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giovedì 19 ottobre 2017

It

08:33
Avevo accolto la notizia di un nuovo It quasi tiepidamente. Non che fossi scettica, solo che non ero partita a mille, ecco.
Poi il film è uscito all'estero, con un anticipo ridicolo rispetto all'Italia, ed è uscito con il B O T T O.
Cifre astronomiche. Per un horror, quasi fantascienza.
Dopo lacrime di commozione e sempre crescente frustrazione legata all'attesa, il mio spirito, che nell'intimo è ancora un pochino cinico, ha immaginato che almeno il 60% del pubblico fosse composto da haters preimpostati pronti ad assaltare lo schermo con le balestre al grido di 'Tim, this is for you', citando la Donatella Versace nell'omaggio al fratello.
Invece anche questa volta la soluzione era la più facile: sono andati a vederlo tutti perché It è bellissimo.

Quando ho visto il titolo uscito così volevo piangere di bellezza


Dando per ovvio che conosciate almeno a grandi tratti la storia, passerei direttamente oltre. Se per caso invece non la conosceste, per favore, non cercatela. Lasciate che l'esperienza vi entri sotto la pelle perché vi garantisco che una volta sguinzagliato il pagliaccio, non ve ne libererete mai più.
It rappresenta un rito di passaggio nella vita dei lettori. Letto da giovanissimi, poi, è proprio un momento di separazione, perché dopo il romanzo di King la vita da lettori non è più la stessa. Chi l'ha letto da giovane ricorda distintamente il prima It e il dopo It. Io ricordo il primo giorno che ho visto il volumone in biblioteca, l'ho guardato per mesi prima di trovare il coraggio. Il punto veramente eccezionale, però, è che quando lo si rilegge (perché lo si rilegge...) magari si presta più attenzione ai dettagli, si va più in profondità, si analizza di più, ma delle cose importanti non cambia niente. E con cose importanti del mattone da combattimento kinghiano intendo la paura e l'amore.
Fingendo che la serie 1990 non esista, il film aveva tre possibilità: topparle entrambe, perché il rischio c'era, prenderne una e mollare l'altra, oppure, in una sorta di miracolo mariano, azzeccarle entrambe regalando un'esperienza impareggiabile.

Muschietti è al suo secondo film. Potevamo tutti tremare all'idea che toppasse, l'esperienza non era dalla sua. Invece Andy ci insegna che a volte non sono l'età o il curriculum a fare la differenza, ma l'intelligenza. Se già con Mama (fatta eccezione per la fine) a me aveva intrigata molto, adesso sono alla sua mercè. Fai di me quello che vuoi Andy, perché io ti amo. Ha ballato alla perfezione nell'equilibrio perfetto di un romanzo magistrale, che non solo faceva paura, ma che dava un calore impareggiabile. Il gruppo dei Perdenti è il vero punto di forza del romanzo. Bambini e basta, di un realismo che solo King, nel suo sempre splendido modo di parlare dell'infanzia, avrebbe potuto creare.

Nel film di Muschietti i Perdenti sono eccezionali. Oltre ad essere dei faccini da tenere sotto controllo singolarmente, perché sono stati tutti davvero bravi, sono stati un gruppo eccezionale. Bambini senza alcuna pretesa di eroismo, che hanno sincera paura e motivazioni non sempre altissime (la vendetta è molto presente), che vengono feriti, malmenati, sconquassati, sottomessi. Ma che si rialzano sempre, benda a coprire la faccia masticata e si torna a combattere. Sono bambini imperfetti, pieni di ansie e prese in giro sulla mamma, ma si vogliono un bene grande, tanto grande da superare l'istinto di sopravvivenza base. E il fatto che siano così cristallini dentro non era affatto scontato, perché come King fa sempre, e come Muschietti ha rispettato, tutti loro hanno alle spalle adulti di riferimento ben poco funzionali al loro ruolo di educatori. Gli adulti di It sono inesistenti, inutili, oppure dannosi. Non servono a niente nel caso, a cui comunque non crederebbero, e non sono di alcun supporto a dei bambini che stanno vivendo un'esperienza tremenda.

Ecco, l'esperienza tremenda. Quella, non preoccupatevi, la vivrete anche voi. Peché Muschietti non ha alcuna intenzione di farvi uscire sereni dalla sala: It fa una paura del demonio. Se già avevamo capito che Skarsgard era bello bello in modo assurdo dalle foto promozionali, qualcuno si era scordato di dirci che è anche mostruosamente bravo. Il suo Pennywise ha una mobilità eccezionale, un volto indimenticabile e, nel complesso, tende a farti salire una pellicina d'oca che te la levi forse forse la mattina dopo. Se dormi bene.
Siccome sappiamo da esperienze precedenti che una buona performance da sè non conta troppo se la sporchi di cacca tutto intorno, qui Pennywise viene quasi lodato. Il film ruota intorno a lui, viene valorizzato ogni suo piccolo sguardo, ogni suo movimento è sacrosanto. Intorno a lui è ricamata un'atmosfera spaventosa, che non fa niente per portare sollievo, neanche durante i momenti leggeri tra i ragazzi. Pennywise è sempre sullo sfondo e si fa proprio in modo di non farcelo dimenticare mai.
La scena del primo ingresso dei Perdenti nella casa di Neibolt Street è una scena lunghetta e piena, PIENA, di tensione. Non si molla un colpo, le sequenze spaventose sono una successione infinita che non dà un istante di tregua. È perfetta.

Si ride tanto, con questi Perdenti, e se non gli si voleva bene prima si esce dalla sala col cuore colmo di affetto. Poi, però, quando ti avvicini al corridoio luminoso del multisala è inevitabile voltarsi indietro preoccupati, It ha fatto il suo lavoro e ha fatto paura.
Tutto quello che gli serve per sopravvivere.

lunedì 11 settembre 2017

Vampires! - I ripescati

13:47
Abbiamo concluso la prima parte della rassegna, quella dedicata a Dracula. Prima di proseguire con tutti gli altri succhiasangue, però, mi pareva giusto dare una ripassata a quei film che sono già stati recensiti sul blog e che hanno voglia di tornare ad essere chiacchierati.



ONLY LOVERS LEFT ALIVE - Jim Jarmush



Ai tempi della visione mi aveva folgorato. Lento, tormentato, con una colonna sonora da peli rizzati sul collo, Only lovers left alive è uno dei miei film preferiti, perché sono ancora l'emo maledetta che ero a 15 anni.
I vampiri del film di Jarmush (che dopo Paterson si è confermato una delle mie persone preferite al mondo) sono artisti, amanti dell'arte e del bello, e si procurano il sangue in modo tutto sommato etico. Adam, però, il vampiro di Hiddleston, non riesce a convivere serenamente con la sua condizione, valuta il suicidio, e richiama a sè Eve, una Swinton allarmata. La coppia Swinton - Hiddleston è una di quelle che non si scordano, lei perfetta ovunque la metti e lui di una bellezza di quelle che mi cavano il fiato, in questo film soprattutto.
Intorno a loro, un mondo in cui gli umani sono ormai tutti contaminati e dal sangue imbevibile, una parente pericolosamente vivace e Christopher Marlowe. Sì, quel Marlowe lì. È tutto strepitoso.
Quindi, ascoltate me: se il fatto che Only lovers sia un film splendido non vi convince a vederlo (e dovrebbe, è davvero un incanto, in cui il tormento della condizione di vampiro viene assaporato in ogni doloroso istante), lasciate che con una immagine vi convinca di quanto sia il film di cui avete senz'altro bisogno:

Non ringraziatemi.

LASCIAMI ENTRARE - Tomas Alfredson



Altro giro, altro preferito.
Let the right one in, visto la prima volta quasi per caso, mi ha scavato una buca nel cuore e lì è rimasto da allora. Devo essere particolarmente sensibile ai vampiri colmi di senso di colpa, altrimenti non si spiega.
In questo caso la vampira è Eli, una ragazzina che vive in Svezia con suo padre e che fa amicizia con Oskar, un vicino di casa della sua età. Suo padre la aiuta a procurarsi di che sopravvivere, ma la condizione in cui vivono li sta mettendo a dura prova entrambi. Oltretutto, gli omicidi che lui commette per nutrire lei non passano inosservati, e la faccenda di complica.
Non che Oskar sia messo meglio, comunque. Tormentato dai bulli a scuola, sogna di ucciderli per avere vendetta. Ecco che allora, nel glaciale clima nordico, il calore arriva solo dalla nascita di qusto rapporto, così profondo e genuino da annebbiare il resto.
Eli è una vampira piuttosto convenzionale, non tollera la luce, può volare e ovviamente non entra nelle stanze se non è invitata a farlo. Quando Oskar la sfida e lei soffre terribilmente io ho sofferto con lei. Il coinvolgimento è totale, l'affetto tra i ragazzini è tale che anche noi ne restiamo coinvolti in un modo che prosegue dopo la fine della visione, quando si riaccendono le luci e si torna alla normalità.
Purtroppo non ho letto il romanzo da cui è tratto nè ho visto il remake americano, ma vorrei davvero che in mezzo a vampiri mostruosi, ad assetati assassini senza scrupoli, trovaste il tempo per calmare le acque con questo gioiello.
Il cuore ne uscirà appagato.

30 GIORNI DI BUIO - David Slade



La mia reazione a caldo sul film di Slade era stata non dico entusiasta ma quasi soddisfatta.
I 30 giorni di buio del titolo sono quelli che colpiscono il Circolo Polare e che vengono intelligentemente sfruttate dai vampiri per andare a fare le scorte per l'inverno. La cittadina colpita è Barrow, in Alaska. I cittadini sono quasi tutti andati via, e i pochi che restano (tra cui lo sceriffo Josh Hartnett e sua moglie Melissa George) devono sopravvivere all'attacco dei succhiasangue.
Dimenticate la finezza dei vampiri dei due film sopra: qua le creature sono macchine da guerra, mostri assetati di sangue e con nessun rimasuglio di umanità. Tra le due tipologie, quindi, quella che mi piace di meno.
La soddisfazione iniziale è andata lentamente scemando nel corso del tempo, facendo finire il film nel Dimenticatoio dei Film Mediocri. C'è dell'azione, dei vampiri sanguinari che magari a qualcuno possono soddisfare, ma col tempo mi ha lasciato molto poco.
Adatto magari ad una serata cazzona con pizza e birra, che vengono sempre completate come si deve dalle botte da orbi. C'è però poco altro.

CRONOS - Guillermo Del Toro




Il primo incontro di Sua Maestà GDT con i vampiri ha prodotto un film particolarissimo. Non che la cosa sia sorprendente, ma come di consueto Del Toro ha deciso che a lui i vampiri comuni non interessavano granchè e quindi ne ha creati di nuovi. Ciò che porta alla necessità di assumere sangue, in Cronos, è un antico dispositivo in grado di dare a chi lo utilizzi la vita eterna. Siccome i regali non si fanno mai per niente, però, ecco che le lievi cointroindicazioni del dispositivo emergono: vita eterna ok, ma da vampiri. Jesus, un antiquario che ha trovato il dispositivo per caso, ne fa uso e ne trae istantaneo beneficio. Dispositivi di questo genere, però, restano al sicuro per molto poco tempo, e infatti Jesus viene presto cercato da qualcuno di interessato alla vita eterna.
Qui del vampiro canonico manca tutto, se non la sete di sangue e l'intolleranza alla luce. Questi elementi che ci sono, però, ci vengono raccontati in scene indimenticabili, buttati lì come un accenno e invece tatuati nella mente.
GDT fa così, senza gridare si impone al mondo con questo primo film, finendo inevitabilmente, come merita un talento sfacciato come il suo, nel panorama dei Grandi.
E il tutto con una blatta d'oro che ti rende immortale.
A voi l'onore di riuscire a replicare.

THE HAMILTONS - The Butcher Brothers



Se dopo avere visto 30 giorni di buio ancora non avete sonno e vi va ancora qualcosa di sanguinario, ecco che i Butcher Brothers vi servono The Hamiltons. 
Gruppo di fratelli alquanto bislacchi si rivela ancora più bislacco di quanto già non ci sembrasse ad una prima visione. Quasi quasi il fatto che siano vampiri è il meno.
Indifferenza totale verso questo film, che dopo la visione è finito inesorabile nell'oblio.

A GIRL WALKS HOME ALONE AT NIGHT - Ana Lily Amirpour



Ho aperto la carrellata di film già presenti nel catalogo gentilmente offerto dalla casa con due incanti. In modo diverso, il film di Jarmush e quello svedese mi avevano sciolta, volando alti alti nell'Olimpo delle Belle Visioni. Non ci finiscono tutti i bei film, badate bene, solo quelli belli belli in modo assurdo.
Accanto a loro sta questo piccolino qui, un film iraniano in bianco e nero, che è passato quasi inosservato tranne che agli occhi attenti dei grandi appassionati.
È stata una visione inaspettata, quasi casuale, ma preziosissima. La Amirpour è delicata ma decisa, come la sua vampira, coperta da un enorme chador che assume tutt'altro significato.
Indimenticabile.

Tutto sommato negli anni scorsi ero caduta sul morbido. Mi sono lanciata quasi sempre in visioni confortanti, che per qualche motivo sapevo mi sarebbero piaciute e sono di rado uscita dalla comfort zone.
Che vita facile.
Poi è arrivato Nosferatu, e la facilità è scappata dalla finestra.

martedì 5 settembre 2017

George Romero Day - Il giorno degli zombi

15:41
C'era una volta George Romero.
C'era, e oggi non c'è più. Ci ha salutati a luglio. Lui e la sua deliziosa faccetta andavano commemorati, e quando con gli altri blogger ci si è organizzati per questa giornata non mi sono tirata indietro.
Pausa ai vampiri, quindi, per oggi.
C'è un Maestro da omaggiare.



Il giorno degli zombi narra di un mondo completamente in rovina. Non abbiamo assistito all'apocalisse z, ne vediamo solo le conseguenze. Gli zombie sono ormai padroni del mondo e i pochi umani superstiti vivono sottoterra. Conosciamo gli abitanti di una base militare, in cui un gruppo di scienziati, con l'aiuto di alcuni militari, sta lavorando sulla possibile soluzione al problema dei ritornanti.


Per questa recensione commemorativa avrei potuto scegliere La notte dei morti viventi. Sarebbe stato facilissimo perché sarebbe stato niente più che un altarino di parole ad uno dei miei film preferiti di sempre. La cattiveria del finale de La notte, però, è stata presa, dilatata un po', aggiustata qua e là, e messa ne Il giorno degli zombi. 
Davvero, se è una brutta giornata, se non vi sentite benissimo, se avete perso la fiducia, guardate altro per l'amor di dio che non voglio avervi sulla coscienza.  Perché il terzo film del ciclo degli zombi è di un pessimismo estremo. Non pensate che vi siano segnali di miglioramento, di speranza, di happy ending. Non c'è NIENTE, NIENTE di positivo in questo film maledetto. Non un momento di respiro, di leggerezza (e quelli che ci sono, brevissimi, sono di un'amarezza spaventosa), mai uno spiraglio di luce. Il mondo è perduto e noi con lui.

I due grandi mondi ritratti nel film ne escono annientati. La scienza, che diventa ossessione, non guarda più in faccia nessuno, si fa beffe di qualsiasi etica e punta dritta all'obiettivo, regalandoci con il personaggio di Bub una delle scene più strazianti mai viste in un film sui ritornanti. Se però è chiaro che gli uomini di scienza ci vengono comunque presentati come 'i buoni' (ammesso che simile scemenza esista), per i militari davvero non c'è pietà. Sono barbari, sporchi, malvagi, egoisti fascistelli con un chiaro microcefalo, un po' troppa patata in testa per il contesto in cui sono e ben poco rispetto per il prossimo. Avesse potuto avrebbe diretto il film con ACAB scritto in fronte col sangue finto.

Estremo, di un gore notevolissimo che non lascia indifferenti, con un inizio storico e una posizione precisissima e nessuna paura di urlarla al mondo, Il giorno degli zombi mi pareva il modo migliore per salutare George Romero.

Negli ultimi 50 anni abbiamo avuto un film sugli zombi di Romero indicativamente (molto indicativamente) ogni 10 anni. Ha visto la società cambiare, non sempre in meglio, e, con lo sguardo acuto dei più intelligenti tra noi, l'ha criticata violentemente, con secchiate di sangue e viscere allo scoperto. Vederli oggi è interessante non solo perché sono film eccezionali, ma perché conosciamo la storia avendola vista da occhi esterni, quelli del futuro.
Avere la possibilità di guardare il marcio di oggi attraverso i suoi occhi sarebbe impareggiabile.
Un privilegio di cui siamo stati privati.
C'è una sola fortuna, in tutto ciò.
Gli uomini non cambiano mai.






I miei amici che insieme a me oggi ricordano quello che GR ci ha lasciato:

Delicatamente Perfido - La notte dei morti viventi

White Russian - La terra dei morti viventi

Non c'è paragone - La città verrà distrutta all'alba

Combinazione casuale - Martin

Una mela al gusto pesce - Bruiser

Pietro Saba World - Monkey Shines - Esperimento nel terrore

The Obsidian Mirror - George of the dead

Bollalmanacco - La metà oscura

lunedì 24 luglio 2017

The Craft

12:27
La cosa più importante di Netflix è guardare le cose al primo desiderio, altrimenti il balordo le toglie dal catalogo e tu resti a bocca asciutta. Seguendo questa fondamentale regola per vivere bene, mi sono vista Giovani streghe, prima che fosse troppo tardi.



Le giovani streghe del titolo italiano (che sembra studiato apposta per non farsi prendere sul serio) sono tre amiche che frequentano una scuola cattolica di Los Angeles. Quando Sarah si trasferisce nella scuola le tre amiche capiscono subito che lei è la persona adatta a diventare il quarto membro necessario a chiudere il cerchio. Bonnie, Nancy e Roshelle, infatti, sono appassionate di stregoneria, e il quarto membro è necessario per acquisire a tutti gli effetti dei poteri.

Sense8, stagione due. Al matrimonio della sorella, Nomi tiene un discorso in cui blasta furiosamente la madre, e se ne esce con un notevole 'Be careful what you wish for, mum.', che secondo me è il riassunto perfetto di The Craft. Le ragazze sono, appunto, solo ragazze, con desideri comunissimi e che cercano il mezzo più semplice per realizzarli.
Ognuna di loro ha un problema, che chiede a Manon, la divinità di riferimento, di risolvere. Amori non corrisposti, problemi fisici, acerrime nemiche da punire. Non voglio sminuire i problemi che sembrano così assurdi quando si hanno sedici anni. A quell'età e in quel contesto (le solite scuole americane), un compagno che non ricambia è la fine del mondo. Un lieve difetto fisico diventa invadente, come se non ci fosse altro. Ci sta allora che le richieste principali delle ragazze siano di natura leggera.Però c'è anche, come nel caso di Nancy, una vita disastrata da ricostruire. Non è un caso allora che sia proprio Nancy quella più legata a Manon e alla possibilità che quest ultimo ha da offrirle, perchè se per le altre si tratta di problemi più legati all'adolescenza, quelli di Nancy sono problemi di una vita intera. Fallire significa perdere ogni speranza in un futuro sereno, e lei non può permetterselo. Il cerchio è la sua unica chance.
Vedere quindi l'ultima arrivata, Sarah, noiosa e conformista, essere dotata di potere reali, e sprecarli per avere le attenzioni di un microcefalo, non deve essere stato facile. Eppure, quando come previsto il microcefalo ha mostrato a Sarah la sua microcefalia, Nancy è stata l'unica a prendere il due e andare a rivoltargli la faccia. Perché di solito è così, è proprio chi soffre di più a voler risparmiare ad altri la sofferenza. E Nancy, oltre che per gli scopi personali, è la prima a credere nell'importanza dell'unione con le amiche, stregoneria o meno.

Non è che Roshelle e Bonnie fossero inutili, è che è parso evidente dal primo momento come il centro del film fosse la 'diatriba' tra la buona e potente Sarah e la carismatica e problematica Nancy. Non crederò mai, MAI, che un solo spettatore abbia potuto mai tifare per Sarah.

lunedì 3 luglio 2017

The devil's candy

16:06
Oh, Sean. La blogosfera lo diceva che eri tornato, ma io li ignoravo. Li ignoravo perché sono scema, e oggi sono qui a pentirmi del mio essere scema prostrandomi ai tuoi piedi con questo post.
Ti vogliamo tutti molto bene e siamo molto grati tu esista.




Lo Sean con cui parlo è Sean Byrne, che qualche anno fa mi ha causato una bella notte insonne con il suo The Loved Ones, e che a quanto pare fa solo film (belli) con titoli bellissimi.
In questo, Liz di Roswell è sposata con un pittore, con il quale ha una figlia, Zooey. I tre comprano una casa nuova, ma fin dalla prima sera la loro tranquillità è disturbata da un omone che si presenta alla loro porta, sostenendo di essere il figlio della coppia morta in quella stessa casa tempo prima.

Poco tempo fa, parlando di The town that dreaded sundown, ho detto cosa mi piace di alcuni horror recenti. Dicevo che amo come qualcuno (quelli più intelligenti) prenda elementi classici e canonici per rifinirli, risistemarli, smussarli, per regalarci un'esperienza tradizionale ma allo stesso tempo innovativa.
Ecco, abbiamo un nuovo nome da aggiungere all'elenco.
The devil's candy parte da una premessa che conosciamo come le nostre tasche: famiglia compra casa, in casa c'è stata una tragedia, papà è quello che la 'sente' di più.
Amityville, certo, ma anche quel signorino sconosciuto di Shining.
Ora, non è che adesso mi metto a fare paragoni giganteschi, ma il film di Byrne mi ha commossa tantissimo, e un horror non mi commoveva (?) da tempo.
Andiamo con ordine, però.

La casa nuova. Elemento principale di questo sottogenere, a volte è quasi un personaggio del film. L'Overlook lo era, era protagonista. Qua no, la casa è solo un pretesto. Non è una di quelle incantevoli magioni vittoriane per le quali la sottoscritta perde la testa in tempo record, no no. È una bella casona, ma anonima, senza alcun valore se non quello di essere una gran fonte di gioia che poi si trasforma in disgrazia.
La famiglia. Ogni recensione di questo film che esista nel web parla di quanto incantevole sia questa famiglia. A costo di ripetermi, i tre sono uno spettacolo. Imperfetti, uno schiaffo in faccia agli ideali borghesotti che ci vengono spesso schiaffati in faccia, ma pieni di un amore limpido e genuino, legati da un rapporto quasi amicale. Empatizzare e non soffrire con loro è impossibile.
Elemento demoniaco, perché c'è. Partendo dal presupposto che se anche solo si fa intuire alla lontana che Big S è coinvolto io me la facio addosso preventivamente, il film è furbo e lo usa solo come 'voce nella testa'. Conseguenza? Ancora più paura. Sipario.
Cattivo e violenza sono inversamente proporzionali. Tanto più il personaggio Pruitt Taylor Vince è ripugnante e colmo di disagio, allo stesso tempo Bryne si prende la libertà di non mostrarci niente di sconvolgente dal punto di vista del sangue. Non che non ce ne sia, ma lui non ha bisogno di farci sbarrare gli occhi dallo sgomento.
Ci ha fatto spalancare il cuore, e quello è molto, molto più difficile.

lunedì 12 giugno 2017

The town that dreaded sundown

11:17
Ogni volta che negli ultimi mesi ho aperto un sito di streaming, per scegliere il film da vedere, sono incappata in questo. Mi dicevo che il titolo era un gran bello ma poi lo lasciavo lì, e mi lasciavo prendere da altro.
Oggi mi sono decisa.



Texarkana è una città che si trova sul confine tra Texas e Arkansas. Negli anni 40 era stata vittima di una serie di brutali omicidi, per mano di un serial killer chiamato Il Fantasma. 60 anni dopo Il Fantasma è tornato.

Ho questa impressione, che potrà essere confermata o smentita dagli amanti del cinema in senso più 'tecnico' di me: negli ultimi anni sono spuntate pellicole che hanno una grossa caratteristica comune e che alla fine della fiera si sono rivelati alcuni tra gli horror migliori del periodo. Prendono gli elementi 'canonici' di un particolare sottogenere (lo slasher regna incontrastato), li mettono tutti bene in fila su un tavolo, poi si lanciano sul tavolo e fanno l'angelo con le braccia e le gambe per spostare tutti questi elementi e rimescolarli, dando loro nuova luce, nuovi significati, pur rimanendo fedeli alla loro natura.
Il primo film che ho notato (nella mia ignoranza) fare questo giochino è stato Quella casa nel bosco, osannato come l'horror dell'anno del 2012 (che aveva comunque altre uscite interessanti). Ci sono stati poi It follows, The final girl, e, oggi, The town that dreaded sundown. Dove con oggi intendo tre anni fa, ma ci siamo capiti. Quest ultimo, in particolare, non è solo una rivisitazione di un genere che sembra essere il più diffuso anche tra chi gli horror non li guarda, ma è anche un monumento al film di cui è remake e che io, colpevole, non ho visto. Il film del 1976 è in tutto e per tutto un personaggio fondamentale del suo remake, rendendo quello del 2014 un film intrigantissimo. È metacinema felicissimo di esserlo. 
Oltre a ciò, è anche uno slasher con tutti i crismi, con il villain con la maschera, le morti violente e tutto il resto, sempre per quel discorso che gli elementi classici non vengono toccati ma solo riadattati. 
Ma la cosa più importante, che se vogliamo essere onesti nel mio cuore batte tutto il discorso sopra, è che The town that dreaded sundown è un film bellissimo, pieno di colori e movimento, 
E tanto mi basterebbe. Se poi c'è anche il resto, beh, io non mi lamento.

lunedì 22 maggio 2017

Get out

11:25
È successo di nuovo. È arrivato il film chiacchieratissimo, pompatissimo, discussissimo, il film fulcro del 2017, senonlovediseinessuno.
La cosa più importante della massiva campagna pubblicitaria che ha anticipato l'arrivo di Get Out è che il film è bello per davvero.



A meno che non viviate sulla Luna (fortunelli), la trama la conoscete. Agli alieni in ascolto la racconto: Chris è un ragazzo che deve sottoporsi alla tortura di andare un weekend a conoscere la famiglia della fidanzata Rose. Come se questa non fosse già una trama sufficiente ad un grande film dell'orrore, ecco che la famiglia si rivela ancora più bizzarra della media delle famiglie comuni.

Dal trailer buona parte della questione è comprensibile, ma non fatevi ingannare: la vera storia è meno prevedibile del previsto, soprattutto nella sua parte conclusiva. La cosa davvero bella, però, è che il film è disseminato di frecciatine, riferimenti, doppi sensi, divertentissimi e intriganti. È impossibile restare indifferenti, giocare a chi capisce prima cosa succeda è inevitabile. Guardarlo a casa è quasi consigliabile, soprattutto in compagnia e soprattutto con soldi da scommettere. Io perderei tutti i miei averi perché non capisco mai niente, ma tant'è.
Si parte con un cervo investito, e da lì è tutto in discesa. La tensione inizia ben prima di arrivare a casa della famiglia di Rose, un po' perché ci si arriva carichi delle immagini di cui siamo stati sommersi e un po' perché effettivamente il film è molto rapido nel dirti che qualcosa non andrà bene.
Il cervo è solo il primo dei presagi di malasorte.
Guardato poi con occhi provati dall'aspettativa, ogni frase, ogni immagine, ogni scena è una guida verso il male che accadrà, e il film non fa proprio niente per impedirlo. Chris vive la situazione dall'interno e ci mette un po' a vedere che qualcosa di storto c'è, ma noi siamo lì proprio per aspettarlo, e vediamo il marcio in ogni cosa.
Non che ci sbagliamo, comunque.
Questo gioco tra la consapevolezza dello spettatore e quella del protagonista, che abitualmente mi fa venire in mente nomi ben più conosciuti di quello di Peele, che è al primo film, a me ha soddisfatto tantissimo. Da tempo non mi attaccavo allo schermo con uno sguardo così coinvolto, da tempo non volevo urlare al protagonista di non andare da quella parte.
Con l'inserimento dei due servitori di colore, poi, ho toccato le stelle. Inquietanti il giusto senza mai scadere nello strepitio del 'Ehi! Lo vedi che qualcosa non va? Non siamo proprio normali!', ma con il giusto equilibrio di normale bizzarria umana e lieve eccesso della stessa.
Ad un certo punto, poi, mentre già ero lì che sfregavo le mani dalla soddisfazione, ecco che compare Caleb Landry Jones. E allora, in quella sala mezza vuota, avrei voluto alzarmi in piedi ad applaudire, perché é BRAVO BRAVO BRAVO e a me quelli bravi bravi bravi rendono felice.

La cosa migliore, però, e mi rendo conto che qui si toccano i gusti personali, è che il film sceglie di non farci vedere le mazzate in testa, ma di deviare in qualcosa di simil-paranormale, in una delirante conclusione che però, a me, è piaciuta da impazzire. Inaspettata e folle, prende per il collo i nostri privilegi bianchi e, prendendoci abbondantemente per il sedere, li rispedisce al mittente, senza privarci di un po' di sana umiliazione.
Con It a ottobre è difficile parlare di film dell'anno, almeno tra quelli che usciranno in sala, ma oh, io son proprio contenta.

lunedì 8 maggio 2017

Fantasmi

18:38
Il giorno che per tutti è fonte di angoscia e tremori è il mio giorno di riposo.
Avrei potuto sfruttare la bella giornata di sole uscendo a fare due passi, godendomi un libro, guardando un film di Wes Anderson che ti rimette in pace con l'universo.
No, Coscarelli.


Phantasm parla di Mike, un ragazzino di 13 anni che ha perso da poco entrambi i genitori. Vive con il fratello maggiore, Jody, e vive nel terrore che anche lui lo lasci. Per questo, lo segue ovunque, ed è proprio durante uno dei suoi inseguimenti, mentre Jody è ad un funerale, che Mike scopre che il becchino del paese per qualche motivo si porta via le bare con i defunti.
È chiaro che non ne fa un uso, diciamo, legittimo.

Mi accorgo che sto guardando un film Grande, aldilà della fama che lo precede, quando c'è un dettaglio, o una scena, che mi colpisce in particolare. Qua potevano essere mille cose, il tono sempre in bilico tra il reale e l'onirico, l'atmosfera così malsana e lugubre (siamo spessissimo al cimitero), quel Tall Man così sinceramente inquietante.
Invece no, a colpirmi questa volta sono stati i suoni. Non solo la colonna sonora, che si piazza nel lobo frontale come una trapanata, per non mollarvi più, ma proprio tutti i suoni e i rumori del film, a partire dai suoni sinistri che Mike sente nel suo primo giro al cimitero in moto, e che poi si riveleranno essere i versi dei nani malefici (Coscarelli peraltro profeta dei giorni nostri che ha usato nani malefici in un film ben prima della notorietà del capostipite della specie: Berlusconi).
Ci sono poi i passi che risuonano in quella villa modesta e discretissima, il rumore delle lame che escono dalla sfera maledetta, le voci, le canzoni.
Sono pazza? È una sensazione che ho avuto solo mia? Ho trovato una versione del film particolarmente felice con l'audio migliroe mai sentito in un film con la sua età? O forse davvero una buona parte del fascino (indiscutibile nel modo più assoluto) di tutta la pellicola sta nella paura che mette con l'uso superbo che fa del sonoro?
Perché quel finale lì, che abbiamo visto un milioncino di volte e che è stato anche l'argomento della mia tesina di maturità, fa mille volte più effetto quando ci si arriva così provati.

Poi possiamo anche parlare della camminata spaventosa del Tall Man, se volete.
Oppure della combo micidiale delle due cose, e invece che parlarne ce la facciamo sotto e basta.

lunedì 24 aprile 2017

Under the shadow

10:06
Io e l'horror, mio compagno fedele dai tempi dell'infanzia, siamo stati per un po' in rotta. Nel periodo di lontananza da internet non ho visto niente, letto niente, scritto di niente. Siamo stati così, un po' lontani l'uno dall'altra, nella speranza che lo storico amore che ci lega ci riavvicinasse.
Non so niente delle novità, non ho ancora tempo di leggere altri blog come invece vorrei e quindi mi sono ritrovata, il giorno di Pasqua, a bazzicare per Netflix (ma va?) senza idea di cosa guardare.
Spunta Under the shadow. (O meglio, spunta L'ombra della paura ma noi fingiamo che il titolo italiano non esista).
Vi racconto una cosa: come tutti, mi piace l'idea di passare la vita a viaggiare. Ma se ci sono luoghi che mi fanno palpitare dall'attesa, che sogno ardentemente di visitare, sono i paesi del Medio Oriente. Mi rendo conto di dover aspettare un po', ma a me l'idea di visitare Israele, Iran e Iraq, la Turchia, tiene sveglia la notte. Eccoci allora al perché della scelta del film: Under the shadow ha una produzione tutta mediorentale. L'ultima volta che ci era piombato addosso un film di quelle parti c'era andata di lusso, il film era A girl walks home alone at night.


Siamo in una Teheran degli anni '80. Un medico viene convocato in battaglia, e lascia sole a casa la moglie e la figlia. Occupate a vivere la vita tra un bombardamento e l'altro, si troveranno ad affrontare una presenza che sembra avere scelto tempi e luoghi ideali per un'infestazione.

Messa giù così la faccenda sembra velocemente riconducibile ad una banalotta ghost story con l'aggravante della guerra. Non è così, ma proprio per niente niente niente. È un film che, non dimendicandosi di mettere qualche momento molto teso in giro tanto per non farci ammosciare sul divano (cosa che sarebbe impossibile in ogni caso, ma non si sa mai), prende due milioni e mezzo di tempi di un'importanza fondamentale e li mette in pellicola.
Al che ti chiedi, giustamente, se non ne sia uscito un minestrone. No, affatto.
Partiamo dall'inizio e vediamoli.
Shideh, la madre, è un'ex attivista politica. Dalla parte sbagliata, però, perché adesso la sua passione civile le impedisce di inseguire il sogno di sempre: diventare un medico. Le viene impedito di riprendere gli studi, distruggendo ogni speranza. Torna a casa, dove la aspetta una bimba, Dorsa. Il padre della bambina è a sua volta un medico, che se all'inizio sembra comprensivo nei confronti della moglie, con lo scorrere del film diventa più teso e severo.
Lui viene convocato in guerra e le donne di casa restano sole. Dorsa inizia a percepire una presenza, e se all'inizio Shideh dà la colpa alle storie spaventose che le vengono raccontate dagli amici, non passa molto prima che le visioni della bambina si facciano più invadenti.

Ora, io non sono una cima a cogliere le metafore. Cioè magari vedo un film, per qualche motivo lo apprezzo, poi finisco a leggere qualche articolo a riguardo, mi vengono aperti gli occhi su simbolismi e similitudini allora io faccio «Aaaaaaaaaahhhh, ecco!» e poi vado avanti con la mia vita.
Qua, insomma, mi pare tutto piuttosto palese. La quotidianità delle due viene lentamente smantellata. Se iniziamo 'solo' con finestre scotchate e corse in cantina, finiamo con il vedere frammenti della loro routine che vengono lentamente portati via. Verrebbe naturale pensare che la prima cosa a saltare sia la serenità, ma vi rassicuro: noi la serenità non la vediamo proprio. Inizia il film ed è già tutto un disastro, la presenza peggiora solo cose già messe male.
Spariscono cose più piccole solo in apparenza: una videocassetta, una bambola, un libro. Cose piccole, ma solo in apparenza. Cose che ci rendono normali, che rendono la nostra vita come quella di tutti gli altri, che ci restituiscono quel briciolo di umanità in un Paese che l'umanità la sta perdendo. Il tutto per condurre ad una scena finale, in quella cantina-rifugio, da pelle d'oca, con due donne ricoperte da un immenso chador. Questa sono riuscita a leggerla persino io, di metafora.

Non ho nemmeno parlato di tutti i risvolti femministi del film, perché ci hanno pensato i signori del Guardian: trovate l'articolo qui.
Da troppo tempo ero lontana dal genere che ha fatto nascere questo posto. Senza la fretta che ho avuto in questi anni mi rimetterò in carreggiata. Dopo questo infatti ho visto Hellions che è un bellissimo film TUTTO ROSA. Splendido.

lunedì 10 aprile 2017

Green Room

15:49
Conoscevo il talento di Patrick Stewart solo di fama. Quando sbaglio, io lo riconosco. (citazione altissima da Dirty Dancing). Poi l'ho visto in Logan, dove ha portato sullo schermo la migliore rappresentazione degli anziani che io abbia mai visto. E ne so qualcosa, ho lavorato in una casa di riposo. Me ne sono innamorata.
Leggendo cose su di lui, quindi, spunta questo Green Room, che oltre ad avere Steward ha la magica combo horror/musica. Se avete visto Deathgasm sapete quanta soddisfazione dia questa somma.


La musica in questione qui è il punk, ben lontano da quello che amo ascoltare. La band di protagonisti, però, è carina. Sono quattro tizi più sfigati di me (ed è tutto un dire) che prima perdono un ingaggio e poi vengono indirizzati verso una seconda possibilità che si rivela talmente pessima da far rimpiangere i concertini per anziani della festa dell'Unità.

Curioso che sia stata proprio la festa dell'Unità a venirmi in mente: il film parla di nazisti. I nazisti sono gli organizzatori dell'evento, e quando ad organizzare le cose sono quelli lì non è che puoi aspettarti un festone. Finito il concerto, non particolarmente riuscito, i nostri si ritirano, passano velocemente dal camerino e assistono ad un omicidio, che è una di quelle cose da cui non si esce proprio indenni.
E infatti.

Arrivati a questo punto sarebbe troppo facile far fare ai nazisti gli scimmioni senza cervello, in un filmone atrocemente esplicito come l'adorato Dead Snow, invece si sceglie una strada diversa. O meglio, non prendetelo troppo sottogamba perché se chiudo gli occhi rivedo un paio di scene e non perché ci fossero dei cuccioly, ma sappiate che non è il gore ad interessarci.
Mi piacerebbe tantissimo mostrare questo film a quelli che parlano dei clichè dell'horror, del nero che è il primo che muore, delle scelte stupide dei personaggi che tra l'altro devono essere tutti degli stereotipi altrimenti non se ne fa niente, cose così. Mi piacerebbe perché i personaggi di Green room non sono scemi per niente. Si fanno il sedere a strisce per sopravvivere, non cadono in balia degli eventi ma sono combattivi e scaltri, anche quando qualcuno finisce inevitabilmente per soccombere. Si soffre un po' a vederli in mano ai nazi.
Nazi che peraltro sono altri personaggi scritti in un modo da bacio in fronte. Al di là della presenza di PS che lascia gli altri nella foschia della sua ombra, a me questi cattivi sono piaciuti tantissimo. Sono pacati in un modo che innervosisce come poche altre volte mi era successo, all'inizio del film il loro atteggiamento era da sbatterci la testa contro il muro. Poi si passa alla violenza e allora la pacatezza viene accantonata, ma le prime scene mi stavano mandando al pronto soccorso.

In questo mio periodo d'assenza l'horror è il genere che, paradossalmente, ho trascurato di più. Ricominciare con un film del genere è stato come tornare a casa dopo una lunga assenza.

Amanti di Star Trek, raccomando cautela: il protagonista è Anton Yelchin e vederlo così carino e così bravo fa un po' male al cuore, oggi.

lunedì 6 febbraio 2017

Alien

18:35
In questo periodo che per me è stato di grandi recuperi, Alien pendeva sulla mia testa, la lacuna che mi causava più imbarazzo in assoluto. A volte molto semplicemente non mi sento all'altezza del Cinema quello grande con la maiuscola e quindi rimando. Solo che quest anno è morto John Hurt, che sebbene nel mio cuore sarà per sempre lo splendido Olivander, ho deciso di omaggiare nel mio piccolissimo lanciandomi nella visione di una delle mie più grandi soggezioni.

Inspiegabilmente manca il gatto

Protagonista di Alien è l'equipaggio del Nostromo, un'astronave di ritorno sulla Terra. Gli uomini e le donne presenti sulla nave vengono svegliati dall'ibernazione da un segnale di emergenza a cui sarebbe stato molto, molto meglio se non avessero risposto.

Inevitabili anticipazioni 

Vediamo di partire come al solito da me. Ne ho parlato spesso, ho visto molti più film recenti che anzianotti e i miei occhi sono viziatissimi. Poi capita spessissimo che il Cinema mi castighi, come in questo caso, ma ogni volta parto convinta di dovermi adattare ad effetti vecchiotti e immagini datate. Non è che questo sia sinonimo di minore qualità, ma so che siete troppo intelligenti perchè io stia qui a specificarvelo.
Alien è un film del '79, i miei sensi erano preparati a dover fare il doppio del lavoro. Risultato? Pare girato ieri. Un invecchiamento degno di Audrey, elegantissimo e quasi incredibile. Un esempio tanto ovvio quanto efficace: io poche volte distolgo lo sguardo dallo schermo. Non è mica un vanto, solo che è così, gli occhi si abituano a tutto. L'ultima volta in cui una scena mi è stata davvero insostenibile stavo guardando Martyrs, scena degli spuntoni in testa alla prigioniera, incubi eterni. Non lo faccio con film recenti, dagli effettacci pazzeschi fatti al pc che non lasciano spazio all'immaginazione, ma non sono riuscita a guardare la scena della morte di Hurt. Certo, poi si va sul Movie Database, si cercano i trivia che sono sempre una goduria da leggere, si spiega tutto, si crede di essere a posto. Poi riguardo il film: non la so ancora guardare. Ma la cosa DAVVERO incredibile è che io sono già provata quando arrivo lì, perchè prima il sempre povero John Hurt ha sulla faccia un coso repellente. Ad un certo punto Ash cerca di sollevare un tentacolo dele facehugger, e la pelle si solleva insieme. Non si strappa, non c'è ancora sangue, si intuisce e si dice solo cosa potrebbe succedere.
Oh, è bastato un niente, e io cappottata dall'impressione.

Avevo una paura incredibile di annoiarmi, perchè questo è quello che mi fa la fantascienza. Ci provo con un'intensità che lo so solo io, e non mi perderò il Dune di Villeneuve neanche a morire, ma mi annoio. Le astronavi già mi mettono a disagio perchè non so mai come chiamarle e la parola astronave mi fa ridere e pensare a cose poco serie, non riesco a darle pathos. È indubbiamente un demerito mio, eh, ma è così. Ci sto lavorando. Alien è tutto in un'astronave, in un'intricatissima e labirintica astronave, e la cosa non mi è pesata per un istante. Perchè ero persa insieme a loro, disperata insieme a loro, mi è mancata l'aria insieme a loro. Li ho visti cadere come i dieci piccoli indiani, perdendo fiducia l'uno nell'altro con una velocità spaventosa, incapaci di capire se e come ci fosse possibilità di salvezza, e me la sono fatta sotto insieme a loro. Perchè aldilà della classificazione di genere, che sia fantascienza o horror o fantahorror o horrorscienza (??), la cosa fondamentale è che il senso di sconfitta assoluta con cui mi sono ritrovata a visione finita non me l'ha dato nessun altro film, non così. Ripley da sola con Mr Jones sulla scialuppa a registrare il messaggio è uno dei finali più intensi a cui abbia mai assistito.
Se volete un'analisi approfondita delle implicazioni e dei mille piani in cui si può studiare un Capolavoro come questo ci possiamo anche provare, ma come al solito non è questa la sede. Qua restiamo sul basilare, su un concetto di Cinema che può essere straordinaria opera d'arte restando anche intrattenimento purissimo, capace di colpire anche lo spettatore meno analitico (spoiler: io) per incollarlo al divano terrorizzato. Due ore che scorrono come due minuti, intense a livello di tensione e di emozione. Perchè la solita cosa che le persone si dimenticano di dire quando parlano dell'horror è che spesso e volentieri offre spunti di riflessione sull'umanità profondissimi, e lo schiaffo di Lambert a Ripley (due personaggi femminili stupendi) ne è la più forte dimostrazione. Indimenticabile.

E, alla fine di tutto, Alien dà una lezione fondamentale: l'importante è salvare il gatto.



Per una recensione ben più approfondita della mia, QUA c'è quella di Exxagon.

lunedì 30 gennaio 2017

Split

09:10
Ogni volta che esce un nuovo film di Shyamalan ha luogo questa dinamica:
'Ah, un suo film nuovo. Che due palle, non ci vado, sono stanca.'
'Beh però carina la trama.'
'Oddio bellina la locandina!'
'Ma non avevi detto che l'altra volta sarebbe stata l'ultima?'
'Va beh dai facciamo che l'ultima è questa.'
Tutte le voci in questione sono nella mia testa.
No, non perchè io soffra dello stesso disturbo del personaggio dell'ultimo lavoro del malsopportato regista, ma perchè sono una persona facilmente circuibile.


Protagonista di Split è Kevin, un uomo che soffre di un disturbo da personalità multiple. Lo vediamo rapire tre ragazze e rinchiuderle in una stanza, lasciando trapelare attraverso una delle personalità che loro sono lì per quando arriverà Lui, La Bestia. Nel frattempo, facciamo la conoscenza di alcune delle personalità di Kevin attraverso i suoi incontri con la sua terapeuta, la dottoressa Fletcher.

Dopo la visione mi sono confrontata con la mia amica Elena, che ha le competenze giuste per rispondere alle mie domande, e le chiedo delucidazioni sul disturbo. Riassumo la sua spiegazione con la frase 'Sono quasi tutte cagate'.
Ciò detto, recuperiamo la nostra sospensione dell'incredulità e godiamoci il film, che, mi tocca ammettere, è bellino davvero.

Non è una conclusione a cui sono giunta subito, in realtà, ci ho pensato un po', perchè non è stato un colpo di fulmine. Sono peraltro reduce da una visione che mi ha sconvolto dalla bellezza (Arrival), poche cose in tempi brevi mi entusiasmeranno altrettanto. Sono uscita dalla sala con qualche perplessità e poco entusiasmo, ma poichè nei giorni successivi non ho fatto altro che pensarci ne deduco che abbia fatto centro.
Innanzitutto, un'ottima idea di Shyamalan: 'Tieni, James, questo è il film, fanne quello che vuoi, io mi siedo qui e ti guardo.'
McAvoy tiene in pugno film e spettatori, in una delle performance migliori che io abbia mai visto. Interpreta 5 personaggi (poi quando Shyamalan ha tempo mi spiega perchè parla di 15 milioni di personalità poi ne vediamo 5), con una credibilità pazzesca. Si arriva a punti in cui noi spettatori siamo in grado di intuire la personalità prevalente solo con un minimo cambio di sguardo, è impressionante. Io l'ho sempre trovato bellino assai, ma l'avevo sottovalutato pesantemente e oggi mi punisco con sedute di cilicio.
E sì, ci sono le ragazzine (Ana Taylor-Joy, che abbiamo conosciuto con The Witch, si conferma interessante, anche se ho detestato la sua doppiatrice), la terapista, la storia...tutto interessante ma quasi azzerato dalla presenza gigatesca di James che senza ritegno alcuno investe tutti e li ricopre di opacità. Roberto Recchioni, che mi piace tanto, dice nella sua bizzarra recensione per ScreenWeek che alla fine il gioco delle personalità è facile perchè si presta a faccette e gigionamenti. Stavolta non mi trovo d'accordo con Robbe. Qua non ci sono faccette buffe (per quanto io per prima abbia sorriso ad ogni comparsa di Hedwig, la personalità di 9 anni), ma cambi intensissimi di sguardo, di impostazione del volto, che a me sono sembrati impressionanti.

Ma poicheè di non solo McAvoy si può parlare, ho un'altra osservazione da fare. C'è un episodio di The Big Bang Theory di qualche stagione fa in cui le ragazze guardano I predatori dell'arca perduta. Amy osserva che il film avrebbe avuto lo stesso identico finale se non ci fosse stato Indiana. Ecco, per me la stessa identica cosa vale per la dottoressa Fletcher. Ci è servita giusto a dare qualche piccolo spiegoncino che non volevamo comunque.

Insomma, se dovete scegliere tra questo e Arrival al cinema ANDATE A VEDERE ARRIVAL, ma badate che Night ha fatto bene i compiti, si può dargli una possibilità.

UNO SPOILER CHE HO DELLE COSE DA DOMANDARVI:

Cosa ne pensate della faccenda cuore puro/impuro?
Ad un primo sguardo avevo pensato che io avrei dato i nomi opposti, ho sempre immaginato come puro un cuore non sporcato da sofferenze, ma è interessante anche l'opposto.

lunedì 9 gennaio 2017

Ouija: Le origini del male

20:56
Su questo blog non parliamo di Ouija, quel lungometraggio di cui il film di oggi è sequel. Fingiamo che non sia esistito e proseguiamo nelle nostre miserabili esistenze. Abitualmente mi diverte parlare di film brutti, ma quello era un oltraggio alla pubblica decenza e quindi l'abbiamo lasciato finire nel dimenticatoio in cui le creature come lui meritano di stare.
Diversi blogger, però, mi hanno messo una mano sulla spalla:
'Guarda, non so come sia successo, giuro che il due è meglio, non sembra vero nemmeno a me ma è buono sul serio'
E allora che fai, non lo guardi?
Lo guardi.


Nel primo film avevamo incontrato la famiglia che è protagonista di questo sequel: madre con due figlie. Si mantengono consolando famiglie in lutto, fingendosi medium. Loro stesse, però, sono in lutto: hanno perso padre e marito di recente e la ferita è ancora sanguinante. Quando la mamma si decide a comprare una tavoletta Ouija, allora, provano per prime a comunicare con il loro defunto, scatenando forze ben più potenti.

Niente di originale, vero?
Il film, però, è di Flanagan. Non è che lo conosca alla perfezione, io, il vecchio Mike, ma è il signore che ha girato Oculus, una robina bella assai con immagini di rara bellezza. Diamogli allora in mano il sequel di un gran pattume, e incrociando le dita preghiamo fortissimo che faccia di meglio. Confermando le ipotesi più rosee, lo fa, eccome.
Prende una storia che più inflazionata di così si muore, usa escamotage tra i più comuni (colori scuri e freddi, dinamiche familiari poco serene, bambini con sensibilità più acute che diventano l'anello di comunicazione tra il mondo dei vivi e quello dei morti...) eppure finisce per fare una cosa che, paradossalmente, ha del miracoloso: fa PAURA.
Riesce nella missione che spesso l'horror si è scordato: spaventare, inquietare, far salire i brividi lungo il collo. A volte ripugna, usando la bocca come mezzo di disagio esattamente come era successo in quella scena della lampadina di Oculus su cui ancora faccio gli incubi, ma soprattutto, vista l'evidente capacità del solito MF, riesce in tutte queste cose pur avendo a sua disposizione un cast che definirei, come il consueto modo di dire, 'non bello ma un tipo'. A volte le mani sono state tenute con i palmi rivolti verso il fronte per un periodo un po' troppo lungo per essere sensato, e tendo a notare queste cose perchè mi suscitano la ridarella. A meno che tu non risponda al nome di Simon Pegg credimi che la ridarella non è quello che vuoi. Flanagan scongiura il rischio e mantiene inalterata la sensazione di inquietudine. Non era mica facile.

L'horror dell'anno (scorso)? Anche no, dai.
Una visione che fa il suo sporco lavoro e conferma Flanagan come un nome da tenere d'occhio? Per me assolutamente sì, e di questi tempi di magra sinceramente tanto mi basta.

martedì 3 gennaio 2017

I am the pretty thing that lives in the house

13:39
Quanto tempo poteva passare prima che io guardassi un film horror sui fantasmi firmato da Netflix, dotato tra le altre cose di un titolo incantevole e di una locandina altrettanto bella?
Poco, infatti.



Lily è una giovane infermiera che viene assunta per badare ad un'anziana signora, che da giovane faceva la scrittrice di romanzi horror di scarsa qualità. Nella casa della signora succedono cose strane, ma discrete: non sbattono le porte e nessuno viene posseduto (con mio discreto sollievo). Solo che ci sono dei passi, della strana muffa sulle pareti, degli strani atteggiamenti della padrona di casa, che si ostina a chiamarla Polly..vuoi vedere che Polly esiste davvero?
Eh.

All'inizio del mio rapporto con Netflix amavo tutto quello che usciva dalle loro manine. Vuoi perchè ho iniziato con i loro splendidi documentari, vuoi perchè la prima serie di cui ho goduto è stata Sense8, le mie aspettative erano alle stelle, complici anche le recensioni entusiaste del web.
Sono rimasta delusa? NO, NO, NO.
I am the pretty thing that lives in the house è una storia semplice ma intensa, divisa su due epoche storiche (alla cui datazione risaliamo solo attraverso i dettagli) che sono, ognuna a modo suo, intriganti e visivamente bellissime. Perchè se la trama non è niente di sconvolgente sono le immagini a farla da padrone. Tutto è bianco, spoglio, minimale e lentissimo, i colori sono pochissimi e tenui, persino i movimenti sembrano appena accennati. E quando si parla di fantasmi è facile farsi prendere dalla frenesia e fare tutto veloce e pauroso. Qua le scene di spaventi sono generalmente un po' telefonate e convenzionali, eppure sono sinistre e goticheggianti. Sono accenni, frecciatine, strizzate d'occhio, fatti con una lentezza che può sembrare frustrante. (A me, però, è piaciuta tanto.)
Questo per noi spettatori, chiaramente, perchè la povera Lily se la fa sotto dalla paura e l'attrice (Ruth Wilson, a me sconosciuta) è stata BRAVISSIMA nel rendere questa paura. Secondo me poi la paura è la sensazione più difficile da rendere perchè in un attimo si sembra macchiette, lei invece è stata spontanea e credibilissima, tanto da passare paura per induzione a chi la guarda. Non c'era bisogno di vedere il fantasma (bellissimo madonna che bellissimo) per esserne spaventati: Lily ci trasmetteva da sè una paura incredibile.
In generale il film se la tira un bel po', ma a me quelli che se la tirano con ottimi motivi piacciono, fanno una gran simpatia.
E allora tiratela pure, cosa carina che stai nella casa, perchè sei bello assai, e ne hai tutte le ragioni del mondo.

lunedì 19 dicembre 2016

Cold Prey

14:53
IO HO FREDDO.
L'inverno mi fa schifo, soffro le temperature in un modo esagerato che mi causa dolore fisico e umore di merda da qui a maggio inoltrato, e per di più vivo in Pianura Padana, sia essa eternamente maledetta. Voglio 40 gradi all'ombra sempre.
Non sono disposta a vivere in questa pestilenza da sola.
Voglio vedere qualcuno che stia peggio di me, e che abbia più freddo.
Quindi, Cold Prey.


Siamo in Norvegia, fa un freddo porco, e un gruppo di giovani irresponsabili vuole andare a fare snowboard come fanno tutte le persone coooool. Uno, in un momento di celodurismo sullo snow cade e si rompe una gamba. Gli amici lo portano in un hotel lì vicino, che sembra abbandonato e quindi SENZA RISCALDAMENTO, sperando di chiamare i soccorsi.
Non è abbandonato come sembra, ma almeno si sono accesi il fuoco.

Inizio a prendere il film poco sul serio a nemmeno venti minuti dall'inizio. Amico si rompe una gamba. Ci sono due coppie e uno single, quale sarà il ferito? Non ve lo dico nemmeno. Cade, urla, viene raggiunto dagli amici, e con grandissima fortuna di tutti una di loro ha interessanti skills mediche. Pensa un po' che culo. La frattura è, insospettabilmente, scomposta, quindi va rimessa a posto prima che si faccia ancora più brutta. E qui, con un fremito dato dalla tensione, attendevo con ansia che LA frase venisse pronunciata.
'Questo ti farà male.'
Non sono stata delusa.
In virtù di ciò, ho iniziato a trattare il film con la leggerezza che chiaramente meritava, fino al momento in cui ho assistito ad ossa tenute insieme con l'attack, e allora sono state risate per tutti. O meglio, io skills mediche non ne ho alcuna, sia chiaro, quindi potrei benissimo sbagliarmi. Le ossa tenute insieme con la supercolla però mi hanno quantomeno...intrigata.

Parliamo ovviamente di cose alle quali si potrebbe anche passare sopra, se il resto fosse un film eccezionale. Ma, come prevedibile, non lo è. Non è uno di quei famigerati FDC che lasciano solo dolore al loro passaggio, è peggio, È uno di quegli slasher molto molto convenzionali, con la sola caratteristica di essere europeo e non americano. Essere simile a mille altri può non essere un problema, se ci fosse altro da offrire: un guizzo di genialità, prove attoriali incredibili o scrittura da Oscar. Qua non ci sono, ci si limita a riportare su pellicola la solita brodaglia: gruppo di amici in vacanza, casa/hotel abbandonato, telefoni che non prendono e gente che cerca di farli fuori. Poi si arriva alla final girl e allo scontro.
I ruoli dei ragazzi sono ben noti (la bella, la sveglia, il simpaticone...) e quasi caricaturali (il limone durissimo e selvaggio, queste bizzarre strategie mediche, sono un po' troppo dai), la situazione di isolamento e paura purtroppo mi è arrivata poco e niente, nemmeno il solito bel sangue-su-neve c'è stato. Confidavo allora nel villain: non sono tutti Wolf creek, ma insomma si poteva fare meglio. Questo sembra uno scimmiottamento del mio intoccabile Myers: omone gigante che non spiccica parola manco per piacere, di cui non si comprendono le motivazioni (ci hanno provato sul finale ma se non ci avessero provato sarebbe stato meglio per tutti), ma che di sicuro vuole solo far fuori la gente.
Io di Michael Myers però avevo un paurone, questo qua mi ha lasciato calma da morire.
E per lasciare calma me...

lunedì 12 dicembre 2016

Found

12:13
Mi ero svegliata di buonumore. Il lunedì qui è giorno di horror ed ero determinata a buttarmi di nuovo sotto il treno dei survival, perché al momento non guarderei altro. Poi il mio sito di streaming preferito mi ha buttato fuori sto Found, della cui esistenza io ero totalmente ignara. Leggo l'accenno di trama, mi ispira, ed eccoci qua, con buona pace del mio survival.

Found si apre con un ragazzino, Marty, che frugando tra le cose del fratello maggiore trova una testa umana, e finisce così per scoprire che questo è un serial killer. 
Una cosina leggera per iniziare la settimana in freschezza.

Lo sapete perché è GIUSTO che i siti di streaming chiudano? Perché sono fetenti. Perché tu vuoi tensione e magari farti un po' la cacca sotto, ma vuoi mantenere integra la tua già traballante emotività. Non necessariamente vuoi iniziare la settimana con la morte nel cuore porco il giuda ballerino. E invece no, lui ti spta fuori titoli inesplorati e decide che se i subbatori hanno sofferto tu devi unirti al club soffritori. Mannaggial'oca.

Perché fa così male, sto Found?
Il protagonista è un ragazzino pieno di lentiggini (motivo per cui capirete che empatizzo molto), vessato dai bulli (continuo ad empatizzare), con una famiglia apparentemente tradizionale e infine un fratello omicida. È appassionato di film horror e graphic novel (empatia top level) e ha un solo amico, David. 


Piano piano che il film prosegue, però, anche quella famiglia apparentemente tradizionale diventa fonte di disagio. Ci sono segreti, cose non dette sia gigantesche che più piccole, ma soprattutto ci sono occhi ciechi. Sotto allo strato carino con mamma e figlio minore che prendono in giro il litigio babbo vs figlio maggiore c'è, per fare solo un esempio, un odio razziale sconfinato e involontario ispiratore. E allora, quando questo si palesa, diventa tutto più chiaro. Mai giustificabile nè comprensibile, ma si tira quel sospiro di sollievo da 'AAAAAhhhh ecccooooo'.
Mi rendo conto che agli occhi di chi non abbia visto il film io sembri parlare in italiacano, ma posso garantire che ha un senso. 
Vediamo se riesco a parlare anche per chi sia ancora libero dal dolorone di sto film:
Marty ama moltissimo suo fratello. La passione per l'horror l'ha presa da lui, lo emula e guarda con ammirazione. Spulciando proprio tra le cose di Steve (il fratellone), trova una videocassetta, che sembra davvero essere stata di ispirazione per i suoi crimini. Ed era troppo facile così, vedere un film che è bruttissimo e violentissimo e malatissimo e pensare che la sola visione ti renda uguale al protagonista. Io e un gruppetto di persone che bazzicano per la blogosfera dovremmo essere tutti rinchiusi nella stessa cella. Invece no, Found va oltre, ribalta l'apparente semplicità e ti ricorda che tu hai delle radici, e che queste devono per forza averti lasciato qualcosa, nessuno ne è indenne. 
E allora la violenza dilaga, si trasmette come un virus tanto che persino la creatura più innocente ad un certo punto esplode rischiando di superare un grosso limite. Nessuno ne è indenne. 
Marty, quindi, ad inizio film è una persona, e alla fine è tutt'altro. Chissà che cosa resterà di lui, dopo quel devastante finale. Lo aspettavamo, detto in tutta onestà, non è stato un sorpresone. Ma ciò non toglie che sia stato straziante e dolorosissimo.

In tutto ciò non ci è risparmiato il lago di sangue. Certo, prevedibile anche questo in un film che parla di un serial killer, ma la carta splatter è stata a mio parere giocata benissimo. Troppo facile mostrare Steve che uccide. Qua la scena più impegnativa è indiretta, metacinematografica: c'è di mezzo una VHS che non voglio vedere mai più mai più mai più. Era da un sacco che non vedevo scene così toste e ci sto mettendo un po' a digerirle. Certo, fossero state inserite in un film discetamente di merda forse adesso le avrei già mandate giù, ma qui, buttate lì quasi da avvertimento, sono state tostissime. 
E le lacrime di quel povero Marty, colpevole solo di essere nato nella famiglia sbagliata e di non essere ancora interessato alle tette, sono state un macigno. 
Mi sento un po' sporca, un po' scossa, un po' triste. 
Io, che per mio fratello mi sono privata di tutto, che ho difeso lui sopra ogni altra cosa e persino al di sopra della mia stessa dignità, io che sono la maggiore, e che quindi quando sento Steve implorare Marty di non piangere mi sento cadere il cuore, non sono pronta a rivedere sto film in tempi brevi. 
Sentire Marty dire che quello non era Steve, non poteva essere Steve, è stato devastante. Mio fratello non può fare queste cose, mio fratello è l'unico che mi ascolta, è l'unico che capisce, è l'unico che mi difende. 


Oggi pomeriggio con un sorriso sgargiante andrò a vendere i pasticcini per Santa Lucia con quel film qua sul groppone. Pensatemi.

lunedì 5 dicembre 2016

Kristy

11:15
Mettiamo un sabato pomeriggio noiosetto. I genitori che rognosamente girano per casa ostacolando il senso di libertà, fratello che monopolizza la camera da letto per giocare all'xbox. Ci vuole evasione, e se anche per voi il senso di straniamento dalla realtà più forte si trova con la tensione massacrante, quello che ci vuole è un survival.


Kristy, in particolare, non sarà il film del secolo, neanche per errore, ma sa fare il suo sporco lavoro, ovvero quello di tendere il povero spettatore come la corda di un violino. Capirete che in quanto cremonese questi sono i miei riferimenti maggiori.
Ma chi è Kristy? La protagonista?
No, quella è Justine.
Abbiamo però un gruppo di persone, anime buone come il pane, che, guidati da quella che sembra essere una setta di origine satanica, vanno in giro ad uccidere ragazze per poi pubblicare online il divertentissimo video dell'assassinio. Kristy è l'affettuoso nomigliolo, dal richiamo evidentemente cristiano, con cui le vittime vengono chiamate.

Justine si ritrova da sola in un gigantesco campus universitario per il giorno del Ringraziamento. Amici e fidanzato sono partiti per raggiungere le famiglie, ma lei non può permettersi il biglietto, quindi si gode un primo momento di libertà, con cibo spazzatura e sculettamenti nei corridoi, tali da farmi temere per qualche istante di essere di fronte ad un High School Musical Halloween Special. Quindi capirete che mi sono rilassata, mi sono messa comoda, non mi sono fatta neanche un confortante tè caldo come al solito.
Quando poi ho visto che una dei ragazzi era Ashley Green, che voi ricordate per Twilight ma che da queste parti è nota per quell'abominio di The Apparition, ero pronta per la demolizione.
E invece ad un certo punto è iniziata una caccia all'uomo (alla donna, vabbè) feroce e tesissima, in cui il fatto di trovarsi in un gigantesco isolato campus non ha dato senso di dispersione ma quas, al contrario, di claustrofobia. Io mi sarei suicidata istantamente, mi sarei arresa all'evidenza della mia inferiorità e mi sarei lanciata tra le dolci braccia di Morte, che ha smesso di essere spaventosa dopo la prima lettura di quel capolavoro di Sandman. Lei no. Ha combattuto con i denti per sopravvivere, a partire dal primo infausto incontro in auto fino al fiammeggiante finale.


Con la solita pesantezza che mi contraddistingue ho ovviamente trovato cose che non mi sono piaciute, che sembrano piccolezze ma che tendono ad infastidirmi perché sembra che gli autori ci prendano sempre per delle scimmiottine che non hanno mai visto un film prima d'ora.
Per farvi un esempio devo fare spoiler.
Si è mai visto un fidanzato che registra su un REGISTRATORE il suo tentativo di estorcere un 'ti amo' alla ragazza? Oltre alla bizzarria del gesto in sè, che non è criticabile in quanto le persone sono strane e dobbiamo scenderci a patti, chi è che usa un registratore nel 2014 (anno del film)? Ma il punto non è tanto questo, che è davvero una piccolezza e come tale va presa. Il punto è: davvero credi che nessuno si immagini che il poveretto morirà asap e che lei si riascolterà la registrazione in un momento di sconforto? Davvero? Lo so che non siete scemi e lo sapete che lo capiremo subito, forse non ve ne frega niente ed è quindi QUESTO ad infastidirmi. Potete fare di meglio, o forse no, ma il punto è che qua non era importante. Non provavo alcuna empatia per una coppia che ho visto 5 minuti quindi non ho sofferto la morte di uno il cui nome non mi è nemmeno rimasto in mente.
Era la caccia che avevo in mente, la sopravvivenza, la tensione. Non mi interessava altro. Possiamo resistere ad un film intero senza cuori spezzati, lo giuro.

Mi rendo conto che sono davvero piccolezze, queste, dovete perdonare la mia pedanteria, sono il tipo che corregge e parole degli altri. Ci provo a smettere ma è dura.
Però, nonostante queste cosine piccole che fanno girare le scatole a me e ad altre 5 persone nel mondo, Kristy è interessantissimo, teso e cattivello.
Proprio oggi abbiamo bisogno di scaricare un po' la tensione.
Prendiamo a mazzate sui denti i satanisti, non possiamo farlo con gli analfabeti funzionali.


Per acquistare il bluray:
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lunedì 28 novembre 2016

Il rito

17:54
Ve la ricordate, vero, la missione in cui mi sono masochisticamente lanciata? Si riprende in mano Friedkin con la sua bambinetta posseduta e si riguarda L'esorcista. Ce la posso fare. Se riesco a fare quello riesco anche a perdere quella decina di chili che mi manca per assestarmi, e badate che non so quale delle due sia più difficile.
Fino ad ora i demoniaci che ho guardato mi hanno fatto quasi tutti pietà. Non che questo elimini il fatto che generalmente mi abbiano fatto paura, ma se dovessi dire che sono buoni film tutti quelli che mi hanno spaventata dovrei dire che Paranormal Activity è bello, ed è una cosa che non sono disposta a fare.

 Stavolta proviamo con Il rito, storia in cui un giovane ed avvenente sacerdote (che ha preso i voti per motivi che mi permetto di definire deficienti), in preda ad una crisi di fede, viene spedito dal suo superiore a Roma, dove potrà seguire un corso per esorcisti. Se nemmeno quella strada lo convincerà a restare in seminario, sarà libero di andare. Qua farà la conoscenza di Padre Lucas, un esorcista con molta esperienza che sarà la sua guida nel percorso di ricerca della fede perduta.


Parliamo di una cosa: sono millemila anni che si fanno film. Chiedere costante innovazione è certamente chiedere troppo, lo riconosco senza problemi. Ogni tanto, però, fanno la loro comparsa sulla scena certi film, mi vengono in mente per esempio Quella casa nel bosco oppure It follows che fanno una cosa magica: prendono tutti i tassellini che canonicamente fanno parte del loro sottogenere horror di appartenenza e li scombussolano tutti, scombinandoli fino a creare qualcosa di completamente nuovo ma dai forti richiami tradizionali.
I demoniaci no. Loro sono quasi da ammirare per la rigidità con la quale non si discostano di un centrimetro dalla casa madre, dove con casa madre parlo del film di Friedkin. Provano a farci credere di inserire grande innovazione, e non vorrei dover essere io a infrangere le loro convinzioni ma no, fare un mockumentary non vi esonera dal discorso.
Prete (dove la figura del prete è facilmente sostituibile con qualcuno a caso, ma è da preferirsi l'appartenenza clericale) scettico, con la fede in discussione, che ha bisogno di prove evidenti per convincersi che davvero Dio e l'eterno rivale esistono. Accanto a lui ci deve essere un secondo prete, più saggio, con esperienza da vendere, che deve sempre raccomandare a giovane di prendere sul serio la questione perché non si scherza col demonio. Demonio che possiede a sua volta battute di repertorio, ma che soprattutto deve sempre essere al corrente dei segreti macabri della vita delle persone che non credono in lui, e questo fatto deve essere quello che fa cambiare idea agli scettici.
Come colpo di grazia, in nessun film il diavolo si ferma a possedere un corpo soltanto, ma deve vagare un po' tra i presenti cercando di seminare il panico.
Il rito non ci prova nemmeno a fare eccezione. Si mette comodo nel ruolo che ci aspettiamo ricopra e si porta a casa il solito filmettino con niente che ci stupisca. Anche perché che Anthony Hopkins sia bravo lo sappiamo già e abbiamo film di ben altra levatura a ricordarcelo.


Non è tanto questo che rimprovero a questo film. Mi sta anche bene che tu cerchi di metterti comodo nei panni che qualcun'altro ha cucito per te. Non sei neanche cattivo in questo.
Ma che un demoniaco a me non faccia paura neanche un secondino non lo posso accettare.

Io non ve lo consiglio nemmeno per ischerzo, però magari a voi piace da matti e volete il DVD con la bramosia con cui io desidero la Pepsi in estate, e il link per acquistarlo acciocchè anche io benefici dei vostri opinabili gusti (dai che si scherza), il link a cui trovarlo sta qui:


Il rito

martedì 18 ottobre 2016

Un lupo mannaro americano a Londra

12:07
Ah, i film iconici.
Tutti li hanno visti, tutti sanno di cosa si tratti, tutti li amano.
Io me la faccio sotto perché generalmente le cose cariche di aspettative mi mettono soggezione. Il mio percorso nel mondo dei film non è per niente lineare, guardo cose senza alcuna logica, nè seguendo il filone del 'questo è storico e va visto per forza', tanto è vero che centinaia di film cult non li ho mai visti e li guardo se e quando mi viene voglia.
Qualche giorno fa me ne è venuta voglia.
Come al solito, poi, mi è venuta voglia di parlarne e di conseguenza ho iniziato a farmela sotto ché parlare di cose Grandi e Importanti sul web spaventa sempre un po'.

Per chi, come me, è caduto ora sulla Terra, ecco chi è il lupo mannaro americano a Londra: è un giovane, capitato nella brughiera inglese per una vacanza con un amico, che ha uno sfortunato incontro con un licantropo. La sfortuna non è tanto quella di averlo incontrato, quanto piuttosto il fatto di essere sopravvissuto all'attacco.


Non ho mai subito in modo particolare il fascino degli uomini lupo, ma c'è un aspetto che li rende sempre molto interessanti: la colpa. I licantropi sono spesso torturati dal proprio 'dono', il senso di colpa è devastante, come se peraltro loro avessero davvero una qualche responsabilità.
Remus Lupin, da sempre uno dei miei personaggi preferiti dell'universo Harry Potter, ha rischiato di perdere l'amore della sua vita, perchè si ostinava a impedire la nascita di una relazione con l'adorata (anche da me) Ninfadora, a causa della sua natura. Come se tentativi di protezione dell'amata servissero a qualcosa. Se ormai ti amo sono già fregata, bello, ti conviene rassegnarti.
(Sì, la maggior parte dei miei riferimenti sono sempre ad Harry Potter. Confido che ci siate abituati.)
E così il povero David, come se tutta la vicenda fosse stata per lui una passeggiata, si ritrova in uno squallido cinema a luci rosse, circondato dalle anime di chi aveva perso la vita per mano sua. Tremendo. Non stupisce che poi si lanci a Piccadilly Circus disperato, cercando di porre rimedio all'irrimediabile.

Onestamente, non credevo che il film di Landis mi sarebbe piaciuto, un po' per disinteresse generale verso il tema, un po' perché non mi aveva mai ispirato particolarmente. È stato piacevole, per l'ennesima volta, essere smentita. Il film è di una leggerezza completamente inaspettata, per me che non ne avevo mai nemmeno letto un post a riguardo, o un articolo, e riesce con una grazia piacevolissima a passare da momenti davvero divertenti (senza pai passare per quel passaggio sgradevole in cui percepisci che si stanno tutti sforzando un casino di farti ridere) a momenti di reale sgomento. So che tutti amano la scena della metropolitana (adesso i post a riguardo li ho letti), ma a me sono state le visioni in ospedale a colpire di più, insieme alle varie comparsate del compianto Jack, di volta in volta più malmesso. Vedere l'amico perduto, con le sue nefaste profezie, non è stato proprio esattamente piacevole.


Come al solito, il cinema mi insegna che mettere da parte il mio snobismo non può che essere una buona idea. Aprire la mente all'inaspettato riesce ad essere una sorpresa continua. Non dico che da oggi il lupo mannaro americano sarà uno dei preferiti, non è così nonostante ne riconosca l'indubbia importanza, ma la simpatia che mi ha fatto è stata piacevolissima.


NB per il mio amicone Alessandro: Doc, sono QUESTI i lupi mannari che devi guardare! <3


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