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venerdì 23 luglio 2021

La trilogia di Fear Street

11:57

 Con il neonato progetto Twitch faccio un pochino di fatica a vedere quanti film vorrei, perché sono solo all'inizio, devo organizzarmi e imparare a gestire le cose nuove. Quindi quando è uscito il primo capitolo di Fear Street, su Netflix, me lo stavo per far scappare. Sia sempre lodato Erre, che invece ha voluto vederlo, perché, e lo dico subito così non siete costretti a leggere tutta la pappardella che temo finirà per essere questo post, quella di Fear Street è la saga migliore degli ultimi anni.


Adesso elaboro con calma.



La saga è composta di tre film, ambientati in tre anni differenti: 1994, 1978, 1666. Ripercorre, partendo dal più recente e andando indietro nel tempo, la storia di Sarah Fier, una donna accusata di stregoneria che dopo la sua morte è entrata nella leggenda, diventando parte del folklore della cittadina di Shadyside. A Shadyside le cose da allora non vanno molto bene: i cittadini hanno vite complesse e piene di problemi, e ogni tanto qualcuno impazzisce e commette delle stragi. Dare la colpa all'influenza di Sarah è fin troppo facile. Deena e i suoi amici sono solo gli ultimi ad essere toccati dalla maledizione della strega, e non hanno nessuna intenzione di lasciarla vincere.


Si parte in questo viaggio a Shadyside nel 1994. Laddove gli anni scorsi sono stati per il mondo dell'intrattenimento un viaggio nella malinconia degli anni '80, ultimamente abbiamo scelto di tornare al decennio successivo, e finalmente l'ondata nostalgica tocca anche me, che nel '90 ci sono nata. Il primo film non è solo una bella passeggiata nel viale dei ricordi, però. Il primo film prende Scream e fa, 30 anni dopo, la stessa cosa: riprende in mano le carte di un genere intero e le rimescola, dà loro nuova luce, partendo proprio dal film che queste stesse carte le aveva rivoluzionate nel '96. Non si tratta solo di un omaggio ad un film tanto amato, ma è anche questo. Di Scream c'è tutta la struttura - persino elementi come la telefonata all'attrice più famosa che muore subito dopo o il personaggio esperto che spiega agli altri come vanno le cose - ma soprattutto c'è la voglia di dare nuova sostanza, di rinvigorire qualcosa che nel mio cuore so non morirà mai, lo slasher. Il primo film attualizza, pur ambientando 30 anni fa, elementi che sono una costante e li approfondisce, li arricchisce di nuovi spunti e li rende fruibilissimi anche a chi di slasher non ne abbia mai visto uno prima. 

C'è sì l'assassino mascherato che uccide i giovani, ma viene arricchito dall'elemento della maledizione, la sua responsabilità viene "sollevata". Chi sta sotto la maschera perde completamente di importanza, il killer non è più al centro dell'attenzione. Allo stesso modo, la final girl è rivoluzionata: non c'è la candida ragazzina virginale che sopravvive tirando fuori doti che non sapeva di avere, ma c'è una giovane donna fortissima e determinata, che la vita ha preparato da sempre a questo momento. Ha genitori assenti e la responsabilità di un fratello minore, vive in grandi ristrettezze e ha il cuore spezzato. Soffre ma non si piange mai addosso, anzi: è incazzata nera. E il suo essere così indomabile la rende la sola persona in grado di esplorare per davvero la storia di Sarah Fier. L'ho già detto nella IgTv dedicata ai film ma lo ripeto qui: che gran nome questa strega.


Esplorare la storia significa dover andare indietro nel tempo, e infatti il secondo film ci accompagna nel '78, anno in cui si è tenuta un'altra delle tristemente note stragi di Shadyside. Questa volta siamo in Venerdì 13. Siamo nel campo estivo, con animatori adolescenti irresponsabili e un killer che li spaventa. Di nuovo, ci sono tutti gli elementi che conosciamo e amiamo, ma con un twist in più. Questa volta abbiamo un approfondimento dei personaggi notevole, che potevamo scordarci quando il centro della storia erano Jason e il suo fascino. Qui abbiamo relazioni che vengono raccontate, abbiamo personaggi che si prendono il tempo di parlare e confrontarsi, abbiamo il loro passato che incombe su di loro e li rende quello che sono, abbiamo la maledizione della cittadina che ha su ognuno di loro un'influenza diversa. Anche qui il killer è irrilevante, se non nella persona della strega. Chi compia effettivamente i delitti conta poco, se non nell'aspetto della relazione con gli altri personaggi. (Difficile dire qualcosa senza fare spoiler!) 

Anche questa volta vengono scardinati i pilastri della terra scrivendo una final girl tostissima, irrispettosa, dispettosa, vivace, ribelle. Vittima di bullismo furioso ma che non vi soccombe mai, realista, ben piazzata con i piedi al suolo e sempre attenta a quello che la circonda, la meravigliosa Ziggy è un personaggio indimenticabile. La vita l'ha messa alla prova continuamente, ma lei è sempre stata attenta al prossimo (Nurse Lane su tutti, per chi ha visto i film), di cuore genuino ma non ingenuo. Un personaggio che spezza i cuori. 

Ziggy sarà quella che aiuterà Deena a fare un passo in più verso Sarah, in questo percorso tutto al femminile in cui ognuna delle protagoniste è di grande potenza.


Sarah la conosciamo effettivamente solo nel terzo capitolo. Prima è una leggenda, l'uomo nero delle storie dei bambini di Shadyside. Il terzo film fa l'inevitabile: le rende giustizia. Ci allontaniamo dallo slasher per diventare un film storico, in cui i volti delle nostre protagoniste diventano quelli dei personaggi delle leggende che stanno ricostruendo (gran scelta). 

Non farò in alcun modo spoiler sul terzo film perché sarebbero spoiler sulla saga intera, ma la riabilitazione del personaggio di Sarah è non solo perfettamente coerente con tutto quello che è successo prima, ma in modo autonomo anche una grande storia, dolorosa, reale e molto forte.


La degna conclusione di una saga splendida, che chiude tutto quello che era stato aperto in modo esemplare. L'ultimo film è un tassello fondamentale, che mette tutto in una luce nuova. Le storie delle tre donne protagoniste sono forti e di grande impatto, ma non dimenticano mai di essere inserite in teen horror, che le rende quindi anche di grande intrattenimento. L'elemento gore c'è e fa sempre piacere, ci sono gli omicidi creativi, c'è la (presa in giro della) demonizzazione del sesso, c'è l'amicizia, l'amore, l'assenza degli adulti e ovviamente una fortissima componente queer, che non è un elemento narrativo (non ci sono coming out, non se ne dibatte mai se non con un personaggio marginale) se non nell'ultima parte della saga, che diventa un horror ma anche un dramma lesbico in costume. 


Non è facile salutare i personaggi di Fear Street, a cui si vuole così bene. Il teen horror, da qui, ha una faccia nuova e non vedo l'ora di vedere tutti i modi in cui la saga di Leigh Janiak influenzerà quello che deve ancora venire. Sarà un viaggio divertentissimo e sanguinolento.


domenica 13 giugno 2021

Hell House LLC, la trilogia

13:32

 Un tempo su questo blog si pubblicavano tre post a settimana. A SETTIMANA. Ora se faccio la brava riesco a pubblicarne più di uno al mese. Finalmente, però, il processo di acquisto casa e trasloco più lungo del mondo sta giungendo al termine, Internet ha fatto la sua comparsa nella nuova casa Redrumia ed è ora che io ricominci a prendere in mano i miei progetti.

Il blog lo riprendiamo parlando di una trilogia che si è presa il mio cuore diventando immediatamente una delle mie preferite, quella di Hell House. Era completamente scappata ai miei (seppure miopi) radar, e Shudder invece continuava a propormela, con questo titolo così banalotto e una locandina così dimenticabile. Che cosa mi sarei persa se non lo avessi ascoltato...


L'Abaddon Hotel, che non brilla per lusso e che sarebbe stroncato da rece con una stellina su Tripadvisor


Una cosa non me la dimenticherò mai nonostante le lunghe pause tra un post e l'altro: come si fanno le premesse con i fatti miei. In questo caso, userò la premessa per ricordare ai lettori quanto io ami il found footage e il mockumentary. È proprio una passione adolescenziale la mia, che mi fa giudicare tutti i film della categoria in un modo assolutamente irrazionale. Laddove ovviamente riconosca che alcuni film abbiano meriti oggettivi ben più spiccati rispetto ad altri, io voglio bene a tutti. Riconosco persino la faciloneria dei meccanismi che mi portano ad amarli così tanto. Mi bastano due scrittine su sfondo nero, finte foto tratte dai social e finti servizi del tg e io volo nello spazio. Hell House è una trilogia di mockumentary, come potevo arrivarci oggettiva? E infatti. La a do ro.


POSSIBILI UN POCHINO DI SPOILER, NIENTE DI ECCESSIVO.



Halloween 2009. Un gruppo di amici che gestisce delle haunted houses sceglie di organizzarne una all'interno di un hotel abbandonato, l'Abaddon. La scelta ricade proprio su quell'hotel, lontano dalla vita cittadina nella quale sono soliti lavorare, perché l'Abaddon ha nel proprio passato una storia tragica che ha contribuito a dargli la fama di hotel infestato. Quale luogo migliore per la loro attività?

La notte dell'inaugurazione, però, avviene qualcosa e quindici persone perdono la vita in circostanze misteriose. Una crew di giornalisti decide, qualche anno più tardi, di ripercorrere le tappe che hanno portato a quella tragica notte con un documentario. 


Il primo film della saga è semplicemente brillante. Un mockumentary come non ne vedevo da un po', divertente, intelligente e sinceramente spaventoso. Si basa su un concetto che col senno di poi è incredibile nessuno abbia mai sfruttato prima: un horror ambientato in una haunted house (quelle attrazioni da fiera con i percorsi spaventosi, per intenderci) ambientata all'interno di un hotel infestato? Ma sarà geniale. Vorrei averci pensato io. Seguiamo la crew degli organizzatori fin dal loro primo giorno all'interno dell'hotel, vediamo l'attrazione prendere forma, ci ambientiamo nell'Abaddon. Iniziamo a conoscere spazi che nei successivi film ci saranno familiari e che sono così efficaci in questo primo episodio che quasi non ci si crede. L'hotel è claustrofobico, gli spazi scuri e angusti già in partenza. In più, lo scopo principale dei ragazzi che lo affittano è proprio di mettere in evidenza questo aspetto così losco e ovviamente di arricchirlo con "oggetti di scena", luci e rumori. Fare paura è proprio il suo scopo e so solo io quanto con me abbia funzionato. Ha personaggi così veri, umani, teneri, che vederli soccombere sotto l'enormità di quello che sta succedendo loro è un vero dispiacere.

Certo, il punto del film è proprio questo: non si ha davvero idea di cosa sia successo loro. Al film non interessa darci descrizioni dettagliate di quello che è accaduto nello scantinato dell'hotel in cui le persone sono morte, non è importante. Anzi, indubbiamente una rappresentazione più chiara degli eventi li avrebbe resi meno spaventosi. Questo è un film che ci mostra in prima persona cosa succede quando hai il sospetto che le cose stiano sfuggendo al tuo controllo, quanto la paura e la suggestione siano deleterie per la mente delle persone e cosa succede ad un gruppo molto unito quando le cose si mettono male. Gli equilibri si sfaldano, le relazioni si logorano, la fiducia salta completamente. 

E nel mentre, noi spettatori, che siamo ormai così coinvolti dalla situazione, ce la facciamo sotto tanto quanto loro. L'Abaddon funziona divinamente. Apparizioni, movimenti inaspettati di cose che non sono pensate per muoversi, rumori, luci che saltano. Si usano elementi, movimenti, effetti, ben noti all'interno del genere, ma sono sempre posizionati nel momento e nel modo migliore per far sì che, pur essendo ormai conosciuti, funzionino sempre. Esempio? In scena ci sono tre personaggi e la luce è accesa. La luce si spegne, si riaccende e i personaggi sono diventati quattro. Lo sappiamo, lo vediamo arrivare, pensiamo di essere sempre pronti. E invece saltiamo comunque dal divano. Ed è sempre, sempre, divertentissimo. 





Hell House si conclude con un finale tipico da creepypasta dei forum dell'internet, eppure a me ha convinto anche quello, ero tanto investita nelle sorti dei poveri ragazzi che me la sono fatta sotto pure con quella conclusione lì. 

La trilogia, poi, ha la sfacciataggine (soprattutto nel suo secondo episodio) di ripetere all'infinito gli stessi schemi, spesso proprio le stesse scene. Ce ne importa? Personalmente nemmeno un po'. Questo hotel esercita su di me un tale fascino che persino il suo secondo episodio, che oggi credo sia il più debole, mi è piaciuto tanto. L'Abaddon è il Micheal Myers degli ambienti: è cattivo punto e basta, e se ci entri puoi pure stare tranquillo che non ne esci. Qualunque cosa si muova lì dentro è crudele e orrenda e si prende con particolare gusto il personaggio di turno (ce n'è uno in ogni episodio, chiaramente) che la prende meno sul serio. 

Ha il grande merito, questa saga, di non aver voluto sfruttare l'immensa magione vittoriana, il lusso decadente di un grande albergo cittadino. L'Abaddon è un piccolo e malconcio motel di paese, che nessuno considera particolarmente rilevante, che ha chiuso per colpa di un precedente proprietario discutibile. Io vivo in un piccolo paese della campagna cremonese e mi vengono in mente nel giro di 15 km almeno due strutture così. Non ha fascino di per sé, non è architettonicamente interessante, non è manco di classe. Eppure, ha tutto il male del mondo dentro e vederlo scatenarsi così è ancora più eccitante, anche in un film di minor interesse come il secondo. 


Hell House II, però, fa l'inevitabile per condurre ad un terzo episodio: apre la strada alle spiegazioni. Si parla di porte dell'inferno, chiaramente. Che stanno dove? Sotto l'Abaddon, dove altro? Insomma, succede che sono state aperte e qualcuno deve pur chiuderle. Arriva il terzo episodio, per questo.


Il pregio di Hell House III: Lake of fire è quello di cercare di dare almeno un piccolo twist nuovo alla storia del nostro hotel del cuore. L'Abaddon è pronto per essere abbattuto quando un ricco e stravagante imprenditore decide di comprarlo e usarlo come sede per un suo spettacolo teatrale, Insomnia, basato sul Faust. 

Siamo pur sempre nel territorio del mockumentary, quindi anche questa volta una crew televisiva segue la fase di preparazione dello spettacolo. Gli eventi non sono più quindi strettamente legati a quanto successo nei primi due episodi, eppure si sceglie di usare scene dai film precedenti per fare una cosa ben migliore: ricordarci che l'Abaddon non è un luogo sicuro, neppure per chi lo sottovaluta. E questo fa sì che noi partiamo con la visione del terzo film già allarmati: lo sappiamo per certo che le cose non si metteranno bene per i nostri protagonisti, eppure il regista ha scelto comunque di mostrarcelo, ricordandoci brevi episodi della storia di Hell House e di tutte le persone che hanno girato intorno alla tragedia della sua inaugurazione e a tutto quello che è successo dopo. Il clima di ennesimo disastro imminente è costante, e il film ci tiene che noi non ci distraiamo mai. A volte persino in modo eccessivo? Ve lo concedo. Però per quanto mi riguarda funziona, perché il clima è opprimente per tutto il film. 

Non so se è la conclusione che avrei voluto, ma forse parlo così solo perché io, di giovani sconsiderati che entrano nell'hotel infestato, ne avrei voluti ancora. E vedere l'Abaddon bruciare così è proprio un peccato. 


Parliamo di grande cinema autoriale? Ma chiaro che no. Parliamo però di film molto genuini, che riflettono in un modo fresco e leggero sui media e la loro etica (senza ammazzare tartarughe nel mentre, scusate), sull'ambizione accecante - ridimensionata al fatto che non stiamo parlando di squali di Wall Street chiaramente, sulle relazioni messe in difficoltà e soprattutto sui fantasmi.

Tanti, tantissimi fantasmi. Ovunque.

Mi sono divertita un mondo.

mercoledì 7 aprile 2021

I 200 di Rue Morgue: 3 in 1

19:19

 Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui avrei unito più film di questa rubrica in un solo post, e quel giorno è oggi. Nelle scorse settimane sono stata un po' in balia delle cose della vita e non mi sono messa a scrivere un post singolo per questi tre film, che ora poveri si ritrovano in un post cumulativo. 

Temo accadrà sempre più spesso.



Riflessi sulla pelle è un film che sta sul confine tra i generi, ma che mi piace definire, come fanno proprio nel trafiletto dedicato a lui nel numero di Rue Morgue protagonista di questa rubrica, un "prairie goth". Con questa premessa aveva tutta la probabilità di piacermi, perché anche solo l'estetica in questione mi appaga la vista e mi mette in pace col mondo. Purtroppo non è andata proprio così.

Seth ha 7 anni, un papà un po' perso nel suo mondo, una mamma ossessionata dal pensiero del figlio maggiore che sta nell'esercito e due grandi amici. Ha anche una vicina di casa, Seth, che si chiama Dolphine, che agli occhi del bambino è quasi certamente una vampira. Quando il fratello torna e si innamora proprio di Dolphine, Seth non la prende benissimo, soprattutto perché i suoi amici hanno iniziato a scomparire.


Questo film, come tanti altri in questo genere paxxerello che tanto ci piace, usa creature soprannaturali per dire quanto schifo facciamo noi che soprannaturali non siamo. Riflessi sulla pelle tira indirettamente in ballo vampiri e compagnia danzante, ma li mette negli occhi di un bambino, e sullo sfondo mostra i peggiori predatori che possiamo concepire. Avrebbe potuto essere un film molto intenso e commovente, ma io, e lo dico con un enorme dispiacere, l'ho solo trovato noioso. 

Ora, io ho 30 anni e ho accettato il fatto che spesso i film li devo guardare a rate perché il mio corpo mi tradisce e mi fa addormentare a metà. È una triste realtà con cui convivo. Di questo film mi sono ampiamente goduta la prima parte per crollare come un'infante nella seconda. Quindi mi sono svegliata, ho mandato indietro per recuperare quello che mi ero persa, ho ripreso. Addormentata di nuovo. Ripreso da dove avevo perso. Addormentata di nuovo. Ci ho messo un sacco di ore e alla fine non mi è piaciuto come avrei voluto. Peccato.

Voleste comunque dargli una possibilità, nel momento in cui scrivo sta su Prime.




Questo è un film che conoscevo di fama ma che ancora non avevo recuperato. Su Shudder sta alla categoria A good scare e questo francamente mi ha deluso più del film in sè, perché non mi ha fatto paura mai e per me questa è una rarità, io ho sempre paura.

Parla di un uomo che è sopravvissuto ad una terribile tragedia: ha perso moglie e figlia in un incidente sulla neve. Alcuni amici, per aiutarlo a superare il periodo, gli offrono un lavoro in un'università e lo aiutano ad affittare una casa per l'occasione. La casa è uno splendido edificio che appartiene ad una società storica, e ovviamente è infestata.


Quando sono le storie di fantasmi a non piacermi proprio me la prendo sul personale. Sono le mie storie preferite, piango tanto e ho tanto paura. Questa non era solo una storia di fantasmi. Questa è la storia di un fantasma bambino. Con una disabilità. Ci ha proprio messo il carico da undici per provare ad emozionarmi, e invece non è successo niente. Questi occhi lacrimevoli sono rimasti asciutti anche alla vista della carrozzina che si sposta da sola. È come se non si andasse mai veramente a fondo con la storia, che si mantenesse una comoda distanza di sicurezza che però allontana anche me spettatore. Questo non è un peccato, è un peccato 3 volte. Uno, perché avrebbe potuto essere il mio punto debolissimo e invece zero. Due, perché essendo così dimenticabile sminuisce anche l'interessante interpretazione del suo protagonista. Tre, perché non mi puoi mettere una cosa nella categoria di quelle spaventose e invece no. 

Una ragazza avrà pur diritto ai suoi sacrosanti salti sul divano, o no?





Arriviamo infine alla mia visione più recente, Behind the mask: The rise of Leslie Vernon, che ho giusto finito prima di iniziare a scrivere questo post.

Si tratta di un mockumentary, nel quale 3 ragazzi seguono Leslie Vernon, un giovane uomo il cui obiettivo è seguire le orme dei più famosi serial killer della storia: Jason, Michael e Freddy. Nella sua realtà non sono solo esistiti, ma sono la sua più grande ispirazione. Non è che sia matto, esistono proprio nell'universo del film. Leslie ha tutto: la cittadina, il luogo isolato, il dottore che lo segue, un vecchio mentore, la maschera, l'arma, ha già la sua final girl, ed è pronto a colpire.


Questo è decisamente il film migliore del trio. La usiamo la frase più inflazionata di internet? Usiamola: è una lettera d'amore al cinema slasher. Anzi no, forse non una lettera d'amore. Una tesi di laurea sul genere. Un dottorato di ricerca. Ogni singolo istante di questo film è un'analisi di quello che è un sottogenere storico (e che non accenna a morire, con nostra immensa gioia). E noi quelle cose qua le guardiamo sempre con gli occhi a cuore. Dico noi perché mi assumo la responsabilità di parlare un po' a nome di tutti, perché come si fa a non amarle, quelle operazioni qua? Sono così appassionata che diventano contagiose, e se quell'amore lì ce l'avete già è come trovare finalmente un collega che ascolti la vostra stessa musica. 

Un film divertentissimo, che unisce due dei sottogeneri per i quali la Vostra ha un debole per tirarne fuori un esperimento ben più che riuscito. 


Forse queste sono state le prime volte in cui i consigli del numero speciale di Rue Morgue mi hanno un po' delusa. La strada per arrivare in fondo alla rivista però è lunga, e mi mancano più film di quanti mi piace ammetterne, quindi nel dubbio mi preparo a tutto.

mercoledì 3 marzo 2021

I 200 di Rue Morgue: The bad seed / Il giglio nero

12:38

 Continua il nostro viaggio tra la selezione dei migliori horror alternativi di Rue Morgue, e questa volta è il turno di un film che a me era completamente sconosciuto: The bad seed, inspiegabilmente diventato da noi Il giglio nero, del 1956.



Christine ha una vita invidiabile: un marito bello e innamorato, una bambina che sembra uscita da una casa della bambole, una buona posizione sociale...sembra non mancarle niente. O almeno, è così fino a che un compagno di scuola di Rhoda, la sua bambina, muore in circostanze tragiche, e la tragedia inizia anche per Christine.


Più guardo film, più leggo saggi, più mi informo, più, nella più socraticamente banale delle considerazioni, mi rendo conto di non sapere proprio nulla e infatti questo film era completamente fuori dai miei radar. Eppure The bad seed sembra davvero essere il papà dei film con i bambini cattivi. Arriva ancora prima del ben più noto (a me almeno) Il villaggio dei dannati. 

Oggi di bambini cattivi ne abbiamo visti in tutte le salse, e io li amo praticamente tutti. È un sottogenere che mi piace sempre. The Bad Seed li ha anticipati tutti. Rhoda è il perfetto esemplare di bambina crudele. Due adorabili treccine bionde, una faccina da bambolina e un vestitino bianco che lei rende il perfetto abbigliamento angelico da bambina che va in chiesa tutte le domeniche, comincia ad essere spaventosa dai primi istanti. 

La mamma e il papà sono naturalmente accecati dal più grande amore del mondo, ma noi la vediamo arrivare in scena e già sappiamo che qualcosa non va. Sorride un secondo di troppo, si inchina un po' troppo in basso, muove le trecce all'indietro con un pochino troppa forza. E infatti poi muore il compagnetto di scuola e lo sappiamo da subito che volatili senza zucchero. Rhoda si srotola pian piano, mostrandosi per il mostro che è lentamente, per tutta la durata del film. Il vero livello dell'orrore esce dalla sua boccuccia santa solo alla fine, quando le sue intenzioni (e anche quella che ormai è la sua abitudine) vengono palesate in modo innocente al papà e molto meno angelica a noi. La bambina è interpretata da una piccola Patty McCormack, che non stupisce abbia poi avuto una carriera molto prolifica, perché qui è bravissima. Il solo modo in cui scuote le trecce e si inchina sono da brividi lungo la schiena. Il perfetto archetipo di quello che ormai è un grande classico. 


Il film è tratto da uno spettacolo teatrale, a sua volta tratto da un romanzo, e la cosa traspare tantissimo nella messa in scena: è ambientato quasi del tutto nel salotto di casa, da cui entrano ed escono diversi personaggi. La cosa non fa perdere la tensione, anzi. La paura quella più sottile, che si infila nella schiena, non ha sempre bisogno di azione. Il mistero che circonda la morte del compagno di scuola di Rhoda si risolve con osservazione e chiacchiere. Il dramma di Christine si rivela nello stesso modo, e nessuno dei due perde di intensità. L'interazione con gli altri rende il disastro palese, se le persone che le circondano non fossero mai entrate nel loro salotto di casa probabilmente Christine starebbe ancora dando il basket of kisses che la bambina chiede ai genitori per tutto il film. 


Questo film è stato non solo una scoperta bellissima, ma l'ennesima conferma che degli anni '50 non so proprio nulla. Roba in più da studiare. Ѐ bellissimo.

mercoledì 24 febbraio 2021

I 200 di Rue Morgue: L'arcano incantatore

15:37

 Ho scritto fino alla nausea su questo blog che quelli di Pupi Avanti sono horror che porto nel cuore, eppure ancora mi mancava L'arcano incantatore, che guarda caso sta in mezzo alla lista di film che la rivista Rue Morgue consiglia di recuperare.

Non solo la rivista lo consiglia, ma lo fa con una mini intervista a Guillermo del Toro, che come sapete è il grande amore della mia vita. E non solo di nuovo, perché del Toro, parlando del film, cita una frase di un altro mio grande amore filmico: pare che Edgar Wright, quel benedetto tatone che non è altro, abbia definito L'arcano incantatore (titolo pazzesco) un "Barry Lyndon del cinema dell'orrore". 

Chi sono io per smentire quei due qua. Loro hanno sempre ragione.




Siamo nel '96, sono passati più di dieci anni dall'ultima volta in cui Avati ha girato un horror (l'ultimo era stato Zeder). Per tornare in carreggiata decide di raccontare una storia che contiene tutti i suoi temi più cari, che sono quelli che me lo fanno amare.

Siamo sugli Appennini bolognesi nel '700. Giacomo, un giovane seminarista, è costretto a lasciare Bologna per aver conosciuto una donzella in senso biblico e per averla poi costretta ad abortire. Per non subire le tremende punizioni della Chiesa chiede aiuto ad una donna misteriosa che lo manderà a lavorare come aiutante di un ex monsignore, allontanato dalla Chiesa e dalla società per passati interessi verso il mondo dell'occulto. L'ultimo aiutante del monsignore, Nerio, è da poco defunto in circostanze misteriose e Giacomo è deciso a fare luce sulla faccenda.


Ma quanto piace, ad Avati, parlare della Chiesa? Un casino. I legami tra religione ed occulto, e soprattutto il loro essere così sottili, sono onnipresenti nella sua filmografia (almeno in quella dell'orrore, a meno che ci sia da qualche parte un film in cui Silvio Orlando fa il papa con strani intrallazzi di cui non sono a conoscenza). Credo che il motivo per cui questi film io li amo così tanto stia proprio qui. La Chiesa cattolica, che ho conosciuto da vicino e frequentato per decenni, è oggi per me fonte di grande inquietudine. L'immaginario cattolico, l'estetica cattolica, le credenze, popolano i miei incubi. Avati è straordinariamente bravo a sfruttare proprio questo. Gli abiti, le ambientazioni, le luci delle candele, i movimenti delle benedizioni, le croci, l'estremismo delle credenze popolari, il folklore. Non solo riconosco come "miei" i luoghi in cui ambienta le storie, ma sento vicine le cose tra cui sono cresciuta e vederle sfruttate a dovere per un film dell'orrore mi fa saltellare di gioia per poi nascondermi gli occhi dietro le mani. La piccola chiesetta che si vede in questo film è uguale a tutte le altre piccole chiesette sperdute padane che circondano le vie in cui abito. La foschia della sera è la stessa che vedo tutte le sere, innesca in me un meccanismo di attaccamento al film immediato. 

Forse li amerei così anche se fossero ambientati in Toscana, o in Abruzzo, ma il fatto di sentirli così vicini è solo l'ennesimo punto in più a favore di storie che hanno tutto quello che amo. La lentezza dell'inquietudine sottile che non ha bisogno di gran fragori, i pochi dialoghi e i tantissimi sguardi, le luci, i colori. L'occulto che non si manifesta solo nelle persone che attivamente lo ricercano ma anche in quelle che, standogli intorno, ne parlano in ogni momento: le donne, Giacomo che fa mille domande, le persone del paese, il monsignore che lo ricorda. Nerio è protagonista per tutto il film solo per quanto ne parlano gli altri. Non c'è, ma è il più presente di tutti. 

E pian piano, tra una domanda e l'altra, tra un mistero e l'altro, finisci avviluppato in questo film così lento e così intrigante, con i suoi personaggi così ambigui, con i suoi finali che ormai conosciamo ma che non per questo amiamo meno. 

Sono tanto affezionata, ad Avati. Talmente tanto che, quando è venuto al mio paesello per un'iniziativa che nemmeno ricordo, non sono riuscita a dirgli nulla e sono scappata via ad intervista finita. Che polla.

giovedì 18 febbraio 2021

I 200 di Rue Morgue: L'abominevole dr. Phibes

21:36

 Questo percorso nei 200 (abbondanti) film dello speciale di Rue Morgue è sempre più divertente. Mi porta fuori dalle mie consuetudini e mi fa recuperare cose famosissime ma che per qualche motivo io ancora non avevo guardato. Se non sapete di cosa sto parlando, l'intro al progetto è qui.

Anche questo film, come Abby di cui abbiamo parlato la scorsa settimana, si trova facilmente su Youtube in lingua originale.




Anton Phibes, celebre organista, ha perso la moglie in un incidente stradale. Tutti considerano anche lui scomparso nell'infelice evento, ma non solo Phibes è vivo, è anche incazzato nero. Dopo l'incidente la moglie era stata sottoposta ad un intervento chirurgico, estremo tentativo di salvarle la vita, che purtroppo è finito male. Phibes non ha perdonato, ed è pronto a vendicarsi di chi gli abbia portato via la sua amata Victoria.


Questo è davvero un portento, un film bellissimo. 

Riesce, con un equilibrio raffinatissimo, ad alternare morti grottesche (di cui parliamo dopo) a scene strazianti di dolore puro. Del resto Phibes è Vincent Price, a cui qua dentro pensiamo sempre con un affetto infinito, e solo lui, anche se privato quasi sempre della caratteristica voce, poteva dare a Phibes un'intensità così spiccata. Il suo è un personaggio distrutto dal dolore, il modo in cui si ferma a guardare l'immagine della moglie scomparsa è da cavarsi il cuore con le mani, e allo stesso un sadico bastardo che si compiace dei suoi tremendi omicidi. 

Basta aprire un link a caso online per vedere paragonato questo capolavoro di creatività a quella robaccia che risponde al nome di Saw. Non lasciatevi ingannare, se per caso ancora non aveste visto il film di Robert Fuest. I due non hanno niente a che spartire e se cortesemente Jigsaw volesse con la sua maledetta arroganza sedersi in un angolo ad imparare come si fa, grazie. 

Phibes organizza i suoi omicidi basandosi sulle bibliche piaghe d'Egitto, e le rende modi molto scenografici di togliere la vita alle persone. Parlo di locuste calate dal soffitto su facce riempite di roba che sembra melassa, di maschere a forma di rana e teste di unicorno, di pipistrelli affamati e topi sugli aerei, ma che ne sa quello sul triciclo. La scelta e la messa in scena di queste morti, poi, sono da applausi a scena aperta, ma quanto sono estetici? Che scelte incredibili ha fatto, una dopo l'altra, Fuest? 


Il film, poi, sarebbe anche senza queste morti, una meraviglia di colori. Quelli che sanno di arte e architettura più di me lo chiamano art decò, io, ignorante, lo chiamo "Ma quanto sei bello?".

Le pareti dell'ospedale verdi, la casa del dottor Vesalius, i vestiti, ogni cosa. L'estetica di questo film ripulisce le cornee anche dallo smog. Ogni inquadratura l'avrei screenshottata per stamparmela in casa. 

In questo goduriosissimo insieme di morti succulente e immagini da rivista di interior design, non passa mai in secondo piano la storia di un uomo ferito. Per questo parlavo dell'equilibrio, prima. Si mettono insieme cose che all'apparenza sembrerebbero così lontane e che invece si rivelano, insieme, miscelate alla perfezione.


Guardatela, se non l'avete già fatta, la storia di un Vincent Price fatto a pezzi dalla vita e dalla strada che si prende la sua vendetta. Già solo con questa descrizione ne varrebbe la pena.

martedì 9 febbraio 2021

I 200 di Rue Morgue: Abby

16:06

Questo blog è stato per quasi un decennio orientato quasi solo alla cultura occidentale. Non solo cinema dell'orrore, ma anche cinema tutto, prodotti seriali, libri. Non solo la mia cultura è particolarmente lacunosa, è anche molto escludente. Non ne vado fiera. 

Quello che mi rendo conto dovrei fare è ampliare il mio sguardo, uscire dalla comfort zone, conoscere e aprirmi a quello a cui finora, più o meno inconsapevolmente, non mi ero ancora aperta. Horror orientali qui si contano sulle dita di una mano, per non parlare di produzioni africane o anche solo afroamericane. È ora di smetterla, o almeno di provarci.

Cominciamo quindi con Abby, horror demoniaco del 1974, che Wikipedia mette in quel controverso insieme che è la Blaxploitation. Nello specifico, questo film ha un regista bianco (lo stesso di Grizzly) ma un cast quasi completamente nero. 



Abby è la storia di una felice neosposina, quella che dà il titolo al film, che poco dopo il traferimento in una nuova casa che la parrocchia ha dato al suo marito pastore, comincia a presentare sintomi inusuali. Il tutto sembra collegarsi a Eshu, il potente demone della religione del popolo Yoruba, che il suocero di Abby rievoca per sbaglio durante una spedizione in Nigeria. 


Saltiamo subito al lato più noto del film: la Warner Bros, offesa che proprio pestava i piedi per terra dal nervoso, gli ha fatto causa e lo ha fatto rimuovere da tutti i luoghi del globo terracqueo. Perché? Perché è uscito nel '74, e l'anno prima un altro cinemino poco noto aveva parlato grossomodo di argomenti simili. Insomma, ad Abby non hanno perdonato di essersi ispirati al più grande film dell'orrore di tutti i tempi e quindi, anche se il film di Girdler stava andando benissimo in sala, arrivederci e grazie. 

Oggi, per fortuna, si trova facilmente su Youtube, in inglese. 


Dico per fortuna perché per quanto mi riguarda Abby è una visione divertentissima, molto fresca (paradossalmente, vista l'età), e di grande intrattenimento. Posto che a quel film là ci si sono ispirati poi quasi tutti, e non è difficile immaginare la ragione, secondo me in questo caso si fanno delle scelte azzeccatissime. Abby non è una ragazzina, è una donna adulta, alle prese con la quotidianità e i problemi di una persona adulta, è già un punto di vista diverso. In più, la possessione non avviene in una famiglia laica, al contrario. Il marito è un pastore e la stessa Abby è una grande credente. La fede, qui, non solo non viene mai messa in discussione ma è un grande collante e il punto di forza e unione della famiglia. Il marito corre per la città a riprendersi la moglie diventata affamata di sesso, e immediatamente si rivolge al padre quando le difficoltà sono ormai oggettive. La madre della povera posseduta è presente fin dalle prime scene, e quello che si crea è un clima familiare molto intimo, nonostante la tragedia che incombe sui protagonisti. 

L'ispirarsi al film di Friedkin è inevitabile: il modo in cui gli esorcismi vengono rappresentati al cinema è ormai quasi sempre identico a se stesso, e personalmente ho smesso di inorridire per la mancanza di una presunta originalità da tempo. 

Di Abby ho amato molto l'ambiente familiare, la rappresentazione dell'intimità, il volersi bene, e solo dopo la parte riguardante quello che ho letto in giro definito come il "disco esorcismo" (che sogno). 

È un film dalla sorte infelice ma breve, che scorre veloce, diverte, sa usare in modo intelligente il concetto di "ispirazione" e sta gratis su Youtube. Serve altro?

lunedì 1 febbraio 2021

Un weekend con Stephen King

10:44

 Per una cassiera essere in ferie significa tante cose, ma soprattutto significa poter passare tutto un weekend con la propria famiglia. Un weekend intero! Due giorni di fila! Sia sabato sia domenica! Un sogno, forse una favola.

E siccome durante la settimana non sempre riesco a vedere quanti film vorrei, approfitto del weekend per fare la cosa che amo di più: trasfigurarmi da umano a cuscino del divano mentre in tv passano film a rotazione. Se poi riesco a trovare un collegamento tra tutto quello che guarderò, meglio ancora. Il tema di questo weekend lo ha scelto Erre: film tratti da storie di Stephen King. Chi sono io per dire di no al Re. E quindi eccoci qua.




Poiché volersi bene è un concetto sopravvalutato, siamo partiti con Cujo.

Consueta parte di fatti miei: fino a qualche anno fa avevo una discreta paurella dei cani grandi. Poi un giorno sono entrata in un canile, un pastorone belga nero bello come il sole mi si è buttato addosso elemosinando coccole e io anziché scappare dall'altra parte del globo me lo sono portata a casa. Ho ancora un po' di ansia con i cani degli altri ma con il senno di poi ho capito che è dei padroni che non mi fido, non dei loro cani.

Se avessi visto Cujo prima, oggi al 100% non avrei Augusto con me, perché è la materializzazione del terrore che le persone possono avere dei cani. Cujo è un cane grande e grosso, che si becca la rabbia e diventa una massa irragionevole e spietata. In questo King, come sempre, è efficacissimo: conosce la paura, tutta quanta, e la sa portare in scena (tra le pagine e, quando siamo più fortunati, sullo schermo) come pochi altri e funziona sempre. Non funziona con tutti, chiaramente, perché il mio compagno che ama i cani da sempre non ha avuto paura per un secondo, ma funziona con chi la conosce, e questo è un sintomo chiarissimo di quanto lui conosca benissimo la sensazione e la sappia applicare in mille modi diversi. 

Il vero problema di Cujo, però, è che fa un gran male al cuore. Perché Cujo è un cagnone bravissimo e meraviglioso e gli succede una cosa brutta e diventa il cattivo ma non si riesce mai a smettere di provare pena per lui. Un essere umano con un minimo di cuore non la regge mica, sta visione. Il lento deteriorarsi dell'amato cagnone è un gran dolore e dio solo sa se King, prima ancora di essere il maestro del terrore, quando vuole sa essere quello dei sentimenti. Quella di Cujo è una storia triste e meravigliosa, con tutti gli elementi che ormai sono parte del canone del suo autore: uomini feccia (con l'eccezione del meraviglioso rapporto tra Vic e Tad), forze dell'ordine inutili se non dannose, donne che devono fare ricorso a risorse che nemmeno sapevano di avere, ritratti autentici dell'infanzia, gioco perfetto sulle paure delle persone, sentimenti messi in subbuglio. Il film gli rende giustizia in ogni aspetto, conosce bene il suo autore di partenza e lo omaggia degnamente.

Però che maledetto mal di cuore povero Cujo.

Ho dovuto coccolarmi Augustone per ore e ancora non l'ho mandata giù, la fine infelice di quel cagnone.


Eravamo emozionalmente compromessi a questo punto, non ce la sentivamo di affrontare altre cose dolorose. Abbiamo guardato Christine

Ci è dispiaciuto anche per la macchina? Ma certo, perché qua a posto mai.

Quella tra Carpenter e King non poteva che essere un unione felicissima. Anche Christine, come Cujo, affronta alcuni dei temi che per il Nostro sono sacri. In questo caso: genitori raccapriccianti, istituzioni assenti, bullismo, adolescenti, prime cotte. Sono il suo pane quotidiano, queste tematiche, e Carpenter le ha abbracciate con entusiasmo. Sebbene si possa considerare Christine un film minore tra quelli del suo regista, riesce ad essere entusiasmante, coinvolgente e soprattutto davvero inquietante. E, voglio dire, parla di una macchina. Eppure funziona,  persino con me che sono completamente indifferente all'argomento automobili. Mi sento particolarmente sensibile al tema del bullismo, è un tipo di violenza che fatico a guardare anche solo sullo schermo, e qua è bello presente, viscido e angosciante. I genitori del protagonista, Arnie, sono la materializzazione di un incubo, e la scrittura è tale da renderci non solo comprensibile, ma anche quasi ambito, il suo cambiamento. va beh, c'è quel piccolo dettaglio dell'ossessione per la macchina, e degli omicidi, ma è tutto talmente costruito bene che l'unione delle due cose è perfettamente fluida e coerente. La macchina non tira fuori il peggio, ad Arnie. Si arriva ad un lento degenero finale, ma per tutto il film quello che lui fa è solo prendere maggior consapevolezza, migliorare la sua autostima e aprirsi al mondo. Christine è, per lui, un toccasana. Poi uccide le persone, ma tutto sommato il fine giustifica i mezzi. (Scherzo, scherzo.)

Un finale che più kinghiano di così si muore, una storia appassionante e, come di consueto, un perfetto ritratto della giovinezza, Christine è una bella storia in mano ad uno dei Grandi. E quindi si finisce che sì, alla fine dispiace pure per una macchina.


La domenica volevamo riprenderci. Dopo gli scossoni del giorno prima c'era da rilassarsi. Scorriamo quindi il catalogo Prime, alla ricerca di qualcosa del Nostro che fosse disponibile e, potendo, leggera. Siamo finiti su quel pattume che è Cell

Ora, io lo sapevo che questo film era brutto, la sua fama lo precede e la community di Letterboxd è stata spietata con lui. Però cosa vuoi mai, agli zombie non so resistere. Sarebbe stata sufficiente la presenza di John Cusak a farmi capire che era roba brutta davvero, ma ci siamo intestarditi. 

Siccome questo è un po' meno popolare dei suoi predecessori, un accenno di trama: in un giorno qualunque tutte le persone che in un momento preciso erano al cellulare vengono colpite da un misterioso morbo che li rende molto simili ai ritornanti. I pochi che si sono salvati si uniscono per cercare di sopravvivere. 

Ora, io del libro ho ricordi molto vaghi, non mi ci metto nemmeno, a fare dei confronti. Però la bruttezza di questo film è pari solo alla sua lentezza. Noiosissimo, interpretato davvero con i piedi, senza scopo. Non potrei trovare una cosa positiva nemmeno a chiedergliela per piacere, i suoi personaggi sono facilmente sostituibili uno con l'altro e nessuno si accorgerebbe della differenza, non ci si è nemmeno sforzati troppo di fare zombie interessanti, la scrittura è pigra e inconsistente. 

Ad un certo punto, per non saper né leggere né scrivere, si è deciso di far sparare su gente che era già in fiamme. Così, per dare frizzantezza alla situazione già drammatica. Gli sceneggiatori de Gli occhi del cuore 2 avrebbero potuto fare di meglio. 

Se non si sono impegnati loro a fare qualcosa di almeno decoroso, non posso sforzarmi io di dire più di così. Cell è proprio una roba indegna.


Per riprenderci da questo scempio, quindi, c'era da vedere un classico. Il Carrie di De Palma è un inside joke tra me e il mio compagno da 9 anni, eppure lui ancora non lo aveva mai visto. C'era da rimediare. Io, oltretutto, non lo rivedevo da anni, era ora di rinfrescarlo. Carrie è un film portentoso, potentissimo e indimenticabile. Dopo tutto questo tempo, ancora lo ricordavo scena per scena, è incredibile. Se la storia è proprio la base della poetica del suo autore, il film lo eleva ancora di più se possibile, complici interpretazioni stratosferiche e una messa in scena che è entrata nel mito. 

Anche qua King (e De Palma di conseguenza) ci sferza certi colpi dritti dritti nello sterno che fanno perdere l'equilibrio (che frase da cinefilo dell'internet, vè?), con quelle che sono forse le peggiori scene di bullismo del cinema dell'orrore, con una rappresentazione così intensa della donna, e così onesta dei più deboli che ancora dopo 45 anni è autentica, dolorosa, attuale. 

Non li guardo spesso, i film che fanno quell'effetto qui, perché devo pur salvaguardare la mia già vacillante salute mentale, non posso infliggermi spesso colpi così, eppure, in qualche modo, quando lo faccio mi ricordo che ne vale sempre la pena e che il giorno in cui il cinema mi lascerà indifferente sarà il giorno in cui capirò che davvero qualcosa non va.


Credo che per qualche giorno ci concederemo cose leggere e tranquille, perché dopo un weekend così serve almeno una seduta di terapia pagata. 

mercoledì 30 dicembre 2020

I 200 di Rue Morgue: House on Haunted Hill

10:36

L'inverno è per la sottoscritta la manifestazione del demonio sulla terra. Mi manca l'estate, il caldo torrido e l'acqua fresca del mio venerato fiume Trebbia, questo gelo e questa nebbia mi fanno schifo e sfrutto ogni occasione per ricordare che qui siamo #teamestate sempre e per sempre. La sola cosa che redime la stagione ai miei occhi è il fatto che per qualche motivo la associo a film vintage, me ne viene sempre più voglia e me li godo di più se li guardo con l'interezza del cliché: divano, coperta di pile, tisana. L'ultima volta era stato The Innocents, questa volta tocca a William Castle e alla sua Casa dei fantasmi.




Un ricco imprenditore e la sua giovane moglie organizzano una bizzarra festa in una casa infestata: i loro invitati sono tutti sconosciuti e a ciascuno di loro verranno donati 10.000 dollari se riusciranno a passare la notte intera bloccati all'interno della casa. Gli invitati accettano e la loro notte all'insegna del soprannaturale inizia. Finirà in modo inaspettato.


Di questo film ho adorato tutto. Dura pochissimo, il tempo di un caffè un po' più lungo preso dopo pranzo e si gode di una chicca senza tempo, che si prende gioco di chi è venuto prima di lui e anche un po' di chi verrà dopo, che non prendendosi sul serio mai non prende sul serio nessuno. Scegliere Vincent Price come protagonista è la scelta più felice del mondo, perché quella sua iconica faccia di tolla è seria sempre e non lo è mai, potrebbe starti prendendo ampiamente per i fondelli e tu non lo noteresti, perché è così infinitamente superiore a tutti quelli che lo circondano che lo si prende così com'è e non si sbaglia mai.

E detta così sembra che sia un film stupidello, quando invece è pienamente consapevole di quello che fa, e giocherellando con i generi fa una critica sociale fortissima e di grande impatto. Il ricco imprenditore fa quello che vuole delle persone che considera inferiori a sé, si può permettere, grazie al potere che conferiscono i soldi, di chiedere qualunque cosa con la certezza di ottenerla. Fin dalle primissime scene ci è chiarito in modo inequivocabile che i personaggi non hanno alcuna scelta: ognuno di loro ha un disperato bisogno dei 10.000 dollari e se il prezzo da pagare è passare una sola notte in una casa infestata, ben venga. Sarebbero tutti disposti a fare anche di più, per come ci vengono mostrati.

Il problema, però, non è solo la casa infestata. Il problema vero è l'organizzatore della festa, che si sente legittimato a prendersi gioco delle persone solo perché può farlo, per diletto personale e della deliziosa quarta mogliettina che avrebbe giusto l'età di essere sua figlia. Tutto è acquistabile con i soldi, e tutto è ottenibile con il potere che i soldi danno. E allora "scherziamo" con le vittime di questa festa, portiamole all'esaurimento nervoso, e nel dubbio diamo anche loro delle armi.

Quanto arrogante puoi essere per armare delle persone disperate ed essere certo che non ti accada nulla? Ora, la risposta è ovviamente nel film e nello svolgersi della vicenda, ma questo non cambia la sua posizione. 

Nello svolgersi del film gli eventi soprannaturali, che pure ci sono, vengono spesso, e purtroppo, calpestati dalle vicende dei vivi, che sono come sempre peggio dei fantasmi. Il finale si riapre un pochino verso il regno dei defunti, con una di quelle belle frasi ad effetto che oggi non colpirebbero più il pubblico ma di cui io continuo a subire il fascino come fosse la prima volta.


Un film perfetto, breve e intenso, per questi giorni di mezzo, tra la fine delle feste e l'inizio dell'anno nuovo. Io mi sono rilanciata in una maratona del Signore degli anelli che sta durando giorni interi, ma se voleste qualcosa di molto, molto meno impegnativo, il film di Castle è su Youtube, perché fa parte dei film di pubblico dominio. 

Un piccolo postumo regalino di Natale, ecco.

mercoledì 23 dicembre 2020

I 200 di Rue Morgue: The Innocents (Suspense)

10:28

 In questa casa Flanagan è, come ormai saprete benissimo, il nome a cui si rivolgono le preghierine la sera. I personaggi della sua serie The Haunting (entrambe le stagioni) mi mancano ogni giorno in cui non li vado a cercare. Per questo, nel progetto dei 200 di Rue Morgue, che vi racconto con calma qui questa volta ho dovuto rivedermi la storia di Flora e Miles: perché il mio cuore pensa a quei piccoli bambinetti stupendi almeno una volta al giorno.


lo so che non è la locandina originale ma quanto è bella?


SPOILER ROVINAFILM

La storia del Giro di vite di Henry James, ispirazione di questo film e ovviamente della serie tv, è più che nota, ma facciamone comunque un riassunto per chi non sapesse di cosa stiamo parlando. Miss Giddens viene assunta da un ricco scapolo di città come istitutrice per i suoi due nipotini orfani, Flora e Miles, nella grande tenuta di Bly, dove vivono insieme al resto del personale. Miss Giddens ama i bambini ed è molto entusiasta del nuovo lavoro. Il suo entusiasmo sarà presto messo a tacere da quello che succede, o lei pensa succeda, a Bly.


Per quanto io ami tantissimo gli horror a me contemporanei, ogni tanto sento il bisogno di una cosa del genere: un raffinatissimo film gotico in bianco e nero, in costume, lento, elegante e atmosferico. Sono film che sono come una coccola, un morbido maglione di cashmere dai colori naturali da sentirsi tutto intorno. Anche la paura che fanno è più avvolgente, ruota nell'aria della stanza senza mai diventare fragorosa, si accomoda dietro il collo per dare giusto giusto quella sensazione di angoscia che diventa così di classe che mamma mia mi sento cinefila francese con il basco e la sigarettina sottile. 


Questo, però, è davvero un capolavoro. Uno di quelli che già durante la visione ti fa pensare che stai guardando una cosa grande che segna quello che viene dopo e soprattutto segna te. La storia, che ormai mi era ben nota, è qui sviscerata con una tale maestria (e non a caso è scritta da Capote) che mi è comunque sembrata fresca. Separandosi da libro, serie tv e, scopro da internet, anche dallo spettacolo teatrale che io non conosco, introduce la novità che lo rende il grandissimo lavoro che è: l'ambiguità. Io, allora, che sono appassionata di parole, mi sono andata a cercare come si può intendere l'ambiguità al cinema. Non è mai il caos o la non chiarezza. Non si risolve l'ambiguità con gli spiegoni. Piuttosto, è il contrapporsi di due situazioni chiarissime e plausibili: questi fantasmi, questo Peter Quint e questa Miss Jessel, ci sono davvero o sono frutto di una mente disturbata? Posto che io, con ogni probabilità influenzata da quello che ho letto e visto prima, ho guardato il film certa che i fantasmi fossero reali, quello che funziona è proprio che siano i protagonisti a non capirlo. Per quanto alla fine Miss Giddens usi la sua autorità per fare quello che crede (e poi ne parliamo), anche lei stessa è confusa. Si fida della sua mente, da subito convince anche la governante Mrs Grose di quello che le sta succedendo, ma non mancano scene (come quella in riva al lago con Flora) in cui è la sola a vedere i fantasmi e la cosa la disturba. Quando Flora scoppia in lacrime tra le braccia della dolcissima Mrs Grose, Miss Giddens fa uno sguardo che sembra davvero dire "Guarda cosa ho fatto, sto impazzendo". 

E poi c'è il discorso dell'autorità, ovviamente. Già dalla prima scena, quella del colloquio, lo zio dice chiaramente all'istitutrice che lei sarà a capo della gestione della casa e dei bambini. Questo complica le cose quando c'è una mente fragile di mezzo. Se crediamo che i fantasmi ci siano stati davvero, a Bly, allora tutto ok: Miss Giddens è stata molto coraggiosa e li ha affrontati da sola, ha salvato la collega e la bambina con il terribile prezzo da pagare della morte del bambino. Se invece crediamo che i fantasmi non ci siano e sia tutto frutto della sua immaginazione, qua diventa un casino. Lo zio non vuole essere disturbato per nessuna ragione al mondo e la persona a capo della situazione ha perso il senno. Nessuno ha l'autorità per darle contro, nessuno può impedirle di fare quello che crede e quando lei lo fa, Miles muore. Sono entrambe possibilità reali, plausibili, ed è questo che rende il film così pieno di fascino. 


Peter Quint e Miss Jessel, i fantasmi, sono personaggi attivi e vivissimi pur essendo solo nominati da altri e, soprattutto, pur essendo morti. Miss Jessel è stata tutto quello che Miss Giddens non riesce ad essere: libera, innamorata, un po' fuori da quelle che erano considerate le righe giuste. L'amore malato tra i due è più di quanto l'istitutrice abbia mai mostrato di avere mai avuto. Il racconto delle loro "malefatte" la sconvolge ma la intriga, e loro due per lei diventano un'ossessione. Che ci siano realmente o meno, sta a noi deciderlo, esattamente come Clayton, il regista, aveva chiesto alla bravissima Deborah Kerr (Miss Giddens) di fare, perché in fondo non ha alcuna importanza. 

Questo smettere di volere risposte a tutti i costi mi ha spalancato modi di vedere e godere del cinema che per anni non ho conosciuto. Un film come questo è così pieno di sfaccettature e piani di lettura e considerazioni da fare che non ne voglio una sola. Voglio poterlo rivedere di nuovo pensando solo a Miss Giddens come ad una povera mente distrutta e poi un'altra volta ancora pensando a che donna coraggiosa e forte sia stata e poi una terza volta ancora senza pensare nessuna delle due ma godendomi solo l'avvolgente inquietudine che, diciamocelo, sono solo i gotici a dare.


Per me le storie di fantasmi sono sempre le più belle e tristi di tutte, mi riempiono di emozioni e riescono sempre, anche quando sono brutte, a farmi paura.

E in fondo sono qui per questo.

giovedì 10 dicembre 2020

I 200 di Rue Morgue: Full Circle (The Haunting of Julia)

14:05

 Prosegue il mio viaggio attraverso i consigli di Rue Morgue. Dopo la storia dell'uomo falena, di cui abbiamo parlato qui, stavolta mi sono fatta comprare dal "The Haunting". Se qualcosa o qualcuno è haunted da qualcosa o qualcuno io mi ci lancio dentro di testa.




Il film è del '77, diretto da Richard Loncraine, che non conoscevo, ed è tratto da un romanzo di Peter Straub che non ho letto. Che premesse sfavillanti per parlare di un film. Non solo non conoscevo il regista, ma questo film era proprio passato alla larga dai miei (seppur miopi) radar. Parla di una madre che subisce il più temuto dei lutti e che in seguito alla tragedia si separa dal marito e prende casa da sola. Figuriamoci se le cose potevano andarle bene.


Cercherò di non fare impietosi confronti con Rosemary's baby oltre a questo primo paragrafo, che faccio giusto per mettere in ordine i pensieri. Tra il film di Loncraine e quello di Polanski le similitudini ci sono e sono parecchie, delle quali Mia Farrow come protagonista è proprio l'ultima. Si parla in entrambi i casi di una madre disperata, condotta sull'orlo della follia e che inizia a dubitare di se stessa, vessata da un marito ripugnante e che deve cercare da sola risposte alle sue domande. In entrambi, poi, il finale è molto bello e da un certo punto di vista molto simile.

Detto ciò, è forse ingiusto da parte mia paragonare un film che è sì interessante e piacevole ad uno dei miei preferiti della storia del mondo. The Haunting of Julia non può essere messo a confronto con la raffinatezza del film che lo ha preceduto, ma ha comunque qualcosa da dire.

Si apre con una scena che temo farà piangere di angoscia ogni genitore dall'altra parte dello schermo: è una mattina qualunque e la figlia di Julia sta facendo colazione, quando qualcosa le va di traverso e la soffoca. La madre, colta di sorpresa, non fa la cosa giusta per aiutarla e la ragazzina muore. Ha angustiato anche me che genitore ancora non sono, perché è molto veloce. Vediamo la famiglia serena solo per qualche istante prima che si consumi la tragedia e in pochi istanti è tutto finito, vite rovinate. 

Julia quindi decide che la cosa giusta per lei sia finalmente liberarsi di un marito con il quale le cose non andavano più bene da tempo. E qui arriviamo all'orrore vero e attualissimo del film: il marito. Julia già deve gestire un lutto grosso come il mondo, non ha bisogno di un uomo incapace di accettare che lei, in quanto libera cittadina, abbia deciso di lasciarlo. Non solo non lo accetta, ma cerca in ogni modo di farla passare per una donna instabile, incapace di prendersi cura di se stessa, malata. La storia più vecchia del mondo: la donna è pazza. L'uomo che invece commette reati e violenze per "riaverla" è perfettamente in possesso di tutte le proprie capacità. Non le viene legittimata la possibilità di prendere in autonomia una decisione per il proprio benessere, la sua volontà viene sminuita, la sua dignità calpestata. Magnus (che nome da zarrogante bastardo) lo avrei ammazzato con queste mani piccole e rovinate che mi ritrovo.

In questo c'è un'ulteriore aggravante: il fantasma. Questa povera donna deve gestire: una figlia morta, un marito da galera e un fantasma in casa, che capirete da voi non aiuta la sua causa. Deve dimostrare di essere perfettamente in grado di badare a se stessa ma allo stesso tempo dimostrare che non si è inventata nulla e che non è solo tutto frutto della sua mente disturbata: in casa c'è qualcuno, qualcuno di ben poco amichevole. 

Il resto della storia è una storia di fantasmi piuttosto canonica, con la consueta ricerca di informazioni che porta a scoperte spiacevoli sul passato, a conoscere persone poco propense alla collaborazione e alla fine infelice di quelle che la collaborazione l'avrebbero data volentieri. Non mi stupisce che sia tratto da un libro di Straub, in effetti, e lo dico in modo positivo. Le ghost stories sono sempre le mie preferite e le sue sono classiche, senza tempo. (Mi sono già procurata il libro? Forse. Me lo leggo dopo quello del mothman.)


Il finale è bellissimo. Qualcuno storcerà il naso al suono di 'Niente di nuovo!' ma da queste parti troviamo la novità un po' sopravvalutata. Una madre che è stata privata del senso del suo ruolo che pian piano accetta di ritrovarlo anche in modi poco convenzionali, che cerca così di mettere una pezza sopra al buco che ha nel petto, che accetta quello che la vita le ha messo davanti. Ammetterò che è una scelta, quella di concludere le storie così, che mi emoziona sempre.

Julia è una donna tormentata, inquieta, instabile solo per colpa del dolore non per mancanza di lucidità. La sua storia è molto dolorosa e il film le rende la giustizia che merita. 

Che belle, sempre, le storie di fantasmi.



venerdì 4 dicembre 2020

I 200 di Rue Morgue: The Mothman Prophecies

11:37

 Rue Morgue è una di quelle mitologiche riviste di cinema che non hanno mai visto la luce nelle edicole italiane. Internet, però, è una fonte illimitata di sapere e quindi anche i numeri di Rue Morgue sono lì che aspettano di essere letti mentre vi fate asciugare lo smalto, come la sottoscritta. Nel 2012 se ne sono usciti con un numero speciale, con 200 horror meno noti ma che vale la pena vedere. Poiché la sottoscritta ne ha visti un numero vergognosamente basso, eccomi qua a recuperare col capo cosparso di cenere.

Se foste interessati a vedere l'elenco di tutti i film che Rue Morgue ha selezionato, me ne sono fatta una lista su Letterboxd, la trovate al mio profilo, che sta qui di fianco. 


Ho iniziato con l'uomo falena per una ragione ben specifica, anzi due: è su Prime e quindi non ho dovuto smanettare per cercarlo (è diventata più dura la vita dei frequentatori di torrenti da quando ci sono mille servizi di streaming legale) e soprattutto perché dopo avere ascoltato la storia del Mothman in Bouquet of Madness (uno dei miei podcast preferiti, ne parlano all'episodio 13) mi ci sono appassionata.




Richard Gere è John, un giornalista del Washington Post. Ha una vita meravigliosa e un matrimonio felicissimo con Mary. Si trova proprio in auto con lei quando qualcosa la spaventa e le fa perdere il controllo dell'auto. In seguito all'incidente i medici le diagnosticheranno un gravissimo tumore che lascerà John vedovo nel giro di pochi giorni. Il pensiero della cosa che ha spaventato Mary, e che lui non ha visto, però, lo tortura, e due anni dopo, in circostanze del tutto separate, vi rientrerà in contatto. 


Ora, io sono la più scettica del pianeta e non credo a niente però insomma a me sto uomo falena piace un sacco ed è forse una delle poche cose al mondo su cui mi faccio delle domande. Io e R ne parliamo spesso perché anche lui è affascinato e devo dire che il film si è rivelato una piacevole sorpresa su cui non avrei scommesso neppure i 2,50€ che ho nel portafoglio in questo momento. 

Mi verrebbe da dire che mi sarebbe piaciuto comunque perché è proprio la storia ad affascinarmi ma ripensandoci non è così: sono super intrigata dal caso del passo Dyatlov ma il film che ne parla (su Prime anche lui) è orrido comunque, quindi forse non sono nemmeno troppo di parte. Solo che il mio scetticismo e Richard Gere mi avevano fatto partire ingiustamente prevenuta.


The Mothman Prophecies parla sì di apparizioni di un gigante con gli occhi rossi proprio prima di eventi disastrosi, però parla anche di elaborazione del lutto e di come ricostruirsi. John ha perso la moglie e ha cercato di ritrovare se stesso buttandosi nel lavoro, ma non si è mai "risolto" fino a che non ha risolto il tarlo che lo torturava. Avrebbe potuto lasciarsi tutto alle spalle e continuare in qualche modo a vivere, ma quella pulce nell'orecchio lì lo avrebbe torturato per tutta la vita. Ci si è ritrovato in mezzo quasi involontariamente ma ha poi scelto di andare fino in fondo, di affrontare una cosa dolorosa e spaventosa.  

Non c'erano finali giusti o sbagliati alla storia di John. Risolvere il caso non avrebbe potuto comunque riportargli la moglie (e quelli morti nel frattempo) e lasciar perdere non lo avrebbe fatto vivere sereno. 

L'ho trovato molto onesto nel suo scegliere di non dare una conclusione netta. Gli eventi accaduti a Point Pleasant sono reali e il film sceglie di ripercorrerli, ma avrebbe potuto non farlo e dare una fine più definitiva alla faccenda. Non lo fa, e con questa scelta prosegue la linea inquietantissima che ha percorso tutto il film. Salvo un paio di momenti di spaventello divertenti, il film è più in generale un manto freddo di inquietudine, una sensazione che a quelli come me piace sempre tantissimo ritrovare al cinema. Vediamo la creatura poco e male, ma vediamo sempre il terrore negli occhi di chi lo ha visto, e tanto basta. Come sempre accade quando si parla di credenze del folklore locale, non è importante che siano reali o meno, è il solo credere che siano possibili a fare paura, e il Mothman non è da meno. In più lui è una figura controversa: avvisa dei disastri o li causa? Ci aiuta o ci ammazza? 
Potrei parlarne per giorni. Ho guardato persino un film con Richard Gere pur di parlare ancora dell'uomo falena.

Perché falena, poi? Perché non gufo, barbagianni, arpia? (quella dell'arpia è ancora la mia teoria, ma Erre me la smonta sempre perché non sono animali notturni. Porto avanti con forza la mia tesi.) So che ha qualcosa a che fare con un nemico di Batman ma la scelta mi lascia perplessa comunque. Perché proprio lì, poi? So che è poi stato visto in tutto il mondo ma perché cominciare proprio lì?

Sono intrigatissima.

E il film è pure stato bellino.

mercoledì 30 ottobre 2019

Horrornomicon: Smells like the Nineties

14:24
Il 1990 è l'anno che ha visto nascere la sinceramente vostra. In un eccesso di egomania che non credevo mi appartenesse ho deciso quindi di dedicare l'horrornomicon del mese del mio compleanno al decennio più temuto da tutti gli amanti del genere del mondo: gli odiatissimi anni '90.

diapositiva di miniredrumia all'epoca in cui uscivano gli horror brutti

Per appagare il mio senso di ordine ho deciso che questo post sarà diviso in categorie, quelle nelle quali potremmo racchiudere i film del decennio maledetto.



I CULT GENERAZIONALI

Che non può piovere per sempre se lo sono scritti sul diario tutti i millennials con la smemo, e secondo me se guardiamo nei diari dei giovani dark e delle ragazze di tumblr di oggi ancora lo troviamo, da qualche parte. Ora, io Il Corvo non lo rivedo da anni, e potrebbe anche essere invecchiato malissimo, ma l'aura mitologica che circonda lui e il suo protagonista sono passati alla storia e non sarà certo un'eventuale rivalutazione postuma ad eliminarla. Viviamo felici nel ricordo di quanto lo abbiamo amato, e sarà per sempre un bellissimo film. Insieme a lui, ci sono tanti altri che possiamo includere in un post sull'orrore che hanno segnato anche quelli che l'orrore di solito lo scansano.
Parlo di It? Parlo di It. 
Io non voglio fare paragoni impietosi con quello che ha fatto Muschietti nel 2017 prima e nel 2019 poi, e di certo non possiamo negare che Tim Curry ha traumatizzato una quantità infinita di bambini che si sono trovati a guardarlo nei panni di Pennywise. Quando ero piccola io guardare It era come giocare a "Ce l'hai". Lo guardavi, ti spaventavi, dovevi obbligare qualcun altro a guardarlo, che si spaventava, lo passava a qualcun altro, e così via. Non c'era immunità, però, da quel gioco qui. Il film lo si guardava tutti quanti, e si aveva tutti quanti paura. Poco importa in realtà che sia proprio una robetta mediocre, non ce lo dimentichiamo perché ha fatto paura a tutti, e ha segnato una generazione, e tanto basta, in realtà. Se poi vogliamo un bell'adattamento di quel tesoro inestimabile che è il romanzo allora c'è Andy Muschietti.
Insieme a loro Il sesto senso, Intervista col vampiro, Dracula di Bram Stoker,, Il silenzio degli innocenti, The Blair Witch Project...Sono film dal valore variabile, ma che è indubbio siano stati rappresentativi di una decade. Il film di Shyamalan lo voglio rivedere, perché non ne ho un bel ricordo e mi sento quella scema che in una conversazione non capisce perché tutti ridano. Dei vampiri di Coppola e Neil Jordan abbiamo già parlato, sono iconici per aspetto e magnificenza. Io li amo entrambi, proprio del bene sincero che si vuole a volte ai film e che va oltre il valore oggettivo.
Il BWP è un fenomeno incredibile. Lo posso dire che a me pare il Saw degli anni '90? Buona idea, fenomeno di culto, amato alla follia, straordinario lavoro di marketing. L'alone di mistero che lo circondava lo ha reso enormemente più noto di quanto meritasse per valore oggettivo, anche se a me piace, però  Solo che negli anni '90 ci si accontentava di meno, un fenomeno durava molto di più, tanto è vero che la strega di Blair ha avuto solo due sequel di cui uno a distanza di parecchio, è del 2016 e io non l'ho visto.
Oggi abbiamo bisogno di più stimoli continui, ci dimentichiamo le cose che vediamo alla svelta, per cui arriveremo a Saw 15 e non ci ricorderemo nulla di quello che è successo nei 14 precedenti. Uso la prima persona plurale ma io con la saga dell'Enigmista mi sono fermata al 2. Prima o poi mi metto in pari.
O forse no, e andrà bene così.

I CULT DI NICCHIA

A volte sembra che mi impegni per tirarmela, ma portate pazienza, perché questo è materiale santo.
Gli anni '90, così maltrattati, così odiati, sono quelli che hanno visto nascere Scream. 
E io qua potrei essere in errore, perché non sembrerebbe di nicchia, il film del Nostro Signore e Salvatore Wes Craven. Eppure, io che degli anni '90 sono figlia e quindi queste cose le ho viste dopo, lo vedo che Scream oggi è ricordato male. I sequel e soprattutto le stramaledette parodie gli hanno fatto un pochino di ombra, e se tutti oggi si ricordano di quel Bellaaaaaaaaaa, se lo ricordano davvero, che bomba è la sequenza iniziale di Scream?
Non fa niente, ragazzi, non sono arrabbiata con voi. Siamo alle porte del Natale della Redrumia, Halloween: guardate Scream e fate un favore a me e anche a voi.
Craven, però, gli anni '90 li ha battezzati con La casa nera, che è un film bellissimo e di cui si parla sempre troppo poco al di fuori del mondo del cineblogging. Parla di disparità sociale con la cruda onestà di chi la deve avere conosciuta, e lo fa con un film che non molla un attimo, che parla di follia e crudeltà senza avere paura di niente e che è bello e basta. A volte ci si perde nel cercare i grandi significati reconditi delle cose, il che è sacrosanto, ma ci si dimentica che i film devono anche essere belli. La casa nera è un bel film, con temi importanti che non dimentica di essere di intrattenimento. Che bene gli si vuole, a quel Fool, lì.
Non metterei nei cult popolari nemmeno Allucinazione perversa, il trip micidiale di Adrian Lyne, che nel sottosuolo ha una sua fanbase e che a me piace sempre tanto.
Insieme a lui una delle mie cose preferite al mondo: Dellamorte Dellamore, che potrebbe o non potrebbe essere il film che mi ha fatto venir voglia di parlare di anni 90. Un titolo strepitoso, un film indimenticabile, un fumettone dolceamaro a cui ripenso sempre con affetto sconfinato. Se vi dimenticate di Gnaghi non possiamo essere amici.
Non metterei tra i popolari nemmeno Il seme della follia. Uscisse oggi sarebbe uno di quei film che la gente googla dopo averlo finito, tipo "il seme della follia finale" oppure "spiegazione il seme della follia". Ma che gliene frega a John Carpenter di spiegare a noi, lui dichiara e noi sudditi diciamo di sì e chiediamo anche scusa se non lo diciamo bene. Non potrei mai dire quale sia il superiore tra questo e La cosa, e forse nemmeno serve, perché il Maestro è tale punto e basta, e in una decade in cui le cose straordinarie si contano col contagocce, Il seme della follia sta in cima, salutando tutti dall'alto con anche un pochino di supponenza.
Parentesi sull'amore della mia vita: Guillermo del Toro negli anni 90 ha fatto, insieme a Mimic che è l'unico suo film che non ho mai visto, quella gemma rara di Cronos, un film sui vampiri che è delicatissimo e che rispecchia tutta quella che sarà la poetica dell'uomo che amo e la sua estetica. Da guardare e amare per piangere un po'.

BRILLANTI TEENAGERS

Questa è sempre la mia categoria preferita. Non posso farci niente, mi divertono da matti anche quando sono orrendi.
Non credo ci sia niente di più anni '90 di The Faculty. C'è Josh Hartnett, non riesco ad argomentare meglio di così. Ah, sì, 'spè. Anche Elijah Wood. E poi c'è una forma aliena che prende possesso dei professori di un liceo, io più di così non so cosa dirvi per farvelo guardare.
Ah, sì, una cosa c'è: dirige Robert Rodriguez.
Ma è in generale tutta la categoria che ci mostra nomi che poi diventeranno il simbolo del loro tempo. So cosa hai fatto, per esempio, un adorabile slasher con Jennifer Love Hewitt e Sarah Michelle Gellar (ve lo avevo detto), che a me fa una simpatia rara, oppure Urban Legend, con Jared Leto, Pacey di Dawson's Creek, che non ha un nome proprio ma conserva quello del suo personaggio per indicare quanto sia rappresentativo degli anni '90, e Michael Rosenbaum. Io mentre guardavo Urban Legend ero consapevole di stare guardando qualcosa di brutto. Mi sono comunque divertita? Sì, non faccio nemmeno finta di pensarci. Se non lo avete mai visto è adeguato per Halloween: si scommette su quali saranno le leggende urbane tirate in ballo e si beve. Ammetterò con umiltà che io sarei stata ubriaca persa a metà visione.
Infine, un film che avrebbe dovuto essere in ogni categoria di quelle finora elencate: Giovani Streghe. Io l'ho visto tardi, perché è uscito quando io facevo la prima elementare, ma se io avessi visto questo film al liceo sarei impazzita. Non che non mi sia piaciuto, anzi, ma posso solo immaginare a quale livello di ossessione sarebbe arrivata la Mari teenager. Che bello, Giovani Streghe.

LE COMMEDIACCE

Ah, questi sono i film da mettere ""per sbaglio"" a Natale alla tavolata con i parenti. Quelli che fanno indignare le vecchie zie e divertono il cuginetto.
Peter Jackson è un fuori di melone ed è buona cosa che noi non ce lo si dimentichi mai. Ah, strepitoso eh quello che ha fatto con Il signore degli anelli, proprio niente da dire davvero. Ma dalla fine degli anni 80 fino, appunto, alla Compagnia dell'anello, si è sfogato. Ha dato il meglio di sè. Nello specifico, Bad Taste è dell'87 quindi sto giro lo saltiamo, ma Splatters - Gli schizzacervelli è del 92 e io non riesco a capire come possiate non volerlo vedere già dal titolo. Poi nel 96 ha fatto un'adorabile commedia sui fantasmi che non è bella marcia come piace a noi ma senz'altro divertente, Sospesi nel tempo. E poi c'è Michael J. Fox.
Certo, è degli anni 90 anche la regina di tutte le horror comedy: L'armata delle tenebre. Devo ammettere con la morte nel cuore che non è la mia preferita ma l'iconicità di Ash Williams che viaggia nel tempo è passata alla storia (ahah) e non sarò certo io a lamentarmene.

TIM BURTON

Questo blog è nato nel 2012, ed è iniziato con una serie di post dedicati a quel signore qui, che all'epoca amavo come fosse un padre. Nel tempo i miei gusti sono talmente cambiati che il Tim Burton Special non è mai stato finito (come praticamente tutte le rubriche di questo blog, ehm) e io e lui ci siamo allontanati tantissimo. Sono stati gli anni 90, però, a darmi quei film che me lo avevano fatto amare tanto, partendo proprio nel 1990 con Edward mani di forbice. Mars Attacks!, Ed Wood, Sleepy Hollow, sono di quella decade qua, e anche se oggi io e Burton non siamo più vicini come un tempo, mi piace ricordare che belle cose ha fatto e quanto me lo sia sentito vicino.


Un horrornomicon un po' diverso, questo mese. Nessuna notizia seria ma solo una raccolta di cose belle da vedere, giusto in tempo per la serata di domani.
Buon Halloween a tutti!



venerdì 6 settembre 2019

It: Capitolo 2 e di gente al cinema

11:17
Festa Nazionale in Redrumia!
Pennywise è tornato e lo aspettavamo da due anni che sono sembrati giusto 27.
Serve un post dedicato.


La storia è quella dei Perdenti adulti che, richiamati da Mike, tornano a Derry 27 anni dopo gli eventi del primo film, perché It è tornato. Fine di quello che vi dirò sulla trama.

Una volta Neil Gaiman (sempre sia lodato) ha detto che nel booktour di Coraline gli era diventato chiaro quanto adulti e bambini abbiano percezioni diverse e quindi paura in modo diverso. I bambini non erano preoccupati per Coraline: lei era l'eroina e senza dubbio ce l'avrebbe fatta. Gli adulti, invece, consideravano la storia inquietante e spaventosa, preoccupati per l'anima giovane e in pericolo.
Ecco, per me It è stata la stessa cosa. La prima parte, quella del 2017, mi aveva fatto una paura che non ve la raccomando (e invece forse sì, che qua si parla pur sempre di orrore). I Losers sono un gruppo strepitoso di ragazzini coraggiosissimi, e il film aveva reso loro giustizia in modo quasi insperato. Però erano i miei bambini, no? Ero preoccupata per loro e il film era più spaventoso del suo sequel. Questa volta ho avuto meno paura, ma il cuore straripante di emozioni.

Il ritorno a Derry è stato emozionante e commovente, il ritrovo di amicizie perdute ma mai dimenticate è sempre delizioso da vedere e questi attori sono stati i Perdenti che volevo. Il cast dei bambini era perfetto nel primo film e si conferma tale, ma quello degli adulti non ha temuto il confronto, non solo per quel McAvoy e quella Chastain che sono la conferma che al mondo c'è qualcosa di buono e porta i loro nomi, ma per l'insieme, l'affinità che traspare, l'affetto palpabile, le battute sulla mamma grassa dopo 30 anni.
Tutto è come prima e niente lo è.
Nemmeno It.
Il più spaventoso dei clown smette di essere solo un pagliaccio e diventa la materializzazione di un trauma terrificante, diventa paura concreta in forme diverse, diventa la forma fisica di un terrore durato trent'anni, che sembrava dimenticato e invece stava sempre lì, nascosto ma pronto a rifarsi vivo. Cambiano le sue sembianze, a volte, ma non cambia l'effetto che ha sui ragazzi, paralizzati dal terrore eppure, passato il peggio, pronti a tutto, pronti soprattutto a scherzarci su. E quel comic relief lì, che è presentissimo e che funziona da dio (mi sono divertita un sacco) non è servito solo ai Perdenti, ma anche a noi, perché va bene che ho detto che il film spaventa meno del primo, ma il mio vicino al cinema ha fatto un paio di salti sulla sedia che non so come ha fatto a sopravvivere fino alla fine.
It è spaventoso e magnifico al tempo stesso e Skarsgard il migliore che si potesse chiedere per dargli il volto.

I puristi del libro avranno mille cose da recriminare alla fine di questa storia, e va anche bene così. Però Muschietti è riuscito nelle cose più importanti: farci un paurone dell'accidenti ed emozionarci tantissimo, come solo chi ha molto amato il libro avrebbe potuto fare. E quindi non solo va bene così, va esattamente come avrei voluto andasse. Ed è magnifico.
Io mi rileggo pure il libro, che mi mancano già, maledetti Losers.

Dicevamo, il mio vicino. Si è fatto proprio la cacca addosso, porello. Come lui, buona parte della sala. Come lo so, vi chiederete. Perché quando la gente ha paura parla. E ride, fa caciara, sgomita. Deve alleggerire la tensione. Mica fanno sto casino quando vanno a vedere altro, di solito, è proprio l'horror che tira fuori quell'aspetto qua, l'horror estivo magari leggero ma che comunque fa strizzare le chiappe.
Ecco, io prima ero pronta ad entrare in sala col lanciafiamme. Pago il biglietto, entro in sala, mi voglio godere il mio benedetto film. Ieri sera ero carica, avrei soffocato quello dietro di me con il mio sacchetto unto di caramelle, porco cane non ha taciuto un minuto. Ti ringrazio per avere letto a voce alta il contenuto dei biglietti dei biscotti della fortuna, sei una gioia ma non solo siamo tutti alfabetizzati, i personaggi stanno già facendo da soli, tu non servi, taci, prendi fiato, strozzati nella tua saliva.
Poi però sono uscita dalla sala ed ero esaltata. Avevo visto una cosa che aspettavo da tempo, non vedevo l'ora di vederlo, mi è piaciuto tanto ed ero tutta uno scodinzolio. E alla fine, forse, quel tizio logorroico là l'ho perdonato.
Eri contento, tatone, perché a volte il cinema fa anche quelle cose qua, e a me l'horror gasa (che termine vintage) tanto quanto stava gasando te. Sei comunque uno stronzo irrispettoso, ma siccome ti capisco sorrido un po', se ci penso.
E ti perdono.
Guarda te Muschietti che effetto mi fa.

sabato 6 aprile 2019

Noi

12:29
 Perciò, così parla l’Eterno: Ecco, io faccio venir su loro una calamità, alla quale non potranno sfuggire. Essi grideranno a me, ma io non li ascolterò. (Geremia, 11:11) 

Non ero sicura di scrivere un post sul nuovo film di Jordan Peele, perché ormai le recensioni singole su questo blog scarseggiano, ma mi sono innamorata, e questo posto qua è nato proprio per celebrare un amore grande, quindi eccoci qua.

Saltiamo la parte in cui vi dico la trama per passare al sodo.
Facciamo che sei un giovane regista. Facciamo che il tuo primo lavoro non è solo un esordio travolgente ma in generale un film che sarebbe incredibile anche in mani esperte. Facciamo che riesci a portarti a casa pure un Oscar alla sceneggiatura originale (che per un horror non è un buon risultato, è un miracolo) che guarda caso è pure il primo per un regista afroamericano.
Altro, Jordan?
Altro, perché quelli come te, se ho capito che tipo sei, non si accontentano. Quelli come te hanno milioni di cose da dire e nessuna paura di farlo.
Allora arriva Us, Noi, che ci è stato presentato con un titolo intrigante, una serie di poster da bava alla bocca e un trailer gustosissimo. Ti abbiamo aspettato come si aspetta l'arrivo del messia.
E tu, che sei un uomo di parola, non hai tradito né noi né le nostre aspettative, perché Noi è uno di quei film che si imprimono negli occhi e non se ne vanno più.


Potremmo stare qui ore a disquisire del vero significato del film, del suo finale e del suo sottotesto. Di cose da dire ce ne sarebbero. Il web è pieno raso di post, podcast, articoli di gente illustrissima che titola 'Us: Ending Explained', ma a me così sembra di fare un torto al film e al suo regista.
Non c'è proprio un bel niente da spiegare, c'è da sedersi sulle poltroncine di un cinema (disonore su di voi, sulla vostra famiglia e sulla vostra mucca se non andate al cinema per Jordan) e lasciarsi trasportare in un racconto magnifico.
Jordan Peele tutto quello che serve sapere l'ha messo nel film. Teorie, congetture, analisi, non fanno altro che sporcare l'esperienza, che invece è così genuinamente spaventosa che è un peccato incrinarla. Perché Us fa anche paura. Dando in mano le parti ad attori capaci e con un po' di luci sistemate a modino, ce la si fa discretamente sotto, per via di quell'inquietudine viscerale che solo occhi convincenti sanno trasmettere.
Non sono certo io a dovervelo dire, ma nel film ci sono Lupita Nyong'O ed Elizabeth Moss. Capirete da voi che a due come loro basta dare il la e queste diventano belve. Bastano gli occhi. La Moss ha poco tempo in scena ma le basta perché lei è una bomba e tutto quello che tocca diventa oro, come una specie di re Mida delle scene cinematografiche. Davanti allo specchio è spaventosa. Lupita è tutto il film. Pur essendo circondata di comprimari altrettanto brillanti, tra cui due ragazzini spaziali da tenere d'occhio, lei proprio viene da un altro pianeta. Eccezionale. Il suo viso fa mille minuscoli movimenti che la rendono enigmatica e complessa, basta un piccolo accenno di cambiamento e non si sa più chi è cosa. Nessuna parola le renderà giustizia.
Intorno a lei, i colori. Il film è molto, molto rosso, ovviamente. Poi però a volte è blu, e bianco, e beige e ogni singola inquadratura è stoppabile per diventare un quadro. Il paesaggio della spiaggia, la casa in penombra, quella sequenza finale...ha un gusto estetico il regista che incontra così tanto il mio da aver reso la visione del film simile ad un giro in un museo.
Alcune sequenze di Noi sono da esporre nelle pubbliche piazze. La scena di Fuck the police è da annali, ho dovuto combattere contro l'istinto di battere le mani. Il finale è da alzarsi in sala con la mano sul cuore.


Stateci voi a farvi domande sul Vero e Profondo Significato del Film, io sono impegnata a goderne.

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