giovedì 20 novembre 2014

B/W November: Miss Zombie

17:29
(Sabu, 2013)

Ho cercato migliaia di volte di centrare il punto del film con questo post, ma puntualmente elimino tutto e cerco di ricominciare.
E, ormai lo saprete, se io che sono logorroica rimango senza parole, è perché qualcosa mi ha colpito davvero.

La zombie del titolo è una giovane donna, morta e ritornata, che viene messa in vendita come 'animale domestico'. Nell'attesa che gli acquirenti la vengano a prendere, viene affidata alla famiglia di un distinto dottore, che la sfrutterà come donna di servizio.
Ma non solo.


Nessuno in questo film ha un nome, se non il bambino, unica creatura innocente in quella che sembra essere la rappresentazione più pessimista di un mondo depravato e sporco.
La zombie, arriva in questa casa, candida e ordinata, il padrone di casa viene chiamato 'dottore', ha un'elegante moglie dal viso molto carino e due operai che lavorano in casa, non si sa bene cosa effettivamente facciano. Siamo quindi in un ambiete altolocato, e chissà per quale ragione sociale o storica siamo convinti che le persone cattive siano invece dei bassifondi.
Ma il male non ha distinzione sociale, e questo Sabu ce lo mostra chiaramente.
Sia il famigerato dottore che i due operai di fronte alla creatura si comportano nello stesso identico modo.

Ora, è chiaro che parlando di zombie il discorso è diverso, non è che stiamo lì a porci il problema etico su come vadano trattati o meno. La questione viene considerata di scarsa importanza perché, sapete, gli zombie non esistono.
Questa ragazza va considerata come una generica persona in condizione di svantaggio. E' più debole, pertanto l'uomo, tronfio e amante della sua virilità, si sente in diritto di farci quello che ci pare.
E così fa.


Quindi, mi viene da chiedermi, è questa la nostra vera natura? E' così che siamo?
Appena la situazione volge a nostro favore, ne approfittiamo? Appena sappiamo con certezza che la nostra vittima non reagirà, appena sappiamo di avere più potere, più forza (fisica ma non solo) non ci facciamo più fermare da niente? Il nostro tanto vantato buonsenso quindi è solo una convenzione sociale? Nasce solo per tutelarci da quelle che sarebbero le conseguenze delle nostre azioni?

Non voglio pensare che sia così, non voglio credere che sia SOLO così.

Allo stesso tempo, però, nonostante cerchi di essere ottimista, esco scombussolata dalla visione.
L'altra donna della pellicola, la moglie del dottore, è vittima esattamente quanto la zombie.
Lei, stavolta, è vittima di se stessa.
Vede il marito violentare un'altra donna (?) ma non reagisce. Non urla, non strepita, non gli scaglia pugni sul petto, non piange. Si sdraia sul divano, sbarra gli occhi alla finestra, e muore dentro. Anche questa è violenza.
Perché tradire la donna che hai scelto di avere al tuo fianco per tutta la vita? Per stuprare un morto vivente? Perché è più giovane? Ha il culo più sodo forse? Perché tornare in casa e fingere che niente sia successo?
Come può una donna affrontare una realtà così bruciante? Come puoi avere al tuo fianco una persona per anni e in un secondo vederla trasformarsi in qualcosa che non conoscevi?


Miss Zombie è un film in cui l'umanità perde completamente di significato, l'essere vivi o morti non conta più, l'etica finisce sotto le scarpe.
Ti tortura con le continue immagini di lei (la zombie) pugnalata, presa a sassate, ma soprattutto sempre china a gattoni, a pulire il pavimento. Sempre, sempre, le immagini di questo sedere per aria che si muove al ritmo del movimento del lavaggio.  Così viscido, così sporco.
Allo stesso tempo, è un film grandioso, che si spoglia di ogni aiutino di comodo, come i colori o la musica. Ritornano solo per un secondo, quando ci sembra di vedere la liberazione. Ma poi spariscono di nuovo, lasciandoci la sensazione che l'unico modo per uscirne sia il modo definitivo.
(Uscire da cosa, poi? Dalla famiglia in cui sei schiavizzata e stuprata, o dalla condizione di zombie?)
Un silenziosissimo bianco e nero, che trascorre lentissimo e massacrante, quasi poetico.
Di certo non un film per tutti i palati, di certo.
Ma che film.


martedì 11 novembre 2014

B/N November: Che fine ha fatto Baby Jane?

17:51
(1962, Robert Aldrich)


Ho un fratello, io, non so se lo sapete.
Litighiamo con frequenza quotidiana, ogni scusa è buona per accusarci a vicenda di essere dei rompicoglioni.
Eppure, è la persona più importante della mia vita.

Quello tra fratelli è un rapporto che può essere semplice o complicatissimo.
Se uno dei due poi è una piccola celebrità, osannata dal papino e dal mondo intero, figuriamoci.
Nemmeno l'affetto della mamma e la fiducia della suddetta nei confronti della figlia 'sfigatina' aiutano a superare l'infelicità, la frustrazione di sentirsi sempre offuscati.

Ma col tempo Blanche ce la fa.
Sorella della celeberrima Baby Jane Hudson, si riscatta dal ruolo di eterna seconda diventando famosa in un'età più consona, da adulta. Proprio quando la bionda, tenera Jane sta iniziando a perdere colpi. Si ritrovano unite una volta che le loro carriere sono sfumate, Blanche disabile a causa di un incidente e Jane infermiera e assistente improvvisata. Le rivalità di una vita intera tornano a galla.
Sempre che se ne siano mai andate.


Dopo grossomodo un'ora e mezza di violenze psicologiche viscide e disturbanti, l'inevitabile violenza fisica, il vortice in cui Jane sta scivolando si inchioda a fronte di un errore irrimediabile.
E lei cosa fa?
Corre da Blanche, a cercare rifugio.
E non una volta sola, ma due.

Perché è così, è sempre stato così.
Quando la piccola Jane è una star, è lei a tenere le redini economiche della famiglia.
Quando crescono, invece, sarà Blanche l'attrice famosa. Come clausola in ogni contratto, però, obbliga i produttori a girare un film con la sorella ogni volta che girano un film con lei.
Invecchiate, eccole di nuovo insieme, a dipendere una dall'altra, a causa di questo benedetto incidente che ha costretto Blanche su una sedia a rotelle.

Sempre legate, in un rapporto che sano del tutto non lo è mai stato, sempre vincolate l'una all'altra.
E così Jane si ritrova ad accusare la sorella di non avere avuto amici o di non vedere i suoi film trasmessi in tv perché ci devono essere quelli della sorella.
Di invidiarla, addirittura, come se nella vita di una ex bambina prodigio dedita all'alcool ci fosse qualcosa da invidiare.
Perché, crescendo, Blanche è cresciuta, si è costruita una carriera, una vita.
E Baby Jane?
Che fine ha fatto?


Ma non è ovvio?
Baby Jane è sempre stata lì.
Non se ne è mai andata, ha continuato a cantare di avere written quella benedetta letter al daddy anche da anziana, in un'agghiacciante scena, in casa, ballando con la bambola di sè stessa.
Per poi guardarsi allo specchio e quasi non riconoscersi, vecchia e con le rughe.
O, ancora più agghiacciante, è lì, in quel finale in spiaggia, a costruire castelli di sabbia.
Per tutto il tempo, ha combattutto tra l'odio invidioso per la sorella e la voglia di condividere il gelato con lei.
Perché questa sorella, pur nel suo squilibrio, l'ha sempre amata. Trattava male il papà che tanto la viziava, ma non Blanche. Ha sempre avuto un bisogno incredibile di lei, professionalmente e non. Nel momento del bisogno, nonostante l'interessata non fosse proprio in condizione di dare aiuto, è a Blanche che si rivolge.
Una vita intera a dipendere dalla sorella, pur essendo lei quella che presta soccorso. Una vita intera a rimpiangere quel successo perduto. Una vita intera come BABY Jane.

Due primedonne incredibili, di quelle che anche dopo anni tutti quanti conoscono i nomi, magari anche chi di cinema non ne sa nulla. Bette Davis è nel mito, come è giusto che sia.
Due personaggi splendidi, così oltre le aspettative, così profonde, così esplorate e così divinamente interpretati. Se è vero che le due divine si odiavano davvero, beh, si vede.

E poi, la rivelazione finale.
Tra l'essere segregati in casa o segregare un orribile segreto, qual'è la vera prigionia?

mercoledì 5 novembre 2014

B/W November: Psycho

10:48
(1960, Alfred Hitchcock)



PIOVONO SU DI NOI SPOILER A CASCATA CHE PARE DI ESSERE A VEDERE LE NIAGARA FALLS

So che siete svegli e con ogni probabilità ci avrete fatto caso: amo i colori.
Mi piacciono la luminosità, gli abbinamenti improbabili e il rosso.
Ma, se ve lo state chiedendo, sì, sono una di quelle che si veste sempre di nero.

Da queste parti, quindi, ho sempre parlato di film a colori, con rariiiiiiiiiissime eccezioni, tipo questa.
Allora, mi sono detta che era giunto il momento di colmare una delle mie innumerevoli lacune.
Quindi, per un mese, solo film in bianco e nero.
E sì, proprio il mese in cui il mondo comincia a vestirsi di lucine colorate e ammmore natalizio.

Potevo iniziare da uno dei millemila capolavori in b/w esistenti, ma perché privarmi della gioia di mettermi alla presa con la recensione impossibile?

Siccome di fare una recensione vera e propria (come se poi io ne facessi) non se ne parla nemmeno perchè va bene essere incoscienti ma proprio stupidi no, per Psycho ho pensato una cosa diversa.
Quando si parla di film molto molto noti, si dà per scontato che tutti l'abbiano visto.
E invece.
Ho parlato con qualche persona di questo film, ed è un esperimento che vi invito a fare.
In pratica, parlando ho rivelato qualche dettaglio, e vi riporto le reazioni.
L'esperimento serve a dimostrare che ciò che spesso diamo per scontato non lo è. Che il cinema ancora non viene considerato 'arte' a tutti gli effetti.
Nomina a qualcuno i girasoli di Van Gogh e a tutti compare in mente il quadro.
Ma quanti hanno visto i capisaldi?


Dunque, ho aperto la conversazione con un banale 'Oggi ho riguardato Psycho, sai, il film. L'hai visto?'
Buona parte ha esordito con un 'Quale, quello di Hitchcock?'
Eh, quello li, sì.
Perchè se non tutti conoscono l'originale, figuriamoci quanti conoscono i sequel o addirittura il remake di Van Sant.
Però almeno conoscevano il regista, cosa che voi che leggete qui darete per scontata ma credetemi, non è così.
Altri, credo la maggior parte, hanno posto la domanda delle domande: Quello della doccia?
Eh si, sempre lui.

Onestamente?
La scena della doccia è geniale da tanti punti di vista che non è necessario stia qui a spiegare io.
Però, nel suo diventare così di culto, così celebre, ha oscurato tutto il resto del film.
E la gente, CREDETEMI che se ve lo dico un motivo c'è, crede di avere visto il film solo perché ha visto la scena della doccia. Che viene ormai utilizzata nei programmi, nei telefilm, nei film.
Docce ovunque. Docce per sempre.

[A proposito delle docce, vi invito a cercare il film su CB01, fonte di saggezza e gioia. Uno dei commentatori dice: 'Si ma si vede che non la pugnala per davvero, almeno prendi la mira'. Non aggiungerò commenti personali, perché rischierei la scomunica, lascio a voi il giudizio]

E niente, l'inizio è andato come immaginavo.
Chiaramente qualcuno l'ha anche visto il film, non annulliamo del tutto la fiducia nell'umanità.

Andando avanti ho raccontato un po' a mozziconi la trama, e nessuno ha sbarrato gli occhi per lo stupore.
Prevedibile anche questo, in fondo non parliamo della più innovativa e sconvolgente delle storie.

Per caso, poi, assolutamente involontariamente, mi sono lasciata sfuggire che la protagonista, o la presupposta tale, muore prima della metà del film.
'Cat, e come va avanti poi?'
Eh, indagano.
'E basta?'
E basta, sì.
'Ma che palle.'
Ma come che palle?
'Che palle.'
'Allora non è un horror, è un giallo.'
'E almeno lo scoprono l'assassino?'
Sì sì, lo sgamano abbastanza alla svelta.
'Allora è un cretino'
Ma no, non è un cretino, è una persona con problemi psichiatrici, volete che vi racconti la fine o no?

Niente, la maggior parte non ha colto che uccidere la nostra Marion a metà film sia stata una chicca geniale, non ce la fanno proprio. Lo vedono come uno spreco. Se il protagonista muore, poi cosa si fa?
Le ho sentite parlare così, alcune persone, anche quando è morta Peppa de 'Il Segreto'.
(No, non guardo Il Segreto, lo guardano nella casa di riposo dove lavoro.)


Ma arriviamo al finale.
M: 'Poi alla fine si scopre che l'assassino non era la mamma, perchè la mamma era morta da tempo uccisa proprio da Norman. L'assassino è lui che soffre di disturbo di personalità multipla, e ha preso la personalità della mamma con cui aveva un rapporto ossessivo, capito? Quindi Norman è Norman ma in realtà nella sua mente lui è la mamma!'

......

'Ma che casino.'

Mi hanno risposto così per davvero, eh.
E pensare che io, cagasotto come sono, ogni tanto quando vado a letto penso agli occhi di NOrman e me la faccio sotto, pensa che scema.

'Sempre con sta cosa delle personalità oh, non è il massimo, ne ho già visti che finiscono così'
Si ma questo ha cinquant'anni.

Voglio precisare, non parlo con degli sprovveduti, o almeno non solo. Ho parlato con persone che di cinema se ne interessano poco o niente, volutamente, per conoscere il vero effetto-Psycho su chi di Hitchcock se ne frega completamente.
Non voglio perdere completamente la fiducia nell'umanità, non ancora.

venerdì 31 ottobre 2014

Ghosts of Halloween: Shutter

09:41
SALUTIAMO INSIEME GLI SPOILER CHE POPOLERANNO QUESTO POST



Sono passati giorni da quando ho posato i miei occhi su Shutter.
E ancora oggi, quando mi infilo a letto, riesco a vedere chiaramente il fantasma di Natre che risale dal fondo del letto per venire verso di me.
Me la faccio maledettamente sotto.

Ma facciamo un passo indietro.
In questo post vi avevo detto di non aver visto molti film orientali.
E il buon autore di Obsidian Mirror mi ha sempre detto di rivalutarli, questi poveri asiatici che sono bravi pure loro quando vogliono.
Qualche giorno fa (forse un po' di più di qualche giorno), poi, Erica de Il Bollalmanacco di CInema ha scritto su Facebook che questo film faceva paura.
Insomma, una specie di congiunzione astrale ha fatto sì che io inciampassi in lui e lo vedessi.

Mentre Tun e Jane tornano in auto da una cena, investono e uccidono una ragazza, ma scappano spaventati. Da quel momento, uno spirito si insinua nelle loro vite.
La vicenda si complicherà ulteriormente quando scopriranno che tutti gli amici di Tun sono morti suicidi.

Ho provato mille volte a scrivere questo post, a riassumervi la vicenda, a dirvi cosa ne penso.
Sono giunta alla conclusione che sia meglio partire proprio da quella.
Dalla conclusione.

L'apparenza inganna sempre, vero?
Pensi che un film non ti farà mai paura, e invece non ci dormi la notte.
Pensi che il tuo ragazzo sia la persona migliore del mondo e invece è complice in una vicenda orribile.
Niente è come ce lo aspettiamo, almeno in Shutter.

Perchè proprio quel Tun così carino, così dolce, così somigliante ad Orlando Bloom, ha l'anima macchiata di uno di quei crimini che ti sporcano in modo indelebile, o almeno così mi auguro.
Nessuna ragazza è stata investita, quella notte.
Quella prima, spaventosa, apparizione, non è altro che il primo tentativo di allerta di una povera ragazza che ormai non aveva più niente da perdere.
Jane è preoccupata per tutti quei fenomeni paranormali che colpiscono lei e il suo ragazzo, e vorrei ben vedere. Le fotografie non riescono più bene, ci sono indizi disseminati ovunque.
L'unica possibilità è di seguirli, nella speranza che conducano alla soluzione del problema.
E ci si arriva, non preoccupatevi.


Nel frattempo, tutti gli amici di Tun sono morti, suicidi. Tutti nello stesso modo.
Tun è il prossimo, senza dubbio.
Quello che Jane non riesce a capire è PERCHE'.
E quindi indaga, va sempre più a fondo, si lascia guidare. Sembra quasi che inizi a fidarsi del fantasma.

Perché, dettaglio non insignificante, un fantasma non nasce mai come tale. E' sempre quello che resta di una persona in carne ed ossa.
Questa, di persona, si chiamava Natre, era una ragazza apparentemente silenziosa e quieta, quindi subito indicata come sfigatella.
Ma anche gli sfigatelli si innamorano, pare. E quando ti innamori, c'è poco da fare, soprattutto se sei così ingenua e magari sprovveduta. Non ti accorgi di chi hai realmente davanti. E questo, purtroppo, non sono solo i film a dircelo.
Natre si innamora di Tun. Ma se il suo sentimento è diventato così grande e importante è perchè LUI ha innaffiato il fiorellino. L'ha frequentata, magari l'ha fatta sentire speciale per un po'. E cosa importa se quando sono in giro con gli amici fingo di non conoscerti perché mi vergogno, mi farò perdonare stasera tra le lenzuola con qualche parolina dolce.
Però poi Natre diventa assillante, Tun non ce la fa più e la lascia. E lei, chiaramente, soffre come un cane, perché l'amore quando finisce fa così. Fa male.
E pensi che niente possa farti ancora più male, fino a quando non vieni violentata da quegli stessi amici a cui Tun non ti aveva mai presentato. Ma soprattutto, fa ancora più male quando lui è lì, vede quello che ti viene fatto ma non solo non lo impedisce, lo immortala anche.
E mentre tu sei lì, a subire tutto questo, ti tocca anche in sorte di sentire uno dei buontemponi dire, riferendosi alle fotografie che Tun scattava: 'Dai, che questa la mettiamo sul camino e la mostriamo ai figli per Natale', o qualcosa del genere.

Quando tutto finisce, tu non reggi.
Torni a casa, dalla mamma. Perché è lì che tutti vogliamo essere quando soffriamo. Dalla mamma. E quando il trauma ti sovrasta, ti uccidi.
Ma non puoi permettere che finisca così.
Allora torni, e quantomeno cerchi di mettere in allerta Jane, che, ignara, continua a stare con Tun.

Nel frattempo, però, i responsabili li hai fatti fuori personalmente.
Se non ci ha pensato il rimorso ad ucciderli, ci hai pensato tu.
Ci ha provato anche una ragazza qui da noi, nel mondo reale, a fare una cosa del genere, e la fine che ha fatto è stata la dimostrazione di come l'umanità sia morta e la civiltà nel senso più 'romantico' del termine sia ormai inesorabilmente in declino.


Insomma, sono tutti morti, tranne Tun.
E qui, perdonate tutti i francesismi che seguiranno, arriviamo al finale, che fa una cavolo di paura benedetta.
Non è che tutto il film sia superlight, anzi, ma nel finale ti sopraggiunge una consapevolezza che ti ghiaccia le ossa, ti fa scappare immediatamente la pipì ma nello stesso tempo ti fa avere paura di andare in bagno da sola.
LEI E' SEMPRE STATA Lì.
E con lì intendo letteralmente in spalle a Tun.
Madonna che paura.
Madonna madonna madonna.
Allora io che sono lì al pc sgrano gli occhi, sobbalzo, poi mi accorgo di non essere sola nella stanza e che i miei mi guardano male allora fingo disinvoltura perchè è noto a tutti che a me i film horror non fanno paura.
Ma quanto ho dormito male, benedetto signore, quanto.

Ed è con un filmone come Shutter, che se non correte a guardarlo Natre viene a cercare pure voi, che firmo la mia prima partecipazione alle iniziative della blogosfera.
Tanti bei signorotti cum blog hanno scritto dei post, tutti a tema fantasmi, con mia somma gioia, e li trovate tutti quanti qua:

White Russian

giovedì 16 ottobre 2014

Masters of Horror: Patto col demonio

14:50
(Prima stagione, episodio nove)
Regia di William Malone.



V E R G O G N O S A.

Che, la puntata?
No, la Mari.
Che inizia una specie di rubrica sul suo blog e poi a lascia morire per cause sconosciute persino a lei.
MA.
Da questo momento si ricomincia a parlare dei MOH, quantomeno per dare una conclusione alla prima stagione e per trarre le mie conclusioni su questo interessante progetto.
Chi si era perso la mia spiegazioncina da professorina su cosa sono i Masters of Horror e non sta proprio nella pelle all'idea di leggerla, la trova qui.

Questo episodio riguarda una coppia di coniugi che, dopo aver perso il proprio adorato figliolo in un tragico incidente, stipula un patto con il demonio (sono certa che non l'avreste capito se non ve l'avessi detto io, vero?), il quale gli chiede di sacrificare 13 ragazzi per riavere il loro.
L'ultima vittima della coppia è Tara, una specie di Carrie White contemporanea, con genitori del cavolo e vittima di bullismo a scuola. E' pure bionda.


Quindi abbiamo questa specie di Carrie senza l'aiuto dei poteri paranormali, che un bel giorno di ritorno da scuola viene investita (che volo che fa! Ero shockata!) da un furgone, guidato da un uomo che la intontisce col cloroformio e la rapisce.
Un uomo dall'aria comunissima e innocua, con la faccia tonda e gli occhialetti. Sposato con una che assomiglia alla cantante degli Skunk Anansie dopo un lavaggio in candeggina. (Che detto così sembra razzistissima) e che non è affatto innocua quanto lui.
Tanto lui è pieno di sensi di colpa sia per non aver salvato il figlio che per quello che è costretto a fare per riaverlo, tanto lei è determinata e convinta di stare facendo solo ciò che è giusto.
Sono due persone distrutte sia come individui che come coppia, dal dolore per una perdita che nessuno dovrebbe provare mai, e si sentono quindi costretti a tentare ogni strada pur di riavere il loro Johnny. Arrivano all'omicidio, plurimo tra l'altro, per riabbracciarlo.

Ma, un attimo, si può parlare di omicidio? Perché tecnicamente loro rapiscono e basta, poi spunta questa specie di sicario del demonio, che è un mostriciattolo carinissimo che fa fuori le vittime per loro.
Tant'è, al limite potrebbero essere imputabili per concorso in omicidio.

La domanda che ruota intorno al mediometraggio pare essere: ma chi è morto vuole risorgere ad ogni costo?
La sofferenza giustifica ogni cosa?
I nostri morti apprezzerebbero questo nostro totale dimenticarci la base dell'etica per rivederli?

Perché, insomma, Johnny non è proprio fiero dei suoi genitori.
E lo dimostrerà ampiamente.
Ma allora poi la domanda morale si ribalta.
Tu quoque, Johnny?

Insomma, è interessante l'aspetto della vendetta, della sofferenza che prevale su ogni altra legge umana e non, è carino anche il tentativo di colpo di scena.
Ovviamente, la cosa migliore del film è quella specie di creatura dalle origini ignote. Lo cercherei anche su wikipedia, ma mi viene difficile dargli una definizione.
Certo è che se mi metti in guardia tramite scritte sul muro (un grande classico, sempre ricordiamo con amore Harry Potter e la Camera dei segreti), mi avvisi di stare attenta al ragazzo biondo e poi nella stanza siamo io, un mostro PELATO e un ragazzo biondo, ecco, mi rovini un po' l'atmosfera.


A parte ciò, il lavoro di Malone è apprezzabile, niente che mi faccia gridare al miracolo nè al capolavoro, ma è una visione gradevole che rinominerei 'uno di quei film che guardi quando hai poco tempo e non hai voglia di cose impegnative'.


La domanda che mi tormentato per tutta la visione però è stata:
Ma sto Malone...chi è?

giovedì 9 ottobre 2014

Non solo horror: Hellboy

16:51
(2004, Guillermo Del Toro)


Sono una maledetta snob, io.
E le commedie no, e i supereroi no, e la cippa lippa no.
Ma quando vedo certi nomi tra gli addetti ai lavori smetto di pensare e guardo qualsiasi cosa producano con le loro manine dorate.
Del Toro è uno di questi signori.
Di quelli che se mi portassero sugli schermi la bella che la va al fosso a resentar (qui la soundtrack del futuro film) io mi precipiterei in sala.
Anche parlando de Il labirinto del fauno credo si sia intuito che quando Guillermo Del Toro parla, io pendo dalle sue labbra cinematografiche e perdo la mia già molto scarsa capacità di discernere il bene dal male.

Per questo anche Hellboy, una pellicola così lontana dai miei gusti abituali, mi ha sempre affascinata.
Fino a quando l'ho visto, e ho capito perché mi affascinava.
Perché è bellissimo, ecco perchè. Imperfetto ma bellissimo e perché io evidentemente sono dotata di poteri paranormali che mi avevano predetto che sarebbe stato bellissimo.


Hellboy è un demone dalle sembianze schwarzeneggeriane. A parte che è rosso, va beh. E' stato adottato da piccino da un giovane professore che lo ha cresciuto come un figlio. Spunta da un varco che era stato aperto dai nazisti che dopo aver risucchiato un tale Rasputin ha ringraziato mandandoci il piccolo rosso. Lavora con il papà in un dipartimento delegato al controllo di fenomeni e creature paranormali ma quando Rasputin vuole tornare il nostro Hellboy perde un po' di tempo a liberarsene.


Ve l'ho raccontata male, vero, la trama?
Perché non conta niente.
Almeno nel modo in cui ho goduto io il film.
E' stato come se la storia in sè fosse, paradossalmente, solo un contorno messo lì per dovere, perché quello che interessava mostrare era altro. Sono certa che i puristi della novel adesso mi detesteranno e mi lanceranno maledizioni in russo apprese probabilmente dalla novel stessa, ma abbiate pietà di me.
A livello ''''''''''''tecnico''''''''''''''''' ammetto che non parliamo certo di un capolavoro. Ma è riuscito a toccarmi il cuore, e a farmi ridere di gusto. Che sono praticamente gli unici due ingredienti che mi fanno dire se un film mi piace oppure no.
Certo è, e questo per una volta sono contenta di dirlo, che il signor Claudio Fattoretto ha fatto un ottimo lavoro con il doppiaggio del nostro eroe.
E i miei complimenti per la voce.
A me non importa la componente action, non mi importano le figate nerd, la manona che apre un portale, i varchi che conducono chissà dove.
Tutte queste cose, ben presenti e apprezzate da chi le ama di default (ciao, Erre, parlo di te), passano decisamente in secondo piano rispetto ad uno dei più bei character che i miei poveri occhi stanchi abbiano mai avuto la gioia di vedere.

Di Hellboy abbiamo due ingressi in scena. Lo vediamo prima da piccolo, scappare dai soldati per poi lasciarsi conquistare con del cioccolato ed una coperta calda. Lo vediamo mettersi in posa per una foto di gruppo, piccola mascotte con l'aria da boss in fasce che è una bellezza da sciogliere i cuori. Persino la manona riesce ad essere tenera quando è piccino.
Ricompare poi qualche anno dopo. Sigaro in bocca, torso nudo, impegnato a fare pesi con la nonchalance tipica di chi 'io a sto fisico ce so abituato'. 60 anni anagrafici ma una trentina effettivi causa invecchiamento tutto strano. Aria snobbissima di chi duro lo è per davvero e non lo fa da poser.
Però ama i gattini.
E Liz.
(Altro personaggio di quelli a cui vorresti dare un lungo abbraccio sperando che non prenda fuoco nel frattempo.)
E il mostro che deve combattere lo chiama 'faccia di cacca'.
Possiamo non amarlo? Eh?


Perché, in tutto ciò, oltre a combattere contro strane creature, Hellboy è perdutamente innamorato. Di quell'amore mai banale o mainstream, loro due non sono mai tre metri sopra a niente.
Anzi, stanno di soppiatto sotto a tutto, macerati ognuno dai propri demoni.
E proprio in un film così improbabile ci sono alcune delle scene d'amore più belle e spaccacuore che io abbia mai visto.
Al funerale del papà, per esempio.
Lui assiste da lontano, sotto la pioggia. Saluta dall'alto la prima - e forse unica - persona che lo abbia amato incondizionatamente e andando oltre all'aspetto, perchè questo è quello che fa un genitore. Con il valore aggiunto dell'essere un genitore adottivo, che un figlio così lo ha VOLUTO e non AVUTO.
Lei non gli sta vicino. Lo guarda dal basso, gli rivolge uno sguardo che parla più di migliaia di parole. Capisco il tuo dolore, non so cosa fare per aiutarti, ma vederti così mi strazia.
Una scena durata qualche secondo, ma davvero comunicativa.
Ma il momento in cui ho sentito che mai un personaggio era stato tanto umano arriva nel moemnto in cui finalmente si parla a voce alta dei sentimenti che lui prova per Liz (ma se cercate i 'sei la mia vita ti ho sempre amata' cambiate film) e le dice che vorrebbe tanto poter fare qualcosa per quel suo strano aspetto, ma non può.

Mentre lui parlava io ero in una specie di stato onirico.
Mi sono tornate vive e chiare nella memoria tutte quelle volte in cui davanti allo specchio mi sono sentita inadeguata.
Il mio naso era sempre troppo grosso, e così il seno, e così i fianchi, e così il sedere.
E gli occhi troppo piccoli.
E questi capelli di un colore che ti prego signore dimmi che cavolo mi significa.
E ste benedette lentiggini.
Ogni sguardo era un'analisi a me stessa da cui uscivo giudice e perdente.
E così lui, costretto a vivere in un corpo che lo caratterizza subito come demone, come mostro, come cattivo.
Ma Albus Silente, uomo che non è diventato Preside per niente, diceva che sono le nostre scelte a determinare chi siamo. E Hellboy ha sempre saputo da che parte stare.

Cosa che lo rende più umano della maggior parte di noi.


Un caro saluto a Ron Perlman che è più figo da rosso che senza trucco.

venerdì 3 ottobre 2014

Aspettando AHS Freak Show: Clownhouse

15:54
(1988, Victor Salva)


Certo che son masochista, eh.
Dopo il film trattato nell'ultimo post potrei chiudere il blog, salutarvi e inchinarmi alla cortesia del pubblico.
Eppure.
Eppure Ahs si avvicina, e qua l'iniziativa deve andare avanti.

Come secondo film volevo parlare de Il circo degli orrori. Ma siccome non è proprio un film dalla reperibilità IMMEDIATA ci sto lavorando.
Voglio vincere questa battaglia.

Nel frattempo, però, mi sono vista un altro film legato al mondo del circo.
Stavolta è la storia di 3 fratelli che rimasti a casa una sera da soli decidono di andare al circo, nonostante il minore dei tre abbia una paura maledetta dei pagliacci. Peccato che dopo lo spettacolo i tre pagliacci reali vengano assaliti e uccisi da tre pazzi scappati da un centro che si ritrovano a casa dei ragazzi e cercano di farli fuori.


I pagliacci riscuotono sempre grande successo.
Tra il sempiterno It, il recente Stitches, il Capitano Spaulding di Rob Zombie, quei burloni dei Killer klowns from outer space, pare che al mondo non esista più un pagliaccio che voglia ancora far ridere.
Volendo riesco anche a capirne la motivazione, ma essendo questa una delle poche paure che mi mancano fatico molto a spaventarmi con i film in cui gli assassini hanno il naso rosso e i piedoni.
Ho cercato di trovarne uno un po' meno noto, per non fare la solita banalona, ma devo dire che Clownhouse purtroppo non fa eccezione.

Sono interessanti i tre fratelli, sia per approfondimento personale che per resa del rapporto.
Anzi, soprattutto per il secondo, li ho trovati legati da una relazione che di più reale non ce n'è. Gelosia, rivalità, dispetti, ma anche tutela dell'altro, prese in giro, qualche scalpellotto.
Ottimi fratelli, non c'è che dire.


Però il film è noiosetto, per non dire che mi sono sonoramente rotta le scatole. Ho fatto fatica davvero a finirlo.
Una volta arrivati al punto in cui i clown sono a casa dei ragazzini - MA PERCHE' POI, perchè vanno proprio lì, come sanno dove abitano, cosa vogliono - inizia una lunghiiiiiiiiiiiiiiissima sequenza in cui pagliacci ruotano intorno alla casa/bambini si raccontano storie dell'orrore/pagliacci inseguono bambini/bambini scappano da pagliacci che è di un prolisso e tedioso che ve li raccomando.
Il tutto per giungere ad un finale che francamente vuol dire poco e niente, è anche poco coinvolgente, sarebbero anche potuti morire tutti che ne sarei uscita emotivamente illesa.

Qualche scena onestamente un po' efficacina lo è, il pensiero di trovarmi in una specie di stalla, con quella luce, con un pazzo travestito da clown non mi sentirei proprio a mio agio, dico la verità. Ma questa componente di follia viene proprio tralasciata, se ne accenna solo tramite una voce che narra alla radio la fuga dei 3 esemplari, ma finita lì.
Peccato davvero.

Anzi, no, peccato col cavolo.
Victor Salva, tu non mi piaci. Affatto. Nè come regista, nè come persona.
Soprattutto quest'ultima.
Prima di vedere Jeepers Creepers aspetterò di essermi dimenticata chi sei e lo schifo che fai.

lunedì 29 settembre 2014

Aspettando AHS Freak Show: Freaks

16:58
(1932, Tod Browning)


Il 7 ottobre è il mio compleanno.
Il giorno dopo c'è la premiere di American Horror Story: Freak Show.

E da queste parti non crediamo alle coincidenze.

Io non ve lo dico nemmeno quanto sto in fissa per questa nuova stagione.
'Na malattia.

Il C I R C O.
Se non facessero un buon lavoro non li perdonerei mai. (Anche se, sinceramente, non mi hanno mai completamente delusa)
Mi hanno già conquistata.
Sono bastati 20 teaser trailer.
Che trovate qui.

Siccome bisogna arrivare preparati, tutti i miei post fino a quel giorno felice saranno sul circo.
O meglio, sugli horror che ruotano intorno al circo.
Il che rappresenta la fusione tra due delle cose che mi affascinano di più al mondo.
Quando si tratta di circo io non capisco più niente. Ritorno bambina in un secondo. Mi attrae in maniera assoluta, dai costumi, ai talenti, agli animali (discorso controverso, lo so), ogni cosa. Un mondo così lontano dal mio, che sono così sedentaria e tradizionalista e assolutamente imbranatissima a fare qualsiasi cosa comprenda l'agilità del corpo, che non può che esercitare su di me un fascino magnetico.
E chiaramente sì, il Circo de los horrores me lo sono persa.

Da quale film potevo iniziare, se non dal re magno, dal capostipite, dal dio incontrastato, dal sovrano amatissimo di tutti gli horror circensi?

Protagonista di Freaks è Hans, persona affetta da nanismo che si innamora perdutamente della trapezista Cleopatra, la quale invece è intenzionata a sfruttarlo solo per il patrimonio da lui ereditato.

Una volta terminato il film, la prima cosa che mi è venuto spontaneo fare è stata cercare delle informazioni sugli attori. Ho letto che Hans e Frida erano fratelli, che Josephine Joseph (la persona per metà di genere femminile e metà maschile) si è sempre dichiarata (dichiaratA in quanto personA, non saprei che genere attribuirgli per parlarne) ermafrodita, ma che non esistono prove a conferma di questa affermazione, ho letto che l'uomo bruco era molto colto.
Ma tra tutte queste informazioni francamente poco importanti, quella che più mi ha colpito è una, ed è in comune per tutti i freak. 
Quelli del film sono i loro veri nomi.
Le gemelle siamesi si chiamano davvero Daisy e Violet. Josephine Joseph è il nome con cui l'ermafrodita si faceva chiamare abitualmente. Il ragazzo senza gambe era davvero Johnny e
Schlitzie interpretava se stesso.
E tutti loro, tutti, lavoravano realmente nei freakshow.

E la consapevolezza di quello che avevo appena visto mi ha preso come uno schiaffo in viso.
Non abbiamo visto un film.
Per quanto si parli di finzione, per quanto la trama sia stata inventata per crearci una storia, noi abbiamo visto persone REALI riportare su uno schermo quella che davvero era la loro vita.
Perché DAVVERO queste persone venivano guardate nei circhi, puntate a dito, davvero suscitavano reazioni di orrore e disgusto.
Perché DAVVERO esistevano i freakshow.


Sapete, è facile parlarne oggi.
Abbiamo una consapevolezza diversa, una cultura diversa, una società diversa.
Ci piace definirci evoluti, saggi, aperti.
Oggi la chiameremmo disabilità.
Ma comunque continuiamo ad utilizzare un termine che rende automaticamente queste persone diverse. Ancora oggi le mamme che scelgono di portare avanti una gravidanza una volta conosciuta una disabilità nel feto vengono guardate dalle altre come 'Che brava donna, ma come farà? Ma che vita gli darà?'.
Hans e Frida erano fratelli. Figli di una stessa madre che ha dovuto crescere più figli disabili nello stesso momento. Figli di un tempo in cui l'aborto non era possibile, e avere figli con dei problemi non era una scelta.
Oggi lo è, eccome.
E sia chiaro che con questo non mi dichiaro antiabortista, anzi.
Sto solo riflettendo a 'voce alta' su quello che siamo oggi rispetto a quello che eravamo 80 anni fa.

Mi fermo poi a pensare ad un altro aspetto.
Io ho la fortuna di essere nata in salute, senza malattie che mi deformassero.
E già così il pensiero di espormi in un film, o anche solo il pensiero di partecipare ad una trasmissione televisiva, o anche solo di parlare a voce troppo alta in un locale e far girare le persone, mi angoscia.
Questione di carattere, certo.
Ma, proprio per il mio carattere, mi chiedo: cosa ha spinto queste persone a partecipare ad un progetto come quello di Freaks?
Ok, erano tutti abituati per via delle loro partecipazioni ai vari circhi, ma cosa ti porta a esporti così?
Erano consapevoli della volontà di critica sociale del regista?
Volevano mandare un messaggio?
O, semplicemente, sognavano una carriera come attori?
Alcuni di loro, il già citato Schlitzie, per esempio, pare avessero anche un grave ritardo mentale.
Quindi mi chiedo: com'è successo? Come si sono trovati tutti lì?
Perché una persona con una problematica tanto grave è stata sottoposta a questo?
Ho mille domande, davvero.
Magari sono stati tutti trattati con i guanti, badate bene che la mia non vuole essere un'accusa.


Ma la cosa che rende questo film GRANDE, lo sapete qual'è?
Che i freaks possono essere cattivi.
Browning non si nasconde dietro un misero velo di compassione, e soprattutto non nasconde loro. (Ma nemmeno li espone come fenomeni da baraccone, appunto, ci sono e basta)
Gli esseri umani, di qualsiasi colore, forma, genere, possono essere persone meravigliose, generose, pure di cuore.
Oppure possono essere crudeli, vendicative, opportuniste.
Oppure, cosa molto più probabile, possono essere piene di sfumature appartenenti all'una o all'altra caratteristica.
Perché siamo PERSONE.
E quando questo termine diventerà l'unica etichetta di cui ci vestiremo, allora avremo raggiunto l'apertura mentale di cui già ora ci stiamo facendo vanto.
Tod Browning, invece, l'aveva capito 80 anni fa.

E ci ha sbattuto in faccia un film fortissimo (e chissà quanto lo era prima dei tagli violenti della censura) per farcelo capire, senza paura delle conseguenze.
Se ancora oggi il personaggio di colore è sempre il primo a morire nei film, pensate a quanto ha scioccato il mondo quest'uomo più o meno quando sono nati i nostri nonni.

Infine, tornando ad American Horror Story, ho capito finalmente dove hanno preso l'ispirazione per Pepper, che, guarda caso, ritroveremo in Freak Show.






martedì 23 settembre 2014

Antiviral

12:20
(2012, Brandon Cronenberg)



'Brandon Cronenberg, piacere!'
'Ahhhh, sei il figlio del grande David, eh?'
'MI AVETE ROTTO I CO...!'

Così mi immagino il povero Brandon, soprattutto dopo che Papino si è messo a fare i film con Pattinson.
Perché non è giusto che le colpe dei padri ricadano sui figli, ma nemmeno le glorie.
E allora Brandon si è detto: Ah sì? Mio papà è stato la storia?
Va bene, io sarò l'innovazione.
E infatti.


In un mondo in cui la gente mangia bistecche prodotte dalle cellule muscolari delle celebrità e si fa impiantare parti di pelle delle stesse, Syd March lavora per la Lucas Clinic, raffinata clinica che ti inietta i virus contratti dalle tue star preferite.
Hanna Geist è una di quelle che vanno più forte, fino a che muore, e il virus che l'ha uccisa casualmente sta anche nelle vene di Syd.
E quanto è ricercato, sto virus!

Brandon (e lo so che anche nelle vostre menti è partita la sigla di Beverly Hills) è al suo primo lavoro, o almeno al suo primo lungometraggio, e io già gli voglio bene.
Approfitto dell'occasione per ringraziare tutte le divinità che creano figli di celebrità anche sani di mente e non tutti Jaden Smith.

Detto ciò, parliamo del film.
Iniziamo con un furbo e professionale Syd, che alterna il lavoro ufficiale alla clinica con quello 'nero' in cui rivende gli stessi virus al mercato illegale. Perché se alla Lucas troviamo dei disperati fan benestanti, nel negozietto di periferia troviamo la stessa disperazione, lo stesso fanatismo, ma privo dei fondi.
E i soldi sono una delle ruote principali che muovono ogni singola scena del film.
La clinica vende a prezzi proibitivi dei malanni, ma a sua volta li acquista dalle celebrità stesse. E qui potremmo aprire una parentesi su chi sta davvero male nel cervello, se le persone che acquistano o i vip che vendono.
Syd non è soddisfatto dello stupendio - che immagino essere abbondante - della Lucas, vuole altri guadagni dal mercato nero.
Il dio denaro viene prima di ogni altra cosa, e questo non ha NIENTE di distopico.
E' già così.
Col tempo, però, tutto quel bianco svanisce, ci inoltriamo in un mondo che è cupo non solo nei colori. Sparisce la finzione del candore delle stanze della clinica, entriamo in uno scuro e malato mondo sotterraneo, a mano a mano che la malattia di Syd avanza e le sue condizioni peggiorano. Il lieto mondo della Lucas si alterna al mercato nero, ai ricatti, ai pugni, ai rapimenti. Si ritorna al bianco latte nell'ultima scena, quando però niente è più lo stesso, nè Syd, nè l'immagine che noi abbiamo di lui.


Eppure Cronenberg sembra non dare giudizio alcuno, ci mostra i comportamenti senza prendere posizione, senza dirci la sua, freddo come le stanze della clinica.
Non ci mostra nemmeno la vera faccia di questo Syd, così magistralmente interpretato da tale Caleb Landry Jones (che vi rendo noto essere nato nel MILLENOVECENTOOTTANTANOVE, c'ha un anno solo più di me), che è un volto perfetto e poi ha le lentiggini, e noi qui le lentiggini le amiamo, ma solo sugli altri.
Ci sembra così al di sopra degli altri, lui, così distaccato, così falso nel ripetere le stesse frasi ad ogni cliente ('E' praticamente perfetta, non è vero?') pur di vendere, così scaltro nel gestire la doppia attività, e poi, invece, si rivela esattamente come gli altri.

L'umanità è completamente annullata, le celebrità non sono più persone, non ce ne frega niente del loro essere individui. Sono il nostro sogno, e tale restano, chissenefrega se magari sono stati male (perché se vendono un virus non sono stati bene, ecco), chissenefrega addirittura se sono morti o no. Vogliamo vedere di più, sapere di più. Come stava in quel momento, rinchiudete in uomo con la stessa malattia in una stanza e fatecelo vedere. Vogliamo sapere tutto. Sanguinava? Cosa sentiva? E tutto ciò non deriva da preoccupazione umana nei confronti di un altro essere umano, ma dalla malata, perversa curiosità, che appare quasi, in fondo, come un gongolare.
Sì, sei famosa, sei ricca, ma lo vedi che stai male pure te?
E io voglio vedere COME, QUANTO, sei stata male.
Ma lo nascondo dietro il fatto che sono un tuo grandissimo fan.
Le celebrità sono 'allucinazioni collettive'.


Che poi è quasi il tono del film, come se fosse un viaggio onirico dentro la testa di Syd, ma anche di tutti quelli che trasformano in economia ogni cosa, la Lucas ma anche la casa concorrente.
Una specie di grande fratello al quadrato, in cui noi osserviamo le vite altrui e vogliamo esserne parte in ogni cosa, perfino iniettandoci le loro stesse malattie, ma in cui LORO STESSI si sono cacciati, scegliendo di vendere il proprio sangue malato.
Esattamente come i concorrenti di un reality che scelgono volontariamente di presentarsi ai provini.

Un bellissimo film, davvero.
E quando penso che senza esperienza Cronenberg jr ha fatto questo, al solo pensiero di quello che potrebbe fare con un po' di esperienza in più il mio cuore balla la salsa.

martedì 16 settembre 2014

Non solo horror: Taxi Driver

17:57
Ore 6.30 a.m.
'Mariiiikaaaaa, dai che devi andare a lavorare!'
La mamma mi sveglia.
Io non bofonchio nemmeno troppo, di solito sono brava a svegliarmi.
Faccio colazione con mio fratello che deve prendere il treno per andare a scuola.
Saluto tutti, mi accordo con la mamma per il pranzo ed esco.
Abito in condominio, scendendo le scale incontro un paio di vicini mattinieri come me. Scambiamo due chiacchiere mentre vado a prendere la bici con cui vado al lavoro.
Per la strada incontro il proprietario del piccolo market del paese, che mi saluta sempre con un sorrisone e un braccio alzato.
Passando chiamo ad alta voce mia zia, saluto pure lei.
Continuo a pedalare, mi passano vicino delle macchine, qualche collega, qualche conoscente, ci salutiamo, mi suonano il clacson. Al lavoro commentiamo la mia pedalata, parliamo, ridiamo, per 6 ore.
Poi torno a casa, mangio con i miei.
Parliamo della giornata, in modo frettoloso e a volte poco interessato, ma fa parte della routine.
Nel pomeriggio salgo in città, incontro la mia amica, andiamo a fare shopping, lei si sfoga per l'ansia dell'imminente convivenza, io le racconto come va il lavoro, ci diamo al gossip selvaggio e proviamo gli smalti da Kiko.
Alla sera torno a casa, ceno, per poi prepararmi ed uscire col mio ragazzo, andiamo in un pub con altri amici. Abbiamo argomenti consolidati, altri che evitiamo, ricordi che ci raccontiamo per riderne di nuovo come la prima volta.
Vado a letto, stanca morta. Ma è andata bene anche oggi.
Dormo.

Ore 6.30 a.m.
Travis è già sveglio, si rotola nel letto.
Si alza, si prepara una tazza di latte con i cereali, non ha nemmeno voglia di riscaldarselo.
Passa la giornata a oziare, non conclude nulla.
Pranza, cena, le ore scorrono sempre uguali, fino a sera, l'ora di arrivare al lavoro.
Fa il taxista di notte.
Incontra molta più gente di quanta ne incontri io, probabilmente.
Ma non parla veramente con nessuna, se non scambiando parole di circostanza con ogni cliente.
Ascolta le loro parole come se le udisse per sbaglio su un autobus, senza il minimo interesse. Non si ricorda nemmeno più come si fa ad avere una conversazione decente.
Finisce il turno, incontra qualche collega nel solito bar, ma non si trattiene mai troppo. Nemmeno quello che dicono loro riesce a toccarlo.
Torna a casa.
Non dorme.


Due persone, con trascorsi diversi, con vite diverse, con futuri - mi auguro - diversi.
Una ha una vita che si potrebbe definire normale, l'altro vive nella solitudine.
Quella totale, spiazzante, senza via d'uscita.
Quella che si crea continuamente da se stessa.
Meno stai con le persone meno sai starci.
E' per questo che quando inviti una bellissima donna ad uscire e lei per qualche motivo accetta, rovini tutto con un errore che a vederlo sullo schermo sembra un errore davvero da deficiente. Eppure l'hai commesso, perché non conosci più nemmeno le regole base della consuetudine. A nessuno verrebbe in mente di portare una donna al primo appuntamento a vedere un film a luci rosse al cinema, ma a Travis sì. Perché quella è la sua abitudine. Non vivendo le altre persone, come può sapere che quella non è anche la LORO, di abitudine.
E non sapendo come gira il mondo, non ti accorgi che il ragazzo con cui stai parlando non vuole tenerti compagnia, ma solo 'venderti' la sua escort. Perché non sai che le persone abitualmente non girano per la strada chiedendo ai passanti compagnia.

Si stupisce di trovare una escort minorenne (molto minorenne), cosa per il quale lo invidio. Invidio la sua sorpresa a fronte di una cosa così sbagliata. Noi ormai ci conviviamo, con fatti del genere, sono la cronaca quotidiana.
Questo suo starsene fuori dalle vicende del mondo lo ha fatto regredire allo stato infantile, quasi. Non è possibile che una bambina sia una prostituta, non è possibile (quanto è vero, Travis, quanto è vero. Non DOVREBBE essere possibile). Quindi, semplicemente, la salvi.


Pensi che sia sufficiente armarsi fino ai denti, e allenarsi a sembrare minaccioso davanti allo specchio per salvare il mondo da tutte le sue brutture.
Da solo, contro tutti.

Se poi ce la farà, non ve lo dico.
Anche se trovo assurdo che film come Taxi Driver non siano visti da tutti, non vengano trasmessi nelle scuole.

E' un film che ti insegna che l'umanità può anche fare schifo (cit. Fuori Frigo) ma che ne abbiamo bisogno.
Che a modo nostro ne siamo parte anche noi e che non possiamo far finta che non sia così, anche se a volte vorremmo.
Che la solitudine ti corrode, come una malattia, ma lei per davvero, non come la cellulite secondo quelli del Somatoline.

E per quanto riguarda il film, se mi è piaciuto?
Ci sono pellicole che vanno oltre l'essere film soggetti ad opinione pubblica, diventano iconici e tali devono restare.
Ma ovviamente sì, mi è piaciuto.
Molto.


venerdì 12 settembre 2014

2 anni di MRR

14:29
Mi è quasi sfuggito.
E' stata una settimana stressante, per non parlare di ieri sera che se non ho rischiato l'esaurimento nervoso di certo l'ho sfiorato abbondantemente.
Quindi il mio pensiero fisso di oggi è: 'Venerdì, venerdì, venerdì, venerdì, grazie a tutti gli dei per aver creato il venerdì.'
Poi apro l'agenda (che io sono una persona piena di impegni e c'ho l'aggggenda), e vedo che è il 12, e il 12 settembre, accantonati gli ipocriti link sulle Torri Gemelle, è il compleanno della cameretta rossa!

Insomma, buon compleanno a questo spazietto che mi è stato di così grande aiuto, nonostante la sua discontinuità del periodo passato. Il mio regalo per il suo compleanno è appunto questo post, che lo faccia respirare un po' dalle solite brutture che l'ho abituato a sopportare, tra morti, zombi e fantasmi, e il mio augurio è che continui con lo stesso entusiasmo. La promessa è che, nel momento in cui tale entusiasmo sarà svanito, sarò la prima a mollare la presa.
Ma non credo accadrà molto presto.
E, siccome in ogni discorso da grande occasione ci vogliono i ringraziamenti, io ringrazio voi perché passate di qui, mi dite la vostra opinione, mi invitate sempre a nuove riflessioni e mi fate divertire. Siete uno dei motivi per cui continuo a scrivere con così tanta passione.
Vivibbì.

Niente cinema, oggi.
Solo una birretta virtuale in compagnia.

domenica 7 settembre 2014

Maripensiero: i grandi film che non ho ancora visto

18:17
Vi voglio preparare: questo post vi farà cambiare l'immagine che avete (ammesso ma assolutamente non concesso che ne abbiate una, poi) dell'autrice di questo blog.
Sto per fare delle confessioni che non vorrei mai fare, per non dover ammettere che non sono così preparata come vorrei essere.

'E allora perché farle?' vi chiederete voi, che non siete affatto scemi.
Perché mi serve un ordine. Ho bisogno di priorità.
Perché pensate al numero di film che escono ogni anno nel cinema più vicino a casa vostra.
Sommateci i film che il vostro cinema non proietta.
Al risultato vanno aggiunti tutti i film usciti prima del momento in cui state facendo il vostro calcolo.
(Io sono nata nel 1990, capite? La prima ripresa cinematografica pare avere CENTODUE anni più di me.)
Unite i film indipendenti (tutti!) , quelli censurati, quelli girati nei paesi che non sono manco riprodotti sull'atlante geografico e poi gli orientali. Che producono più film loro che litri di latte una mucca all'anno. Dopodichè ci sono i cortometraggi, i prodotti televisivi, i documentari e tutti i film proiettati nei festival che poi finiscono nell'oblio dell'industria di distribuzione.
Io non ci sto dietro, e non me ne do pace.

Vorrei vedere TONNELLATE di film, ma lo sapete anche voi come funziona, c'è quella scocciatura che si chiama vivere.
Che alcune persone sarebbe meglio non lo facessero perché se poi hanno vite eccezionali di sicuro prima o poi ne verrà tratto un altro film.

Iniziamo dai non horror, che è una lista assurda ma che riesco a gestire meglio.
  • Le Iene, Quentin Tarantino. Per tutto questo tempo ho dato la precedenza agli altri suoi lavori. E considerando che è uno dei miei registi preferiti è una cosa deprecabile.
  • Scarface, Brian De Palma. A mia discolpa posso dire che tratta un tema che per me è particolare, devo proprio essere in vena per una cosa del genere, e finora non lo sono ancora stata. Stesso discorso vale per la trilogia de Il Padrino.
  • Blade Runner, Ridley Scott. Non ce la faccio, davvero. Mi viene la noia solo a leggere la trama, è troppo lontano dal mio genere.
  • 2001, Odissea nello spazio, Stanley Kubrik. MI DISPIACE, STANLEY. Io ti amo, tanto. Hai il mio cuore in totale gestione. Ma la fantascienza mi devasta. Lo farò, magari, prima o poi. Solo perché sei tu. Ma mi costerà tanta fatica.
  • Mulholland Drive, David Lynch. Finisco Twin Peaks e rimedio subito, lo giuro, lo giuro.
  • Apocalypse Now, Francis Ford Coppola. Finirò di leggere quel Cuore di tenebra prima io poi, ne sono certa. E allora, solo allora, vedrò il film.
  • Il grande Lebowski, Fratelli Coen. Questo è uno dei primi che recupererò, davvero.
  • Nessun film di Sergio Leone. Però le colonne sonore le so, eh. Quasi tutte.
  • Dogville, Lars Von Trier. Non lo so, sto danese qua mi lascia perplessa. Infatti ho visto solo Nymphomaniac e non sono certa di averci colto molto. 
  • Salò o le 120 giornate di Sodoma, Pier Paolo Pasolini. Non so se sinceramente lo vedrò mai, voi che dite?
  • Nessun fim di Akira Kurosawa. Ma non so dirvi il perché.

Gli horror, e qui ho già mal di cuore.
  • Freaks, Tod Browning. Ancora per poco, però, ho in mente di vederlo a breve per un'idea qui sul blog.
  • The Wicker Man, Robin Hardy. Non lo so, mi attira e mi respinge ogni volta. 
  • La bambola assassina, Tom Holland. Eh, oh.
  • Lo squalo, Steven Spielberg. Io lo so che Steven lo amate tutti, ma io no, quindi continuo a rimandare.
  • Il bacio della pantera, Jacques Tourneur. NON. LO. TROVO. 
  • Il signore del male, John Carpenter. Ok, questa è pesante. Mi autoflagello ogni notte torturata dal senso di inadeguatezza. Ma ho troppa paura che mi faccia paura. Il perché chiedetelo a Friedkin.
  • Buio Omega, Joe D'Amato. Semplicemente, non ci siamo ancora incontrati.
  • Che fine ha fatto Baby Jane? di Robert Aldrich. Vedi alla voce 'Il bacio della pantera'
  • Ichi the killer, Takashi Miike. Credo sia un po' troppo forte anche per me!
  • Non ho mai visto film horror molto vecchi. Mai. Niente dottori Calegari, niente Golem. Ho semplicemente paura di non capirli e di diventare una di quelle squallidone che dicono 'Eh ma gli effetti speciali?'. Credo di dover 'studiare' ancora un po' per quelli.
  • Mi muovo zoppicando nel cinema orientale. Partendo dal presupposto che già distinguo a fatica un nome (o un volto) cinese da un giapponese da un coreano da un tailandese, figuriamoci che dimestichezza ho col loro cinema. Miike a parte. Mi rendo conto che suona razzista, ma credetemi, è solo questione di mia profonda ignoranza.
Credete siano pochi?
Mancano all'appello anche diversi film di Fulci, la saga di Hellraiser, qualche Bava, Craven lo conosco solo di sfuggita e nemmeno Argento lo conosco completamente.
Certo, qualche capolavoro l'ho visto anche io, non pensate.
Questo per esempio, o questo, o addirittura quest'altro.

Aiutatemi a fare un po' di ordine in questo caos! Ditemi da cosa partire per la mia operazione recupero, quali sono i vostri preferiti o quali si chiamano di sottotitolo 'Lascia Perdere'.


Sono ammesse le prese in giro, qui nei commenti. Ma gli insulti no, dai, che poi ci resto male.

mercoledì 3 settembre 2014

La casa dei 1000 corpi

08:35
(2003, Rob Zombie)


Io e Rob ci siamo incontrati per la prima volta qualche anno fa.
E' stato un incontro fugace, quasi di nascosto, in seguito al quale mi ero ripromessa che con questo signore non ci avrei più voluto avere a che fare.
Il film si chiamava Halloween - The Beginning e non mi era piaciuto.
Non mi ero nemmeno preoccupata di informarmi se il tizio avesse fatto altri film.

Poi arrivo sulla blogosfera ed è tutto un elogiare un film chiamato La  casa del diavolo e pare proprio che fosse di 'sto Zombie.
Eh va beh, sono passati anni da quel vecchio Halloween, magari poi nemmeno me lo ricordo così bene, diamogli una chance.
Certo, dovevo partire dal primo film, che non c'entra con case del demonio ma con mille corpi.
Che, ve lo dico subito, non credo siano proprio proprio mille, ma di sicuro di cadaveri se ne vedono un po'.


Protagonisti de La casa dei 1000 corpi sono 4 ragazzi, impegnati in un road trip per scrivere un libro che parli dei locali sconosciuti della provincia. Si ritrovano da un benzinaio, che li porta a visitare un museo 'Of mosters and madmen' in cui vedono e sentono le storie di alcuni famosi serial killer, tra cui sentono parlare del Dottor Satana, chirurgo folle che è stato impiccato ad una pianta poco distante da quel benzinaio.
Gli amici decidono di visitarla, e sulla strada per raggiungerlo incontrano un'autostoppista che si rivelerà salvifica quando rimarranno appiedati causa ruota bucata.
Salvifica, sì....

Tra un disastro e l'altro i ragazzi arrivano a casa di questa pazza squilibrata che si sono tirati in macchina. Qui facciamo la lieta conoscenza di una famiglia di folli: mamma che pare uscita da True Blood, fratello (immagino, qui non sono chiari i rapporti che legano le persone) uno bruciacchiato, uno sosia ancora più cattivo di Lucius e una va beh è la squiibrata autostoppista di cui sopra.
E' interessante ci sia fatta fare la conoscenza di ogni singolo elemento della famiglia prima dell'inizio della carneficina, almeno sappiamo con chi abbiamo a che fare.


E sapete con chi abbiamo a che fare?
Con una banda completamente fuori di testa di cazzoni simpaticissimi.
Mi dispiace, io stavolta tenevo per loro.
Ne ho visti di villain che mi sono piaciuti, ma questi, signori, vincono il premio Tamarreide on screen.
Ritira il premio: Sheri Moon.
Io ho iniziato più o meno a metà film a sospettare che la signora Zombie qualche problemino di equilibrio mentale ce lo avesse davvero. E' sorprendente. Assolutamente detestabile, da prendere a sganassoni in faccia dall'inizio alla fine, ma quanto è stata brava! Credo che cercherò il film anche in lingua, per vedere se la sua voce è irritante quanto quella della doppiatrice italiana.
Bellissimi personaggi anche gli altri appartenenti alla famiglia Firefly.
La mamma, precursore della moda delle milf, fa la panterona e il risultato è quanto di più goffo e assurdo mai visto.
Lucius, (che non si chiama così ma tanto qui non stiamo a notare le sottigliezze) crudelissimo e malatissimo fratellone che trasforma le sue vittime in corpi ibridi tipo l'uomo pesce, un sirenetto meno mainstream e più inquietante, con sta chioma che ha chiaramente trovato il segreto del perfetto swissh.
Da non dimenticare poi il fratello quello ustionato, che la mamma descrive come perfetto playboy suscitando la mia convulsa ilarità e che si rivela poi un tenerone (o un pirlone?) che lascia scappare la sua vittima.
Ma più di tutti, il mio cuore è stato catturato da quel personaggio deficiente di Capitan Spaulding, con tanti cari saluti ad American Horror Story e al maggiordomo.
Guardate che è un figo da non sottovalutare, eh. Temo sia quello che più di tutti ha risentito di un doppiaggio impietoso che lo ha reso quasi una macchietta da cartone animato, ma in fondo è questo suo aspetto così forzato ad essermi piaciuto tanto.

Certo, con dei cattivi così interessanti e carismatici nel loro essere dei folli sconsiderati e marcissimi, le quattro vittime ne risentono molto dal punto di vista dell'approfondimento, cosa che comunque si rivela un problema minore dal momento che è ovvio dal primo istante la fine che faranno.
Se poi proprio vogliamo elencare altri difetti, direi che La casa dei 1000 corpi è un Crispy McBacon con i clichè al posto della pancetta.
Quattro ragazzotti in viaggio, raccolgono un autostoppista, poi restano a piedi, poi addio e tanti saluti al creatore.

Ma sono forse difetti rilevanti a fronte di un divertimento così sguaiato?
Di fronte a un ragazzo che viene trasformato in sirenetta?
Di fronte a una caverna con le pareti di ossa?
Di fronte a un benzinaio truccato da CLOWN?

                                             

E in fondo Zombie non è affatto uno sprovveduto, come ha dimostrato nella scelta di musica eccezionale davvero (sì, sto facendo l'occhiolino alla scena dei poliziotti che trovano il luogo in cui stanno i cadaveri) e nel proporci salti temporali occasionali, in cui sfoggia tutta la sua conoscenza dei filtri di Instagram.

E va bene, Morto Vivente, ti sei guadagnato la terza possibilità, e a giudicare da quello che leggo in giro so già che ti guadagnerai la quarta, la quinta e così via.
Mi pare che tu e la Sheri siate una bella coppia.
Due squilibrati.



sabato 30 agosto 2014

The Den

15:58
(2013, Zachary Donohue)


Spoiler saltuari ma importanti.

Un film horror sulla falsa riga dei mockumentary, girato quasi interamente dalla webcam di un pc e ambientato in una chat.
Io pronta a fare la ola ballando la salsa in piedi su un tavolino in un Irish Pub di provincia.

Della serie che mi sono approcciata alla visione di questo film proprio senza aspettative.

The Den è il nome di una chat che Elizabeth deve frequentare per fare uno studio su quali sono i casi umani che interagiscono nelle videochat.
E non parliamo di Skype, parliamo di Chatroulette style, con peni giganti che cantano, ragazzi che ballano vestiti da conigli e donnoni provocantoni di rosso vestite.
Un panorama davvero desolante.
Pare normale amministrazione del web, se non fosse che un giorno su una chat Elizabeth assiste ad un omicidio che lei crede essere reale ma a cui nessuno dà peso, prendendolo per uno di quei video di scherzi deficienti di cui la rete pullula.


I primi dieci/quindici minuti sono fonte di risate a non finire, Elizabeth fa passare un po' di chat, tra le quali vi raccomando di prestare attenzione al vichingo barbuto in bikini rosso che si dimena accarezzandosi sensualmente la barba.
Da subito però incontra questo bizzarro utente senza webcam, che interagisce solo scrivendo. La vicenda misteriosa inizia subito, il che per me in casi come questo è un pregio enorme. Poi la prima volta che l'utente si fa vedere è per farsi vedere mentre muore, e poi pian piano muoiono tutti, e io mi chiedo questa Elizabeth come abbia fatto a non ammazzarsi per i sensi di colpa. Una volta sola dice 'Mi dispiace' ed è quando ormai è troppo tardi per tutti.

Non fraintendete il mio tono ironico, non è che mi sia dispiaciuto, anzi.
Potrebbe anche essere un bel film, se non fosse per alcuni piccoli dettagli che mi hanno fatto pensare che la distrazione degli sceneggiatori sia come quella che avevo io durante le verifiche di matematica e che mi faceva prendere 4 ogni volta.
Per esempio: amica viene invitata a casa di Elizabeth (per chat, obv), arriva davanti alla porta e Elizabeth, anzichè andarle ad aprire e scrive in chat che la porta è aperta. Ora, è ovvio che a scriverle non è Elizabeth ma le persone cattive che uccidono gli utenti. Noi lo sappiamo, ma Amica no. E allora perché non si insospettisce? Ma vi pare logico che uno ti scrive 'è aperto' per messaggio anziché venirti ad aprire? Questa non fa proprio una piega, fa una piccola smorfia ed entra. Come niente fosse.
Ed è così per tutto il film. Le persone non si parlano praticamente MAI di persona. E' una forzatura troppo grande, troppo. Non è nemmeno sorretta dalla scusa dei rapporti a distanza o che, niente. Questi stanno a 5 minuti uno dall'altro e parlano per videochat.
Ecco, è questo che mi ha scocciato di più. Non è che ogni volta ci si vede, per carità, per scambiare due parole. Però una telefonata, un messaggio, whatsapp. Perché la videochat?
Una forzatura anche in scene assolutamente non necessaria, come quando le due amiche si sentono per decidere se vino o birra. In videochat.


A parte ciò, è comunque un'idea interessante, il punto di vista della webcam è una specie di mockumentary a rovescio se vogliamo e tutto sommato funziona. Mi piace come idea, mi è piaciuta come realizzazione e devo dire la verità, sono anche una delle poche che ha apprezzato anche il finale.
La vicenda non si conclude con il solito assassino che chissà perché ammazza le sue vittime, e vedere qualcosa di diverso, sebbene reso in modo un po' slasso nel finale, a me non è dispiaciuto. Soprattutto non l'ho trovo troppo assurdo, basta scavare un attimo in più nella zona brutta di internet per capire che non è così assurdo pensare che delle persone paghino per degli snuff.
E sinceramente, quella scena finale, col bimbo che apre la porta e chiama 'Papà', e l'uomo che chiude velocemente la pagina come se fosse banalmente su un sito porno, mi ha messo una bella amarezza.

Non raggiungiamo i picchi del mio amato episodio di V/H/S, The sick thing that happened to Emily when she was younger, ma una visione la vale, magari non al pc, perché vi garantisco che vedere la freccetta muoversi sullo schermo e voi non lo state toccando vi farà pensare di avere il computer posseduto da un servo di satana.


Per concludere, il mio pensiero va al povero Max, che dopo essere stato friendzonato per tutto il film fa pure una fine impietosa e crudele.
Ciao, Max, sempre nel cuore.

venerdì 22 agosto 2014

Zeder

17:20
SPOILER COME SE PIOVESSERO

Giornatona oggi, ragà.
Io vivo nel bel mezzo del nulla cosmico, nell'antimateria.
L'unica festa che c'è nel mio paese è quella dell'Unità.
Ma stasera, STASERA, ci sta Pupi Avati.

Non so da dove sia sbucata alla precedente amministrazione comunale l'idea di portarmi sotto casa quel bel pagnottone di Giuseppe mio. 
Ma non importa, stasera vado lì, lo ascolto parlare della sua vita (ma poi, ci interessa forse la sua vita? No che non ci interessa, siamo mica qui a fare stalking professionale noi, qua si parla di cinema) e poi lo inseguo e lo torturo finchè non mi spiega ogni cosa.
Ogni dettaglio, ogni idea, ogni ripresa, voglio sapere tutto sulla realizzazione dei suoi horroroni.
E siccome de La casa dalle finestre che ridono già ve ne avevo parlato, oggi mi dovreste dare una mano a stendere la lista di domande da fare al Pupi su Zeder.



Non lo so, stendiamo un discorso, facciamo un brainstorming insieme, una scaletta, mettiamo giù due righe.
Io intanto parto a dirvi di che cosa parla il film, nel caso in cui non l'abbiate visto!

Stefano (che si chiama in realtà Gabriele Lavia ma credo sia uno pseudonimo per Pippo Inzaghi data l'imbarazzante somiglianza) è uno scrittore che riceve in regalo dalla fidanzata (ma chiamiamola morosa che qua siamo in Emilia e bisogna usare il linguaggio specifico) una macchina da scrivere usata. Gli viene una sera l'idea di guardare il nastro con inciso quanto scritto precedentemente con la macchina e apriti cielo salta fuori di tutto.
In breve, ci sono delle zone, dette terreni k, nei quali se ci seppellisci la gente questa resuscita.
E lui, scrittore curioso, decide di andare a fondo nella faccenda.

Ipotizzando, con molta molta fantasia, che io mi ritrovi con una birretta e Pupi, avrei un paio di domande da fargli.



  1. Dove si trova quella casa splendida della prima scena? E' di una bellezza sconvolgente. Spettacolare la casa, ma ancor più bello questo incipit. Abbastanza caotico, ti dirò, ma che bellezza. La casa, la ragazza riccia, il pavimento che si muove, che angoscia mette. Quei cunicoli sotterranei, che mi hanno ricordato i sotterranei del Palazzo Ducale di Urbino che ho visto da poco. Mi son venuti un po' i brividi a pensare che sono stata in un luogo così simile.
  2. Ragazza di inizio film = donna zoppa? Non ne sono certa al mille per cento, perché si parlava di amputazione, però ho sto tarlo che non riesco a levarmi dalla testa. E' sempre lei? E se è lei, cosa ci fa ancora invischiata in questa faccenda? Ma scappa, emigra, cambia identità.
  3. Ma Pupi, che per caso sei ateo? I preti nei tuoi film non fanno proprio dei figuroni, eh. 
  4. Come si ottiene una sensazione di ansia così? Stefano indaga, va sempre più a fondo con la faccenda, e io avrei tanto voluto dirgli che secondo me non stava agendo con saggezza, ma poi ero costantemente catturata dalla curiosità, esattamente come lui. Tecnicamente, come si fa? Non è che io voglia carpirti i segreti per fare la regista, perchè non è quello che voglio fare, ma son curiosa. Non riesco ad attribuire la responsabilità, non so se è la luce, la trama che si infittisce, la musica, o tutte queste cose insieme.
  5. Perché povero Guido gli hai fatto fare sta fine? Non solo non otteneva la promozione - e stronza l'Alessandra a farglielo notare - pure la morte 'accidentale'? Cos'aveva fatto sta creatura?
  6. In compenso, non è una domanda ma volevo renderti partecipe della mia completa solidarietà nei confronti della sopracitata Alessandra, alla quale fregava meno di una cippa lippa di niente della fine che aveva fatto sto prete e invece le è toccato sorbirsi il moroso in paranoia e la morte prematura. Almeno ci ha guadagnato mezza giornata di mare, va là.
  7. Hai avuto un rapporto conflittuale con dei tuoi fratelli? Nemmeno loro escono bene dai tuoi film. Io questi problemi li affronterei, Pupi.
  8. Non trovi anche tu che in età avanzata Ortolani (<3) assomigliasse un po' a Depardieu?
  9. Per quale razza di motivo hai pensato che fosse una buona idea smettere con l'horror?

Ok, dovrebbero bastare per metterlo sotto torchio per un po'.
Se qualcuno di voi sa già le risposte, datemi le risposte, che qua abbiamo fame di conoscenza.


[RECENSIONE FAST:
Non avrei mai, MAI, creduto che un film ambientato a Rimini potesse farmi paura. E invece.
Proprio quelle ambientazioni che ai miei occhi erano così inusuali sono uno dei punti di forza di una pellicola che mi ha fatto rivalutare una volta di più la figura, da me prima tanto snobbata, di Avati.
Ci sono certe scene che ve le raccomando. 
E, nella maniera più semplice, la storia è incredibilmente accattivante.
Un oggetto usato, che ha un passato misterioso, legato a persone e vicende oscure, e un nuovo proprietario che vuole scoprirle, è fighissimo.
E quella macchina da scrivere è splendida.
Esattamente come il tuo film. 
Una di quelle perle che se ne stanno nascoste in mezzo alla melma del cinema italiano e che se non ci scavi bene dentro non le trovi.
E' davvero un peccato.]

PS. Mi sono accorta di non avervi detto il motivo del titolo. Zeder è il cognome del professore che ha scoperto i terreni k. No, Avati non è solito chiamare i film con i nomi in tedesco delle piante.


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