia il peggior pericolo che la cittadina di Haddonfield abbia mai incontrato. Loomis spiega, parla, agita, ma è tutto quello che può fare. Oltre ad un ormai iconico monologo che rappresenta l'essenza vera del film. Accanto a lui, la final girl per eccellenza, una Jaime Lee Curtis così appassionata del ruolo che ancora oggi ne parla piena di orgoglio. La sua Laurie è, insieme alla Sidney del sopracitato Scream, la mia preferita.

Halloween è un film pacato ed elegante, che non mostra più sangue di quanto sia necessario e che non sbrodola mai in nulla che non contribuisca a renderlo uno dei più grandi di sempre. 


Potrei parlare solo di lui, del suo sconvolgente inizio e del suo bellissimo finale e di tutto quello che ci sta in mezzo, ma poiché i film sono tanti, meglio passare al suo primo sequel, Halloween II - Il signore della morte. 

Rientra tra quei sequel che a me piacciono molto, ovvero quelli che riprendono le file della storia esattamente da dove le avevamo lasciate, ed è infatti ambientato la stessa notte. Laurie è in ospedale, e ha da qui inizio la faccenda che la vede sorella di Michael. Ne avremmo fatto a meno? Possibile. Eppure alla fine io a questa storia mi ci sono affezionata e mi diverte sempre sentire che lo chiama "mio fratello". Faccio così anche io quando il mio, di fratello, mi fa incavolare, lo privo del nome proprio e lo chiamo "mio fratello", esattamente con il tono sprezzante che Laurie riserva a Michael in 20 anni dopo. 

Il due è una bella e concitata caccia alla Laurie, per quanto ci tenga a ricordare che concitata si intende per gli standard Myersiani. Michael è una personcina composta, non corre, non salta se può evitarlo, al massimo si prende delle gran mazzate. 

Ultima volta che vediamo il duo Carpenter - Hill all'opera, il secondo capitolo della saga è per me godibilissimo, che soffre del confronto impietoso col suo predecessore ma che tutto sommato si difende dignitosamente. Non fa niente se non piace manco a Carpenter stesso, gli voglio bene io per entrambi.


Poi succede una cosa strana. Esce un film che si chiama Halloween III - Il signore della notte. Si chiama così, ha il numero 3, tutto farebbe pensare che sia un sequel comune. E invece no.

Un Halloween senza Michael, un ritorno alla saga senza Laurie, senza Loomis, senza proprio lo slasher. Un caso di scambio in culla? Un errore di battitura? No, lo volevano proprio chiamare così. Ci offendiamo per ben altro, da queste parti, quindi prendiamo questo buffo episodio per quello che è, un film che col tempo è stato molto rivalutato e che rappresenta una di quelle belle critiche al sistema capitalistico che lo stesso Carpenter a sua volta sa fare bene come pochi altri. Il signore della notte non raggiunge certo i picchi di grandi film sociali e politici che il cinema dell'orrore ci ha spesso regalato, ma è piacevole e ha una di quelle canzoncine che alla fine del film ti fanno venir voglia di sbattere la testa contro il muro, sintomo che evidentemente sono efficaci.


Si ritorna alla nostra cittadina preferita con Halloween 4, per il quale ho proprio un debole. 

Dopo la parentesi del terzo film, bisognava inserire un elemento di novità alla saga originaria, per non continuare a riproporre sempre la solita faccenda, e si sceglie di inserire una bambina. Una dolcissima Danielle Harris interpreta la piccola Jaime, figlia della defunta Laurie, e quindi nipote di Michael. 

Io questo film l'ho proprio adorato, ben consapevole dei suoi vari limiti. Il mio cuore, però, si scioglie sempre davanti ai bambini dei film dell'orrore, piccoli nanini inconsapevolini e fragilini. Jaime è proprio da canone di cuore sciolto: orfana, ma di nuovo amata dalla famiglia che l'ha adottata, tenerina e ben interpretata. Il film poi è proprio innamorato di quello del '78. Non c'è solo un uso sempre bello della colonna sonora mitologica (ma quella ci accompagnerà fino alla fine), ma c'è anche il costumino da pagliaccio, e soprattutto c'è il finale. Ah, mi dispiace, detrattori di questo film. 

Quel finale lì è proprio un gran bello. Michael vive, anche nelle bambine di manco dieci anni.




Vive anche letteralmente, perché come abbiamo ormai capito nessun tentativo di farlo fuori, nemmeno quelli più coreografici, funziona mai. Micheal torna di nuovo, e questa volta lo scopriamo perché è Jaime stessa, la nipotina, lo sente e lo vede. Ne percepisce la presenza e ha vere e proprie visioni. Come la madre biologica prima di lei nel suo secondo capitolo, è rinchiusa in un ospedale. Non che Myers si sia mai fermato di fronte ai nosocomi, e infatti quello che abbiamo è l'ennesimo film in cui i giovani vengono selvaggiamente ammazzati dal Nostro. Diverte che il film diventi una sorta di meta-Halloween, in cui il nostro killer diventa per la prima volta anche un effettivo travestimento da halloween, e diverte l'infelice sorte che tocca a questi adolescenti, che sono francamente i peggiori dall'inizio della saga. Si sposta un po' in là l'asticella, perché questa volta quelli che Michael cerca di uccidere non sono più solo adolescenti ma anche una coppia di bambini. In più, è in questo film che viene introdotta la questione della famigerata setta, che incontreremo ufficialmente nel film successivo. Forse è la sola volta in cui un film della saga sembra venir scritto dando per scontato che un sequel ci sarà, perché la questione della setta viene introdotta solo come la schiena di un personaggio ignoto che compare ogni tanto e libera Michael alla fine, dopo che Loomis era riuscito a farlo arrestare.

Non sono così pazza da considerare questo film uno di quelli da storia del genere, ma è riuscito comunque a divertirmi tantissimo, e da una saga slasher non chiedo altro.


Certo, poi arriva Halloween 6, e ammetterò che anche il mio amore folle qui ha vacillato. Arrivare al nipote di Laurie comincia a sembrare un pochino azzardato anche a me. Del resto Michael a questo punto non è più di primissimo pelo, e il film è proprio stanco. Vuole aggiungere nuovi elementi, che però iniziano l'opera di distruzione della base della mitologia della saga (la posso chiamare così?). Insinuare di culti e maledizioni e druidi e tribù priva di senso tutta la narrazione che ci viene fatta di Michael dal primo film. Che è poi l'imperdonabile errore che fa Zombie nei suoi film. Non mi interessava dare un approfondimento psicologico al passato di Michael, non le volevamo delle motivazioni soprannaturali. Potete lasciarci un killer cattivo e basta senza metterci ste sbrodolate? Che noia.


Bisognava solo portare pazienza, però, perché era questione di pochi anni e Laurie sarebbe tornata a renderci felici. Siamo nel 1998 ed esce Halloween - 20 anni dopo. Il film ignora tutto quello che è successo prima e si colloca dopo il secondo. Laurie ha finto la sua morte per andarsene da Haddonfield e vive ben lontano da lì, con il suo unico figlio ormai adolescente e una bella dose di ansia che le è rimasta da quello che le è accaduto. Sì, si può dire che a grandi linee il film somigli a quello del 2018. L'ultimo, però, è molto più riuscito, decisamente la cosa migliore mai successa al franchise dopo la sua nascita. Quello di metà anni '90 è un film figlio della sua epoca, di grande intrattenimento ma con ben poca profondità. Jaime Lee Curtis ogni volta che riveste i panni di Laurie è brava e si vede quanto se la gode. Il film regala momenti di sincera ilarità (a me, che faccio una gran fatica a ridere), come l'indimenticabile estintore in testa. Non che a Michael un estintore in testa possa causare alcun danno, ma mi ha comunque spaccato dalle risate. 

Ha un grande difetto, però, H20. Ha portato ad Halloween: Resurrection. 

Siamo in un'era del cinema dell'orrore che definirei complessa, i primi anni Duemila. Bisognava portare di nuovo a casa la pagnotta con un franchise che ormai stava in piedi da più di vent'anni. Cosa fare? Inserirci il reality show. Se si ama il trash, questa è poesia. Un gruppo di adolescenti partecipa ad un reality show prodotto da Busta Rhymes e Tyra Banks (in caso aveste qualche dubbio sull'anno di realizzazione del film, ve l'hanno chiarito così, sono proprio i primi Duemila). E non sono manco ironica, son proprio loro. Devono entrare, armati di telecamere e microfoni, all'interno di casa Myers, quella in cui si è verificato l'omicidio originale, quello in cui Michael ha ucciso la sorella. La prima, di sorella, perché Laurie muore all'inizio di questo capitolo. Lo fanno e ovviamente lui non è contento manco per niente, anche perché sembra che in quella casa lui di fatto ci abiti, quindi è pure una discreta violazione di domicilio. I giovani finiscono mediamente male, ci mettono dentro una morte che è ormai tradizionale del Nostro (la persona pugnalata e appesa a muri o porte con i coltelli), il reality show diventa la chiave per salvare la vita, mediante un sistema di messaggistica alquanto originale, ai suoi partecipanti. 

Questo è un brutto film, dai, lo possiamo dire. Se prendessi la faccenda sul serio potrei pure essere indignata che si chiami proprio Halloween. Però siccome sul serio non la prendo, mi godo questa robaccia come il film trash che è, e mi ci diverto come una matta.  


Sono molto più severa, invece, con i due film di Rob Zombie che hanno avuto la sventurata idea di chiamare proprio Halloween. Se con i film precedenti sono sempre disposta a perdonare tutto, con questi proprio non ci siamo. Partivo già maldisposta, perché a me lui non piace. Se trovo molto carino La casa dei 1000 corpi, ho quasi odiato tutto il resto che ho avuto la pazienza di guardare, e di conseguenza ho pure smesso di provarci. Io e Rob non ci capiamo, e va bene così, lo accettiamo entrambi serenamente. Quello che fa con il film è completamente snaturare il concetto che della saga sta alla base: Michael non ha un passato traumatico. Anzi, da quel poco che ci è mostrato nel film di Carpenter, arriva da una famiglia per bene, che vive in una bella casa in un bel quartiere, sembrano persone normali. La famiglia disfunzionale e malsana che ritrae Zombie è un'altra cosa. È cercare un'origine a qualcosa che per definizione un'origine non ha. È volergli dare una ragione. E a me non sta bene, mi fa proprio sedere in un angolo imbronciata con le braccia incrociate sul petto. Potrei pure accettarlo e passare sopra a quella che proprio prendo come un'offesa personale, ma è il prendersi così sul serio che non perdono. Anche il sesto film snatura un po' il concetto stesso di Michael Myers, ma è un film cazzone, sotto sotto si fa voler bene. Brutto è e brutto resta, ma lo prendiamo per quello che è, come quell'amico che al bar ti mette sempre in imbarazzo perché fa troppa cagnara ma poi all'aperitivo lo chiami lo stesso. Zombie invece col suo crederci così tanto, col suo sentirsela quasi autoriale, mi fa ancora più rabbia. Oltretutto, il film alla fine è debolissimo, manca di tutta l'atmosfera che si vede ha cercato di metterci. È riuscito ad ammazzare una scena che avrebbe potuto essere piena di pathos, ovvero il ritrovamento della maschera con la colonna sonora originale. Mi ha comunicato il nulla, e soprattutto non fa mai mai mai mai un briciolo di spavento. E questo, a un film in cui c'è l'ombra della strega, non lo posso perdonare. Il suo sequel manco l'ho riguardato, la vita è troppo breve. 


E infine, il film del 2018, che è bellissimo e a differenza di quello qua sopra fa bene a crederci. Perfettamente inquadrato nel suo momento storico si apre con due podcaster true crime che vogliono intervistare Michael (che anime candide). Gli fanno girare la uallera, però, perché hanno la pensata di tirar fuori la sua maschera. Questo viene trasferito, scappa di nuovo, cerca Laurie. Perché sì, torna spettacolare come sempre la nostra preferita, una Jaime Lee Curtis invecchiata con una grazia che può avere solo lei. Ed è come sempre il suo personaggio il cuore della saga. Si vede cosa succede alla final girl dopo che il film è finito, e quello che succede non è bello. Come una reduce dal Vietnam, Laurie ha uno stress post traumatico che l'ha resa una madre ansiosa e complicata. Beve, si trascura, e soprattutto vive nell'attesa che Michael torni. E lui, chiaramente, torna. Lei, però, non ha passato questi anni senza prepararsi. Nonostante la figlia non la prenda sul serio, Laurie si è attrezzata, ed è pronta a fare a fettine sottili il culo del fratello. 

Questo primo film della nuova trilogia è davvero bello. Arriva dove tutti gli altri non sono riusciti a fare, è intenso, appassionato, scritto in maniera intelligente e girato bene. Non è chiaramente un film fatto cavalcando l'onda del momento, ma fa parte di un'operazione ben pensata e ben sviluppata. Parla di traumi, di paure, di rapporti familiari complessi, di adolescenti, e lo fa benissimo. 


Ed è, per me, la prova che quando lo si mette in mano ad addetti ai lavori sapienti e capaci, nessun franchise è morto. Ci saranno sempre nuove cose da dire, nuovi aspetti da esplorare, nuovi personaggi da approfondire, nuovi momenti storici da sfruttare. 

E io sono pronta a vederli arrivare tutti.

martedì 16 marzo 2021

Un'altra novità?

17:21

 Lasciate che apra questo post con i soliti fatti miei, questa volta un po' più miei del solito.

Ho iniziato questo anno con tutta una serie di buone prospettive ma soprattutto con un passo importante: io e Erre stiamo comprando casa insieme. 

Lo stesso giorno in cui la banca ci ha comunicato che le nostre pratiche erano messe bene e che avevamo fatto uno step in più verso l'obiettivo mi arriva una seconda telefonata, che mi comunica una brutta diagnosi per mio papà. Da quel giorno lì, poi, anche con la casa le cose sono andate male, abbiamo avuto diversi problemi di natura burocratica e le cose non stanno filando liscio come sembrava stessero andando.

Ah, poi, sì, una pandemia mondiale. E io sono lombarda. 

Nel momento in cui scrivo la situazione è questa: sembra che abbiamo preso la malattia di mio papà in tempo e forse (sottolineo, evidenzio, marchio FORSE) stiamo facendo passi avanti con la casa. Per quanto riguarda la pandemia, invece, le cassiere sono completamente escluse dal dialogo sui vaccini. La sinceramente vostra cosa fa? La cassiera.


L'insieme di queste cose simpatiche come i miei gatti quando si arrampicano sulle gambe nude mi sta facendo questo effetto: ho sempre mal di testa, mi alleno come una maledetta per sfogarmi poi non cammino per giorni, dormo peggio del solito ma soprattutto non metto a tacere la testa.

Quando la testa non tace inizia a pensare, progettare, muoversi come un criceto impazzito per rimandare il più possibile i pensieri utili. Pensare a come risolvere il problema di una perizia sbagliata? Ma quando mai. 

Pensare a novità per il blog o per i miei libri che mi ruberanno ancora più tempo e per le quali mi sentirò sempre inadeguata? Sempre pronta.

E quindi eccoci qua.


Caspar Camille Rubin on Unsplash


Ho questa idea che mi balla in testa da un po' e che pian piano è diventata una conversazione più seria e adesso se la metto sul blog vuol dire che ci devo davvero iniziare a lavorare su.

L'idea è questa: voglio aprire un canale su Twitch per fare live a cadenza settimanale a tema cinema, preferibilmente dell'orrore. Twitch, per chi non la conoscesse ancora, è una piattaforma che permette di fare video in diretta, usata in gran parte dalla community del gaming. Ha però una fetta di persone che la usano solo per fare due chiacchiere, e questa è la fetta in cui mi vorrei inserire. Anche perché è proprio meglio per tutti se non metto online me stessa mentre gioco, sono imbarazzante. 

L'idea di farlo da sola, però, non fa per me. Quello che vorrei fare è ospitare ogni settimana un blogger diverso, fargli scegliere un film e fare due chiacchiere insieme per un'oretta. 

Le live sono temporanee, non sono come video Youtube. Chi è nuovo sulla piattaforma mantiene online le sue dirette per 14 giorni, agli utenti vipppps è concesso un tempo più lungo. Non ho le idee chiare su cosa farei con queste live per non perderle, o se le lascerò andare nell'oblio dell'Internet, non ci ho ancora pensato.


Ma quindi, se non ho ancora deciso nulla, perché scriverci già un post sul blog? 

Per invitarvi.

Alcuni generosissimi amici blogger mi hanno già dato la loro disponibilità (grazie, ragazzi!), ma ho contattato solo quelli che partecipano alle varie giornate celebrative della blogosfera. Non ho ancora iniziato a segnare una vera e propria programmazione, voglio solo guardarmi intorno e capire quante persone effettivamente sarebbero interessate a partecipare. Si tratta di metterci la faccia, un film a scelta, la voglia di farci su due chiacchiere con la sottoscritta. Due settimane dopo la faccenda è sparita dall'internet!


Direte voi, che siete più bravi di me: ha senso pensare a questa cosa con (SE TUTTO VA BENE) un trasloco imminente e di conseguenza internet che per un po' sarà più inagibile di un cantiere?

Ma certamente no, solo che quando la testa parla così non la so far tacere fino a che non faccio quello che dice lei, e quindi eccoci qua. 

L'invito è aperto a chiunque: blogger, ex blogger, futuri blogger. Gente che scrive solo sui social, gente che ha webzine, gente a cui piacciono i cinemacci brutti e che si diverte a parlarne.  


Può anche essere un'occasione interessante per far conoscere al web la vera star di casa: Augusto Sirius Daolio, il mio cane.





giovedì 11 marzo 2021

WandaVision

19:27
WandaVision è finito, e con lui le scorte di lacrime che avevo a disposizione per il mese.

La facciamo la solita premessa? Ma facciamola.
Come sa chiunque sia in una relazione di lungo corso, si arriva ad un punto in cui le passioni si mescolano. Lui viene sottoposto a più film dell'orrore di quanti ne voglia tollerare e io mi sono guardata tutto l'MCU. Poi è successo che mi sono affezionata ai tizi in calzamaglia (ma che modo di dire vintage è? bellissimo) e ho letto un paio di fumetti. Poca roba, giusto le cose più cattive tipo Planet Hulk. 
Questo per dire che su questo blog in generale, e quindi in questo post, troverete le opinioni di una che ha fruito praticamente solo dei film.
E, adesso, di una serie che l'ha ridotta ad uno straccio.
Ma non è bello venire sulla Redrumia e trovare solo cose scoppiettanti di allegria? 



Breve accenno di trama, perché poi andiamo in FULL SPOILER MA PROPRIO FULL FULL FULL.
Wanda e Vision sono una felice coppia fresca di casa nuova, e sono i protagonisti di una cotonatissima sit com anni '50. Sembrano usciti dai migliori manuali per signorine dell'epoca, ma ci è chiaro da subito che qualcosa non va, soprattutto perché arriviamo alla serie sapendo che Vision è morto, e che cosa sia lo scopriamo ripercorrendo la storia delle più famose sit com familiari della storia della tv. 

Avevo già scritto un lunghissimo post sulla serie, ma rileggendolo mi sono accorta che era una sbrodolata logorroica su quanto tragico fosse il personaggio di Wanda, sulla sua infelice sorte, su quanto ero triste per lei e su quanto era stato doloroso. 
Nulla di falso, sia chiaro. Ho davvero sofferto come una cretina, ma forse è il caso di argomentare un po' meglio. Diciamo che metterei un trigger warning per i cuori sensibili perché si piange davvero, ma giuro che poi mi fermo qua.

Anche perché quello che ho amato di WandaVision e del suo finale è che non si tratta di una delle sdolcinate faccende con la morale del "Se non ti uccide ti rende più forte". Wanda esce da Westview e sembra tutto ok (per quanto possibile, sia chiaro), fino a quando la vediamo nelle scene post credits. Wanda non solo non è guarita dai lutti della sua vita, ma è più incazzata che mai. E chi la biasima.
Quando Scarlet Witch ha fatto la sua comparsa Erre, che è la persona che mi fa da guida nell'esorbitante mondo dei supereroi a fumetti, mi aveva detto da subito che era in poche parole la più figa di tutte. Nasconderò al mio ego il fatto che probabilmente parlasse anche della bellissima Elizabeth Olsen per concentrarmi sul fatto che i poteri di Wanda sono strepitosi. Non solo sono impressionanti, ma sono anche inseriti in un personaggio molto umano e facile da amare, il che la rende ancora più forte. Anche Capitan Marvel ha una forza senza senso, ma è un'intollerabile snob, quindi non c'è proprio gara.
La serie non solo mette bene in mostra di cosa Scarlet Witch sia capace (cosa impressionante di per sè), ma mostra come i fenomenali poteri cosmici siano pericolosi in mano ai sentimenti umani. 
Wanda è ferita, soffre tantissimo, ed è anche incazzata durissima. L'enormità di quello che crea, assoggettando al suo dolore i suoi poteri, è impressionante. Ho adorato le scene in cui le persone prigioniere riprendevano conoscenza, perché erano la prova di quanto fosse crudele quello che Wanda stava facendo. 

Quindi, collegandoci a questo e in virtù della scena post credits: Wanda è la cattiva della serie?
Non dirò mai niente di cattivo contro quella che è diventata la mia preferita, scusatemi. Più un personaggio soffre più me lo sento vicino e mi ci affeziono e lei soffre come una dannata. Non credo però sia la villain, perché come nei più felici standard marvelliani, il vero cattivo è l'uomo bianco etero preferibilmente con un ruolo in una agenzia governativa. A fianco a lui, all'esterno di Westview, ci sono i comprimari della serie, che ho ricollocato nei propri film di provenienza solo grazie all'intervento del sopracitato Erre. Tranne Asian Jim, quello l'ho riconosciuto da me. (Sì, mi manca ancora The Office.)
Sono personaggi secondari deliziosi, che riempiono bene senza invadere lo spazio dei protagonisti, simpatici e interessanti. Ben scritti.
Poi, però, parlando di comprimari, succede il patatrac. Il vero fallimento della serie. Pietro Maximoff. Fan in visibilio, nerd di tutto il mondo uniti con bandierine celebrative pronti a festeggiare (finalmente!) l'arrivo degli amati X-Men nel MCU. Io faccio parte del gruppo, perché preferisco di gran lunga i mutanti agli Avengers, Giorni di un futuro passato è uno dei miei cinecomic preferiti. Evan Peters è arrivato calandosi dal cielo con ali angeliche a farci sognare. Prima di tutto perché il suo cazzonissimo Quicksilver è un adorabile cretino, e poi per tutte le implicazioni della sua presenza nella serie.
E invece no. La Paraculata Suprema. La Faciloneria Mephistofelica (Erre, sto diventando brava?). Il Martyrs dei finali dei cinecomics. (scusate, questa era esagerata.) Pietro non era davvero Pietro e i nostri cuori si sono infranti, di nuovo. In una serie struggente non ce n'era davvero bisogno, 'nfami. 
C'era gente che era scesa in cantina a ripescare spillati incellophanati a cercare risposte, c'erano forum infuocati, i server di internet rotti. Scusate, mi faccio prendere dal mio iperbolismo. Però mi dispiace, poteva essere una cosa bellissima e invece proprio no. 

Insomma, Pietro non era davvero Pietro, Vision e i bambini sono morti e Westview è tornata alla normalità, con quella frase di Monica che è stata peggio di una spolverata di sale su un graffio: "Non sapranno mai a cosa hai rinunciato per loro."
Vuoi altro, Marvel? Hai sentito che ho goduto un po' troppo per la dipartita dell'odiato Iron Man e hai deciso di punirmi così? Lo accetto. 

La serie finisce, negli episodi finali, per tornare ad essere un classico prodotto Marvel, con la sua battaglia bella grossa e importante e il resto che passa in secondo piano. Non la parte che ho preferito, come non è mai la parte che mi interessa dei film, però nel complesso è un prodotto ben più che godibilissimo. Non esattamente la ventata d'aria fresca che speravo restasse fino alla fine, ma mi sono comunque ritrovata in lacrime a soffrire come una cretina per un personaggio di finzione quindi immagino che abbia funzionato alla perfezione.

Concedetemi di concludere con una riflessione di parte e assolutamente superficiale: le supereroine donne sono le più forti di tutti, non c'è proprio gara. Ora, non so se anche questo sia parte del retaggio culturale per il quale una donna per far parte di un mondo maschile deve essere assolutamente superiore a chiunque o per lei non c'è posto, ma io penso di apprezzarlo. Tra Carol Danvers, Wanda, ma anche Wonder Woman. Non c'è spazio per la mediocrità, tra le donne supereroine.
Devo riflettere su come la penso su questa cosa, ma la bambina che è in me gongola e vorrebbe vederle spaccare tutto, nello specifico i culi dei compagni maschi. 


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