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giovedì 9 febbraio 2017

Non solo cinema: Guillermo del Toro Cabinet of Curiosities

19:16
Giusto un paio di settimane fa dicevo che leggo in digitale. Un guilty pleasure cartaceo, però, è rimasto: i coffee table books, ovvero quei libri che sono quasi oggetti d'arredamento, belli quasi più da sfogliare che da leggere. Grafiche interessanti, colori, volumi bellissimi. Chiamarli guilty pleasure è un po' sbagliato, in effetti, perchè io li sogno e basta, mica li compro, perchè i bastardoni sono costosissimi. Il Cabinet of curiosities dell'uomo della mia vita GDT è un regalo, infatti (💝). Costa una sassata. Fare una recensione di un libro del genere è quasi impossibile, ma può essere interessante discutere insieme del prezzo e del valore effettivo, per valutare quanto valga la pena.


Intanto è un volumone. Ma proprio grosso, di quelli che in libreria dovete tenere coricati. La carta è spessa e liscia come la pelle di un avambraccio dalla parte del palmo. Si alternano pagine interamente fotografiche o di illustrazioni ad altre discorsive, oltre a quelle con illustrazioni e foto più piccoli. Anche quelle di sole parole, però, non sono classiche pagine bianche, ma di un bellissimo beigiolino di cui vorrei almeno un paio di vestiti, con quelle bellissime cornicette intorno che mi fanno venir voglia di sfogliare il libro e basta, tanto per rendegli giustizia. È, in soldoni, esteticamente un volume splendido, da sfogliare e risvogliare.

Accade poi, per una felicissima unione di bellezze, che il libro in questione parli interamente di Guillermo del Toro. Se non avete letto questo post non lo sapete, ma il messicano è il mio regista del cuore. Il primo preferito, quello che parla in un linguaggio che pare fatto su misura per me. Un libro intero su di lui non è solo una cosa bellissima, è un sogno. Quindi sconsiglio l'acquisto a chi non ama il signore in questione, che pare una cosa scontata ma oh, non si sa mai.
Si parte parlando della sua vita, ed è interessantissimo. Più avanti si parlerà delle influenze artistiche e della creatività, ma qui ci sono proprio le origini, la bellezza di una mente geniale che si forma e che brulica da subito di entusiasmi ed interessi. Certo, potete guardare Trollhunters per vedere una fedele rappresentazione del giovane Guillermo (qua il post della mia amica Kara Lafayette), ma se non dovesse bastarvi, qua c'è il resto.
Non farò spoiler per chi se lo vorrà comprare e leggere queste cose da sè, ma la cosa migliore devo dirla. La famiglia di GDT era povera in canna quando lui era bambino. Un bel giorno suo papà ha vinto alla lotteria e hanno fatto i big money. Il papà DT, che per fare un figlio così scemo scemo non doveva essere, pensava che a fare la differenza in una casa fossero i libri. Prima cosa comprata con i big money in questione, quindi, furono due enciclopedie: una medica e una di storia dell'arte.
Adesso rileggete quest'ultima parte e ditemi se non è la sintesi perfetta di quello che è il lavoro di DT. Non ne avevo idea prima di leggere il libro, ma quando ho letto questa frase ho pensato che non poteva che essere così. Anatomia e arte.

La sezione successiva parla di quel capolavoro che è Bleak House, il Cabinet of curiosities reale di quello sperperatore seriale di danaro che è Nostro Signore. L'intera abitazione è un museo, pieno (MA PIENO SBOBBATO) di reliquie, ricordi, libri (tantissimi libri), statue, pezzi da collezione, che derivano dal mondo del cinema, della letteratura, dell'arte e non solo. Ha stanze tematiche, angoli dedicati ad artisti in particolare, ricordi del suo lavoro, opere dei fan. È strabiliante, un giorno intero non sarebbe sufficiente a scoprire ogni piccola cosa presente. Ed è tutta rossa, il che mi fa sempre sentire a mio agio.

Pare poi che il divino sia un fanatico della scrittura, credo sia nel gruppo delle Cartopazze su facebook in incognito. Tiene da anni migliaia di quaderni pieni di annotazioni, disegni, schemi, idee. Il tutto per le sue figlie. O meglio, ha iniziato perchè è fatto così, e capisco che tenere a bada una mente così attiva senza segnarsi niente sia pure complesso, ma col tempo ha deciso di averne particolare cura, perchè restassero alle figlie. Se riuscite a non commuovervi...
Pensate a che patrimonio gigantesco avranno per le mani ste ragazze, non oso pensarci.
Nel volume abbiamo l'onore di vedere alcune delle pagine di questi quaderni: sono frenetiche, scarabocchiate, colorate, scritte metà in inglese e metà in spagnolo. È un piccolo spaccato sul suo lavoro, sul suo modo di creare, ed è magico.

Infine, finalmente, si parla del suo cinema. Dopo una parte in cui si parla delle sue influenze e delle sue preferenze, in arte e in letteratura, si inizia a parlare dei suoi lavori, sia di quelli di cui (grazie. al. cielo.) possiamo fruire, sia di quelli mai completati (ancora ci spero in quelle Montagne della follia....). Il tutto in una chilometrica intervista, in cui GDT ci prende per mano e ci accompagna nel suo lavoro, dall'idea alla realizzazione, film per film. È un incanto

Quelle che per me sono la vera chicca del libro intero, però, sono le parole degli altri. Il libro intero è disseminato di brevi interventi di nomi di gente assolutamente irrilevante: James Cameron, Mike Mignola, NEIL amoremio GAIMAN, Ron amoresuo Perlman...
Leggendo l'infinita stima che questi giganti provano per lui si conferma la cosa più importante. Il valore della nostra vita, delle nostre opere, del nostro lavoro, si valuta in base a quello che lasciamo agli altri.
E quello che lascia Lui è immenso.

(Sì, il libro li vale i soldoni. Se potete, è imperdibile.)

martedì 10 gennaio 2017

#CiaoNetflix: Sherlock, S4E2, The lying detective

13:46
Chissà come mai i prodotti di finzione ci coinvolgono così profondamente. Non succede sempre e non succede a tutti, ma quando succede è un fenomeno incredibile, chiederò delucidazioni alla mia amica psicologa. Penso abbia a che fare con l'empatia, o qualcosa del genere.
C'è qualcuno, però, che lo sa molto meglio di me, ed è Steven Moffat, creatore della serie e autore dell'ultimo episodio andato in onda, The lying detective. 


COME AL SOLITO SPOILERISSIMI, CULO CHI LEGGE SENZA AVER VISTO L'EPISODIO

In questa puntata un nuovo Magnussen è sceso su di noi: risponde al nome di Culverton Smith, noto filantropo. Sherlock intuisce la sua natura di serial killer, ne diventa come suo solito ossessionato, e troverà il modo per riprendere con sè John nelle indagini., anche se entrambi stanno ancora elaborando il lutto per la scomparsa di Mary.

Empatia, dicevamo.
Quando scrivi di una grande perdita e di un grande dolore, hai due possibili scelte: o ce ne parli direttamente, riempiendoci gli occhi di immagini spezzacuore e di musica di Alessandra Amoroso, oppure li mostri. Per mostrarli senza parlarne devi essere molto, molto bravo sia in fase di scrittura che nella recitazione effettiva. È inutile che mi ripeta, tutti e tre gli attori che ruotano intorno a questo lutto sono straordinari e ci rendono il coinvolgimento semplicissimo da raggiungere. Quello che è meno scontato è che Moffat abbia scritto del dolore in un modo bellissimo, se questo fosse possibile.
John va in terapia, sembra non cavarsela male, ma vede Mary. La vede, la sente, le parla. Eppure non solo lui stesso è lucidissimo (non sta perdendo la testa per il dolore, non sta impazzendo), ma la visione stessa di Mary lo riporta costantemente con i piedi per terra, ricordandogli che lei non è altro che un prodotto della sua mente. Io non so quanto il fatto che quella lì fosse davvero sua moglie (o almeno che lo fosse al tempo, ora sono separati) abbia influenzato sulla performance di Freeman. C'è uno sguardo, in particolare, che mi ha annientata: John e Mrs Watson sono di fronte al video che Mary ha fatto per Sherlock. Quando la si sente dire, per la prima volta, 'Save him, save John Watson' la camera è fissa su di lui, e lui se ne esce con un'espressione che è un po' un sorriso, un po' un ghigno disperato, un po' il tentativo di non esplodere, ed è INCREDIBILE. Una scena da un secondo eppure una delle più alte di tutto l'episodio. Questo è lo Sherlock che ricordavo, una scena scura e minimale che è un proliferare di sentimenti.

E Sherlock?
Sherlock non è in sè, è Shezza, è tornato lo Sherlock tossicodipendente. Non che le droghe gli siano mai estranee del tutto, ma è tornato nel pieno del suo consumo. E anche se la trama ci dice che il suo consumo era volto anche al caso del serail killer, noi sappiamo che non è solo così. Non risponde di sè, lo vediamo toccare il suo punto più basso, urlare, scalpitare. Siamo abituati ad un aplomb diverso, raramente ha perso il controllo, raramente ha espresso i suoi sentimenti. Questo, però, vale solo a parole. Come la straordinaria Mrs Hudson ci ha fatto notare, Sherlock è molto più emotivo di quanto vuole far trasparire: spara, colpisce, accoltella quello che gli sfugge. Non tollera di perdere e di non capire, e non c'è niente di più umano di questo. È di Sherlock la battuta migliore dell'intero episodio, nella scena (che al momento in cui scrivo ho visto quattro volte), del confronto con John:
'In saving my life she conferred a value on it, in a currency I don't know how to spend.'

E per la prima volta, Sherlock sembra soffrire davvero. Sembrava fermo anche quando stava prendendo una manica di mazzate da John, nella scena che a me ha spezza il cuore più di tutte. Ma qui, quando ha lo sguardo perso nel vuoto nell'ammettere che c'è qualcosa che non sa, è devastante. Vorrei dire che mi sono fatta forza, che non ho pianto, invece mi sono prosciugata. Subito dopo, la confessione di Watson alla moglie, all'immagine che ha di lei. Il tradimento (mai consumato), i pensieri, l'averla trascurata. Nemmeno il momento leggero in cui si ritira in ballo Irene Adler è stato sufficiente ad abbassare l'esplosivo impatto emotivo del momento.

Mary, in tutto ciò, è strabiliante. Buffa, allegra, intelligente, curiosa come sempre. C'è un quarto di secondo in cui rivolge uno sguardo orgoglioso al suo uomo, gli sussurra 'Attaboy' con una dolcezza che hanno causato pelle d'oca costante. Per tutto l'episodio fa quella cosa che John le attribuisce nell'ormai citato confronto con Sherlock: tira fuori il meglio di lui. Lo spinge ad andare oltre, a chiedere informazioni, ad approfondire. Ad un certo punto dice un semplice 'JOhn, do better' che è la summa del suo comportamento per tutto l'episodio. Ed è quello che gli lascia alla fine, quando sembra pronta a lasciarlo andare, incitandolo ad essere sempre l'uomo che lei credeva lui fosse.

Mrs Watson finalmente smette di essere l'ochetta che credevamo, sappiamo da sempre che ha molto più carattere di quanto ci sia mostrato, perchè sappiamo del suo passato. Qui è la figura materna di cui i due uomini avevano bisogno: è determinata ed estremamente protettiva, il suo confronto con il sottovalutatissimo Mycroft è esemplare. Mycroft, dalla sua, non è male come viene rappresentato. È lui quello realmente incapace con gli umani, non possiamo mica fargliene una colpa.

In conclusione, il caso: brillante. I serial killer sono i preferiti di Sherlock, lo sappiamo dal primo episodio ('It's Christmas!'), e lo vediamo dalla passione con cui ci si butta. Il suo cervello torna ad essere al massimo delle sue capacità, portandolo, come sempre, due passi avanti agli altri (o due settimane, dipende dai punti di vista).
Il finale è stato soprendente: sapevamo dai rumors che in questa stagione il terzo Holmes avrebbe fatto capolino e conoscendo lo stile di scrittura della serie sappiamo che le pistole di Cechov non sono certo una novità, quindi se inseriscono qualcosa o qualcuno di nuovo questo deve colpire. Io, però, che sono nata e morirò babba, non avevo capito un cdn e quindi ho AMATO il finale.

Scusate per il fiume di parole fuori programma. Mi prudevano le dita, non avrei mai potuto aspettare sabato a parlarne.


martedì 2 agosto 2016

Non solo cinema: Sandman

14:57
Io sono una persona invidiosa, scendiamoci a patti.
Non invidio le stragnocche, nè quelli ricchi sfondati, nè quelli che guadagnano per fare poco o niente. Cioè, un po' sì, ma non COSì tanto.
I veri oggetti della mia invidia più tremenda, quella che mi fa tremare le labbra dal risentimento sono i bei cervelli. No, non i sapientoni con una conoscenza sconfinata, quella la possiamo (più o meno) raggiungere tutti. Io invidio i cervelli in fermento, quelli viaggiatori, quelli che, insoddisfatti del mondo reale, se ne creano altri mille dal nulla, tutti nuovi. Ancora di più invidio quelli che il mondo reale lo sfruttano, spolpandolo fino al midollo, ispirandosene per creare universi incredibili.
Uno di questi fortunati signori, portatori di menti straordinarie, è Neil Gaiman.


Incontro Sandman grazie a Riccardo, ovviamente. Me lo consiglia perché sa (e chi meglio di lui) che lo adorerei. Quindi, me lo procuro.
Primo ostacolo: disegni dall'aspetto vecchiotto, tavole a volte confuse e una necessità di attenzione che non pensavo un fumetto richiedesse. Mollo la presa.
Ma ricomincio, tempo dopo. Decido che posso dare un po' di più a qualcosa, se Riccardo mi dice che ne vale la pena. Oltretutto lo dice anche l'unica Youtuber al mondo per cui provo sincera ammirazione (lei), non posso resistere oltre. Perché, ma questo lo scopro dopo, Sandman vuole tutto. O si è disposti a dargli la massima attenzione, come se niente altro al mondo esistesse, o lui si trasforma in un caotico insieme di disegni molto scuri. Dategli la vostra concentrazione, e lui si scioglierà tra le vostre mani, come una miciona che fa le fusa.

Ma sto Sandman chi è?
È Morfeo, il signore del sogno. Uno sciocco romantico che si autocommiserava, ma con una certa dose di fascino personale, come l'ha definito uno dei suoi fratelli (il mio preferito, tra i suoi fratelli).
E com'è?
È bellissimo.
Alto, magro, con abiti scuri, mantelli, sempre blu o neri, i capelli spettinati, l'aria trasognata e misteriosa di un poeta francese, circondato di donne ma sempre scostante, affascinante ma inquietante. Lo amo appassionatamente. Poi, sì, è una lagna, e non esiste per lui definizione migliore di quella che gli riserva suo fratello. Sta spesso solo, a rimuginare sui (parecchi) mali della sua vita, a fissare il vuoto del suo sconfinato regno ripensando alle donne che ha perso. Mi fa impazzire, un eterno emo ma dai poteri sconfinati.


Se il potere dell'opera di Gaiman fosse da ricercarsi solo nel suo protagonista, però, temo che 25 anni dopo non saremmo ancora qui a parlarne con così tanto amore. Il punto di Sandman è che intorno a Sogno sta un universo intero. Uno splendido, poetico (questa parola tornerà spesso, nel post, temo), colorato, bizzarro universo, fatto di epoche storiche diverse, personaggi noti, corvi che parlano, teste di zucca, cieli scurissimi, demoni e angeli (un indimenticabile Lucifero), storie e avventure.
Più importanti del resto, però, ci sono gli altri Eterni. Morfeo ha sei fratelli: Delirio (la mia sorella preferita, torno a parlarvi di lei dopo), Morte, Disperazione, Desiderio, Destino e il fratello perduto, Distruzione. Ognuno di loro è così incredibilmente perfetto nella resa da far commuovere. Funzionano in modo sbalorditivo, con i loro colori, i loro vestiti, le loro parole. Qualunque mente abbia creato queste figure non può essere una mente comune.
Cercare di spiegare alle persone i motivi per cui Sandman dovrebbe davvero entrare nella loro vita è difficilissimo. È come cercare di dar voce ai motivi di un sentimento.
'Perché ti sei innamorata proprio di quello lì?'
'Mah, non lo so, è bello, è buono, è intelligente...'
Potrebbero pure essere tutte motivazioni verissime, ma il sentimento è molto di più, e si fa forza proprio della sua irrazionalità. Non posso spiegarti perché amo, amo e basta.

E se amare vuol dire anche lasciar andare le proprie difese ed arrendersi all'evidenza, Sandman fa lo stesso. Il mio occhio non è abituato a disegni così datati, io arrivo da una storia di letture di fumetti molto più basici nella rappresentazione. Qua, se si accetta di uscire dalla propria comfort zone ci si ritrova con doppie pagine blu scuro, come la spettacolare immagine di una gigantesco Destino che cammina nel cielo, affascinantissimo con il suo libro e il suo cappuccio. Sono certa che se avete letto il fumetto avete ben presente di che pagina sto parlando.
Se si accetta di entrare in qualcosa di molto più complesso del convenzionale fumetto d'intrattenimento, l'esperienza è irripetibile. Bisogna dimenticarsi di come si fa a leggere per 'perdere tempo', perché qua l'arricchimento che se ne ricava è straordinario. Se questo impegno può spaventare, e lo capisco, ne vale assolutamente la pena.
Quello che vi deve spaventare più di tutto, però, sono i vostri sentimenti. Arriverete alla fine dei volumi con un coinvolgimento emotivo importante, e la fine sarà devastante. Io ne sono reduce giusto da qualche minuto, e non sto bene. Da un lato vorrei non averlo mai letto, per poterlo ricominciare ora con il cuore intatto e il cervello neutro, dall'altro avendone coscienza non vorrei mai più sottopormi ad uno sballottolamento emotivo così forte.
Quando si possiede una mente così vasta e vagabonda, come quella di Gaiman, non si riescono più a comprendere i confini tra i generi. Hai un'idea, la sviluppi, e finisci per travalicare qualsiasi etichetta. Sandman è fumetto, pittura, romanzo, racconto, scultura, cinema, poesia, arte. È un modo nuovo di vedere il mondo, le cose, le storie. Ed è un modo che influenza tutto il resto, coinvolge il modo di approcciarsi a ciò che ci circonda, stimola il cervello a creare, invita a lasciare libera la mente, ché il mondo del Sogno è libero e vagabondo.


Devo chiudere il file del fumetto, sul pc, e non mi va.
Chiuderlo vuol dire rientrare nel mondo reale, e niente sarà più all'altezza.

lunedì 2 novembre 2015

Crimson Peak

14:46
POTREI ESSERMI LASCIATA SCAPPARE QUALCHE SPOILER.


COSA VOLEVO
'Oddio un film nuovo di Del Toro! Oddioddioddio.'
'Uh, i fantaaaaaaaaaaaaasmi!'
'TOM HIDDLESTON! Stringimi la mano, Guillè, che ti voglio ancora più bene.'
'Oddioddioddioddioddioddio'
'Epoca vittoriaaaaaaaaaaaanaaaaaaaaaaaaaaaa'
'Ah, ma c'è anche la Chastain, sei proprio un omone intelligente, che bella testa che hai'
'<3<3<3'
'Ma tu vuoi proprio che io muoia, dimmelo che lo vuoi, io non reggo a tanto splendore, io sverrò in sala, il mio cuore non può sopportare questa attesa,ma chi me lo dà il coraggio, ma con che forza posso vivere fino all'uscita'

Questi, in ordine cronologico più o meno corretto, sono i pensieri che hanno attraversato la mia mente dal momento in cui Crimson Peak è stato annunciato, più o meno sei ere geologiche fa. Almeno questo mi sono sembrate.
Tanto ero concentrata sul nuovo film di Del Toro che la settimana scorsa ho sbagliato a comprare il latte per il bar dove lavoro.

Ogni minimo aspetto di quanto ci era strato mostrato del film sembrava cucito addosso alle mie preferenze: attori, location, storia, regista, epoca, ogni cosa mi faceva battere il cuore dall'impazienza. Mai nella vita mi era capitato di incontrare una pellicola che mettesse insieme così tante delle cose che amo, per cui le mie non erano nemmeno aspettative, erano proprio certezze.

Nell'ordine, mi aspettavo: un gran bel film, raccontato con tono incantevole, con quel modo di raccontare ogni storia come se fosse una favola, con quello sguardo sui personaggi che te li rende indimenticabili. Dei colori incredibili e immagini mozzafiato perché Del Toro mi ha abituata molto bene, non posso scendere a compromessi che mi portino ad accettare una qualità visiva minore di quella a cui lui stesso mi ha fatta affezionare. Fantasmi, tanti, rumorosi e se possibile vecchio stile, un po' poltergeist: scricchiolii, rumori sibilanti, porte che si aprono da sole, volevo sentire i peletti della nuca alzarsi in modo talmente lento da farti impazzire, roba da picchiettarsi il coppino fino a farlo sobbollire. Romanticismo vittoriano, un po' janeaustiano, di quelli in cui il sentimento nasce da lontano, delicatamente, molto molto più dolcemente che non tramite Whatsapp.


COSA HO AVUTO

Tutto tutto tutto quello che volevo.
Per davvero.
È quasi surreale, una sensazione straniante per chi non ci è abituato. Ho visto tanti film che ho amato, ma per la prima volta ho provato cosa significa quando ogni tuo desiderio viene soddisfatto. Del Toro ha compreso esattamente cosa amo, perché probabilmente è quello che ama anche lui, non so spiegarmi altrimenti questo mix perfetto di mie grandi passioni. Ci sono certe inquadrature che parevano finte, dei quadri, dei dipinti impressionisti. Questa villa incredibile immersa nel nulla, circondata solo di chiara e finissima nebbiolina, con l'argilla cremisi che pian piano emerge, fino a ricoprire completamente il terreno intorno alla casa, mi hanno rubato il cuore. All'interno, poi, mi ha fregato con i colori. Mi aspettavo toni molto caldi, a fare quel contrasto con il bianco che tanto mi rende felice, tonnellate di rosso, un bel marrone intenso. Ci sono, non preoccupatevi. Ma mi ha fregato, il mio amorone, mettendoci degli elegantissimi quanto inaspettati tocchi di quello che è da sempre il mio colore preferito: l'ottanio. Intere gigantesche pareti di un blu petrolio incantevole, per non parlare di quella coperta che ancora sogno la notte.
Lo sapevo che le immagini sarebbero state uno dei punti di forza, ci avrei scommesso le dita dei piedi, perché io nella testa ho i modi per pressare il caffè o la quantità di gelato da mettere in un cono da 2,30, lui ha vallate di fiori, tavolozze di colori, struggenti primi piani di donne sofferenti. E cosa ti aspetti da una mente così? Nient'altro che bellezza, nella sua concezione più poetica.
D'altro canto, nemmeno la storia mi ha deluso. Non che lo temessi, ma insomma, va specificato. Parliamo di Edith, giovane aspirante scrittrice di Buffalo, che anziché sposarsi con il bravo medico di famiglia che le sbava copiosamente dietro da tempo immemore si piglia una sbandata senza precedenti per sir Thomas Sharpe, con il quale finisce per sposarsi dopo la prematura e violenta dipartita del padre di lei. Dopo le nozze i due si trasferiranno nella proprietà del baronetto, villa fatiscente emblema del fallimento della loro famiglia. Non vivranno soli, a dividere con loro l'incantevole Allerdale Hall sarà Lucille, sorella di Thomas.
Lucille e Thomas sono la bomba pronta ad esplodere, la tensione tra i due è talmente papabile che avevo quasi paura di spezzarla solo respirando. E sono due mostri, un Hiddleston bello da far soggezione e una Chastain con quel viso lì che non so cosa possa avere fatto sta stronza per meritarselo. Chiudete gli occhi, immaginateveli vestiti con splendidi abiti vittoriani. Immaginateli scambiarsi sguardi di un'intensità rara, immaginate gli occhi di lui guardare la Wasicosa e realizzare che ne è innamorato, figuratevi nella mente due paia di occhi che trasudano erotismo e sensualità. Due bellezze raffinatissime, e tanto basterebbe ad elevarli al rango di divinità.
Poi recitano.
E allora capisci che la sopracitata definizione mica è sufficiente.
Un crescendo emozionantissimo che culmina con un braccio teso, e un dito rosso e morto dritto ad indicare la stanza in cui si consuma la vergogna.
Chiamiamola vergogna, perché ai nostri occhi è tale.
Ai loro è amore.
Folle, malato, irrazionale, di quelli che ti marciscono dentro, di quelli che ti uccidono. O che ti fanno uccidere. Di quelli a cui non sopravvivi.
Solo in mani dorate come quelle del messicano potevano prendere un sentimento così, e trasformarlo in un film che è quasi poesia. Che è talmente completo, raffinato e commovente che ti ribadisce due volte che 'i fantasmi esistono' e tu non dubiti nemmeno per un istante che sia così.


martedì 1 settembre 2015

Maripensiero: I miei film preferiti

11:17
Oggi è il primo di settembre.
Vi apparirà forse una banalità specificarlo, ma in casa mia (ma sono certa anche in casa vostra) significa FINALMENTE fine di qust'estate di sto cavolo. E io ne gioisco immensamente, il che per me è paradossale dal momento che amo il caldo torrido e il sole.
Concludo questa spaghettata di affaracci miei raccontandovi che la degna conclusione di questo periodone si è concretizzata con la morte del mio pc. E con morte intendo che lui ci prova ancora a tirare fiato ma che i medici hanno ormai diagnosticato la morte cerebrale. 
Non appena arriverà quello nuovo ritornerò a stalkarvi e a recuperare tutti i vostri vecchi post che mi sono persa con mia somma rottura di palle.

Riassumere in un solo post tutti i film che governano sul mio cuore mi sembrava un buon modo di ricominciare. Chi bazzica da queste parti da un po' riconoscerà i soliti titoli noti che tiro in ballo con frequenza regolare, ma mi piace l'idea di averli tutti qui insieme, per venire a farmene coccolare qualora avessi bisogno di terapia.
L'ordine è rigorosamente sparso, che ve lo dico a fare.

  • Shining (1980, Stanley Kubrick) 

Navighiamo nell'ovvio. Il film a cui ogni virgola di questo blog è dedicata, dal titolo in poi, l'Opera d'Arte Definitiva. Tante volte ho cercato di trovargli un difetto, mi ci sono anche impegnata, ma niente, Shining va oltre l'umano. Forse una scelta più di testa che di cuore, ma ogni volta che premo play e vedo quella magnifica sequenza iniziale rimango sbigottita di fronte a quello che un essere umano può fare.
Ogni volta che mi veniva chiesto quale fosse la mia passione io avevo difficoltà a rispondere, poi un giorno ho capito che io sono appassionata di talento.
Amo gli scrittori capaci, che sorprendono col loro modo di usare le parole irraggiungibile per noi semianalfabeti, amo gli illustratori e li invidio tantissimo perché io non so fare nemmeno la o con il bicchiere, amo i musicisti e gli autori che sono in grado di tirarmi fuori emozioni che nemmeno sapevo di avere, e soprattutto amo i registi che miscelano le parole, le immagini, le emozioni. Ecco, Kubrick sta SOPRA alla mia personale definizione di talento.
Lui è proprio un'altra cosa.
Il sangue che scorre dagli ascensori mi causa ancora oggi un'angoscia ineguagliabile.

  • La città incantata (2001, Hayao Miyazaki)

Non mi piacciono i cartoni animati.
Ecco, l'ho detto.
Ci sono alcune eccezioni che si sono fatte voler bene, ma in linea di massima li evito perché mi stufano tantissimo ma più probabilmente perché sono una bestia senza cuore.
Ma La città incantata mi ha preso il cuore e ha deciso di tenerselo. Appurato che lo Studio Ghibli è in generale di un livello talmente superiore da non potersi paragonare a nessuna delle case occidentali se non per umiliarle tremendamente tutte, questo film in particolare non è altro che Poesia.
Ogni disegno, ogni colore scelto, ogni parola pronunciata, ogni personaggio, TUTTO in questa pellicola è Poesia, noi possiamo solo leggerla, farcene conquistare, lasciargli lo spazio che merita, e farci rubare ogni emozione. Perché se le prenderà tutte senza eccezioni.
Ne ho parlato in modo più approfondito qui.

  • Harry Potter e il prigionero di Azkaban (2004, Alfonso Cuàron)

Vi ho fatto una testa così con Harry Potter in questo post.
Di tutti e 7 i libri, però, ce n'è uno in particolare che supera abbondantemente la qualità (indiscussa e indiscutibile) degli altri, ed è il terzo. Stesso dicasi per il film.
In questo libro (e quindi nel film) c'è la mia scena preferita della saga. Uno dei capitoli migliori di ogni libro che abbia mai letto.
Harry, Ron ed Hermione sono finiti nella Stamberga Strillante con il professor Lupin. E' il momento in cui scopriamo la verità su Sirius, su chi sia realmente, su cosa è davvero successo la notte in cui sono morti James e Lily, su chi li abbia traditi.
Un romanzo intero per giungere a quella magnifica scena, in cui Lupin (a mio modestissimo parere uno dei personaggi migliori di ogni tempo) sta combattendo tra quella che credeva essere la verità e il suo bisogno di smentirla, la voglia di credere che Sirius fosse innocente e la consapevolezza che in fondo lui questa innocenza l'aveva sempre creduta. Il tutto di fronte a tre ragazzini convinti di essere in pericolo di vita e che invece non si rendono conto di essere nel luogo più sicuro del mondo, in compagnia di alcune tra le pochissime persone che darebbero la loro, di vita, pur di salvarli.
Per me tutti gli psicologi del mondo potranno scrivere migliaia di saggi, ma il migliore trattato sull'amicizia mai letto signori l'ha scritto la Rowling in un libro per ragazzi.

  • Il cigno nero (2010, Darren Aronofsky) 

Ormai il mio livello di fangirlismo per Darren sta raggiungendo livelli imbarazzanti. Il cigno nero è il film che avrei voluto girare io, se mai mi fosse venuta la passione per la regia. Per quegli splendidi movimenti di macchina che mi lasciano senza fiato (ma ci balli, tu Darren, con ste macchine da presa? Non si spiega altrimenti.), per quella sequenza finale da brividi, per quella recitazione incantevole a cui non avrei dato due spicci, per il modo in cui si è preso l'animo umano e lo si è spolpato, sviscerato ed esaminato, così raffinatamente.
Per quella grandiosa scena di Natalie Portman che cammina da sola e incrocia un'altra donna che altri non è che sempre se stessa e che mi ha lasciato senza parole.
Quanto bene posso volere a questo film, mi ha lasciata incredibilmente senza parole.

  • Dirty dancing (1987, Emile Ardolino)

Quando entra in gioco l'infanzia c'è poco che si possa dire.
E' il film che mi ha tirata su e mi ha accompagnata per tanti di quegli anni che è come se si fosse fuso con gli avvenimenti della mia vita.
Ve ne parlo qui.

  • La casa (1982, Sam Raimi)

Non guardavo film horror da qualche anno, causa traumi subiti dalla visione in età decisamente poco consona de L'Esorcista. 
Poi un giorno sono andata in edicola a comprare una rivista di videogiochi per mio fratello, e in omaggio c'era questo dvd. La curiosità, e il germe della passione che stava ancora dentro di me e che non vedeva l'ora di rispuntare, hanno vinto sulla paura e da allora sono rifinita nel vortice di quel certo tipo di cinema da cui ancora non riesco ad uscire.
Quello che rende il lavoro di Raimi tanto speciale è che quando l'ho visto per la prima volta mi sono sentita nello stesso modo in cui con ogni probabilità si sono sentiti loro mentre lo giravano: in giro a cazzeggiare con degli amici deficienti.

  • Little Miss Sunshine (2006, Jonathan Dayton e Valerie Faris)

Perchè da quando ho visto questo film ho capito il vero motivo per cui mal sopporto le commedie (con le dovute eccezioni): perché non sono tutte così.
E' dolce di quella dolcezza che piace a me, mai totale e stucchevole, ma che riesce ad essere tale pur comprendendo al suo interno le dovute dosi di amarezza o nostalgia. E poi è un po' weird, con questi personaggi anomali e allo stesso tempo così reali.
E quel balletto finale, degno del Sundance, quanto potrà essere adorabile?

  • Kill Bill  (2003/2004, Quentin Tarantino)

Io LO SO che i cinefili seri e competenti quando pensano a Quentin dicono che i suoi film migliori sono altri.
Lo rispetto, eh, anche io amo praticamente ogni cosa esca dalle sue manine dorate, gli vogliamo tutti un bene dell'anima.
Ma Kill Bill è una BOMBA.
E' Uma Thurman STREPITOSA, è tonnellate di sangue, è i Santa Esmeralda, è il Pussy Wagon, è intrattenimento intelligente e citazionista, è cinema allo stato brado, è goduriosissimo.
Decisamente il mio preferito.

martedì 28 luglio 2015

Tratto da un racconto di Stephen King: Stand by me

23:04
(1986, Rob Reiner)

Ho pensato a lungo su quale potesse essere il film migliore da trattare individualmente perché per quanto ci ostiniamo a dirlo, non è vero che ogni film tratto dai lavori del troppo nominato Stephen King fa pietà.
Alcuni fanno piangere dall'amarezza (Mercy, Mercy, Mercy!!), altri sono minuscole caccolette in confronto alle parole del Meraviglioso, e poi ci sono quelli belli.
Che quando dico belli intendo Belli.
E sarebbe facile stare qua a elencare i motivi per cui ritengo Shining l'unico film al mondo degno di essere chiamato Perfetta Opera D'Arte, oppure ribadire l'intramontabile fascino di Carrie o Misery.
Ma lo sappiamo già.
(Non che ribadirlo faccia male, ANZI, qua siamo a favore del repetita iuvant)
Di fianco a questi colossi dell'horror, però, ci sta Stand by me. 
Che titolo bellissimo, eh?
Stammi accanto.


Non importa a quanti anni si affronti la visione di Stand by me per la prima volta. Non importa che siate stati bambini composti e beneducati o coloriti maschiacci poco puliti. Non importa nemmeno che i vostri film preferiti siano di tutt'altra pasta. E non importa neanche se pensate che il solito autore sia un mediocre essere come tanti altri.
Stand by me è la trasposizione in pellicola del racconto in cui il Nostro ci mostra tutta la sua capacità di prendere l'animo umano e riproporlo in parole. In cui dimostra che non serve essere bambini per raccontare i bambini.
Basta una buona memoria.
Perché non c'è niente di più reale e universale della voglia di avventura (di qualunque tipo essa fosse, non c'è certo bisogno di scappare di casa di nascosto per viverne, anche se lo sognavamo tutti), e del desiderio di viverla con i volti cari dei nostri amici. Quegli stessi amici che prendono il tuo grande dolore e lo stritolano sotto le mani quando ti abbracciano, o quando ti danno un pugno, o quando ti buttano giù da un ponte per impedire che il treno vi investa entrambi.
Il dolore, sì, quello che già a 13 anni senti fortissimo alla bocca dello stomaco, anche quando magari non ne puoi comprendere tutte le implicazioni ma che può comunque rovinarti il funzionamento dell'apparato digerente e il ritmo sonno-veglia.
Essendo così giovane guardo a quell'età con ancora troppo coinvolgimento, non ho il distacco necessario per analizzarla come si deve.
Anche se, in effetti, ci si stacca mai dal noi stesso bambino?
King non lo ha fatto, ma nemmeno Reiner.
Che è riuscito a rendere, in un modo incantevole, tutto lo splendore di quegli anni, quando un secondo prima ti atteggi a uomo vissuto con la sigaretta in bocca e quello dopo preghi i tuoi amici di non raccontare storie dell'orrore perché te la fai sotto.
O quando vorresti trascorrere le giornate in spensieratezza, a cantare canzoncine per insultare le mamme dei tuoi amici (questo non passerà mai di moda) e a scappare dai bulli, come ci si aspetta che tu faccia a quell'età, e invece vivi col tremendo dolore della perdita di un fratello, o con la complicata convivenza con un padre difficile.
Quando vorresti essere già adulto e nello stesso tempo non esserlo mai.


Di tutte le scene iconiche che Stand by me ci regala, quella che preferisco e che credo renda perfettamente in immagini tutto il discorsone fatto sopra è una breve scena in cui i quattro amici stanno camminando in file da due. I ragazzi dietro stanno parlando del loro futuro, dei loro genitori difficili, dei loro desideri anche lavorativi. I due salamotti che stanno davanti, invece, discutono animatamente su chi sia più forte tra Braccio di Ferro e Superman. Entrambe conversazioni che riescono ad essere perfettamente legittimate dall'età dei protagonisti. Teneramente commovente, con quel loro modo di essere così goffi e impacciati, e quel sentirsi già così maturi. E così per tutta la durata di questo sognante e incredibile film, in cui scene dolcemente comiche si alternano a quelle altrettanto dolci ma struggenti.
Quanto è struggente vedere questi ometti entrare nel nero del dolore e cercare di nuotarci in mezzo, perché è proprio qui che stanno imparando come si fa a starci a galla. In un battito di ciglia avranno già imparato a gestirlo, ma ora sono qui e devono sbattere forte le gambe, anche se dopo un po' fa male e vengono i crampi.
Non ci si sveglia un mattino improvvisamente più grandi, saggi e ragionevoli. Si cresce minuto dopo minuto, su quelle rotaie in cui un passo non è mai compiuto dalla stessa persona che ha mosso quello precedente.
E non te ne accorgi mai, che stai crescendo.
Tu vivi, e basta.
Quando ti fermi a riflettere ti accorgi che magari è cambiato il modo di vedere le cose, o che i tuoi interessi non sono più gli stessi, che è mutato persino il tuo modo di rapportarti con le altre persone. Ma quando tutto questo stravolgimento sia avvenuto, tu mica lo sai.
Tu stavi solo passeggiando sui binari.

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