Preferiti della Redrumia: Ottobre 2018
Mari.
11:24
Qua si lavora al post di Halloween, ma per non lasciare la blogosfera senza le mie indispensabili parole, anticipiamo di qualche giorno il post dei preferiti, giusto perché chiacchierare qui mi manca un po' e non mi va di aspettare la settimana prossima.
Signore e padrone del mese per me è stata Hill House, come penso per tutto il mondo. E a ragione, perché è uno di quei casi in cui possiamo usare una delle parole più odiate dei cinefili: Capolavoro con la maiuscola.
Ma di quella, appunto, parliamo per Halloween.
L'orrore però è stato comunque protagonista di ottobre (e, come sempre, del mio cuore) perché finalmente ho visto Hereditary.
Sì, ci ho messo troppo. Ma il momento è giunto e la paura più fredda e totalizzante ha preso anche me, e mi ha trascinato negli inferi nei quali evidentemente questo film è stato scritto. Quanta benedettissima paura può fare un film? Dovrei saperlo già, ma ogni volta mi sorprende come la prima. Come mi piace, come mi cago sotto.
Hereditary ha una scrittura che ha dell'incredibile, una regia ipnotica e attori benedetti dalla grazia di una qualche divinità cinematografica. C'è una scena, a mezz'ora dall'inizio. Lo sapete di che scena parlo, voi che avete visto il film. Oltre ad avere lasciato il pubblico con il bisogno di un paio di sedute di terapia per riprendersi, ci ha regalato una prova attoriale che non dimenticherò mai. Alex Wolff, classe millenovecentonovantasette, sta seduto in auto. Sguardo fisso davanti a sé, immobile, incapace di voltarsi per prendere coscienza di quello che è successo. Ma lo sa. Lo sappiamo anche noi, motivo della terapia di cui sopra.
I nostri cuori sono spezzati irrimediabilmente, le nostre menti ammaliate da una scena straordinaria e da un giovane attore che senza fare nulla fa tutto, le nostre anime votate ad una nuova, sfolgorante, divinità: Ari Aster.
Per i podcast è stato, finalmente, il mese di Serial.
Praticamente il più famoso della storia del mondo, e io ci arrivo solo ora.
Un true crime che racconta della morte di una giovane studentessa statunitense e del suo presunto assassino. Che forse assassino non è, o forse sì. Di certo sta scontando una pena che lo terrà per tutta la vita chiuso in un carcere, in uno Stato nel quale grazie al cielo non c'è la pena di morte.
I racconti sono completissimi, approfonditi, ma narrati con il tono di chi, a questa condanna, non crede molto. Immagino sia difficilissimo avere a che fare con giovani condannati senza cercare di vedere in loro almeno un barlume di innocenza, soprattutto quando sono cordiali e disponibili come Adnan Syed.
Un lavoro sopraffino e che immagino sia stato complicatissimo, poco ma sicuro. Il sito è completissimo, tutti i documenti di cui si parla sono a disposizione dello spettatore e chi si appassiona può continuare a 'giocare al detective', se lo desidera. Ma a me non ha lasciato niente, emotivamente, non mi ha coinvolto troppo la storia e non sono riuscita ad empatizzare con i suoi protagonisti. Serial è lungo, articolato, impegnativo.
Solo per veri appassionati di true crime.
Quest estate, poi, è arrivato il nuovo libro di Joyce Carol Oates.
Lei è una dea, lo sapete tutti bene, per me. Lei è il mio nome del cuore quando si parla di Nobel. Lei di solito sa entrarti sotto la pelle con l'inquietudine sporca delle cose brutte e cattive, e non ti lascia più.
Il collezionista di bambole è una raccolta di racconti, uno più cattivo dell'altro, uno più subdolo e viscido dell'altro.
Per quanto mi pesi il cuore ammetterlo, però, non ha fatto su di me lo stesso effetto miracoloso di altri lavori della mia amata, l'ho letto in una seduta che è stata sì bella angosciante ma altrettanto rapida nello scivolare via di dosso a lettura terminata.
Per me un'occasione sprecata.
Su cos'altro ho perso tempo questo mese?
Ah, sì, su un documentario in otto parti.
Su Youtube.
A proposito di Jake Paul.
La cosa divertente?
Non seguo Jake Paul.
Ma Shane Dawson, autore del documentario, sì. Ecco, quindi, come sprecare intorno alle 7 ore della propria vita davanti al pc. Con un documentario su Jake Paul.
Non me ne capacito.
Vi saluto così, con un'ammissione di idiozia.
Ci sentiamo per Halloween.
Signore e padrone del mese per me è stata Hill House, come penso per tutto il mondo. E a ragione, perché è uno di quei casi in cui possiamo usare una delle parole più odiate dei cinefili: Capolavoro con la maiuscola.
Ma di quella, appunto, parliamo per Halloween.
L'orrore però è stato comunque protagonista di ottobre (e, come sempre, del mio cuore) perché finalmente ho visto Hereditary.
Sì, ci ho messo troppo. Ma il momento è giunto e la paura più fredda e totalizzante ha preso anche me, e mi ha trascinato negli inferi nei quali evidentemente questo film è stato scritto. Quanta benedettissima paura può fare un film? Dovrei saperlo già, ma ogni volta mi sorprende come la prima. Come mi piace, come mi cago sotto.
Hereditary ha una scrittura che ha dell'incredibile, una regia ipnotica e attori benedetti dalla grazia di una qualche divinità cinematografica. C'è una scena, a mezz'ora dall'inizio. Lo sapete di che scena parlo, voi che avete visto il film. Oltre ad avere lasciato il pubblico con il bisogno di un paio di sedute di terapia per riprendersi, ci ha regalato una prova attoriale che non dimenticherò mai. Alex Wolff, classe millenovecentonovantasette, sta seduto in auto. Sguardo fisso davanti a sé, immobile, incapace di voltarsi per prendere coscienza di quello che è successo. Ma lo sa. Lo sappiamo anche noi, motivo della terapia di cui sopra.
I nostri cuori sono spezzati irrimediabilmente, le nostre menti ammaliate da una scena straordinaria e da un giovane attore che senza fare nulla fa tutto, le nostre anime votate ad una nuova, sfolgorante, divinità: Ari Aster.
Per i podcast è stato, finalmente, il mese di Serial.
Praticamente il più famoso della storia del mondo, e io ci arrivo solo ora.
Un true crime che racconta della morte di una giovane studentessa statunitense e del suo presunto assassino. Che forse assassino non è, o forse sì. Di certo sta scontando una pena che lo terrà per tutta la vita chiuso in un carcere, in uno Stato nel quale grazie al cielo non c'è la pena di morte.
I racconti sono completissimi, approfonditi, ma narrati con il tono di chi, a questa condanna, non crede molto. Immagino sia difficilissimo avere a che fare con giovani condannati senza cercare di vedere in loro almeno un barlume di innocenza, soprattutto quando sono cordiali e disponibili come Adnan Syed.
Un lavoro sopraffino e che immagino sia stato complicatissimo, poco ma sicuro. Il sito è completissimo, tutti i documenti di cui si parla sono a disposizione dello spettatore e chi si appassiona può continuare a 'giocare al detective', se lo desidera. Ma a me non ha lasciato niente, emotivamente, non mi ha coinvolto troppo la storia e non sono riuscita ad empatizzare con i suoi protagonisti. Serial è lungo, articolato, impegnativo.
Solo per veri appassionati di true crime.
Quest estate, poi, è arrivato il nuovo libro di Joyce Carol Oates.
Lei è una dea, lo sapete tutti bene, per me. Lei è il mio nome del cuore quando si parla di Nobel. Lei di solito sa entrarti sotto la pelle con l'inquietudine sporca delle cose brutte e cattive, e non ti lascia più.
Il collezionista di bambole è una raccolta di racconti, uno più cattivo dell'altro, uno più subdolo e viscido dell'altro.
Per quanto mi pesi il cuore ammetterlo, però, non ha fatto su di me lo stesso effetto miracoloso di altri lavori della mia amata, l'ho letto in una seduta che è stata sì bella angosciante ma altrettanto rapida nello scivolare via di dosso a lettura terminata.
Per me un'occasione sprecata.
Su cos'altro ho perso tempo questo mese?
Ah, sì, su un documentario in otto parti.
Su Youtube.
A proposito di Jake Paul.
La cosa divertente?
Non seguo Jake Paul.
Ma Shane Dawson, autore del documentario, sì. Ecco, quindi, come sprecare intorno alle 7 ore della propria vita davanti al pc. Con un documentario su Jake Paul.
Non me ne capacito.
Vi saluto così, con un'ammissione di idiozia.
Ci sentiamo per Halloween.