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sabato 16 ottobre 2021

Redrumia31, settimana 2

11:53
Questa cosa che ottobre sia già a metà non la sto prendendo proprio benissimo se devo essere sincera, e soprattutto non sto vivendo bene che siamo a ottobre e faccia il freddo dei primi di dicembre.
Siccome questo però è un blog di cinema e non di previsioni del meteo, ricapitoliamo le visioni della settimana. 





La casa in fondo al lago

Con poca rabbia e poca frustrazione sono costretta ad ammettere che questo film me lo ero persa in sala. E porco cane se questo era un film che andava visto proprio lì. Un'ora e mezza di apnea, di terrore incondizionato, di angoscia, tutta vissuta sott'acqua. Dai suoi registi non mi aspettavo nulla di meno, figuriamoci, però è davvero sconvolgente e si basa su un'idea tanto semplice quanto assolutamente intrigante: una casa infestata sul fondo di un lago. Una di quelle cose folli in cui mi lancerei senza nemmeno pensarci. Ma come una casa infestata in fondo al lago, ma che razza di figata senza senso è? Mi dispiace non poter dare una recensione di quelle da basco in testa e sigaretta in bocca ma a me queste cose fanno perdere il senno, è un'idea bellissima. 
E il film fa una paura che ancora di più mi fa soffrire il fatto di non averla subita al cinema.

Superhost

Una delle novità di Shudder, è la storia di due travel vlogger che stanno organizzando l'ennesimo viaggio da registrare. Stanno perdendo follower e visualizzazioni, e di conseguenza il loro guadagno, e sperano con questa opportunità di tornare a recuperare il loro smalto. La loro host è una di quelle persone eccessive e socialmente inadeguate (come la capisco) che potrebbero sfruttare per recuperare il loro successo. Ovviamente, le cose non si metteranno a loro favore.
Personalmente l'ho trovato carino, ben realizzate le scene che alternano vita reale e vlog, anche se non sono impazzita per il suo finale. Vado un momento in zona spoiler: Rebecca è davanti allo schermo del pc e osserva l'ultimo video caricato dalla coppia, la richiesta di aiuto. Di fianco compaiono decine di commenti indignati che scambiano il video per uno dei clickbait che la coppia già in passato aveva usato. Non capisco se vuole essere una sorta di critica verso il sistema-web, se vuole essere un perculo, uno dei classici "NoN è La ViTA VeRa" o qualcosa del genere, o se sperava di essere solo un finale un po' cattivello. L'ho trovato solo un po' poco efficace.
Nel complesso però è carino, c'è una comparsata di Santa Barbara Crampton, una bella rappresentazione anche grafica della vita sul web e una villain efficace.

Non aprite quella porta

Il classico della settimana.
Questa martellata sui denti tra poco compie 50 anni e ci fosse una visione in cui perde un briciolo della potenza sporchissima che ha. La prima volta che compare sullo schermo Leatherface è una di quelle scene che anche se hai tatuate nelle retine ti lascia senza fiato sul divano. Come si possa realizzare un film del genere è per me il vero Mistero della Fede, quella incondizionata che provo nei confronti di certi registi che sono il Messia di questo piccolo posto sul web.


Chi è sepolto in quella casa?

Sempre su Shudder sta anche questa comedy grottesca e divertente, che parla di uno scrittore con un milione e mezzo di traumi alle spalle: il Vietnam, l'unico figlio scomparso nel nulla, un divorzio e in ultimo una zia suicida. Giuro che non sembra ma è una comedy davvero. Si trasferisce nella casa della zia per ultimare un romanzo che gli sta causando qualche problema col suo editore e la casa finisce per essere infestata. 
Senza alcuna pretesa è un film che intrattiene parecchio, buffo, ma che non tralascia la possibilità di trattare anche temi ben più seri.

Us - Noi

Per la live di questa settimana mi sono rivista il film di Jordan Peele. Tutte le opinioni mie, e della mia ospite Federica, le trovate qui:





Horror Noire

Per preparare la live mi sono rivista anche questo gioiello di un documentario, che ripercorre la storia del cinema dell'orrore americano da un punto di vista afro americano. Si intervistano critici, attori, registi, che attraversano tutta la storia del genere con il filtro della propria storia e della propria rappresentazione. C'è un sacco da imparare, un modo nuovo per me di guardare al cinema e un sacco di persone note che è sempre una delizia sentir parlare. Per chi fosse interessato ad approfondire, poi, il documentario è tratto da un saggio con lo stesso titolo, che spazia ancora di più. Bellissimo davvero.




Questa settimana sono stata brava e breve, per i miei standard. Non abituatevi troppo a questa sintesi, che la prossima settimana esce Halloween Kills e sono pronta al trattato sociologico.


venerdì 8 ottobre 2021

Redrumia31: settimana 1

10:39

 Ieri è stato il mio compleanno, giornata che di solito vivo con la serenità del gattino che attraversa la strada e vede sopraggiungere due fari gialli. Per rischiarare la cupezza della giornata io chiedo un solo regalo alla persona che ha aperto un mutuo con me: per un mese intero voglio scegliere io i film. Perché convivere è bellissimo, è l'inizio di una famiglia, il solidificarsi di una relazione, il mangiare insieme la pizza sul divano quando non si ha voglia di cucinare, ma è anche il dover scendere a compromessi sulle visioni da fare. Lo scorso anno questo sconsiderato ha accettato di farmi questo regalo (trovate qui i post a riguardo) e ora ogni ottobre della sua vita sarà contrassegnato da 31 giorni di solo orrore.


Una volta alla settimana verrò qui a raccontarvi a quali torture l'ho sottoposto.




Escape Room


Non è la prima volta che mi succede e ancora mi sorprendo di quanto idiota io riesca ad essere senza manco impegnarmici troppo. Ho sbagliato film. In questi giorni è uscito al cinema Escape Room 2 e io bella come il sole ho messo su quello che credevo essere il primo film. Era lì su Prime, comodo., parlava di giovani amici in una situazione di pericolo..

Ebbene, amici, di Escape Room ce ne sono due. Volevo vedere quello del 2019, mi sono guardata quello del 2017. Abbiate pietà di voi stessi: risparmiatevelo. Io sono la persona più di bocca buona dell'universo, mi piace tutto, amo i teen horror anche più demenziali, sono sempre contenta. Però ogni tanto tocca anche a me ammettere che qualcosa non funziona, e porco cane questo film è proprio bruttarello, poverino. Non funzionano gli attori, non funzionano le scene di morte e soprattutto non funziona la scrittura. 

Capita, ma è un peccato.


L'invasione degli Ultracorpi


Il classico della settimana, nulla da aggiungere. 


Titane


Andare al cinema a vedere un body horror vincitore a Cannes era un'esperienza che non ero certa avrei mai fatto nella mia vita. E invece la Francia ha deciso di lasciare spazio ai mostri, e io sono entrata in sala con alcune tra le aspettative più alte degli ultimi anni. Non ne è stata delusa nessuna.

Ducournau dirige un film che ha un perfetto equilibrio tra godurioso divertimento e lacerante dolore, che mette in scena due personaggi così intensi, così potenti che me li porterò dentro per sempre. Un film romantico, che parla d'amore in un modo così viscerale, e che lo fa con poche parole e tantissimi sguardi, tantissimi balli, tantissimo corpo. Ci si tocca, in Titane, per tutto il tempo. Il corpo è protagonista: balla, viene nascosto, viene modificato, rotto, sistemato, aiutato. C'è un corpo che invecchia e tradisce, uno che esplode per uscire e tradisce ugualmente. C'è un gioco costante con i ruoli di genere, ci sono i maschilissimi pompieri, grandi grossi e virili, e ci sono le donne succinte che ballano sulle auto. C'è una delle migliori rappresentazioni della gravidanza che ho visto sullo schermo in tempi recenti. Il corpo della madre che cambia, e fa cose sconosciute, e non si contiene, e secerne sostanze nuove, e la rende vulnerabile e fortissima al tempo stesso. 

Può sorprendere, che Titane abbia vinto un premio così profumato, poi lo si guarda e non poteva che andare così. Lunga vita alle donne dell'orrore.


Altered - Paura dallo spazio profondo


Questo è interessante. Un piccolo film di alieni che non conoscevo e ho trovato su Prime per caso e che si è rivelato una visione particolarissima.

Un gruppo di amici è sopravvissuto ad un'esperienza traumatica che li porta, 15 anni dopo, a cercare ancora vendetta. Uno di loro è morto durante un rapimento alieno e ogni notte alcuni di loro continuano a cercare una traccia di quello che è accaduto.


Altered è davvero un piccolo film anomalo, che usa gli alieni per parlare di elaborazione del lutto e del trauma, di come ognuno cerchi di sopravvivere con il bagaglio che si porta sulle spalle e di come rivangare quello che è stato non sia mai davvero una buona idea. Lo fa parlando di 4 amici molto diversi tra loro, che ormai sembrano legati solo da quello che è capitato loro. Si vogliono bene, ma sono troppo diversi, e vogliono cose diverse dalla vendetta che cercano. Sono arrabbiati, tristi, compromessi. Si ritrovano in una casa isolata con un alieno che non ha alcuna intenzione di farsi ammazzare, e il loro non essere più in sintonia complica la situazione. Mi piace che non si perda in spiegoni o in dialoghi forzati, qua c'è un alieno da fare fuori e ci sono intestini da cavare, forza e coraggio.  

Bel finale.


Truth or dare


Questo proprio mi fa rabbia perché aveva tutte le caratteristiche per rientrare nei miei gusti e invece è scritto male e mi fa solo incazzare.

La storia è quella di un gruppo di amici che va in Messico per lo Spring Break, finisce a giocare a obbligo o verità con uno sconosciuto e finisce invischiata in una maledizione legata al gioco. Poteva essere o no divertentissimo? Poteva, cavolo. Tardo adolescenti ubriachi e morti malissimo? Ci sto, dove devo firmare?

Invece no, mi devono far restare male. Le regole del gioco (e della maledizione di conseguenza) vengono modificate un po' a sentimento e questo è il grosso del problema. Scrittura debole? Mi dispiace, ma volendo la accetto. Prendere proprio in giro lo spettatore con modifiche strutturali in corso d'opera però no, raga, dai. Me lo volete dare per favore un teen horror stupidone ma dignitoso? Posso avere adolescenti infilzati sulle stecche da biliardo senza restarci male poco dopo? Ma cosa deve fare una ragazza per essere contenta? Io vado a rivedere So cosa hai fatto, lui sì che si merita il nostro tempo.


VHS 94


L'ultimo capitolo della saga antologica di Bloody Disgusting è arrivato in questi giorni su Shudder e, nonostante io non sia una fan di prim'ordine degli antologici, questo mi è piaciuto. Belli i corti (Hail Raatma su tutti), bello l'episodio cornice. Non si toccano i picchi di paura atroce che per qualche motivo avevo toccato con l'episodio Safe Heaven del secondo capitolo della saga, però è di grandissimo intrattenimento. 


The Shallows


Su Netflix sta quello che riassumerei come "il film di squali con Blake Lively".

Io l'ho trovato bellone e non me lo aspettavo. Estetica da videoclip, con i suoi colori belli saturi e il look da hit estiva, storia ormai arcinota ma che evidentemente da un punto di vista narrativo continua a funzionare, The Shallows è un film onestissimo, breve, con un ritmo perfetto e sorretto completamente dalla sua protagonista. Certo, in un giorno complicato come il mio compleanno, in cui il mio rapporto malsano con il mio aspetto emerge ancora più prepotentemente forse scegliere un film in cui c'è Blake Lively in costume per un'ora e venticinque forse non è stata un'idea brillante, ecco. Però il film è bello.


Ieri però, per consolarmi dall'angoscia del compleanno, mi è arrivato un Funkino del Fauno di del Toro, e adesso sta lì sulla mia libreria a dirmi che sono la principessa di un regno perduto, non posso essere più triste.



martedì 10 agosto 2021

Notte Horror 2021: Re-Animator

23:00

 Passano gli anni nella blogosfera, qualcuno smette, qualcuno si prende una pausa, qualcuno passa ad altre piattaforme, qualcuno rimane. Una cosa, però, è incrollabile, una certezza granitica che ci ricorda che una sola cosa unisce e unirà per sempre gli animi dei cavalieri jedi che popolano l'internet: la Notte Horror. 

È arrivato il mio turno anche quest'anno, e come al solito in fondo al post troverete il bannerone con le altre partecipazioni. Io quest'anno mi sono buttata su Stuart Gordon, personaggio che su questo blog abbiamo sempre trattato troppo poco, ma che mi sembrava giusto omaggiare dato che lo scorso anno ci ha salutati.




Quest'anno più Lovecraftiana del solito, pare, perché la storia del film è tratta dal racconto del Nostro. Herbert West è un talentuoso studente di medicina che sta lavorando su modi per riportare in vita i defunti. Quando arriva alla Miskatonic University prende una stanza nella casa di un collega del college, Dan. Quando Dan e Megan, la sua fidanzata, scoprono di cosa si occupa Herbert, le cose non si mettono bene.


Quest'anno mi sono sottoposta a visioni (non fraintendetemi, amatissime) seriose, impegnative, piene di messaggi sociali, lente. Ormai è chiaro che quello è il cinema che preferisco. Però uno Stuart Gordon me lo meritavo. Re-Animator è un film che rientra con tutte le scarpe nel luogo comune (felicissimo) sul cinema degli anni '80. Sporco, pieno di frattaglie, scene ripugnanti, occhi spappolati, viscere mangiucchiate, morti viventi, donne nude. 


Il film si apre con un primo tentativo di Herbert di far fruttare le sue ricerche: il suo primo professore è mancato e lui può riportarlo in vita. Non funziona benissimo, per usare un eufemismo, e il nostro viene spedito nella mitologica università creata da HP. Ci mettiamo molto poco ad inquadrare che tipo sia West, splendidamente interpretato da Jeffrey Combs: una persona sicuramente brillante, ma altrettanto arrogante, così sicuro di sé da rendersi insostenibile. Ignora qualsiasi norma base di comportamento civile, si pone così al di sopra di chiunque altro da essere persino poco furbo e finisce per inimicarsi quello che sarà il suo professore. Si prende spazi nel mondo che non sono ancora suoi, impone la sua presenza anche laddove non è desiderata, si arroga il diritto di comprare le persone con il denaro per avere quello che gli serve. Di lui non sappiamo altro: non ha una vita al di fuori di quella da ricercatore, non ha amici, non ha relazioni: la sua vita è completamente spesa per il suo obiettivo. 

Tale e tanta è la sua motivazione da riuscire a coinvolgere anche Dan, il suo nuovo coinquilino. Dan, al contrario, è una persona molto equilibrata: studente brillante, con relazioni sane, una vita che vada oltre la scuola ma che ha comunque chiari i suoi obiettivi. Ed è proprio sul suo essere, in effetti, un ottimo studente che fa leva Herbert per attirare il suo interesse. Dan non è uno scienziato pazzo, ma l'enormità delle scoperte del suo nuovo collega non può che intrigarlo. E così la scienza finisce per divorare anche lui e la sua lucidità. Per tutto il film Barbara Crampton (la regina delle scream queens? la regina.), che interpreta Megan, sta col ditino alzato cercando di mettere in evidenza giusto quelle due problematicità che si sollevano quando le persone non hanno guardato né letto Pet Sematary, ma loro niente, inesorabili. Il film almeno la Crampton l'ha lanciata nell'unico olimpo che conta, quello dell'orrore, però in questo film la sua Megan è sottoposta ad ogni genere di cattiveria: non viene presa sul serio, viene sottovalutata, è oggetto di attenzioni indesiderate, viene violentata, muore piuttosto male. Niente di nuovo all'orizzonte, insomma. Ma se non altro lei è l'unica che ha sentito la puzza di qualcosa di marcio provenire da Herbert immediatamente.


Poi, insomma, accade l'inevitabile: la situazione sfugge di mano. Se già con la rianimazione del gatto un po' di sangue lo avevamo visto, il film scivola verso l'atteso finale: il mare di sangue. Ci si arriva con un ritmo perfetto, in un film rapido ed entusiasmante, che sa non scivolare nell'eccesso e che sapeva esattamente che cosa il suo pubblico voleva. E che è stato così gentile da servirglielo su un piatto d'argento. 


Più di 35 anni dopo, Re-Animator si fa ancora volere così bene. Gordon ha preso del materiale di partenza che sta nella storia, per poi farci tutto quello che gli pareva. Siamo lontani dal modo in cui Carpenter ha omaggiato il Maestro una decina di anni dopo, per intenti e modalità, e va bene così. La serie B ce la meritiamo. 




mercoledì 4 agosto 2021

Quattro horror al femminile

11:08
Luglio mese bello intenso per le visioni. Non solo le cose che ho riguardato con piacere per le live di Twitch (grazie ad ospiti che hanno scelto titoloni), ma anche le nuove uscite Netflix, e infine le cose che mi sono scelta da sola. 
Siccome sono stata molto poco brava con la Redrumia in questi mesi, è ora di riprendere a scriverci su in un modo sensato, più spesso, trattandola come merita. 
Oggi, quindi, parliamo di quattro Signori Film tutti al femminile.



Ho guardato Revenge dopo avere visto A classic horror story, per Matilda Lutz. Direi che ormai possiamo ufficializzarlo: è la scream queen nostrana. Questo è un rape revenge piuttosto classico nella struttura (donna violentata che gli stupratori credono morta ma che invece non solo non lo è ma è pure incazzata nera) ma con tanti elementi di grande interesse. 
Per cominciare la protagonista ci è ritratta in modo molto frivolo: è l'amante di un milionario, i suoi outfit e le sue scelte in quanto ad accessori sono molto pop e ingombranti, è una donna che ama divertirsi e sedurre. Di lei non sappiamo nulla di altro, perché il film è molto silenzioso, non perde tempo nel raccontarci background tutto sommato molto poco utili alla vicenda. Quando le succede qualcosa di tremendo, però, tira fuori tutta una serie di grandi risorse, ed è perfettamente in grado di vendicarsi da sola. L'altro elemento interessante sta qua: Jen non si vendica solo perché ha subito una violenza e un tentato omicidio. Questo è un film di caccia, perché gli uomini sono intenzionati a farla fuori sul serio, per risparmiarsi anni di galera, e lei di morire non ne ha proprio voglia, quindi ammazza principalmente per sopravvivere. Un bel film di avventura, in mezzo ad un ambiente ostile, con il peyote, i fucili, un look alla Lara Croft che stava nascosto sotto il crop top rosa e una goduriosissima vendetta ai danni dei ripugnanti viscidi che si sono sentiti legittimati nella loro violenza solo in virtù della libertà della loro vittima. Bel film.




Horror indonesiano di grande impatto sulla vicenda di due amiche che partono verso un piccolo villaggio lontano dalla società per conoscere le origini di una delle due. 
Impetigore mi ha colpito perché è lontano anni luce dalle visioni a cui sono solita, eppure è uno dei film che più di recente mi ha colpito per la grande normalità dei dialoghi. Le due amiche hanno un rapporto molto tenero e sincero, e le loro conversazioni sono incredibilmente lontane dalla forzatura che spesso si trova nella scrittura cinematografica. Sono simpatiche, si divertono, si vogliono genuinamente bene, e sono nella cacca fino al collo, perché Impetigore è tutto sommato il canonico film con i bifolchi, in cui due creature di città si allontanano dal suolo conosciuto e tu spettatore tremi già perché sai quanto male può finire. 
Componente molto interessante è quindi quella del folklore locale, della superstizione, delle leggende, delle maledizioni, che è sempre un tema che mi piace vedere e che anche qui, inserito in un contesto che percepivo come così distante, è la prova che davvero tutto il mondo è paese. Notevolissimo il finale da brividini freddi.




Ancora rape and revenge perché sto preparando un Horrornomicon sul tema, sempre perché non mi voglio poi così bene. American Mary è il debutto delle Soska Sisters, e che debutto. La talentuosa aspirate chirurga Mary viene violentata dai borghesissimi pulitissimi professionalissimi medici che la stanno formando. Peccato che la nostra, ormai vicina ad ambienti apparentemente loschi e poco raccomandabili, abbia già tutti gli strumenti per vendicarsi a dovere. Mary è fredda e lucida come i bisturi che tiene in mano, e ci regala un rape revenge con un twist in più: la violenza che subisce non le fa solo venire voglia di vendicarsi, ma le rivoluziona la vita. Il percorso che si era scelta e per cui si era tanto sacrificata si è rivelato infido e pieno di traditori, e le si apre tutta una nuova strada, fatta di personaggi indimenticabili che sono ritratti sempre senza giudizio. Ci sono donne e uomini del mondo della body modification che sia le registe sia la protagonista incontrano senza che venga posato su loro alcun tipo di sguardo giudicante. In queste persone Mary trova sostegno, aiuto, affetto. La famiglia lontana da casa. Un film notevolissimo, che non eccede mai nell'estremo ma che tiene insieme tutte le sue componenti con grande maestria. Ed è un debutto! Che filmone.




Territorio completamente diverso quello di Saint Maud. La storia, che ormai conoscerete tutti perché di lui si è fatto un gran parlare quest'anno, è quella di una giovane donna che si occupa di assistenza domiciliare e che si trova ad occuparsi di una paziente terminale dalla vita spericolata. Spericolata almeno secondo gli standard di Maud, fervente cattolica che, a differenza di Mary del film di prima, non si fa alcun problema nel giudicare le scelte altrui. Lo fa anzi con una veemenza che fa sospettare che in lei ci sia qualcosa che non va. Il film è di un'eleganza senza pari, sceglie di non dare risposte nette e solo di raccontare la discesa verso la perdita di sé senza chiedersi che cosa la causi. Maud potrebbe avere problemi di salute mentale, potrebbe essere posseduta da un demonio o dal dio che tanto venera, o essere solo esagerata nella sua fede. Di sicuro sembra non avere alcun contatto con la realtà, e la perdita di questo contatto, appunto, ci è mostrata in un film lento ma non per questo meno sinistro, che non usa facilonerie che spaventerebbero di più ma toglierebbero forse fascino. La perdita di aggancio al mondo di Maud sta negli sguardi persi, nelle parole pronunciate troppo lentamente, nei gesti ripetitivi e frettolosi, nel mondo normale che le si muove intorno e che lei non riesce ad artigliare, nella sua vocina acuta e nei suoi abiti frugali, nel suo costante punirsi. Su di me, che sono così inquietata dal cattolicesimo, ha fatto grande presa, ma è a prescindere dalla mia sensibilità, un film notevolissimo. 


Che bel mese, questo luglio. Come sempre l'estate e l'horror vanno a braccetto come una coppia di anziani maritati, e infatti io sono innamorata di entrambi, come quando vedo la suddetta coppia di anziani in giro e mi viene da piangere.

venerdì 23 luglio 2021

La trilogia di Fear Street

11:57

 Con il neonato progetto Twitch faccio un pochino di fatica a vedere quanti film vorrei, perché sono solo all'inizio, devo organizzarmi e imparare a gestire le cose nuove. Quindi quando è uscito il primo capitolo di Fear Street, su Netflix, me lo stavo per far scappare. Sia sempre lodato Erre, che invece ha voluto vederlo, perché, e lo dico subito così non siete costretti a leggere tutta la pappardella che temo finirà per essere questo post, quella di Fear Street è la saga migliore degli ultimi anni.


Adesso elaboro con calma.



La saga è composta di tre film, ambientati in tre anni differenti: 1994, 1978, 1666. Ripercorre, partendo dal più recente e andando indietro nel tempo, la storia di Sarah Fier, una donna accusata di stregoneria che dopo la sua morte è entrata nella leggenda, diventando parte del folklore della cittadina di Shadyside. A Shadyside le cose da allora non vanno molto bene: i cittadini hanno vite complesse e piene di problemi, e ogni tanto qualcuno impazzisce e commette delle stragi. Dare la colpa all'influenza di Sarah è fin troppo facile. Deena e i suoi amici sono solo gli ultimi ad essere toccati dalla maledizione della strega, e non hanno nessuna intenzione di lasciarla vincere.


Si parte in questo viaggio a Shadyside nel 1994. Laddove gli anni scorsi sono stati per il mondo dell'intrattenimento un viaggio nella malinconia degli anni '80, ultimamente abbiamo scelto di tornare al decennio successivo, e finalmente l'ondata nostalgica tocca anche me, che nel '90 ci sono nata. Il primo film non è solo una bella passeggiata nel viale dei ricordi, però. Il primo film prende Scream e fa, 30 anni dopo, la stessa cosa: riprende in mano le carte di un genere intero e le rimescola, dà loro nuova luce, partendo proprio dal film che queste stesse carte le aveva rivoluzionate nel '96. Non si tratta solo di un omaggio ad un film tanto amato, ma è anche questo. Di Scream c'è tutta la struttura - persino elementi come la telefonata all'attrice più famosa che muore subito dopo o il personaggio esperto che spiega agli altri come vanno le cose - ma soprattutto c'è la voglia di dare nuova sostanza, di rinvigorire qualcosa che nel mio cuore so non morirà mai, lo slasher. Il primo film attualizza, pur ambientando 30 anni fa, elementi che sono una costante e li approfondisce, li arricchisce di nuovi spunti e li rende fruibilissimi anche a chi di slasher non ne abbia mai visto uno prima. 

C'è sì l'assassino mascherato che uccide i giovani, ma viene arricchito dall'elemento della maledizione, la sua responsabilità viene "sollevata". Chi sta sotto la maschera perde completamente di importanza, il killer non è più al centro dell'attenzione. Allo stesso modo, la final girl è rivoluzionata: non c'è la candida ragazzina virginale che sopravvive tirando fuori doti che non sapeva di avere, ma c'è una giovane donna fortissima e determinata, che la vita ha preparato da sempre a questo momento. Ha genitori assenti e la responsabilità di un fratello minore, vive in grandi ristrettezze e ha il cuore spezzato. Soffre ma non si piange mai addosso, anzi: è incazzata nera. E il suo essere così indomabile la rende la sola persona in grado di esplorare per davvero la storia di Sarah Fier. L'ho già detto nella IgTv dedicata ai film ma lo ripeto qui: che gran nome questa strega.


Esplorare la storia significa dover andare indietro nel tempo, e infatti il secondo film ci accompagna nel '78, anno in cui si è tenuta un'altra delle tristemente note stragi di Shadyside. Questa volta siamo in Venerdì 13. Siamo nel campo estivo, con animatori adolescenti irresponsabili e un killer che li spaventa. Di nuovo, ci sono tutti gli elementi che conosciamo e amiamo, ma con un twist in più. Questa volta abbiamo un approfondimento dei personaggi notevole, che potevamo scordarci quando il centro della storia erano Jason e il suo fascino. Qui abbiamo relazioni che vengono raccontate, abbiamo personaggi che si prendono il tempo di parlare e confrontarsi, abbiamo il loro passato che incombe su di loro e li rende quello che sono, abbiamo la maledizione della cittadina che ha su ognuno di loro un'influenza diversa. Anche qui il killer è irrilevante, se non nella persona della strega. Chi compia effettivamente i delitti conta poco, se non nell'aspetto della relazione con gli altri personaggi. (Difficile dire qualcosa senza fare spoiler!) 

Anche questa volta vengono scardinati i pilastri della terra scrivendo una final girl tostissima, irrispettosa, dispettosa, vivace, ribelle. Vittima di bullismo furioso ma che non vi soccombe mai, realista, ben piazzata con i piedi al suolo e sempre attenta a quello che la circonda, la meravigliosa Ziggy è un personaggio indimenticabile. La vita l'ha messa alla prova continuamente, ma lei è sempre stata attenta al prossimo (Nurse Lane su tutti, per chi ha visto i film), di cuore genuino ma non ingenuo. Un personaggio che spezza i cuori. 

Ziggy sarà quella che aiuterà Deena a fare un passo in più verso Sarah, in questo percorso tutto al femminile in cui ognuna delle protagoniste è di grande potenza.


Sarah la conosciamo effettivamente solo nel terzo capitolo. Prima è una leggenda, l'uomo nero delle storie dei bambini di Shadyside. Il terzo film fa l'inevitabile: le rende giustizia. Ci allontaniamo dallo slasher per diventare un film storico, in cui i volti delle nostre protagoniste diventano quelli dei personaggi delle leggende che stanno ricostruendo (gran scelta). 

Non farò in alcun modo spoiler sul terzo film perché sarebbero spoiler sulla saga intera, ma la riabilitazione del personaggio di Sarah è non solo perfettamente coerente con tutto quello che è successo prima, ma in modo autonomo anche una grande storia, dolorosa, reale e molto forte.


La degna conclusione di una saga splendida, che chiude tutto quello che era stato aperto in modo esemplare. L'ultimo film è un tassello fondamentale, che mette tutto in una luce nuova. Le storie delle tre donne protagoniste sono forti e di grande impatto, ma non dimenticano mai di essere inserite in teen horror, che le rende quindi anche di grande intrattenimento. L'elemento gore c'è e fa sempre piacere, ci sono gli omicidi creativi, c'è la (presa in giro della) demonizzazione del sesso, c'è l'amicizia, l'amore, l'assenza degli adulti e ovviamente una fortissima componente queer, che non è un elemento narrativo (non ci sono coming out, non se ne dibatte mai se non con un personaggio marginale) se non nell'ultima parte della saga, che diventa un horror ma anche un dramma lesbico in costume. 


Non è facile salutare i personaggi di Fear Street, a cui si vuole così bene. Il teen horror, da qui, ha una faccia nuova e non vedo l'ora di vedere tutti i modi in cui la saga di Leigh Janiak influenzerà quello che deve ancora venire. Sarà un viaggio divertentissimo e sanguinolento.


domenica 13 giugno 2021

Hell House LLC, la trilogia

13:32

 Un tempo su questo blog si pubblicavano tre post a settimana. A SETTIMANA. Ora se faccio la brava riesco a pubblicarne più di uno al mese. Finalmente, però, il processo di acquisto casa e trasloco più lungo del mondo sta giungendo al termine, Internet ha fatto la sua comparsa nella nuova casa Redrumia ed è ora che io ricominci a prendere in mano i miei progetti.

Il blog lo riprendiamo parlando di una trilogia che si è presa il mio cuore diventando immediatamente una delle mie preferite, quella di Hell House. Era completamente scappata ai miei (seppure miopi) radar, e Shudder invece continuava a propormela, con questo titolo così banalotto e una locandina così dimenticabile. Che cosa mi sarei persa se non lo avessi ascoltato...


L'Abaddon Hotel, che non brilla per lusso e che sarebbe stroncato da rece con una stellina su Tripadvisor


Una cosa non me la dimenticherò mai nonostante le lunghe pause tra un post e l'altro: come si fanno le premesse con i fatti miei. In questo caso, userò la premessa per ricordare ai lettori quanto io ami il found footage e il mockumentary. È proprio una passione adolescenziale la mia, che mi fa giudicare tutti i film della categoria in un modo assolutamente irrazionale. Laddove ovviamente riconosca che alcuni film abbiano meriti oggettivi ben più spiccati rispetto ad altri, io voglio bene a tutti. Riconosco persino la faciloneria dei meccanismi che mi portano ad amarli così tanto. Mi bastano due scrittine su sfondo nero, finte foto tratte dai social e finti servizi del tg e io volo nello spazio. Hell House è una trilogia di mockumentary, come potevo arrivarci oggettiva? E infatti. La a do ro.


POSSIBILI UN POCHINO DI SPOILER, NIENTE DI ECCESSIVO.



Halloween 2009. Un gruppo di amici che gestisce delle haunted houses sceglie di organizzarne una all'interno di un hotel abbandonato, l'Abaddon. La scelta ricade proprio su quell'hotel, lontano dalla vita cittadina nella quale sono soliti lavorare, perché l'Abaddon ha nel proprio passato una storia tragica che ha contribuito a dargli la fama di hotel infestato. Quale luogo migliore per la loro attività?

La notte dell'inaugurazione, però, avviene qualcosa e quindici persone perdono la vita in circostanze misteriose. Una crew di giornalisti decide, qualche anno più tardi, di ripercorrere le tappe che hanno portato a quella tragica notte con un documentario. 


Il primo film della saga è semplicemente brillante. Un mockumentary come non ne vedevo da un po', divertente, intelligente e sinceramente spaventoso. Si basa su un concetto che col senno di poi è incredibile nessuno abbia mai sfruttato prima: un horror ambientato in una haunted house (quelle attrazioni da fiera con i percorsi spaventosi, per intenderci) ambientata all'interno di un hotel infestato? Ma sarà geniale. Vorrei averci pensato io. Seguiamo la crew degli organizzatori fin dal loro primo giorno all'interno dell'hotel, vediamo l'attrazione prendere forma, ci ambientiamo nell'Abaddon. Iniziamo a conoscere spazi che nei successivi film ci saranno familiari e che sono così efficaci in questo primo episodio che quasi non ci si crede. L'hotel è claustrofobico, gli spazi scuri e angusti già in partenza. In più, lo scopo principale dei ragazzi che lo affittano è proprio di mettere in evidenza questo aspetto così losco e ovviamente di arricchirlo con "oggetti di scena", luci e rumori. Fare paura è proprio il suo scopo e so solo io quanto con me abbia funzionato. Ha personaggi così veri, umani, teneri, che vederli soccombere sotto l'enormità di quello che sta succedendo loro è un vero dispiacere.

Certo, il punto del film è proprio questo: non si ha davvero idea di cosa sia successo loro. Al film non interessa darci descrizioni dettagliate di quello che è accaduto nello scantinato dell'hotel in cui le persone sono morte, non è importante. Anzi, indubbiamente una rappresentazione più chiara degli eventi li avrebbe resi meno spaventosi. Questo è un film che ci mostra in prima persona cosa succede quando hai il sospetto che le cose stiano sfuggendo al tuo controllo, quanto la paura e la suggestione siano deleterie per la mente delle persone e cosa succede ad un gruppo molto unito quando le cose si mettono male. Gli equilibri si sfaldano, le relazioni si logorano, la fiducia salta completamente. 

E nel mentre, noi spettatori, che siamo ormai così coinvolti dalla situazione, ce la facciamo sotto tanto quanto loro. L'Abaddon funziona divinamente. Apparizioni, movimenti inaspettati di cose che non sono pensate per muoversi, rumori, luci che saltano. Si usano elementi, movimenti, effetti, ben noti all'interno del genere, ma sono sempre posizionati nel momento e nel modo migliore per far sì che, pur essendo ormai conosciuti, funzionino sempre. Esempio? In scena ci sono tre personaggi e la luce è accesa. La luce si spegne, si riaccende e i personaggi sono diventati quattro. Lo sappiamo, lo vediamo arrivare, pensiamo di essere sempre pronti. E invece saltiamo comunque dal divano. Ed è sempre, sempre, divertentissimo. 





Hell House si conclude con un finale tipico da creepypasta dei forum dell'internet, eppure a me ha convinto anche quello, ero tanto investita nelle sorti dei poveri ragazzi che me la sono fatta sotto pure con quella conclusione lì. 

La trilogia, poi, ha la sfacciataggine (soprattutto nel suo secondo episodio) di ripetere all'infinito gli stessi schemi, spesso proprio le stesse scene. Ce ne importa? Personalmente nemmeno un po'. Questo hotel esercita su di me un tale fascino che persino il suo secondo episodio, che oggi credo sia il più debole, mi è piaciuto tanto. L'Abaddon è il Micheal Myers degli ambienti: è cattivo punto e basta, e se ci entri puoi pure stare tranquillo che non ne esci. Qualunque cosa si muova lì dentro è crudele e orrenda e si prende con particolare gusto il personaggio di turno (ce n'è uno in ogni episodio, chiaramente) che la prende meno sul serio. 

Ha il grande merito, questa saga, di non aver voluto sfruttare l'immensa magione vittoriana, il lusso decadente di un grande albergo cittadino. L'Abaddon è un piccolo e malconcio motel di paese, che nessuno considera particolarmente rilevante, che ha chiuso per colpa di un precedente proprietario discutibile. Io vivo in un piccolo paese della campagna cremonese e mi vengono in mente nel giro di 15 km almeno due strutture così. Non ha fascino di per sé, non è architettonicamente interessante, non è manco di classe. Eppure, ha tutto il male del mondo dentro e vederlo scatenarsi così è ancora più eccitante, anche in un film di minor interesse come il secondo. 


Hell House II, però, fa l'inevitabile per condurre ad un terzo episodio: apre la strada alle spiegazioni. Si parla di porte dell'inferno, chiaramente. Che stanno dove? Sotto l'Abaddon, dove altro? Insomma, succede che sono state aperte e qualcuno deve pur chiuderle. Arriva il terzo episodio, per questo.


Il pregio di Hell House III: Lake of fire è quello di cercare di dare almeno un piccolo twist nuovo alla storia del nostro hotel del cuore. L'Abaddon è pronto per essere abbattuto quando un ricco e stravagante imprenditore decide di comprarlo e usarlo come sede per un suo spettacolo teatrale, Insomnia, basato sul Faust. 

Siamo pur sempre nel territorio del mockumentary, quindi anche questa volta una crew televisiva segue la fase di preparazione dello spettacolo. Gli eventi non sono più quindi strettamente legati a quanto successo nei primi due episodi, eppure si sceglie di usare scene dai film precedenti per fare una cosa ben migliore: ricordarci che l'Abaddon non è un luogo sicuro, neppure per chi lo sottovaluta. E questo fa sì che noi partiamo con la visione del terzo film già allarmati: lo sappiamo per certo che le cose non si metteranno bene per i nostri protagonisti, eppure il regista ha scelto comunque di mostrarcelo, ricordandoci brevi episodi della storia di Hell House e di tutte le persone che hanno girato intorno alla tragedia della sua inaugurazione e a tutto quello che è successo dopo. Il clima di ennesimo disastro imminente è costante, e il film ci tiene che noi non ci distraiamo mai. A volte persino in modo eccessivo? Ve lo concedo. Però per quanto mi riguarda funziona, perché il clima è opprimente per tutto il film. 

Non so se è la conclusione che avrei voluto, ma forse parlo così solo perché io, di giovani sconsiderati che entrano nell'hotel infestato, ne avrei voluti ancora. E vedere l'Abaddon bruciare così è proprio un peccato. 


Parliamo di grande cinema autoriale? Ma chiaro che no. Parliamo però di film molto genuini, che riflettono in un modo fresco e leggero sui media e la loro etica (senza ammazzare tartarughe nel mentre, scusate), sull'ambizione accecante - ridimensionata al fatto che non stiamo parlando di squali di Wall Street chiaramente, sulle relazioni messe in difficoltà e soprattutto sui fantasmi.

Tanti, tantissimi fantasmi. Ovunque.

Mi sono divertita un mondo.

mercoledì 7 aprile 2021

I 200 di Rue Morgue: 3 in 1

19:19

 Sapevo che prima o poi sarebbe arrivato il momento in cui avrei unito più film di questa rubrica in un solo post, e quel giorno è oggi. Nelle scorse settimane sono stata un po' in balia delle cose della vita e non mi sono messa a scrivere un post singolo per questi tre film, che ora poveri si ritrovano in un post cumulativo. 

Temo accadrà sempre più spesso.



Riflessi sulla pelle è un film che sta sul confine tra i generi, ma che mi piace definire, come fanno proprio nel trafiletto dedicato a lui nel numero di Rue Morgue protagonista di questa rubrica, un "prairie goth". Con questa premessa aveva tutta la probabilità di piacermi, perché anche solo l'estetica in questione mi appaga la vista e mi mette in pace col mondo. Purtroppo non è andata proprio così.

Seth ha 7 anni, un papà un po' perso nel suo mondo, una mamma ossessionata dal pensiero del figlio maggiore che sta nell'esercito e due grandi amici. Ha anche una vicina di casa, Seth, che si chiama Dolphine, che agli occhi del bambino è quasi certamente una vampira. Quando il fratello torna e si innamora proprio di Dolphine, Seth non la prende benissimo, soprattutto perché i suoi amici hanno iniziato a scomparire.


Questo film, come tanti altri in questo genere paxxerello che tanto ci piace, usa creature soprannaturali per dire quanto schifo facciamo noi che soprannaturali non siamo. Riflessi sulla pelle tira indirettamente in ballo vampiri e compagnia danzante, ma li mette negli occhi di un bambino, e sullo sfondo mostra i peggiori predatori che possiamo concepire. Avrebbe potuto essere un film molto intenso e commovente, ma io, e lo dico con un enorme dispiacere, l'ho solo trovato noioso. 

Ora, io ho 30 anni e ho accettato il fatto che spesso i film li devo guardare a rate perché il mio corpo mi tradisce e mi fa addormentare a metà. È una triste realtà con cui convivo. Di questo film mi sono ampiamente goduta la prima parte per crollare come un'infante nella seconda. Quindi mi sono svegliata, ho mandato indietro per recuperare quello che mi ero persa, ho ripreso. Addormentata di nuovo. Ripreso da dove avevo perso. Addormentata di nuovo. Ci ho messo un sacco di ore e alla fine non mi è piaciuto come avrei voluto. Peccato.

Voleste comunque dargli una possibilità, nel momento in cui scrivo sta su Prime.




Questo è un film che conoscevo di fama ma che ancora non avevo recuperato. Su Shudder sta alla categoria A good scare e questo francamente mi ha deluso più del film in sè, perché non mi ha fatto paura mai e per me questa è una rarità, io ho sempre paura.

Parla di un uomo che è sopravvissuto ad una terribile tragedia: ha perso moglie e figlia in un incidente sulla neve. Alcuni amici, per aiutarlo a superare il periodo, gli offrono un lavoro in un'università e lo aiutano ad affittare una casa per l'occasione. La casa è uno splendido edificio che appartiene ad una società storica, e ovviamente è infestata.


Quando sono le storie di fantasmi a non piacermi proprio me la prendo sul personale. Sono le mie storie preferite, piango tanto e ho tanto paura. Questa non era solo una storia di fantasmi. Questa è la storia di un fantasma bambino. Con una disabilità. Ci ha proprio messo il carico da undici per provare ad emozionarmi, e invece non è successo niente. Questi occhi lacrimevoli sono rimasti asciutti anche alla vista della carrozzina che si sposta da sola. È come se non si andasse mai veramente a fondo con la storia, che si mantenesse una comoda distanza di sicurezza che però allontana anche me spettatore. Questo non è un peccato, è un peccato 3 volte. Uno, perché avrebbe potuto essere il mio punto debolissimo e invece zero. Due, perché essendo così dimenticabile sminuisce anche l'interessante interpretazione del suo protagonista. Tre, perché non mi puoi mettere una cosa nella categoria di quelle spaventose e invece no. 

Una ragazza avrà pur diritto ai suoi sacrosanti salti sul divano, o no?





Arriviamo infine alla mia visione più recente, Behind the mask: The rise of Leslie Vernon, che ho giusto finito prima di iniziare a scrivere questo post.

Si tratta di un mockumentary, nel quale 3 ragazzi seguono Leslie Vernon, un giovane uomo il cui obiettivo è seguire le orme dei più famosi serial killer della storia: Jason, Michael e Freddy. Nella sua realtà non sono solo esistiti, ma sono la sua più grande ispirazione. Non è che sia matto, esistono proprio nell'universo del film. Leslie ha tutto: la cittadina, il luogo isolato, il dottore che lo segue, un vecchio mentore, la maschera, l'arma, ha già la sua final girl, ed è pronto a colpire.


Questo è decisamente il film migliore del trio. La usiamo la frase più inflazionata di internet? Usiamola: è una lettera d'amore al cinema slasher. Anzi no, forse non una lettera d'amore. Una tesi di laurea sul genere. Un dottorato di ricerca. Ogni singolo istante di questo film è un'analisi di quello che è un sottogenere storico (e che non accenna a morire, con nostra immensa gioia). E noi quelle cose qua le guardiamo sempre con gli occhi a cuore. Dico noi perché mi assumo la responsabilità di parlare un po' a nome di tutti, perché come si fa a non amarle, quelle operazioni qua? Sono così appassionata che diventano contagiose, e se quell'amore lì ce l'avete già è come trovare finalmente un collega che ascolti la vostra stessa musica. 

Un film divertentissimo, che unisce due dei sottogeneri per i quali la Vostra ha un debole per tirarne fuori un esperimento ben più che riuscito. 


Forse queste sono state le prime volte in cui i consigli del numero speciale di Rue Morgue mi hanno un po' delusa. La strada per arrivare in fondo alla rivista però è lunga, e mi mancano più film di quanti mi piace ammetterne, quindi nel dubbio mi preparo a tutto.

mercoledì 3 marzo 2021

I 200 di Rue Morgue: The bad seed / Il giglio nero

12:38

 Continua il nostro viaggio tra la selezione dei migliori horror alternativi di Rue Morgue, e questa volta è il turno di un film che a me era completamente sconosciuto: The bad seed, inspiegabilmente diventato da noi Il giglio nero, del 1956.



Christine ha una vita invidiabile: un marito bello e innamorato, una bambina che sembra uscita da una casa della bambole, una buona posizione sociale...sembra non mancarle niente. O almeno, è così fino a che un compagno di scuola di Rhoda, la sua bambina, muore in circostanze tragiche, e la tragedia inizia anche per Christine.


Più guardo film, più leggo saggi, più mi informo, più, nella più socraticamente banale delle considerazioni, mi rendo conto di non sapere proprio nulla e infatti questo film era completamente fuori dai miei radar. Eppure The bad seed sembra davvero essere il papà dei film con i bambini cattivi. Arriva ancora prima del ben più noto (a me almeno) Il villaggio dei dannati. 

Oggi di bambini cattivi ne abbiamo visti in tutte le salse, e io li amo praticamente tutti. È un sottogenere che mi piace sempre. The Bad Seed li ha anticipati tutti. Rhoda è il perfetto esemplare di bambina crudele. Due adorabili treccine bionde, una faccina da bambolina e un vestitino bianco che lei rende il perfetto abbigliamento angelico da bambina che va in chiesa tutte le domeniche, comincia ad essere spaventosa dai primi istanti. 

La mamma e il papà sono naturalmente accecati dal più grande amore del mondo, ma noi la vediamo arrivare in scena e già sappiamo che qualcosa non va. Sorride un secondo di troppo, si inchina un po' troppo in basso, muove le trecce all'indietro con un pochino troppa forza. E infatti poi muore il compagnetto di scuola e lo sappiamo da subito che volatili senza zucchero. Rhoda si srotola pian piano, mostrandosi per il mostro che è lentamente, per tutta la durata del film. Il vero livello dell'orrore esce dalla sua boccuccia santa solo alla fine, quando le sue intenzioni (e anche quella che ormai è la sua abitudine) vengono palesate in modo innocente al papà e molto meno angelica a noi. La bambina è interpretata da una piccola Patty McCormack, che non stupisce abbia poi avuto una carriera molto prolifica, perché qui è bravissima. Il solo modo in cui scuote le trecce e si inchina sono da brividi lungo la schiena. Il perfetto archetipo di quello che ormai è un grande classico. 


Il film è tratto da uno spettacolo teatrale, a sua volta tratto da un romanzo, e la cosa traspare tantissimo nella messa in scena: è ambientato quasi del tutto nel salotto di casa, da cui entrano ed escono diversi personaggi. La cosa non fa perdere la tensione, anzi. La paura quella più sottile, che si infila nella schiena, non ha sempre bisogno di azione. Il mistero che circonda la morte del compagno di scuola di Rhoda si risolve con osservazione e chiacchiere. Il dramma di Christine si rivela nello stesso modo, e nessuno dei due perde di intensità. L'interazione con gli altri rende il disastro palese, se le persone che le circondano non fossero mai entrate nel loro salotto di casa probabilmente Christine starebbe ancora dando il basket of kisses che la bambina chiede ai genitori per tutto il film. 


Questo film è stato non solo una scoperta bellissima, ma l'ennesima conferma che degli anni '50 non so proprio nulla. Roba in più da studiare. Ѐ bellissimo.

mercoledì 24 febbraio 2021

I 200 di Rue Morgue: L'arcano incantatore

15:37

 Ho scritto fino alla nausea su questo blog che quelli di Pupi Avanti sono horror che porto nel cuore, eppure ancora mi mancava L'arcano incantatore, che guarda caso sta in mezzo alla lista di film che la rivista Rue Morgue consiglia di recuperare.

Non solo la rivista lo consiglia, ma lo fa con una mini intervista a Guillermo del Toro, che come sapete è il grande amore della mia vita. E non solo di nuovo, perché del Toro, parlando del film, cita una frase di un altro mio grande amore filmico: pare che Edgar Wright, quel benedetto tatone che non è altro, abbia definito L'arcano incantatore (titolo pazzesco) un "Barry Lyndon del cinema dell'orrore". 

Chi sono io per smentire quei due qua. Loro hanno sempre ragione.




Siamo nel '96, sono passati più di dieci anni dall'ultima volta in cui Avati ha girato un horror (l'ultimo era stato Zeder). Per tornare in carreggiata decide di raccontare una storia che contiene tutti i suoi temi più cari, che sono quelli che me lo fanno amare.

Siamo sugli Appennini bolognesi nel '700. Giacomo, un giovane seminarista, è costretto a lasciare Bologna per aver conosciuto una donzella in senso biblico e per averla poi costretta ad abortire. Per non subire le tremende punizioni della Chiesa chiede aiuto ad una donna misteriosa che lo manderà a lavorare come aiutante di un ex monsignore, allontanato dalla Chiesa e dalla società per passati interessi verso il mondo dell'occulto. L'ultimo aiutante del monsignore, Nerio, è da poco defunto in circostanze misteriose e Giacomo è deciso a fare luce sulla faccenda.


Ma quanto piace, ad Avati, parlare della Chiesa? Un casino. I legami tra religione ed occulto, e soprattutto il loro essere così sottili, sono onnipresenti nella sua filmografia (almeno in quella dell'orrore, a meno che ci sia da qualche parte un film in cui Silvio Orlando fa il papa con strani intrallazzi di cui non sono a conoscenza). Credo che il motivo per cui questi film io li amo così tanto stia proprio qui. La Chiesa cattolica, che ho conosciuto da vicino e frequentato per decenni, è oggi per me fonte di grande inquietudine. L'immaginario cattolico, l'estetica cattolica, le credenze, popolano i miei incubi. Avati è straordinariamente bravo a sfruttare proprio questo. Gli abiti, le ambientazioni, le luci delle candele, i movimenti delle benedizioni, le croci, l'estremismo delle credenze popolari, il folklore. Non solo riconosco come "miei" i luoghi in cui ambienta le storie, ma sento vicine le cose tra cui sono cresciuta e vederle sfruttate a dovere per un film dell'orrore mi fa saltellare di gioia per poi nascondermi gli occhi dietro le mani. La piccola chiesetta che si vede in questo film è uguale a tutte le altre piccole chiesette sperdute padane che circondano le vie in cui abito. La foschia della sera è la stessa che vedo tutte le sere, innesca in me un meccanismo di attaccamento al film immediato. 

Forse li amerei così anche se fossero ambientati in Toscana, o in Abruzzo, ma il fatto di sentirli così vicini è solo l'ennesimo punto in più a favore di storie che hanno tutto quello che amo. La lentezza dell'inquietudine sottile che non ha bisogno di gran fragori, i pochi dialoghi e i tantissimi sguardi, le luci, i colori. L'occulto che non si manifesta solo nelle persone che attivamente lo ricercano ma anche in quelle che, standogli intorno, ne parlano in ogni momento: le donne, Giacomo che fa mille domande, le persone del paese, il monsignore che lo ricorda. Nerio è protagonista per tutto il film solo per quanto ne parlano gli altri. Non c'è, ma è il più presente di tutti. 

E pian piano, tra una domanda e l'altra, tra un mistero e l'altro, finisci avviluppato in questo film così lento e così intrigante, con i suoi personaggi così ambigui, con i suoi finali che ormai conosciamo ma che non per questo amiamo meno. 

Sono tanto affezionata, ad Avati. Talmente tanto che, quando è venuto al mio paesello per un'iniziativa che nemmeno ricordo, non sono riuscita a dirgli nulla e sono scappata via ad intervista finita. Che polla.

giovedì 18 febbraio 2021

I 200 di Rue Morgue: L'abominevole dr. Phibes

21:36

 Questo percorso nei 200 (abbondanti) film dello speciale di Rue Morgue è sempre più divertente. Mi porta fuori dalle mie consuetudini e mi fa recuperare cose famosissime ma che per qualche motivo io ancora non avevo guardato. Se non sapete di cosa sto parlando, l'intro al progetto è qui.

Anche questo film, come Abby di cui abbiamo parlato la scorsa settimana, si trova facilmente su Youtube in lingua originale.




Anton Phibes, celebre organista, ha perso la moglie in un incidente stradale. Tutti considerano anche lui scomparso nell'infelice evento, ma non solo Phibes è vivo, è anche incazzato nero. Dopo l'incidente la moglie era stata sottoposta ad un intervento chirurgico, estremo tentativo di salvarle la vita, che purtroppo è finito male. Phibes non ha perdonato, ed è pronto a vendicarsi di chi gli abbia portato via la sua amata Victoria.


Questo è davvero un portento, un film bellissimo. 

Riesce, con un equilibrio raffinatissimo, ad alternare morti grottesche (di cui parliamo dopo) a scene strazianti di dolore puro. Del resto Phibes è Vincent Price, a cui qua dentro pensiamo sempre con un affetto infinito, e solo lui, anche se privato quasi sempre della caratteristica voce, poteva dare a Phibes un'intensità così spiccata. Il suo è un personaggio distrutto dal dolore, il modo in cui si ferma a guardare l'immagine della moglie scomparsa è da cavarsi il cuore con le mani, e allo stesso un sadico bastardo che si compiace dei suoi tremendi omicidi. 

Basta aprire un link a caso online per vedere paragonato questo capolavoro di creatività a quella robaccia che risponde al nome di Saw. Non lasciatevi ingannare, se per caso ancora non aveste visto il film di Robert Fuest. I due non hanno niente a che spartire e se cortesemente Jigsaw volesse con la sua maledetta arroganza sedersi in un angolo ad imparare come si fa, grazie. 

Phibes organizza i suoi omicidi basandosi sulle bibliche piaghe d'Egitto, e le rende modi molto scenografici di togliere la vita alle persone. Parlo di locuste calate dal soffitto su facce riempite di roba che sembra melassa, di maschere a forma di rana e teste di unicorno, di pipistrelli affamati e topi sugli aerei, ma che ne sa quello sul triciclo. La scelta e la messa in scena di queste morti, poi, sono da applausi a scena aperta, ma quanto sono estetici? Che scelte incredibili ha fatto, una dopo l'altra, Fuest? 


Il film, poi, sarebbe anche senza queste morti, una meraviglia di colori. Quelli che sanno di arte e architettura più di me lo chiamano art decò, io, ignorante, lo chiamo "Ma quanto sei bello?".

Le pareti dell'ospedale verdi, la casa del dottor Vesalius, i vestiti, ogni cosa. L'estetica di questo film ripulisce le cornee anche dallo smog. Ogni inquadratura l'avrei screenshottata per stamparmela in casa. 

In questo goduriosissimo insieme di morti succulente e immagini da rivista di interior design, non passa mai in secondo piano la storia di un uomo ferito. Per questo parlavo dell'equilibrio, prima. Si mettono insieme cose che all'apparenza sembrerebbero così lontane e che invece si rivelano, insieme, miscelate alla perfezione.


Guardatela, se non l'avete già fatta, la storia di un Vincent Price fatto a pezzi dalla vita e dalla strada che si prende la sua vendetta. Già solo con questa descrizione ne varrebbe la pena.

martedì 9 febbraio 2021

I 200 di Rue Morgue: Abby

16:06

Questo blog è stato per quasi un decennio orientato quasi solo alla cultura occidentale. Non solo cinema dell'orrore, ma anche cinema tutto, prodotti seriali, libri. Non solo la mia cultura è particolarmente lacunosa, è anche molto escludente. Non ne vado fiera. 

Quello che mi rendo conto dovrei fare è ampliare il mio sguardo, uscire dalla comfort zone, conoscere e aprirmi a quello a cui finora, più o meno inconsapevolmente, non mi ero ancora aperta. Horror orientali qui si contano sulle dita di una mano, per non parlare di produzioni africane o anche solo afroamericane. È ora di smetterla, o almeno di provarci.

Cominciamo quindi con Abby, horror demoniaco del 1974, che Wikipedia mette in quel controverso insieme che è la Blaxploitation. Nello specifico, questo film ha un regista bianco (lo stesso di Grizzly) ma un cast quasi completamente nero. 



Abby è la storia di una felice neosposina, quella che dà il titolo al film, che poco dopo il traferimento in una nuova casa che la parrocchia ha dato al suo marito pastore, comincia a presentare sintomi inusuali. Il tutto sembra collegarsi a Eshu, il potente demone della religione del popolo Yoruba, che il suocero di Abby rievoca per sbaglio durante una spedizione in Nigeria. 


Saltiamo subito al lato più noto del film: la Warner Bros, offesa che proprio pestava i piedi per terra dal nervoso, gli ha fatto causa e lo ha fatto rimuovere da tutti i luoghi del globo terracqueo. Perché? Perché è uscito nel '74, e l'anno prima un altro cinemino poco noto aveva parlato grossomodo di argomenti simili. Insomma, ad Abby non hanno perdonato di essersi ispirati al più grande film dell'orrore di tutti i tempi e quindi, anche se il film di Girdler stava andando benissimo in sala, arrivederci e grazie. 

Oggi, per fortuna, si trova facilmente su Youtube, in inglese. 


Dico per fortuna perché per quanto mi riguarda Abby è una visione divertentissima, molto fresca (paradossalmente, vista l'età), e di grande intrattenimento. Posto che a quel film là ci si sono ispirati poi quasi tutti, e non è difficile immaginare la ragione, secondo me in questo caso si fanno delle scelte azzeccatissime. Abby non è una ragazzina, è una donna adulta, alle prese con la quotidianità e i problemi di una persona adulta, è già un punto di vista diverso. In più, la possessione non avviene in una famiglia laica, al contrario. Il marito è un pastore e la stessa Abby è una grande credente. La fede, qui, non solo non viene mai messa in discussione ma è un grande collante e il punto di forza e unione della famiglia. Il marito corre per la città a riprendersi la moglie diventata affamata di sesso, e immediatamente si rivolge al padre quando le difficoltà sono ormai oggettive. La madre della povera posseduta è presente fin dalle prime scene, e quello che si crea è un clima familiare molto intimo, nonostante la tragedia che incombe sui protagonisti. 

L'ispirarsi al film di Friedkin è inevitabile: il modo in cui gli esorcismi vengono rappresentati al cinema è ormai quasi sempre identico a se stesso, e personalmente ho smesso di inorridire per la mancanza di una presunta originalità da tempo. 

Di Abby ho amato molto l'ambiente familiare, la rappresentazione dell'intimità, il volersi bene, e solo dopo la parte riguardante quello che ho letto in giro definito come il "disco esorcismo" (che sogno). 

È un film dalla sorte infelice ma breve, che scorre veloce, diverte, sa usare in modo intelligente il concetto di "ispirazione" e sta gratis su Youtube. Serve altro?

lunedì 1 febbraio 2021

Un weekend con Stephen King

10:44

 Per una cassiera essere in ferie significa tante cose, ma soprattutto significa poter passare tutto un weekend con la propria famiglia. Un weekend intero! Due giorni di fila! Sia sabato sia domenica! Un sogno, forse una favola.

E siccome durante la settimana non sempre riesco a vedere quanti film vorrei, approfitto del weekend per fare la cosa che amo di più: trasfigurarmi da umano a cuscino del divano mentre in tv passano film a rotazione. Se poi riesco a trovare un collegamento tra tutto quello che guarderò, meglio ancora. Il tema di questo weekend lo ha scelto Erre: film tratti da storie di Stephen King. Chi sono io per dire di no al Re. E quindi eccoci qua.




Poiché volersi bene è un concetto sopravvalutato, siamo partiti con Cujo.

Consueta parte di fatti miei: fino a qualche anno fa avevo una discreta paurella dei cani grandi. Poi un giorno sono entrata in un canile, un pastorone belga nero bello come il sole mi si è buttato addosso elemosinando coccole e io anziché scappare dall'altra parte del globo me lo sono portata a casa. Ho ancora un po' di ansia con i cani degli altri ma con il senno di poi ho capito che è dei padroni che non mi fido, non dei loro cani.

Se avessi visto Cujo prima, oggi al 100% non avrei Augusto con me, perché è la materializzazione del terrore che le persone possono avere dei cani. Cujo è un cane grande e grosso, che si becca la rabbia e diventa una massa irragionevole e spietata. In questo King, come sempre, è efficacissimo: conosce la paura, tutta quanta, e la sa portare in scena (tra le pagine e, quando siamo più fortunati, sullo schermo) come pochi altri e funziona sempre. Non funziona con tutti, chiaramente, perché il mio compagno che ama i cani da sempre non ha avuto paura per un secondo, ma funziona con chi la conosce, e questo è un sintomo chiarissimo di quanto lui conosca benissimo la sensazione e la sappia applicare in mille modi diversi. 

Il vero problema di Cujo, però, è che fa un gran male al cuore. Perché Cujo è un cagnone bravissimo e meraviglioso e gli succede una cosa brutta e diventa il cattivo ma non si riesce mai a smettere di provare pena per lui. Un essere umano con un minimo di cuore non la regge mica, sta visione. Il lento deteriorarsi dell'amato cagnone è un gran dolore e dio solo sa se King, prima ancora di essere il maestro del terrore, quando vuole sa essere quello dei sentimenti. Quella di Cujo è una storia triste e meravigliosa, con tutti gli elementi che ormai sono parte del canone del suo autore: uomini feccia (con l'eccezione del meraviglioso rapporto tra Vic e Tad), forze dell'ordine inutili se non dannose, donne che devono fare ricorso a risorse che nemmeno sapevano di avere, ritratti autentici dell'infanzia, gioco perfetto sulle paure delle persone, sentimenti messi in subbuglio. Il film gli rende giustizia in ogni aspetto, conosce bene il suo autore di partenza e lo omaggia degnamente.

Però che maledetto mal di cuore povero Cujo.

Ho dovuto coccolarmi Augustone per ore e ancora non l'ho mandata giù, la fine infelice di quel cagnone.


Eravamo emozionalmente compromessi a questo punto, non ce la sentivamo di affrontare altre cose dolorose. Abbiamo guardato Christine

Ci è dispiaciuto anche per la macchina? Ma certo, perché qua a posto mai.

Quella tra Carpenter e King non poteva che essere un unione felicissima. Anche Christine, come Cujo, affronta alcuni dei temi che per il Nostro sono sacri. In questo caso: genitori raccapriccianti, istituzioni assenti, bullismo, adolescenti, prime cotte. Sono il suo pane quotidiano, queste tematiche, e Carpenter le ha abbracciate con entusiasmo. Sebbene si possa considerare Christine un film minore tra quelli del suo regista, riesce ad essere entusiasmante, coinvolgente e soprattutto davvero inquietante. E, voglio dire, parla di una macchina. Eppure funziona,  persino con me che sono completamente indifferente all'argomento automobili. Mi sento particolarmente sensibile al tema del bullismo, è un tipo di violenza che fatico a guardare anche solo sullo schermo, e qua è bello presente, viscido e angosciante. I genitori del protagonista, Arnie, sono la materializzazione di un incubo, e la scrittura è tale da renderci non solo comprensibile, ma anche quasi ambito, il suo cambiamento. va beh, c'è quel piccolo dettaglio dell'ossessione per la macchina, e degli omicidi, ma è tutto talmente costruito bene che l'unione delle due cose è perfettamente fluida e coerente. La macchina non tira fuori il peggio, ad Arnie. Si arriva ad un lento degenero finale, ma per tutto il film quello che lui fa è solo prendere maggior consapevolezza, migliorare la sua autostima e aprirsi al mondo. Christine è, per lui, un toccasana. Poi uccide le persone, ma tutto sommato il fine giustifica i mezzi. (Scherzo, scherzo.)

Un finale che più kinghiano di così si muore, una storia appassionante e, come di consueto, un perfetto ritratto della giovinezza, Christine è una bella storia in mano ad uno dei Grandi. E quindi si finisce che sì, alla fine dispiace pure per una macchina.


La domenica volevamo riprenderci. Dopo gli scossoni del giorno prima c'era da rilassarsi. Scorriamo quindi il catalogo Prime, alla ricerca di qualcosa del Nostro che fosse disponibile e, potendo, leggera. Siamo finiti su quel pattume che è Cell

Ora, io lo sapevo che questo film era brutto, la sua fama lo precede e la community di Letterboxd è stata spietata con lui. Però cosa vuoi mai, agli zombie non so resistere. Sarebbe stata sufficiente la presenza di John Cusak a farmi capire che era roba brutta davvero, ma ci siamo intestarditi. 

Siccome questo è un po' meno popolare dei suoi predecessori, un accenno di trama: in un giorno qualunque tutte le persone che in un momento preciso erano al cellulare vengono colpite da un misterioso morbo che li rende molto simili ai ritornanti. I pochi che si sono salvati si uniscono per cercare di sopravvivere. 

Ora, io del libro ho ricordi molto vaghi, non mi ci metto nemmeno, a fare dei confronti. Però la bruttezza di questo film è pari solo alla sua lentezza. Noiosissimo, interpretato davvero con i piedi, senza scopo. Non potrei trovare una cosa positiva nemmeno a chiedergliela per piacere, i suoi personaggi sono facilmente sostituibili uno con l'altro e nessuno si accorgerebbe della differenza, non ci si è nemmeno sforzati troppo di fare zombie interessanti, la scrittura è pigra e inconsistente. 

Ad un certo punto, per non saper né leggere né scrivere, si è deciso di far sparare su gente che era già in fiamme. Così, per dare frizzantezza alla situazione già drammatica. Gli sceneggiatori de Gli occhi del cuore 2 avrebbero potuto fare di meglio. 

Se non si sono impegnati loro a fare qualcosa di almeno decoroso, non posso sforzarmi io di dire più di così. Cell è proprio una roba indegna.


Per riprenderci da questo scempio, quindi, c'era da vedere un classico. Il Carrie di De Palma è un inside joke tra me e il mio compagno da 9 anni, eppure lui ancora non lo aveva mai visto. C'era da rimediare. Io, oltretutto, non lo rivedevo da anni, era ora di rinfrescarlo. Carrie è un film portentoso, potentissimo e indimenticabile. Dopo tutto questo tempo, ancora lo ricordavo scena per scena, è incredibile. Se la storia è proprio la base della poetica del suo autore, il film lo eleva ancora di più se possibile, complici interpretazioni stratosferiche e una messa in scena che è entrata nel mito. 

Anche qua King (e De Palma di conseguenza) ci sferza certi colpi dritti dritti nello sterno che fanno perdere l'equilibrio (che frase da cinefilo dell'internet, vè?), con quelle che sono forse le peggiori scene di bullismo del cinema dell'orrore, con una rappresentazione così intensa della donna, e così onesta dei più deboli che ancora dopo 45 anni è autentica, dolorosa, attuale. 

Non li guardo spesso, i film che fanno quell'effetto qui, perché devo pur salvaguardare la mia già vacillante salute mentale, non posso infliggermi spesso colpi così, eppure, in qualche modo, quando lo faccio mi ricordo che ne vale sempre la pena e che il giorno in cui il cinema mi lascerà indifferente sarà il giorno in cui capirò che davvero qualcosa non va.


Credo che per qualche giorno ci concederemo cose leggere e tranquille, perché dopo un weekend così serve almeno una seduta di terapia pagata. 

mercoledì 30 dicembre 2020

I 200 di Rue Morgue: House on Haunted Hill

10:36

L'inverno è per la sottoscritta la manifestazione del demonio sulla terra. Mi manca l'estate, il caldo torrido e l'acqua fresca del mio venerato fiume Trebbia, questo gelo e questa nebbia mi fanno schifo e sfrutto ogni occasione per ricordare che qui siamo #teamestate sempre e per sempre. La sola cosa che redime la stagione ai miei occhi è il fatto che per qualche motivo la associo a film vintage, me ne viene sempre più voglia e me li godo di più se li guardo con l'interezza del cliché: divano, coperta di pile, tisana. L'ultima volta era stato The Innocents, questa volta tocca a William Castle e alla sua Casa dei fantasmi.




Un ricco imprenditore e la sua giovane moglie organizzano una bizzarra festa in una casa infestata: i loro invitati sono tutti sconosciuti e a ciascuno di loro verranno donati 10.000 dollari se riusciranno a passare la notte intera bloccati all'interno della casa. Gli invitati accettano e la loro notte all'insegna del soprannaturale inizia. Finirà in modo inaspettato.


Di questo film ho adorato tutto. Dura pochissimo, il tempo di un caffè un po' più lungo preso dopo pranzo e si gode di una chicca senza tempo, che si prende gioco di chi è venuto prima di lui e anche un po' di chi verrà dopo, che non prendendosi sul serio mai non prende sul serio nessuno. Scegliere Vincent Price come protagonista è la scelta più felice del mondo, perché quella sua iconica faccia di tolla è seria sempre e non lo è mai, potrebbe starti prendendo ampiamente per i fondelli e tu non lo noteresti, perché è così infinitamente superiore a tutti quelli che lo circondano che lo si prende così com'è e non si sbaglia mai.

E detta così sembra che sia un film stupidello, quando invece è pienamente consapevole di quello che fa, e giocherellando con i generi fa una critica sociale fortissima e di grande impatto. Il ricco imprenditore fa quello che vuole delle persone che considera inferiori a sé, si può permettere, grazie al potere che conferiscono i soldi, di chiedere qualunque cosa con la certezza di ottenerla. Fin dalle primissime scene ci è chiarito in modo inequivocabile che i personaggi non hanno alcuna scelta: ognuno di loro ha un disperato bisogno dei 10.000 dollari e se il prezzo da pagare è passare una sola notte in una casa infestata, ben venga. Sarebbero tutti disposti a fare anche di più, per come ci vengono mostrati.

Il problema, però, non è solo la casa infestata. Il problema vero è l'organizzatore della festa, che si sente legittimato a prendersi gioco delle persone solo perché può farlo, per diletto personale e della deliziosa quarta mogliettina che avrebbe giusto l'età di essere sua figlia. Tutto è acquistabile con i soldi, e tutto è ottenibile con il potere che i soldi danno. E allora "scherziamo" con le vittime di questa festa, portiamole all'esaurimento nervoso, e nel dubbio diamo anche loro delle armi.

Quanto arrogante puoi essere per armare delle persone disperate ed essere certo che non ti accada nulla? Ora, la risposta è ovviamente nel film e nello svolgersi della vicenda, ma questo non cambia la sua posizione. 

Nello svolgersi del film gli eventi soprannaturali, che pure ci sono, vengono spesso, e purtroppo, calpestati dalle vicende dei vivi, che sono come sempre peggio dei fantasmi. Il finale si riapre un pochino verso il regno dei defunti, con una di quelle belle frasi ad effetto che oggi non colpirebbero più il pubblico ma di cui io continuo a subire il fascino come fosse la prima volta.


Un film perfetto, breve e intenso, per questi giorni di mezzo, tra la fine delle feste e l'inizio dell'anno nuovo. Io mi sono rilanciata in una maratona del Signore degli anelli che sta durando giorni interi, ma se voleste qualcosa di molto, molto meno impegnativo, il film di Castle è su Youtube, perché fa parte dei film di pubblico dominio. 

Un piccolo postumo regalino di Natale, ecco.

mercoledì 23 dicembre 2020

I 200 di Rue Morgue: The Innocents (Suspense)

10:28

 In questa casa Flanagan è, come ormai saprete benissimo, il nome a cui si rivolgono le preghierine la sera. I personaggi della sua serie The Haunting (entrambe le stagioni) mi mancano ogni giorno in cui non li vado a cercare. Per questo, nel progetto dei 200 di Rue Morgue, che vi racconto con calma qui questa volta ho dovuto rivedermi la storia di Flora e Miles: perché il mio cuore pensa a quei piccoli bambinetti stupendi almeno una volta al giorno.


lo so che non è la locandina originale ma quanto è bella?


SPOILER ROVINAFILM

La storia del Giro di vite di Henry James, ispirazione di questo film e ovviamente della serie tv, è più che nota, ma facciamone comunque un riassunto per chi non sapesse di cosa stiamo parlando. Miss Giddens viene assunta da un ricco scapolo di città come istitutrice per i suoi due nipotini orfani, Flora e Miles, nella grande tenuta di Bly, dove vivono insieme al resto del personale. Miss Giddens ama i bambini ed è molto entusiasta del nuovo lavoro. Il suo entusiasmo sarà presto messo a tacere da quello che succede, o lei pensa succeda, a Bly.


Per quanto io ami tantissimo gli horror a me contemporanei, ogni tanto sento il bisogno di una cosa del genere: un raffinatissimo film gotico in bianco e nero, in costume, lento, elegante e atmosferico. Sono film che sono come una coccola, un morbido maglione di cashmere dai colori naturali da sentirsi tutto intorno. Anche la paura che fanno è più avvolgente, ruota nell'aria della stanza senza mai diventare fragorosa, si accomoda dietro il collo per dare giusto giusto quella sensazione di angoscia che diventa così di classe che mamma mia mi sento cinefila francese con il basco e la sigarettina sottile. 


Questo, però, è davvero un capolavoro. Uno di quelli che già durante la visione ti fa pensare che stai guardando una cosa grande che segna quello che viene dopo e soprattutto segna te. La storia, che ormai mi era ben nota, è qui sviscerata con una tale maestria (e non a caso è scritta da Capote) che mi è comunque sembrata fresca. Separandosi da libro, serie tv e, scopro da internet, anche dallo spettacolo teatrale che io non conosco, introduce la novità che lo rende il grandissimo lavoro che è: l'ambiguità. Io, allora, che sono appassionata di parole, mi sono andata a cercare come si può intendere l'ambiguità al cinema. Non è mai il caos o la non chiarezza. Non si risolve l'ambiguità con gli spiegoni. Piuttosto, è il contrapporsi di due situazioni chiarissime e plausibili: questi fantasmi, questo Peter Quint e questa Miss Jessel, ci sono davvero o sono frutto di una mente disturbata? Posto che io, con ogni probabilità influenzata da quello che ho letto e visto prima, ho guardato il film certa che i fantasmi fossero reali, quello che funziona è proprio che siano i protagonisti a non capirlo. Per quanto alla fine Miss Giddens usi la sua autorità per fare quello che crede (e poi ne parliamo), anche lei stessa è confusa. Si fida della sua mente, da subito convince anche la governante Mrs Grose di quello che le sta succedendo, ma non mancano scene (come quella in riva al lago con Flora) in cui è la sola a vedere i fantasmi e la cosa la disturba. Quando Flora scoppia in lacrime tra le braccia della dolcissima Mrs Grose, Miss Giddens fa uno sguardo che sembra davvero dire "Guarda cosa ho fatto, sto impazzendo". 

E poi c'è il discorso dell'autorità, ovviamente. Già dalla prima scena, quella del colloquio, lo zio dice chiaramente all'istitutrice che lei sarà a capo della gestione della casa e dei bambini. Questo complica le cose quando c'è una mente fragile di mezzo. Se crediamo che i fantasmi ci siano stati davvero, a Bly, allora tutto ok: Miss Giddens è stata molto coraggiosa e li ha affrontati da sola, ha salvato la collega e la bambina con il terribile prezzo da pagare della morte del bambino. Se invece crediamo che i fantasmi non ci siano e sia tutto frutto della sua immaginazione, qua diventa un casino. Lo zio non vuole essere disturbato per nessuna ragione al mondo e la persona a capo della situazione ha perso il senno. Nessuno ha l'autorità per darle contro, nessuno può impedirle di fare quello che crede e quando lei lo fa, Miles muore. Sono entrambe possibilità reali, plausibili, ed è questo che rende il film così pieno di fascino. 


Peter Quint e Miss Jessel, i fantasmi, sono personaggi attivi e vivissimi pur essendo solo nominati da altri e, soprattutto, pur essendo morti. Miss Jessel è stata tutto quello che Miss Giddens non riesce ad essere: libera, innamorata, un po' fuori da quelle che erano considerate le righe giuste. L'amore malato tra i due è più di quanto l'istitutrice abbia mai mostrato di avere mai avuto. Il racconto delle loro "malefatte" la sconvolge ma la intriga, e loro due per lei diventano un'ossessione. Che ci siano realmente o meno, sta a noi deciderlo, esattamente come Clayton, il regista, aveva chiesto alla bravissima Deborah Kerr (Miss Giddens) di fare, perché in fondo non ha alcuna importanza. 

Questo smettere di volere risposte a tutti i costi mi ha spalancato modi di vedere e godere del cinema che per anni non ho conosciuto. Un film come questo è così pieno di sfaccettature e piani di lettura e considerazioni da fare che non ne voglio una sola. Voglio poterlo rivedere di nuovo pensando solo a Miss Giddens come ad una povera mente distrutta e poi un'altra volta ancora pensando a che donna coraggiosa e forte sia stata e poi una terza volta ancora senza pensare nessuna delle due ma godendomi solo l'avvolgente inquietudine che, diciamocelo, sono solo i gotici a dare.


Per me le storie di fantasmi sono sempre le più belle e tristi di tutte, mi riempiono di emozioni e riescono sempre, anche quando sono brutte, a farmi paura.

E in fondo sono qui per questo.

giovedì 10 dicembre 2020

I 200 di Rue Morgue: Full Circle (The Haunting of Julia)

14:05

 Prosegue il mio viaggio attraverso i consigli di Rue Morgue. Dopo la storia dell'uomo falena, di cui abbiamo parlato qui, stavolta mi sono fatta comprare dal "The Haunting". Se qualcosa o qualcuno è haunted da qualcosa o qualcuno io mi ci lancio dentro di testa.




Il film è del '77, diretto da Richard Loncraine, che non conoscevo, ed è tratto da un romanzo di Peter Straub che non ho letto. Che premesse sfavillanti per parlare di un film. Non solo non conoscevo il regista, ma questo film era proprio passato alla larga dai miei (seppur miopi) radar. Parla di una madre che subisce il più temuto dei lutti e che in seguito alla tragedia si separa dal marito e prende casa da sola. Figuriamoci se le cose potevano andarle bene.


Cercherò di non fare impietosi confronti con Rosemary's baby oltre a questo primo paragrafo, che faccio giusto per mettere in ordine i pensieri. Tra il film di Loncraine e quello di Polanski le similitudini ci sono e sono parecchie, delle quali Mia Farrow come protagonista è proprio l'ultima. Si parla in entrambi i casi di una madre disperata, condotta sull'orlo della follia e che inizia a dubitare di se stessa, vessata da un marito ripugnante e che deve cercare da sola risposte alle sue domande. In entrambi, poi, il finale è molto bello e da un certo punto di vista molto simile.

Detto ciò, è forse ingiusto da parte mia paragonare un film che è sì interessante e piacevole ad uno dei miei preferiti della storia del mondo. The Haunting of Julia non può essere messo a confronto con la raffinatezza del film che lo ha preceduto, ma ha comunque qualcosa da dire.

Si apre con una scena che temo farà piangere di angoscia ogni genitore dall'altra parte dello schermo: è una mattina qualunque e la figlia di Julia sta facendo colazione, quando qualcosa le va di traverso e la soffoca. La madre, colta di sorpresa, non fa la cosa giusta per aiutarla e la ragazzina muore. Ha angustiato anche me che genitore ancora non sono, perché è molto veloce. Vediamo la famiglia serena solo per qualche istante prima che si consumi la tragedia e in pochi istanti è tutto finito, vite rovinate. 

Julia quindi decide che la cosa giusta per lei sia finalmente liberarsi di un marito con il quale le cose non andavano più bene da tempo. E qui arriviamo all'orrore vero e attualissimo del film: il marito. Julia già deve gestire un lutto grosso come il mondo, non ha bisogno di un uomo incapace di accettare che lei, in quanto libera cittadina, abbia deciso di lasciarlo. Non solo non lo accetta, ma cerca in ogni modo di farla passare per una donna instabile, incapace di prendersi cura di se stessa, malata. La storia più vecchia del mondo: la donna è pazza. L'uomo che invece commette reati e violenze per "riaverla" è perfettamente in possesso di tutte le proprie capacità. Non le viene legittimata la possibilità di prendere in autonomia una decisione per il proprio benessere, la sua volontà viene sminuita, la sua dignità calpestata. Magnus (che nome da zarrogante bastardo) lo avrei ammazzato con queste mani piccole e rovinate che mi ritrovo.

In questo c'è un'ulteriore aggravante: il fantasma. Questa povera donna deve gestire: una figlia morta, un marito da galera e un fantasma in casa, che capirete da voi non aiuta la sua causa. Deve dimostrare di essere perfettamente in grado di badare a se stessa ma allo stesso tempo dimostrare che non si è inventata nulla e che non è solo tutto frutto della sua mente disturbata: in casa c'è qualcuno, qualcuno di ben poco amichevole. 

Il resto della storia è una storia di fantasmi piuttosto canonica, con la consueta ricerca di informazioni che porta a scoperte spiacevoli sul passato, a conoscere persone poco propense alla collaborazione e alla fine infelice di quelle che la collaborazione l'avrebbero data volentieri. Non mi stupisce che sia tratto da un libro di Straub, in effetti, e lo dico in modo positivo. Le ghost stories sono sempre le mie preferite e le sue sono classiche, senza tempo. (Mi sono già procurata il libro? Forse. Me lo leggo dopo quello del mothman.)


Il finale è bellissimo. Qualcuno storcerà il naso al suono di 'Niente di nuovo!' ma da queste parti troviamo la novità un po' sopravvalutata. Una madre che è stata privata del senso del suo ruolo che pian piano accetta di ritrovarlo anche in modi poco convenzionali, che cerca così di mettere una pezza sopra al buco che ha nel petto, che accetta quello che la vita le ha messo davanti. Ammetterò che è una scelta, quella di concludere le storie così, che mi emoziona sempre.

Julia è una donna tormentata, inquieta, instabile solo per colpa del dolore non per mancanza di lucidità. La sua storia è molto dolorosa e il film le rende la giustizia che merita. 

Che belle, sempre, le storie di fantasmi.



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