martedì 7 maggio 2019

Un post di podcast

13:41
Ultimamente ho poche ore per vivere. Lavoro, poche ore ma pur sempre spese a guadagnarmi la pagnotta, scrivo libri per ragazzi, do ripetizioni, ho un blog (questo, per chi fosse confuso), guardo film, leggo libri, devo fare un minimo di movimento perché sono ciccia, ho una casa da tenere abitabile, eccetera eccetera.
Mica solo io, eh, tutti.
Proprio perché il tempo è maledetto e ci frega tutti, io faccio un post sui podcast. Per me, in queste giornate folli, sono diventati vitali: li uso per informarmi, per studiare, per comprendere, per conoscere cose nuove e approfondire cose vecchie, per tenermi compagnia, per divertirmi, per imparare. Sono perfetti per me perché mi permettono di continuare a fare cose utili mentre faccio quello che mi piace, ovvero informarmi, studiare, comprendere, e tutti gli altri. Mentre guido, mentre faccio i mestieri, quando esco a fare due passi. Per me hanno quasi completamente sostituito la musica.
Li amo appassionatamente, se non si fosse capito.
Quindi, oggi, condivido con voi quelli che amo di più, divisi tutti ordinatini per argomento e con le letterine ad indicare se si parla in inglese (E) o in italiano (I).



I classici


  • Lore. (E) Credo che Lore e il suo host siano la storia del mondo dei podcast. Ne parliamo comunque per non dare nulla per scontato: si tratta di brevi episodi (non fatevi spaventare dal numero, si divorano come ciliegine!) in cui il narratore racconta leggende, storie del folklore, miti, vicende storiche...è inquietante e divertente, un passatempo golosissimo. Ha una newsletter a cui iscriversi se si desiderano approfondimenti sull'argomento di ogni episodio, che si chiama The Epitaph, e di recente ne è stata tratta una serie tv che però la sottoscritta ancora non ha visto, sempre per quella questione del tempo di cui sopra.
  • Welcome to Night Vale. (E) Una finta trasmissione radio che racconta gli strani eventi che accadono nella cittadina di Night Vale. Per qualcuno è trash, per me goduriosissima.
  • Serial (E). La storia del true crime in forma podcast, Serial ha tre stagioni e in ognuna si racconta di un caso controverso degli Stati Uniti. Solo per veri appassionati del genere, cosa che per esempio io non sono, perché alla lunga l'ascolto è pesante. Consiglio cautela anche a chi non si sente sicurissimo con la lingua perché spesso ci sono parti al telefono o di interrogatori che risultano poco chiare, e se si ascolta mentre si guida non è che si può star lì col ditino a fare avanti e indietro. 
Parlare di cinema

  • Ricciotto. (I) Querty è un raccoglitore di podcast tutti italiani che valgono la pena di essere scoperti. Con Ricciotto parlano di cinema, ogni episodio sviscera un film quasi sempre tra le nuove uscite, e i ragazzi sono sempre piacevoli, anche quando non si è d'accordo con loro. Una bella chiacchierata che ha il sapore di una serata tra amici, e siccome io di amici cinefili non ne ho ascolto loro e commento a voce alta come se fossimo insieme.
  • You must remember this. (E) Ah, questo magnifico. Un racconto ad episodi del primo secolo di Hollywood: dive, scandali, curiosità, passioni, relazioni ritratti. Una meraviglia interessantissima, perché il cinema non sono solo i film (paradossalmente) ma un gigantesco carrozzone fatto di persone, e questo podcast cerca di raccontarcele tutte. Raccomando il ciclo di episodi sulla morte di Sharon Tate in previsione del nuovo Tarantino.
  • The rants macabre. (E) Un podcast dei ragazzi di Fangoria sui cinemacci dell'orrore. Gli episodi sono lunghi e non parlano di un solo film per volta, ma affrontano generi, autori, correnti...Anche in questo caso, non sono sempre d'accordo con quello che si dice, ma è molto piacevole da seguire e i titoli affrontati sono tantissimi.
  • Switchblade Sisters. (E) Questo è uno dei miei preferiti. Donne che parlano di cinema di quello che si crede sia da uomini: thriller, horror, fantascienza...La host ospita ogni settimana una donna del settore (attrici, sceneggiatrici, registe, ma non solo) e le chiede di portare un film che sia per lei di ispirazione. Imperdibile l'episodio in cui Barbara Crampton parla di Raw. Sulla stessa linea (donne che parlano di orrore e ospiti d'eccezione) c'è anche She kills che anzichè chiacchierare di singoli film affronta alcuni temi caldi del cinema e delle donne al cinema. Nel dubbio, la Crampton è pure lì.
  • Kiss the goat. (E) Sempre cinema di paura. Anche in questo caso ogni episodio è dedicato ad un solo film per volta, e ci si prende tutto il tempo (gli episodi durano un'oretta) per approfondire e discuterne a fondo.
  • Horror vanguard. (E) Segnalazione solo veloce per questo, che parla ancora di orrore ma che non ho ancora ascoltato. Se lo conoscete e consigliate fatemi sapere!
  • The retro cinema podcast. (E) Niente orrore stavolta, ma anni '80. Quindi insomma, un pochino di orrore sta anche qua, in questa bella carrellata di film cult di una generazione.
Chissà, magari il mio podcast sull'orrore prima o poi lo faccio pure io, invito voi altri blogger, parliamo di sangue...viaggio troppo con la fantasia, vè?

Informarsi

  • Weekly post. (I) Io non leggo quotidiani, mi informo con un'app che si chiama Feedly e soprattutto con Il Post, per il quale provo adorazione e fede simil religiosa. La mia home del browser è Il Post. Sempre sia lodato. Hanno due podcast per il momento: uno è Konrad, che esce una volta al mese dopo le plenarie al Parlamento Europeo, e l'altro è il Weekly. Una volta alla settimana selezionano una notizia e la approfondiscono con l'aiuto dei membri della redazione più adatti per ogni singolo settore. Ovviamente si parla di politica, economia, attualità, e lo si fa con lo stile che contraddistingue la testata: semplicità ed immediatezza. Li amo pazzamente e trovo facciano un lavoro perfetto, almeno per quello che cerco io quando cerco informazione.
  • Breaking Italy. (I) Alessandro Masala commenta le notizie della giornata su Youtube da molti anni e io lo seguo con enorme piacere perché condividiamo molti ideali, perché lo trovo ragionevole e intelligente. Ora i suoi contenuti si trovano anche come podcast e preferisco fruirne così. In più, di recente ha affiancato ai suoi video un prodotto in forma esclusivamente di podcast, con ospiti e interviste, che non ho avuto ancora modo di ascoltare.
  • La Moka. (I) Scoperta recente, LaMoka è l'ennesimo commento alle notizie del momento. A me piacciono, che devo fare. I due host sono molto simpatici, un'ora scorre via velocissima.
  • Quasidì. (I) Pur nutrendo una discreta antipatia per una delle due host, il lavoro che fanno con Quasidì mi piace tanto: due ragazze che parlano di attivismo, femminismo, ambiente, e tanto altro, con dati e informazioni importanti. A volte un pochino meccaniche, forse leggono? Ma davvero vuol dire cercare a tutti i costi un difetto in quello che è un bel progetto, fresco e giovane. Piacevolissimo.
Varie ed eventuali

  • Morgana. (I) Abbiamo già parlato del podcast della Murgia, alla quale mando tutto il mio amore virtuale. Ogni episodio è il racconto di una donna fuori dagli schemi (quali schemi, dite? ne avrei in mente un paio), della sua vita e della sua carriera. Vivienne Westwood, Cher, Moana, Shirley Temple, Santa Caterina...la selezione è davvero interessante. 
  • Ordinary girls. (I) Anche di lui abbiamo già parlato. Lui non è un podcast ma un vero e proprio programma radiofonico, con le canzoni e tutto il resto, da far ascoltare a chi del femminismo non conosca nemmeno i concetti base e abbia bisogno di una mano divertente (Elena Mariani ti amo nessuno mi fa ridere come te su instagram).
  • Esordienti. (I) UN podcast per chi vuole diventare scrittore, semplicemente. Matteo B. Bianchi è un'autorità del settore e si vede. Di suo segnalo anche Copertina dove invece dà consigli di lettura. Entrambi i suoi podcast, insieme a quello della Murgia e a quello di cui vi parlo dopo, escono dalla storielibere.fm. Da tenere d'occhio, ha prodotti interessantissimi.
  • Tizzoni d'inferno. (I) Chi in Italia può parlare di fumetti? Tito Faraci, dite? Appunto.
  • Ad alta voce. (I) Il programma di Rai Radio 3 in cui si leggono audiolibri. Semplice e bellissimo.
  • Veleno. (I) Dolorosissimo ma straordinariamente ben fatto podcast true crime tutto italiano su uno dei casi di cronaca più sconvolgenti del Nord Italia. Ne è appena uscito il libro.
  • Il gorilla ce l'ha piccolo. (I) Le cose sugli animali mi mettono di buonumore. Vincenzo Venuto è un biologo con il dono della narrazione, che ci ha regalato, sempre grazie a storielibere, qualche episodio sulla riproduzione animale. Divertentissimo, durato solo troppo poco per i miei gusti. Signor Vincenzo Venuto ci pensi perché guardi che lei è proprio bravo.
  • The minimalist podcast. (E) Il podcast dei due fondatori del minimalismo che ogni tanto mi costringo ad ascoltare prima di riempire il carrello di Asos di cose che so che non mi servono. 
La mia carrellatona finisce qua. Sono aperta ad ogni consiglio perché il mondo dei podcast è in costante espansione e io li voglio ascoltare tutti quanti!
Il mio prossimo ascolto saranno gli interventi di Alessandro Barbero al Festival della Mente, e poi ancora #100cosebelle e Soli.
Mi sa che ci riaggiorniamo tra un po'.

lunedì 29 aprile 2019

Maripensiero: La stand up comedy al femminile su Netflix

12:24
Sono anni che dico su questo blog che non amo le cose che fanno ridere. Mi dispiace di essere così, non sono nemmeno una persona simpatica. Solo che le persone che a tutti i costi vogliono strappare la risata a me strappano la carezza di compassione e quindi ho evitato la stand up comedy per anni.
Poi ho capito che sbagliavo approccio.
Sono gli uomini che non mi fanno ridere. Quasi mai.
Cioè, il mio moroso mi fa spaccare dalle risate. Ad un amico bastava aprire bocca per farmi piangere dal ridere. Ma quando si mettono davanti ad un microfono è difficile che mi divertano. Tenetemi lontano quel Kevin Hart lì e le sue faccette, poi, o qualcuno si farà del male. Ci ho provato anche con i grandissimi famosissimi, Luis CK e Ricky Gervais. Nulla, mollati a metà.
Insomma, ho aperto Netflix e iniziato a guardare tutte le comedy al femminile che ci sono sulla piattaforma.
Non mi sono mai divertita così tanto.


Certo, nella prima che ho visto non c'era proprio niente da ridere. Ho iniziato con Hannah Gadsby e il suo magnifico Nanette, che dopo una prima parte deliziosamente autoironica è diventato un racconto durissimo e difficile e alla fine ero un ammasso di lacrime. Però ne è valsa la pena, perché è uno spettacolo da imparare tutto a memoria e imprimersi sulla pelle. Magnifico.
Poi, ovviamente, Ellen.
Ellen DeGeneres è la regina dell'internet, lo sappiamo tutti quanti. Ma mettetela davanti ad un microfono e puf, altro che regina. Ritornata alla stand up dopo anni di assenza con uno speciale, Relatable, mi ha fatto capire subito chi comanda, e chi comanda è lei. Date un'ora del vostro tempo alla Nostra Signora DeGeneres perché sì, lei è indiscutibile.

A questo punto nella mia vita è arrivata Midge Maisel, che è sì un personaggio di fantasia ma che soprattutto è una grande ispiratrice di creatività e grazie a lei ho ricominciato a guardare le comedian dopo una bella pausa.
Sono partita dalla più famosa, forse: Amy Schumer. Ora, leggo in giro che è detestatissima. Non mi ci metto neanche a discutere sulla faccenda, forse è un mostro e io non lo so, ma a me fa ridere da matti. Che ci devo fare, forse in fondo sono una sempliciotta. Ci sono due suoi spettacoli su Netflix, Growing e il Leather Special. Consiglio il secondo con tutto il cuore, mi ha divertita da matti. Consigliata se non vi infastidisce il parlare sboccato di sesso.

Alle madri in gravidanza invece farei vedere i due spettacoli di Ali Wong. Non è la mia preferita, ha uno stile più aggressivo che non sempre mi fa ridere, ma ho visto donne incinte piangere dalle risate con lei, non so se siano gli ormoni oppure qualcosa che io da non madre non posso ancora capire.

Tig Notaro, invece, merita che la vedano tutti, sempre. Perché Tig scherza sul cancro e con scherza intendo che lo fa pesantemente e lei lo può fare perché il cancro ce l'ha avuto. Bisogna mettersi zitti in un angolino a ridere e poi farsi rimproverare perché si è riso e poi ridere ancora. Tig è naturalissima, un suo spettacolo somiglia ad una chiacchierata tra amici al bar. Non fa faccette, versi, smorfie, non è di quelle consapevoli della propria simpatia che fanno un po' le star. Sembra appena uscita dalla partitella di pallone all'oratorio. La sua semplicità e la sua intelligenza bastano e avanzano a creare spettacoli indimenticabili. Prima, però, bisogna guardare il documentario. Sta su Netflix anche lui, ovviamente, si chiama Tig. Secondo me è importante guardarlo perché pare che la signora qui abbia fatto la storia della stand up comedy nel momento più tragico della sua esistenza e quando la si guarda in faccia sembra che quasi non l'abbia mica capita, la grandezza di quello che ha fatto. Per me il black humor è spazzatura quasi sempre. I battutisti di sta cippa dovrebbero sedersi in un angolino e imparare da Tig come si scherza sulle cose serie. Perché si può, ma bisogna essere intelligenti e forse il problema è tutto qui.

In questo periodo mi sono vista Anjelah Johnson, Aditi Mittal, Jen Kirkman, Katherine Ryan, Sarah Silverman. Tutte ugualmente interessanti, ai miei occhi, e il motivo è semplice. Sono, per citare lo spettacolo di Ellen, relatable. Forse il punto di tutta la questione 'non mi piacciono i maschi che fanno comedy' è tutto qui: non ho quasi niente in cui rispecchiarmi. Con queste signore, che parlano sì di sesso e corteggiamento e relazioni ma anche di diversità (molte sono immigrate, o lesbiche, o ebree, tutte in qualche modo minoranze), di difficoltà e di sessismo, ho molto in comune. E ne rido con loro. Ne rido perché prendo tutto sul serio e capisco quando chi sta davanti a me fa altrettanto, anche se in uno spettacolo di stand up comedy.

Per ultima mi sono tenuta la mia preferita: Iliza Shlesinger.
Iliza è la classica bionda magnifica californiana. Quella che gli uomini vedono da lontano nei bar. Poi apre bocca. Tempo due secondi mi lascia boccheggiante sul divano. Questa è proprio una cosa irrazionale: nessuna delle sopra citate mi ha fatto ridere quanto lei. Eppure fa spettacoli più leggeri (con qualche puntina di femminismo perché sì), parla delle sacrosante differenze tra uomini e donne, di come siamo realmente e di come ci mostriamo agli uomini perché crediamo di piacere di più.
Nella vita reale tollero poco i versetti. Come li fa lei mi fanno piangere dal ridere. Nel senso che proprio mando indietro e li riascolto. Di Iliza mi fa ridere anche solo il modo in cui si muove, e mi diverte talmente tanto che se anche a volte esce qualche frase con cui non sono d'accordissimo mi sta bene così. Mi fa solo troppo ridere. Consiglio di guardare i suoi spettacoli in ordine e di lasciarsi per ultimo Elder Millennial perché è uno di quelli che alla fine lasciano con le guance doloranti. Uomini e donne sono diversi. Non è sbagliato riderne. Dovrebbero avere ugual rispetto e opportunità, ma quello è un altro discorso. Lo sapete quanto ci tengo. Il punto però è che ridere di queste diversità non è sbagliato. Ma, e torno a ripetermi, bisogna saperlo fare. Iliza in questo è una maestra.

Se qualche omuncolo è ancora convinto che le donne non facciano ridere, per l'amor di dio, va bene così.
Teniamoci stretto questo tesoro.

venerdì 26 aprile 2019

Avengers Endgame: un post PIENO di spoiler

13:55
Io vi ho avvisato nel titolo.
Proseguite a vostro rischio e pericolo perché dirò tutto quanto e se proseguite nonostante tutto gli spoiler ve li meritate.


Fatta la simpatica premessa (doverosa, perché la gente è matta), ne devo fare una seconda, la solita: non conosco i fumetti, quello che so lo devo a Erre, il moroso, che mi spiega tutto quanto. Non posso e non voglio fare confronti.

Ok, possiamo cominciare.
I bastian contrari a me fanno un'antipatia che non la contengo. Nel senso che proprio mi si vede sulla faccia. Per cui quando qualcosa è amatissima e a me per varie ragioni non piace quasi me ne vergogno. Quindi, via il dente via il dolore: Endgame ha avuto finora recensioni molto entusiaste (entusiastiche? chissà), ma fino agli ultimi 40 minuti a me non è piaciuto. Alcune cose mi hanno proprio fatto arrabbiare. Ed è stata una discreta palla per tutta la prima ora e mezza. Perché sì, dura tre ore e finora non ho trovato un motivo ragionevole per questa lunghezza.
Ok, ci siamo levati le cose sgradevoli. Ora argomentiamole.

Siamo arrivati a questo punto dopo il finale di Infinity War che aveva tanto colpito tutti quanti. A me un pochino meno, perché sì, ci hai dato il finale negativo che non abbiamo mai avuto ma i protagonisti sono tutti salvi e allora per me sei stato un pochino paraculetto. Ma ci poteva stare.
Dopo il finale tremendo uno spiraglio di luce: Nick Fury ha chiamato Captain Marvel e adesso non ci sono più cazzi per nessuno.
Arriva quindi il film, su di lei, e si conferma che una volta che quando lei arriverà in soccorso agli Avengers di sicuro andrà tutto bene, perché il film ci mostra un'eroina forte come non se ne erano mai viste prima (tranne il Dottor Manhattan. Lui è fortiiiissimo. Ma non è qui quindi a posto). Ci sentiamo al sicuro. Carol Danvers è venuta a salvarci.
E invece no, ma proprio manco per niente.
Carol Danvers, l'eroina più forte del mondo, di una potenza che spaventa i passeri, compare il tempo necessario di riportarci Iron Man sano e salvo sulla Terra, poi fa ciao con la manina perché lei ha di meglio da fare, e se ne va. Ricompare alla fine durante la battaglia di cui parliamo dopo per cinque minuti per poi fallire miseramente e tornare nel nulla da cui è venuta. Non solo fallisce, ma fallisce dopo avere fatto la sbruffona arrogante su quanto gli Avengers abbiamo perso perché erano senza di lei. Spoiler: vincono senza di lei.
Perché?
Siamo partiti con i quattro Avengers principali, lo sapevamo che era con loro che sarebbe finita. E va bene così, pur con tutte le aggiunte era bello chiudere il cerchio con loro. Ma perché questa triste, tristissima, parentesi Capitan Marvel? Sono certa che un modo per riportare Tony Stark sulla Terra lo avremmo trovato comunque.
Avevamo tra le mani il personaggio Vedova Nera. Natasha Romanoff è un personaggio chiave di Endgame come non lo era stata per nessun film precedente e non solo per il suo sacrificio: è quella la cui sofferenza ci è mostrata più a fondo di tutti, quella che rimane ancorata alla sede degli Avengers a coordinare il lavoro di tutti. Eppure, di lei non sappiamo niente. Oltretutto i miei fumettari di fiducia dicono che la sua storia sia una delle più interessanti. Che peccato vederla sprecata così.
Ormai l'MCU non è più un fenomeno della comunità geek. Non si può dare niente per scontato, perché è talmente vasto che deve raggiungere tutti, e ignorando così parte della storia non lo fa.

Ci sono altri personaggi inseriti in Endgame. Se da un lato l'inserimento di Ant Man mi va benissimo per modi e tempi, il ritorno di quello che io pensavo essere Occhio di Falco e che invece adesso è Clint Barton proprio non mi è piaciuto. L'hanno fatto sparire per anni, per poi tornare rivoluzionato con la storia commovente sperando di farci emozionare. Con me non ha funzionato. E pensare che quando Cap ha rivisto la sua Peggy è bastato uno sguardo per sciogliermi. Con Ronin zero emotività.

Giuro che poi passiamo ai lati positivi, che ci sono e sono tanti, ma prima finiamo con i negativi: troppa comicità. Io un altro Thor 3 non lo volevo.
O meglio: volevo solo Thor. Il dio del tuono appesantito e stupido mi stava benissimo. Chris Hemsworth funziona sempre, mi diverte molto.
Poi però ci sono anche Ant Man, Rocket Racoon, le chiappe di Capitan America, War Machine che dà dell'idiota a Star Lord, Iron Man con il suo sarcasmo. Per me troppo, troppissimo. Sono qui a vedere un film in cui dovrebbe esserci disperazione sopra ad ogni cosa, non volevo vedere questo. Forse questa critica è legata al mio gusto personale e basta, ma siccome è il mio blog questo vi tocca.
Ma soprattutto, la cosa peggiore di tutte, è Hulk. No, questo proprio no. Mi pare quasi un torto personale. L'aspetto migliore di Hulk (ricordate, detto sempre da una che ha visto solo qualche film) era lo stesso del mio grande amore Remus Lupin: il tormento per la sua condizione. Era così bello, nel primo Avengers, il suo personaggio, che mi stringeva il cuore. Sto scemo che dabba e si fa i selfie con i bambini a me non sta bene. Uno dei geni della sua generazione, un grande scienziato, ora un buffone.
Perché?
Perché farmi soffrire così?
Erre è imbufalito, perché Planet Hulk è uno dei suoi volumi preferiti, e lui è da Thor Ragnarok che si è legato al dito sto cambiamento inspiegabile. Ce l'avevamo già il comic relief, non lo volevamo anche da lui. Questa è la guardianidellagalassite, eh. Io volevo il drammone e la battagliona, mi sono trovata dei pagliacci.

Certo è che questi pagliacci umani così non li avevamo mai visti. Il dolore è palpabile ed è un po' nostro. Tony che scende dalla nave e dice al Cap 'Ho perso il ragazzo' è uno dei momenti più dolorosi di tutto il film ed è proprio all'inizio. Vedere lo sbruffone così ferito è un bel colpo.
Ci sono parti degli altri film e se per qualcuno questo sarà fan service a me è piaciuto, perché da qualche parte siamo pur arrivati, e se questo film, oggi, sta facendo i miliardi in giro per il mondo è perché siamo partiti da lì. Il primo Avengers per me è ancora superiore a questi nuovi.
Di certo, è magnifico rivedere tutti.
Combattere insieme al momento della battaglia più grande di sempre è commovente e un degno saluto a queste prime fasi MCU. Si è dato un tempo giusto ad ognuno, agli sguardi di chi si rivedeva dopo tanto tempo, ai saluti, alla gioia di sapersi ancora vivi, pur non togliendo nulla alla battaglia. Non avevamo alcun dubbio che sarebbero tornati, ma è stato molto bello vederlo. E sì, la sala mi ha dimostrato quello che sospettavo: potevano restare morti tutti, ma l'importante era che tornasse SpiderMan. Si è proprio sentito il sospiro di sollievo. L'arrivo dei wakandiani e del loro esercito è stato notevole, il momento in cui gli stregoni (sarà la parola giusta? Erre non arrabbiarti) di Dr Strange hanno protetto tutti dal fuoco che arrivava dal cielo è stato commovente, Benedict Cumberbatch sempre bello come un tramonto sulla spiaggia con i delfini e le nuvolette rosa, e soprattutto il momento in cui si sono viste insieme tutte le donne mi ha stretto il cuore di orgoglio. Che fighe incredibili.
Quindi sì, la battaglia che sta alla fine per me ha reso valido tutto il resto, perché è stata bellissima.
Sacrificio di Tony Stark compreso. Tutti quanti avevano indovinato che sarebbe stato lui a sacrificarsi e secondo me è stata una bella scelta. Per quel poco che ho visto, è stato l'unico personaggio con una bella storia, che nel corso del tempo è diventato sempre una versione migliore di sé, e quindi mi stava benissimo che il sacrificio fosse il suo, ma uccidere quello con la bambina piccola signori è violenza. Una crudeltà. Pepper, passi. Ma la bambina? Perché sottoporci allo strazio di vedere una piccina perdere il papà? Cattivissimo.

In qualche modo il bene ha vinto di nuovo, e l'ha fatto in grande stile, salutandoci con un grande affetto che è passato e arrivato tutto, e che alla fine, nonostante le perplessità, è arrivato fino al mio cuore arido. E forse alla fine quello che conta è questo.
Che piaccia o meno questa è la mitologia moderna, e la portata di persone accorse a vederla finire, almeno in parte, lo dimostra. Ieri al cinema i bambini erano silenziosissimi e commossi, e io il cinema che fa questo effetto lo difenderò per sempre.

mercoledì 24 aprile 2019

Due figlie e altri animali feroci, Leo Ortolani

10:40
Due cose mi facevano desiderare ardentemente questo libro. Numero uno: sono molto affascinata dalle storie di adozione e quando il Dottore morirà e diventerò finalmente il Presidente del Mondo la prima cosa che farò sarà far adottare quasi chiunque. Numero due: esistono al mondo persone di un candore inspiegabile. Non sprovvedute, non ingenue, di certo non sceme. Solo, dotate di purezza e genuinità. Per qualche ragione, ho da sempre la sensazione che Leonardo Ortolani, detto Leo, sia una di queste persone. (E mi fa anche ridere fortissimo, ma quello è un altro discorso.)
Due figlie e altri animali feroci ne è la conferma.
Per leggerlo ho fatto una cosa da veri ricchi: ho comprato un libro nuovo in copia fisica. Non lo facevo da anni.
Era uscito per Sperling&Kupfer qualche anno fa, sparito dal catalogo e introvabile. Bao Publishing lo ha ripreso, rispolverato e ributtato fuori in una belle veste grande e cartonata, è uscito il 18 aprile se non sbaglio.
Santa Bao, prega per noi.


Leonardo e la moglie Caterina si sono lanciati in un percorso di adozione durato dieci anni. La chiamata è arrivata dalla Colombia, dove due sorelline di 3 e 4 anni erano pronte per mamma e papà: Johanna e Lucy Maria. Pregasi notare che Ortolani è parmense, quindi mio vicino di casa, quindi le bambine sono LA Johanna e LA Lucy e la cosa mi fa sorridere tanto. Il libro non è un racconto diretto della storia, ma è la raccolta delle mail che Leo mandava a familiari e amici dalla Colombia. Si tratta di un racconto intimo e sincero, di una cosa immensa come diventare genitori.
Ed è bellissimo.

Ci sono mille complicazioni legate all'adozione, e si vedono tutte. Non è un racconto che fa sembrare tutto in discesa, con la saccenza di chi "ce l'ha fatta" e ora sminuisce le difficoltà altrui. Tutt'altro. Le difficoltà si vedono e si leggono e non se ne fa mistero alcuno. Quello che passa, però, è il messaggio successivo: tieni duro, perché ne vale la pena.
Ortolani non si mette nemmeno nella posizione di dare consigli ai futuri genitori, ma ci mostra come si sguazza in un mare di novità senza che venga insegnato a nessuno come nuotare. E quello immagino sia spaventoso per tutti i genitori, non solo per quelli adottivi. Mentre quelli biologici però si portano a casa dall'ospedale un frugolino che non ha ancora capito di essere al mondo e finiscono per crescerci insieme giorno dopo giorno, quelli adottivi si trovano davanti umani in miniatura già composti. Hanno gusti, abitudini, un linguaggio, una vita prima di te. E tu devi sgomitare per entrarci dentro senza fare grossi danni.
Si percepisce, la delicatezza, in ogni lettera. Ma soprattutto si percepisce l'amore, che trasuda da ogni vezzeggiativo, da ogni lamentela, da ogni aneddoto. E soprattutto, il messaggio che sta nelle ultime lettere è un incanto: quando si adotta si fanno corsi, ci si prepara, si ascoltano i cosiddetti "teorici dell'adozione". Eppure ci sono cose che non si possono insegnare, e l'amore è la prima di queste. Sentirsi famiglia, un nucleo intero stretto che diventa rifugio contro tutto quello che sta fuori, e per creare una cosa così non ci sono teorici che reggano.
Il modo in cui Ortolani racconta il formarsi di questa fortezza è divertente (se avete mai letto qualcosa di suo lo sapete com'è, fa spaccare dal ridere, come dicono i critici seri), tenero e sincero.
Un regalo magnifico per chiunque stia per diventare genitore, biologico o meno, che non è mai troppo presto per iniziare a parlare di cacca.

lunedì 15 aprile 2019

Fiori per Algernon, Daniel Keyes

16:23
Quando ho iniziato a leggere Fiori per Algernon l'avevo detto: ero a pagine 5 e avevo twittato che sapevo avrei pianto.
Ho pianto ogni pagina. Tutte, tutte quante. Non mi era mai successo prima.


Charlie Gordon ha un severo ritardo mentale. La famiglia e la società lo hanno rifiutato, ma lui questo rifiuto mica lo ha capito, e continua a vivere la sua vita con curiosità ed entusiasmo. Per questo quando si presenta la possibilità di sottoporsi ad un intervento chirurgico sperimentale che potrebbe aumentare l'intelligenza di chi vi si sottopone, Charlie è il candidato perfetto.
Lo conosciamo attraverso i suoi racconti, quando il processo per arrivare all'intervento è ormai avviato, lo vediamo operarsi e diventare intelligente, intelligentissimo.
Il resto è da leggere.

Io mi sono sempre sentita stupida. Non ho ritardi diagnosticati, non ho difficoltà a leggere e scrivere, niente del genere. Ma ho sempre sofferto molto il sentirmi meno degli altri, la mia mancanza di competenze specifiche (non ho fatto l'Università), cose del genere. Si tratta di un tema a cui sono sensibile, tutto qua.
Ve lo chiedo per favore: se anche voi siete sensibili a queste tematiche, per qualunque motivo, giù le mani da Algernon.
Senza ombra di dubbio è un libro magnifico. Ma non si può mica piangere così. La lenta presa di coscienza di Charlie verso tutta quella che è stata la sua vita pre-intervento è di un doloroso che non si riesce a dirlo. Una vita intera di vessazioni e angherie, di vigliacchi umani pronti a prendersi gioco del prossimo più fragile, dell'amore di una madre rifiutato perché non si sono rispettate le aspettative, di famiglie distrutte. Mai prima di questa lettura mi era capitato di confondere così tanto vita reale e finzione letteraria. Ho dovuto ricordare a me stessa più volte che Charlie non esiste. Anche se esiste, magari non si chiama Charlie ma Mario, Paolo, Silvia, Giordana...esiste ogni giorno perché viviamo in un mondo di persone cattive e vili e disposte a tutto per la facilità di una risata, anche al sacrificare la dignità altrui. La propria mai, quella è sacra. Ma quella degli altri, avanti, prego, prendetene e mangiatene tutti.
Ecco, capito? A me Daniel Keyes ha sta rendendo una di quelle che 'i kani sono meglio dll personeeee' e dio me ne scampi. Però le persone di quel libro qui, tutte quante, sono reali al punto che nemmeno i buoni sono buoni. Al punto che nemmeno chi voleva aiutarlo, sto Charlie, in fondo lo considerava un umano come gli altri.
Quando Charlie diventa intelligente, però, ecco che non lo vuole più nessuno. Ma bestie immonde che non siete altro, ma ringraziate che questo non ha costruito una bomba e vi ha fatti tutti saltare in aria!
Scusate, mi faccio trascinare. Ve l'avevo detto che mi aveva preso sul personale.

In un romanzo classificato come fantascientifico c'è un'immagine delle persone dura e analitica, di come cambiano in base alla percezione che abbiamo di loro, di come loro cambiano in base alla percezione che hanno di noi. Di cosa ci serva davvero per essere amati (colpo durissimo per la sinceramente vostra) e di cosa la gente si aspetti dagli altri.
Il tutto con uno stile di scrittura che cambia in base alla fase in cui si trova il suo protagonista e che leggiamo con un affetto sconfinato.
Dolce Charlie, che male al cuore mi hai fatto.

sabato 6 aprile 2019

Noi

12:29
 Perciò, così parla l’Eterno: Ecco, io faccio venir su loro una calamità, alla quale non potranno sfuggire. Essi grideranno a me, ma io non li ascolterò. (Geremia, 11:11) 

Non ero sicura di scrivere un post sul nuovo film di Jordan Peele, perché ormai le recensioni singole su questo blog scarseggiano, ma mi sono innamorata, e questo posto qua è nato proprio per celebrare un amore grande, quindi eccoci qua.

Saltiamo la parte in cui vi dico la trama per passare al sodo.
Facciamo che sei un giovane regista. Facciamo che il tuo primo lavoro non è solo un esordio travolgente ma in generale un film che sarebbe incredibile anche in mani esperte. Facciamo che riesci a portarti a casa pure un Oscar alla sceneggiatura originale (che per un horror non è un buon risultato, è un miracolo) che guarda caso è pure il primo per un regista afroamericano.
Altro, Jordan?
Altro, perché quelli come te, se ho capito che tipo sei, non si accontentano. Quelli come te hanno milioni di cose da dire e nessuna paura di farlo.
Allora arriva Us, Noi, che ci è stato presentato con un titolo intrigante, una serie di poster da bava alla bocca e un trailer gustosissimo. Ti abbiamo aspettato come si aspetta l'arrivo del messia.
E tu, che sei un uomo di parola, non hai tradito né noi né le nostre aspettative, perché Noi è uno di quei film che si imprimono negli occhi e non se ne vanno più.


Potremmo stare qui ore a disquisire del vero significato del film, del suo finale e del suo sottotesto. Di cose da dire ce ne sarebbero. Il web è pieno raso di post, podcast, articoli di gente illustrissima che titola 'Us: Ending Explained', ma a me così sembra di fare un torto al film e al suo regista.
Non c'è proprio un bel niente da spiegare, c'è da sedersi sulle poltroncine di un cinema (disonore su di voi, sulla vostra famiglia e sulla vostra mucca se non andate al cinema per Jordan) e lasciarsi trasportare in un racconto magnifico.
Jordan Peele tutto quello che serve sapere l'ha messo nel film. Teorie, congetture, analisi, non fanno altro che sporcare l'esperienza, che invece è così genuinamente spaventosa che è un peccato incrinarla. Perché Us fa anche paura. Dando in mano le parti ad attori capaci e con un po' di luci sistemate a modino, ce la si fa discretamente sotto, per via di quell'inquietudine viscerale che solo occhi convincenti sanno trasmettere.
Non sono certo io a dovervelo dire, ma nel film ci sono Lupita Nyong'O ed Elizabeth Moss. Capirete da voi che a due come loro basta dare il la e queste diventano belve. Bastano gli occhi. La Moss ha poco tempo in scena ma le basta perché lei è una bomba e tutto quello che tocca diventa oro, come una specie di re Mida delle scene cinematografiche. Davanti allo specchio è spaventosa. Lupita è tutto il film. Pur essendo circondata di comprimari altrettanto brillanti, tra cui due ragazzini spaziali da tenere d'occhio, lei proprio viene da un altro pianeta. Eccezionale. Il suo viso fa mille minuscoli movimenti che la rendono enigmatica e complessa, basta un piccolo accenno di cambiamento e non si sa più chi è cosa. Nessuna parola le renderà giustizia.
Intorno a lei, i colori. Il film è molto, molto rosso, ovviamente. Poi però a volte è blu, e bianco, e beige e ogni singola inquadratura è stoppabile per diventare un quadro. Il paesaggio della spiaggia, la casa in penombra, quella sequenza finale...ha un gusto estetico il regista che incontra così tanto il mio da aver reso la visione del film simile ad un giro in un museo.
Alcune sequenze di Noi sono da esporre nelle pubbliche piazze. La scena di Fuck the police è da annali, ho dovuto combattere contro l'istinto di battere le mani. Il finale è da alzarsi in sala con la mano sul cuore.


Stateci voi a farvi domande sul Vero e Profondo Significato del Film, io sono impegnata a goderne.

mercoledì 3 aprile 2019

Cose di Marzo

14:27
Mi stavo scordando!
Confermandomi la professionalissima blogger che sono, arrivo ad aprile iniziato per raccontarvi le cose belle di marzo.


Il fil rouge del mio mese è stato il femminismo.
Sia chiaro, io sono femminista ogni giorno di ogni mese che passa, ma in particolare a marzo ho avuto visioni e letture orientate verso un tema piuttosto che un altro.

Per esempio, è stato il mese in cui ho scoperto Alice Munro.
Lo so che tutti i lettori veri e seri la conoscono da sempre, soprattutto per i suoi racconti. Io la conoscevo solo di fama, e solo a marzo ho letto per la prima volta qualcosa di suo. Ho cominciato proprio dai racconti, da Chi ti credi di essere? che è un insieme di racconti con la stessa protagonista, che a spizzichi e bocconi finiscono per raccontarne la vita intera in una sorta di formato ibrido tra il racconto e il romanzo.
Rose è prima bambina, poi adolescente e infine donna, e noi attraversiamo ogni fase con lei, vedendola crescere e affrontare problemi diversi per ogni età, e la vediamo attraverso il racconto onesto e privo di fronzoli della sua scrittrice, che esplora difficoltà e problemi di una vita comune, che in quanto tale sentiamo vicinissima. Un racconto di donna completo e sincero, che non addolcisce né indurisce quello che significa essere una donna alla ricerca di sé e della propria indipendenza oggi, ieri e sempre.

Al cinema è stato il mese di Captain Marvel, che non mi ha detto niente né lasciato niente, ma che ha avuto ovviamente un ruolo nel ricordare alla maschilistissima community geek che non solo le donne esistono, ma che vogliono essere protagoniste. Anche di film mediocri con poco da aggiungere alla mitologia MCU. La sola cosa che mi ha urtato di questo film è che lo sappiamo tutti che Brie Larson è molto, molto più brava di così. Mi è sembrata sottotono e mi dispiace molto.

La grande novità del mio mese, però, è stata la stand up comedy, il che è già una barzelletta così perché io ho sto blog da mille anni e da mille anni dico che non mi piace la roba che fa ridere. Invece, complici la nostalgia per Mrs Maisel e Ellen Nostra Signora DeGeneres, mi sono messa a guardare le comedian su Netflix. E da lì, la rivelazione: non è che non mi piace la comedy, è che non mi piace quasi mai quando a farla sono gli uomini. Ne parleremo in un post a parte, perché me le sto sciroppando tutte quante come una pazza.

Per quanto riguarda le serie tv, a marzo è stata la volta di The Umbrella Academy. Anche di quella parleremo in un post a parte perché voglio leggere il fumetto prima di scriverne, ma voglio dire solo una cosa. Se avete visto la serie, venite qui. Abbracciamoci. Lo so. Klaus manca a me.

Infine, già che si parla di femminismo: potrebbe essere interessante un post su tutti gli account a tema che seguo sui social? Esula un pochino dagli argomenti principali del blog, ma insomma, io chiedo.


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