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martedì 23 settembre 2014

Antiviral

12:20
(2012, Brandon Cronenberg)



'Brandon Cronenberg, piacere!'
'Ahhhh, sei il figlio del grande David, eh?'
'MI AVETE ROTTO I CO...!'

Così mi immagino il povero Brandon, soprattutto dopo che Papino si è messo a fare i film con Pattinson.
Perché non è giusto che le colpe dei padri ricadano sui figli, ma nemmeno le glorie.
E allora Brandon si è detto: Ah sì? Mio papà è stato la storia?
Va bene, io sarò l'innovazione.
E infatti.


In un mondo in cui la gente mangia bistecche prodotte dalle cellule muscolari delle celebrità e si fa impiantare parti di pelle delle stesse, Syd March lavora per la Lucas Clinic, raffinata clinica che ti inietta i virus contratti dalle tue star preferite.
Hanna Geist è una di quelle che vanno più forte, fino a che muore, e il virus che l'ha uccisa casualmente sta anche nelle vene di Syd.
E quanto è ricercato, sto virus!

Brandon (e lo so che anche nelle vostre menti è partita la sigla di Beverly Hills) è al suo primo lavoro, o almeno al suo primo lungometraggio, e io già gli voglio bene.
Approfitto dell'occasione per ringraziare tutte le divinità che creano figli di celebrità anche sani di mente e non tutti Jaden Smith.

Detto ciò, parliamo del film.
Iniziamo con un furbo e professionale Syd, che alterna il lavoro ufficiale alla clinica con quello 'nero' in cui rivende gli stessi virus al mercato illegale. Perché se alla Lucas troviamo dei disperati fan benestanti, nel negozietto di periferia troviamo la stessa disperazione, lo stesso fanatismo, ma privo dei fondi.
E i soldi sono una delle ruote principali che muovono ogni singola scena del film.
La clinica vende a prezzi proibitivi dei malanni, ma a sua volta li acquista dalle celebrità stesse. E qui potremmo aprire una parentesi su chi sta davvero male nel cervello, se le persone che acquistano o i vip che vendono.
Syd non è soddisfatto dello stupendio - che immagino essere abbondante - della Lucas, vuole altri guadagni dal mercato nero.
Il dio denaro viene prima di ogni altra cosa, e questo non ha NIENTE di distopico.
E' già così.
Col tempo, però, tutto quel bianco svanisce, ci inoltriamo in un mondo che è cupo non solo nei colori. Sparisce la finzione del candore delle stanze della clinica, entriamo in uno scuro e malato mondo sotterraneo, a mano a mano che la malattia di Syd avanza e le sue condizioni peggiorano. Il lieto mondo della Lucas si alterna al mercato nero, ai ricatti, ai pugni, ai rapimenti. Si ritorna al bianco latte nell'ultima scena, quando però niente è più lo stesso, nè Syd, nè l'immagine che noi abbiamo di lui.


Eppure Cronenberg sembra non dare giudizio alcuno, ci mostra i comportamenti senza prendere posizione, senza dirci la sua, freddo come le stanze della clinica.
Non ci mostra nemmeno la vera faccia di questo Syd, così magistralmente interpretato da tale Caleb Landry Jones (che vi rendo noto essere nato nel MILLENOVECENTOOTTANTANOVE, c'ha un anno solo più di me), che è un volto perfetto e poi ha le lentiggini, e noi qui le lentiggini le amiamo, ma solo sugli altri.
Ci sembra così al di sopra degli altri, lui, così distaccato, così falso nel ripetere le stesse frasi ad ogni cliente ('E' praticamente perfetta, non è vero?') pur di vendere, così scaltro nel gestire la doppia attività, e poi, invece, si rivela esattamente come gli altri.

L'umanità è completamente annullata, le celebrità non sono più persone, non ce ne frega niente del loro essere individui. Sono il nostro sogno, e tale restano, chissenefrega se magari sono stati male (perché se vendono un virus non sono stati bene, ecco), chissenefrega addirittura se sono morti o no. Vogliamo vedere di più, sapere di più. Come stava in quel momento, rinchiudete in uomo con la stessa malattia in una stanza e fatecelo vedere. Vogliamo sapere tutto. Sanguinava? Cosa sentiva? E tutto ciò non deriva da preoccupazione umana nei confronti di un altro essere umano, ma dalla malata, perversa curiosità, che appare quasi, in fondo, come un gongolare.
Sì, sei famosa, sei ricca, ma lo vedi che stai male pure te?
E io voglio vedere COME, QUANTO, sei stata male.
Ma lo nascondo dietro il fatto che sono un tuo grandissimo fan.
Le celebrità sono 'allucinazioni collettive'.


Che poi è quasi il tono del film, come se fosse un viaggio onirico dentro la testa di Syd, ma anche di tutti quelli che trasformano in economia ogni cosa, la Lucas ma anche la casa concorrente.
Una specie di grande fratello al quadrato, in cui noi osserviamo le vite altrui e vogliamo esserne parte in ogni cosa, perfino iniettandoci le loro stesse malattie, ma in cui LORO STESSI si sono cacciati, scegliendo di vendere il proprio sangue malato.
Esattamente come i concorrenti di un reality che scelgono volontariamente di presentarsi ai provini.

Un bellissimo film, davvero.
E quando penso che senza esperienza Cronenberg jr ha fatto questo, al solo pensiero di quello che potrebbe fare con un po' di esperienza in più il mio cuore balla la salsa.

sabato 30 agosto 2014

The Den

15:58
(2013, Zachary Donohue)


Spoiler saltuari ma importanti.

Un film horror sulla falsa riga dei mockumentary, girato quasi interamente dalla webcam di un pc e ambientato in una chat.
Io pronta a fare la ola ballando la salsa in piedi su un tavolino in un Irish Pub di provincia.

Della serie che mi sono approcciata alla visione di questo film proprio senza aspettative.

The Den è il nome di una chat che Elizabeth deve frequentare per fare uno studio su quali sono i casi umani che interagiscono nelle videochat.
E non parliamo di Skype, parliamo di Chatroulette style, con peni giganti che cantano, ragazzi che ballano vestiti da conigli e donnoni provocantoni di rosso vestite.
Un panorama davvero desolante.
Pare normale amministrazione del web, se non fosse che un giorno su una chat Elizabeth assiste ad un omicidio che lei crede essere reale ma a cui nessuno dà peso, prendendolo per uno di quei video di scherzi deficienti di cui la rete pullula.


I primi dieci/quindici minuti sono fonte di risate a non finire, Elizabeth fa passare un po' di chat, tra le quali vi raccomando di prestare attenzione al vichingo barbuto in bikini rosso che si dimena accarezzandosi sensualmente la barba.
Da subito però incontra questo bizzarro utente senza webcam, che interagisce solo scrivendo. La vicenda misteriosa inizia subito, il che per me in casi come questo è un pregio enorme. Poi la prima volta che l'utente si fa vedere è per farsi vedere mentre muore, e poi pian piano muoiono tutti, e io mi chiedo questa Elizabeth come abbia fatto a non ammazzarsi per i sensi di colpa. Una volta sola dice 'Mi dispiace' ed è quando ormai è troppo tardi per tutti.

Non fraintendete il mio tono ironico, non è che mi sia dispiaciuto, anzi.
Potrebbe anche essere un bel film, se non fosse per alcuni piccoli dettagli che mi hanno fatto pensare che la distrazione degli sceneggiatori sia come quella che avevo io durante le verifiche di matematica e che mi faceva prendere 4 ogni volta.
Per esempio: amica viene invitata a casa di Elizabeth (per chat, obv), arriva davanti alla porta e Elizabeth, anzichè andarle ad aprire e scrive in chat che la porta è aperta. Ora, è ovvio che a scriverle non è Elizabeth ma le persone cattive che uccidono gli utenti. Noi lo sappiamo, ma Amica no. E allora perché non si insospettisce? Ma vi pare logico che uno ti scrive 'è aperto' per messaggio anziché venirti ad aprire? Questa non fa proprio una piega, fa una piccola smorfia ed entra. Come niente fosse.
Ed è così per tutto il film. Le persone non si parlano praticamente MAI di persona. E' una forzatura troppo grande, troppo. Non è nemmeno sorretta dalla scusa dei rapporti a distanza o che, niente. Questi stanno a 5 minuti uno dall'altro e parlano per videochat.
Ecco, è questo che mi ha scocciato di più. Non è che ogni volta ci si vede, per carità, per scambiare due parole. Però una telefonata, un messaggio, whatsapp. Perché la videochat?
Una forzatura anche in scene assolutamente non necessaria, come quando le due amiche si sentono per decidere se vino o birra. In videochat.


A parte ciò, è comunque un'idea interessante, il punto di vista della webcam è una specie di mockumentary a rovescio se vogliamo e tutto sommato funziona. Mi piace come idea, mi è piaciuta come realizzazione e devo dire la verità, sono anche una delle poche che ha apprezzato anche il finale.
La vicenda non si conclude con il solito assassino che chissà perché ammazza le sue vittime, e vedere qualcosa di diverso, sebbene reso in modo un po' slasso nel finale, a me non è dispiaciuto. Soprattutto non l'ho trovo troppo assurdo, basta scavare un attimo in più nella zona brutta di internet per capire che non è così assurdo pensare che delle persone paghino per degli snuff.
E sinceramente, quella scena finale, col bimbo che apre la porta e chiama 'Papà', e l'uomo che chiude velocemente la pagina come se fosse banalmente su un sito porno, mi ha messo una bella amarezza.

Non raggiungiamo i picchi del mio amato episodio di V/H/S, The sick thing that happened to Emily when she was younger, ma una visione la vale, magari non al pc, perché vi garantisco che vedere la freccetta muoversi sullo schermo e voi non lo state toccando vi farà pensare di avere il computer posseduto da un servo di satana.


Per concludere, il mio pensiero va al povero Max, che dopo essere stato friendzonato per tutto il film fa pure una fine impietosa e crudele.
Ciao, Max, sempre nel cuore.

martedì 19 agosto 2014

Notte Horror: Dellamorte Dellamore

22:36
C'era una volta una blogger.
Tutta brillante e sbarazzina, il suo nome era Erica.
Un bel giorno, Erica, che pensava spesso con nostalgia agli anni passati, scrisse una lettera ai suoi amichetti blogger chiedendo ad ognuno di riportare in auge la 'Notte Horror'.
Ma di cosa si trattava?
Voi, miei piccoli lettori, sarete troppo giovani per ricordarla, ma qualche anno fa, in televisione, trasmettevano ogni martedì dei film horror. Proprio quei film che voi, piccoli lettori, ancora non potete vedere.
Motivo per cui la favola finisce qui.
Tutti a letto, dai.

(1993, Michele Soavi)


Dellamorte Dellamore
sottotitolo: come si diverte Tiziano Sclavi a prendere per il sedere i suoi fanZ.

Perchè se scrivi un romanzo, poi lo lasci nel cassetto, poi inizi a pubblicare un fumetto che diventa una BOMBA e tutti lo amano, e i due protagonisti sono UGUALI, ma dopo mi dici: 'Ma no, non è il film di Dylan Dog!', allora mi prendi per il culo.
Perché allora non gli facevi guidare il maggiolone, a Francy! Allora gli davi un'altra pistola!
E non mi interessa se poi ti sei ispirato, se Dellamorte è stato la tua bozza per poi stendere il (capo)lavoro definitivo con Dylan, non mi interessa.
Ti sarai divertito un casino a sfotterci.
E sai la verità?
Mi sono divertita pure io.
Per tutto il film ho cercato simbolismi, metafore, collegamenti e citazioni tra i due signori con la faccia di Rupert Everett. Sono arrivata addirittura a considerare il teschio puzzle come un precursore del veliero di Dylan.

Fatto sta che, Dylan Dog o meno, Francesco Dellamorte è il custode di un cimitero. Vive proprio lì, nel cimitero, con Gnaghi, il suo assistente, segni particolari: tutti.
Una specie di Hodor prima dei tempi.
Andrebbe anche tutto bene, se non fosse che in quel cimitero i morti risorgono. Entro 7 giorni, che questi hanno la scadenza come lo yogurt, escono, si fan due passi e puntualmente si pigliano una pallottola in fronte da Dellamorte che è lì per lavorare e mica per star seduto a leggere la guida del telefono.
Pensate che questo possa far bene ad una mente umana?
Non è così, claro.


Tempo fa, parlando di Cannibal Holocaust polemizzavo sul fatto che i film che ancora oggi fanno parlare di sè non ci sono necessariamente i miglliori.
Difatti, parlo per la mia generazione, non è che DD se lo filino in molti, a meno che non si urli TETTE! allora branf! tutti pronti a vedere.
(sì, preadolescenti horny, ci sono delle tette.)
Eppure, è un filmone.
Non si vincola ad un genere netto e deciso, gironzola qua e là tra l'horror e la commedia, ci sono certe scene con dei tempi comici perfetti (vedi la scena della testa nel televisore) ma ci sono anche bei momentini splatter che ve li raccomando.
Alcuni quasi di violenza psicologica: avreste dovuto vedere il repentino allargarsi delle pupille di R quando il medico tira fuori le forbicione.

(A questo proposito, la scena dopo era prevedibilissima, ma quanto fa ridere vederlo svenire?)


Oltre alle risate, che ci sono e sono di quelle sincere e a volte anche nonsense, che a mio parere sono le più belle, ci sono però anche momenti più seri e interessanti.
No, non fa paura.
Non inquieta nemmeno.
Ma ci sono gli zombi, tanti zombi.
Romantici, scout, sindaci, geometri, di ogni.
Una società di zombi.
E questo ci piace molto, anche se da queste parti non abbiamo capito molto bene perchè lo zombie sindaco parlasse e gli altri no.
Ci sono certe inquadrature del cimitero controluce, con tanto di corvo sulle tombe in dotazione, che sono una meraviglia.
Poi ci sono anche momenti in cui sembra che il cameraman stia girando sulla ghiaia in monopattino con la camera in braccio, ma qua siamo in un film cazzone e non ce ne frega niente.


Perché qui c'è il tenero Gnaghi, che con la sua bella faccia tonda e i suoi 'GNA!' scalda il cuore,
Eppure anche lui all'occorrenza qualche bella badilata la sa tirare.
Perché c'è Anna Falchi che è una e trina come nostrosignore e non si capisce proprio benebene cosa stia succedendo, ma in fondo che ce ne frega a noi, che qua abbiamo un uomo che quasi si faceva evirare per niente.
Perché alla tele si vede Blob e io Blob lo amo tanto.
Perché c'è una testa zombie che si vuole sposare, e che VOLA.
Perché ad un certo punto iniziano i morti veri (cioè, ci sono vivi che muoiono) e quando il detective vede l'assassino con l'arma gli urla 'Ah grande, tienila che ti serve per difenderti!'
Perché c'è un'inquadratura random del primo piano di un cavallo, così, tanto per.
Perché uno degli zombi è una suora, però pare un uomo.
O viceversa.
Perché è un gran minestrone di film, con mille cose dentro, ma ce ne fosse una che non mi ha fatto impazzire.
Perché c'è pure il finale filosoficheggiante.
Qua non si scontenta nessuno.
Perché un morto esce dalla tomba con la MOTO (sottofondo musica tamarra perché sì) e la sua morosa gli corre dietro e si fa MANGIARE.
La follia amici.
O meglio.
L'intelligenza nascosta dietro una battuta demenziale.
Gnà.

giovedì 14 agosto 2014

Twin Peaks - prima parte

11:42
Parlare di Twin Peaks quando si è una Mari è molto, molto difficile.
Mi spiego meglio.

Sono nata nel 90, quindi per ovvi motivi anagrafici mi sono persa la goduria di vederlo in tv, con episodi distanziati uno dall'altro, mi sono persa la frenesia di terminare un episodio con uno dei suoi tremendi cliffhanger e dover aspettare una settimana per vedere come va avanti, non ho assistito alle reazioni live del pubblico, non ho fatto ipotesi con amici-conoscenti-familiari su chi potesse aver ammazzato sta benedetta Laura Palmer.

Se io nomino Laura Palmer i miei amici pensano ai Bastille, che per quanto dal vivo siano bravini davvero insomma non è proprio la stessa cosa.

Non ho manco potuto cogliere i cambiamenti nel fare serie tv degli anni immediatamente successivi.

E poi, credete sia facile vedere un qualcosa così tanto amato da tutti? Che non ho mai sentito in quasi due anni di blogging la gente usare il termine 'capolavoro' all'unanimità a questa maniera?
E' una responsabilità.
Devi guardarlo tutto concentrata, non puoi perderti manco un battito di ciglia, uno starnuto, perché se poi è quello decisivo? Poi lo giudichi male, non lo capisci.

Ma soprattutto, E SE NON TI PIACE?

Devi rivalutare tutti i tuoi metodi di giudizio, perchè se tutti amano come folli un telefilm e a te fa schifo insomma c'è qualcosa da rivedere.

Quindi mi accingo alla visione di Twin Peaks con una pressione addosso che ve la raccomando.


Premo play, episodio 1.
Ammazza che colonna sonora, è il primo pensiero.
Ma chissà dove l'ho già sentita prima sta roba, è il secondo.
Non mi sono ancora data una risposta.
Comunque, la prima ora e mezza serve per metterci comodi, farci fare un giro del paes..
INVECE NO.
Cinque minuti, ma neanche, e Laura è già in polvere di garofalo, come si dice da queste parti.
Faccina angelica, pare anche essere tanto amata, sta Laura, e tu pensi subito, nel migliore dei clichè populisti, che se ne vanno sempre per primi i migliori.
Allora tutto il paese si muove, pianti e commozione, persino dal preside della scuola, tutti sconvolti per questa morte, eppure qualcosa puzza.
E mica per niente.
Già nella prima puntata l'immagine della vittima è completamente ribaltata. Ce la aspettavamo dolce, tenera reginetta del ballo e invece qua sbucano un sacco di soldi, riviste porno e cocaina.
Hai capito la Lauretta?
In pochi minuti poi succede che un'altra ragazza scompare (ma poi la ritrovano subito ed è viva, non fate neanche in tempo a preoccuparvi), salta fuori un amante di Laura che però due minuti dopo che è morta già si limona la migliore amica di lei (che ha la voce di Lorelai Gilmore e questo, ve lo garantisco, vi urterà) e l'episodio si conclude con un urlo di mamma Palmer.
E in tutto ciò arriva a Twin Peaks un agente dell'FBI a indagare sull'omicidio di Laura che altro non è che ORSON DI DESPERATE HOUSEWIVES.

Iniettatemi in vena l'episodio 2 tipo subito.


Episodio 2.
Pensate che tutta la carne messa al fuoco nell'episodio uno fosse sufficiente a farci 5 stagioni?
E invece stavolta il convento offre:

  • due giovini (di cui uno era il moroso ufficiale di Laura, salutiamo Bobby) che devono dei soldi a uno. 
  • quel qualcuno è il marito della tipa che il sopracitato Bobby si faceva, cornificando la 'povera' Laura
  • metà dei soldi da dare al tipo-marito della tipa- se li è portati nella tomba Laura, tiè.
  • Lo stesso tipo (che non si chiama Tipo ma Leo) dà da lavare alla moglie (amante di Bobby) una camicia sporca di sangue (!!!)
  • Corna come se non ci fosse un domani anche tra personaggi apparentemente-per ora-secondari
  • Vari limoni e amori nascenti
Capite perché non si può smettere di guardare?
Questa serie è malvagia.


Episodio 3.
Qui succede qualcosa di inusuale.
Da apparentemente tranquillo telefilm giallo, in cui la polizia indaga su uno o più omicidi, Twin Peaks si trasforma in una specie di trip allucinogeno.
Quindi accendi, pensi di vedere l'evoluzione delle indagini e invece vedi una ragazza detestabile che balla in mezzo ad una tavola calda con tutta l'aria di essersi sniffata anche l'incenso della chiesa di fronte, un agente dell'FBI che indaga tirando dei sassi contro una bottiglia, un papà balla (qua son tutti danzerini, un mondo pieno di gioia e di Alessandre Celentano) con la foto della figlia, una tipa piratesca esulta perchè le sue tende sono finalmente silenziose e lei e il marito per questo diventeranno ricchi (???) e Cooper fa un sogno assurdo con un nano che non sa parlare ma balla (ma toh) da cui intuisce chi è l'assassino di Laura.
Credete sia finita qui?
Ma no, vi pare?
Compaiono un uomo senza un braccio che recita una poesia e un altro capellone che insinua che ucciderà ancora.
MA CHI SIETE VOI.


Mi ripeto:
Capite?
Capite quanto è subdolo Twin Peaks?
Quando pensate di starci capendo qualcosa lui inserisce elementi nuovi (apparentemente) ad cazzum e vi fa anche incavolare perché cosa mi significa a me che tu hai capito chi è l'assassino?
Come hai fatto?
Da cosa l'hai capito?
Sono stati gli alieni?
E' stato Tyrion Lannister?



martedì 8 luglio 2014

A l'interieur

15:29
(2007, Alexandre Bustillo e Julien Maury)





Ci sono tante belle cose che si possono fare invece di vedere un film.
Se siete incinte, o avete intenzione di esserlo a breve, per esempio, io questo film lo eviterei per lasciar spazio nel cervello allo studio dell'uso del Chupa Chups nelle civiltà precolombiane.

Questo perchè A l'interieur è CATTIVO CATTIVO CATTIVO.
CATTIVO.
CATTIVO.
BRUTTO E CATTIVO.

No, brutto no, affatto.
Ma Bruttoecattivo tutto attaccato sì.

La signora che vedete nella miniatura del video qui sopra si chiama Sarah. Mentre aspetta il suo primo figlio ha un brutto incidente in macchina, in cui lei e il piccolo che porta in grembo restano illesi. Muore invece il papà del bambino.
Qualche mese dopo, precisamente la sera prima del giorno previsto per il parto, una strana donna suona il campanello di casa di Sarah, e quello che vuole non è solo fare una telefonata.

Toccare le donne incinte è pericolosissimo, un tema che va trattato con pinze dorate e guanti d'argento.
I due registi francesi lo trattano con un paio di forbici insanguinate e un casino di sadismo.
Ma ce la fanno, funziona.
Portano a casa un filmone di quelli difficili da dimenticare.

Devo riconoscere che Sarah non è un personaggio per cui sono impazzita da subito. All'inizio la vediamo soffrire molto una perdita terribile, e poco altro ci è mostrato di lei, a parte che ha una madre degenere e cretina che dopo che la figlia ha perso il compagno da soli 4 mesi le chiede se si fa il capo. Ma insomma, a parte ciò, poco altro vediamo.
Forse è voluto, perchè nel film quello che ci interessa non è tanto Sarah nella sua complessità di donna e blablabla, ma Sarah-mamma che tira fuori un bel paio di coglioncini quando l'incolumità del figlio è messa a repentaglio. Potrebbe anche essere una donna con poca personalità, ma in questo contesto non ce ne frega assolutamente niente. E' una donna che prende a pugni lo specchio per farci uno spuntone con cui colpire l'altra donna, l'assalitrice, ovvero il personaggio che da solo avrebbe potuto reggere il film.

Di lei, la cattivona, non sappiamo niente. Non ha nemmeno un nome. Eppure è terrificante.
Arriva di soppiatto, guarda dalle finestre, poi sparisce, poi spunta dietro di te, e una volta entrata in casa è impossibile fermarla dall'ottenere quello che vuole.
Personaggione di quelli potentissimi, di cui vediamo chiaramente il volto per la prima volta solo illuminato dal fuoco della sigaretta (in una scena gigantissima, spettacolare, me la sono fatta sotto).
Questa squinzia qui fa una paura maledetta, perché è un pazza isterica.
Davvero, non per dire.
Non ha organizzato un piano preciso per andare a prendersi da Sarah quello che vuole, ha alzato le chiappe ed è andata a prenderselo. Guidata solo dai sentimenti è entrata in casa e l'ha presa a forbiciate e si è pure lasciata andare a sfoghi isterici da donna con la stizza premestruo quando non ci è riuscita.
Il che la rende molto più pericolosa.

Giocano un po' a guardie e ladri in giro per la casa, perlopiù in bagno, c'è tanto di quel sangue da cominciare a fare un po' di impressione anche a me che di solito resto quasi indifferente, ci sono un bel po' di morti, ma fino alla fine ci sono loro due a sfidarsi, entrambe decise a non cedere, guidate da quello che dovrebbe essere il migliore dei sentimenti, il più forte.

Unica pecca sono state secondo me le scene del feto che non ho capito che effetto volessero dare, che sensazione volessero dare allo spettatore.
Se lo scopo era farci dire 'Oh mioddio no povero bimbo' credo abbiamo proprio sbagliato film e pubblico.
Se non è questo, non capisco quale possa essere.

A parte questa piccolezza, film incredibile, con due attrici da applausi e inchini.

Poi però si arriva alla fine.
LO SO che non poteva che finire così e che qui non stiamo guardando l'ultimo film di Barbie.
Però con quella scena finale, miei simpatici amici francesi, vi siete appena digievoluti da Bruttiecattivi a MALEDETTI BASTARDI SCHIFOSI.

Fate dei gran bei film, però.
Cià.

lunedì 30 giugno 2014

Daisy vuole solo giocare

14:34
(2008, Aisling Walsh)


RECENSIONE PIENA DI SPOILER MA LEGGETE PURE, TANTO IL FILM FA SCHIFO COMUNQUE.

State guardando un film.
Lo annusate da subito che non sarà un filmone, ma insomma, ve lo godete con tranquillità, sperando che migliori.
Poi arriva una scena.
Una scena, magari corta e che potrebbe apparire poco importante, ma che ti fa capire in pochi minuti che quello che stai vedendo altro non è che un grandioso, esemplare, FILM DI CACCA.

Stavolta parliamo di Daisy, bimbetta dal nome bellissimo che uccide le persone.
Non è che le uccide direttamente, è che le persone intorno a lei, semplicemente, muoiono.
Tutti allarmati, tutti preoccupati, e tu pensi 'oddio la figlia di Satana, oddio è posseduta'.
Ma no, amici ascoltatori, Daisy è una figlia delle FATE.
Per quale razza di benedetto motivo una FATA dovrebbe volermi morta?
Anni di fate viste dai bambini come belle creaturine gioiose e qua mi sconvolgono tutto così.
PERCHE'?


Ma torniamo alla scena di cui parlavo prima.
Insomma, sta Daisy è strana, bene non sta. La sua mamma adottiva però non la crede così bizzarra, e la difende dalle accuse di tutti, compreso da quelle del papà adottivo che non ha proprio le fette di salame sugli occhi.
Papà intuisce che la bimba è la causa dei problemi, mamma non ci crede, papà e mamma litigano. So far so good.
Fino a che mamma conosce una tipa.
Chi è?
La morosa del liceo di papà.
Mamma torna a casa e fa una piccola scenata di gelosia a papà.
Papà consola mamma.
Cosa mi significa una scena simile?
Cosa mi porti di significativo nel contesto?
Niente.
Ah, no, mi conduci dritto ad un'altra scena, che arriva dopo un po', in cui papà si sente trascurato dalla mamma e allora esce con la morosa del liceo e la bacia.
Ah no, lei si tira indietro, che è una donna onesta.

Lo capite?
Capite di cosa parliamo?
Parliamo di un film in cui vengono inserite scene ad cazzum tanto per arrivare a quell'ora striminzita e mezza che comunque non comunica nulla, non parla di nulla, e si conclude con un primo piano della bimba fata che vorrebbe essere inquietante ma che alla fine fa tirare un sospiro di sollievo perchè almeno il film è finito.


Ah, e questi primi piani della piccoletta sembrano essere una specie di firma stilistica del regista, dato che ogni dieci minuti circa ce ne scappa uno.
Ma non fanno paura.
Nemmeno gli scappa per sbaglio, di fare paura.

Che poi, parliamo seriamente un attimo.
Ho letto su wiki che la questione dei bambini Changeling è una leggenda reale, con una storia e blablabla.
Quindi poteva essere interessante trarne un film, in fondo apprezzo anche il tentativo di fare qualcosa di diverso dal solito, apprezzo che si tocchi un tema nuovo, tutto quello che volete.
Ma se per farlo dovete girare un film con i piedi allora no, non ci sto.
Che dei bambini fata non sentiva la mancanza nessuno.
Quindi, o fai un buon lavoro, o lasci perdere e investi i tuoi soldi per aprire un'azienda che venda cuscini per anatre, che ne so.

Una cosa positiva c'è, in Daisy vuole solo giocare: il vicino di casa che sembra Gazza.
O è Gazza.
Non ne sono sicura, il film non ha una pagina wiki per andare a verificare se è lui, ed è un film troppo brutto per andare a cercare la scheda sull'IMDB.
Ditemelo voi, se lo sapete.
E' Gazza quello lì?





venerdì 13 giugno 2014

Halloween - La notte delle streghe

17:05
(1978, John Carpenter)


'Lui non è un uomo.'

Ritorno al blog, proprio di venerdì 13, con questa frase.
Che da sola racconta meglio di ogni altra un film di cui onestamente mi vergogno un po' a parlare.

Notte di Halloween 1963: Michael Myers, un bambino di 6 anni, uccide a pugnalate la sorella che gli faceva da baby-sitter.
Vigilia di Halloween 1978: Michael, ricoverato per anni in manicomio, riesce ad evadere e torna a casa, e sembra che il suo obiettivo sia uccidere altre baby-sitter.

Quanto è sottile la differenza tra l'essere umani dall'essere animali?
Noi diamo per scontata la nostra superiorità, facendoci vezzo del nostro uso della ragione, della nostra proprietà di linguaggio e della nostra capacità di ponderare le decisioni.
Un animale è istintivo, se ha fame mangia, se ha sete beve. Semplice ed essenziale.
Ma se il bisogno dell'animale fosse uccidere?


Ad una visione superficiale, Michael Myers, senza ombra di dubbio il più affascinante di tutti i serial killer della storia della cinematografia tutta, potrebbe sembrare solo questo: un animale, guidato dall'istinto.
Se si prova ad andare più a fondo, Michael Myers è ancora peggio. E' ad un livello ulteriore, ancora inesplorato.
Lui non parla, non comunica. Persino gli animali emettono suoni per comunicare tra di loro.
(Tranne i lombrichi, credo. Comunicano i lombrichi?)
Non dice mai una sola parola. Non la dice durante il film e sappiamo dai racconti del medico che non ha MAI detta una in anni di ricovero.
Ma soprattutto, non ha un volto. Non ha espressioni, e nel nostro comune linguaggio non verbale è praticamente come dire che non ha emozioni. Certo, la faccia ce l'ha, sotto la maschera, ma il fatto che ci sia impedito di vederla è un segnale fortissimo.
Nonché un'idea geniale.
La maschera che Myers indossa è una banalissima maschera umana dipinta di bianco. Senza il rossore delle gote, le sopracciglia, il colorito delle labbra. Una mano di bianco e un volto normale diventa spaventoso. E' la prima cosa che mostriamo, il volto, la prima che ci identifica, quasi più del nome.
Tolta l'umanità al volto, fatta di colori, peli, piccoli o grandi segni, cosa resta?
Michael Myers.
E questo chi cavolo è?
COSA è?

Il Male, a detta del dottore.
E definizione più precisa non può essere data.
'Era come svuotato' - continua il dottor Loomis - 'Non capiva, non aveva coscienza, non sentiva nè gioia nè dolore'
Onestamente, è sconvolgente. Le scene in cui Loomis parla di Michael sono da pelle d'oca, più delle scene d'omicidio. Sono il momento in cui si capisce che per L'Ombra della Strega non ci sarà mai redenzione.
Ma la paura vera si prova a cinque minuti dall'inizio del film, quando, dopo lo storico, indimenticabile e ormai mitico inizio, i genitori di Michael tornano a casa e lo trovano sulla porta di casa, col suo costumino di Halloween, il coltello insanguinato in mano, e gli sfilano la maschera, e lui se ne sta lì, col faccino da bambino di sei anni, a fissare in camera, e io che me ne sto lì, davanti allo schermo, che deglutisco con un brivido ghiacciato sulla schiena.


E in tutto ciò, quello che aveva Carpenter erano pochi spicci, attori quasi tutti di seconda scelta e una maschera del Capitano Kirk di Star Trek.
E dopo anni ancora i brividi.
E le lacrime di amore che colano copiosamente lungo le guance.







venerdì 9 maggio 2014

Contracted

13:07
(2013, Eric England)



Ogni tanto il mio dito preme play su certi film che proprio non so in base a cosa ho scelto.
Se ne stanno lì, in mezzo al mio elenco dei film da vedere, zitti zitti, e per qualche strano gioco del karma finisco per sceglierne uno che mi chiedo come ci fosse finito nella lista, perché mi rifiuto di credere di avercelo messo io, di proposito.

Contracted, in particolare, mi fissava curioso, con quella sua stramba locandina e il titolo corto e conciso come piace a me. Ho deciso di dargli una possibilità, e mi sono ritrovata a guardare la storia di Sam, ragazza dal naso a punta e in crisi con la sua compagna, che una sera ad una festa si ubriaca e ha un rapporto non protetto con uno sconosciuto.

Anni di evoluzione, ci facciamo chiamare sapiens sapiens e tu hai un rapporto non protetto con uno sconosciuto. Brava, avanti così.
A onor del vero, non si capisce proprio benissimo se sia un rapporto consenziente o uno stupro, sta di fatto che la mattina dopo lei si sveglia e comincia a marcire.
Non sto scherzando, marcisce davvero, con anche i vermicelli e tutto.
Vediamo il deterioramento rapidissimo (il film la accompagna per 3 giorni) del suo corpo che inevitabilmente porta con sè anche una mente che pian piano dice ciao alla salute.
Ma andiamo con calma e analizziamo insieme questa perla cinematografica che quantomai non l'ho vista prima.


Prima dei titoli di testa si vede una scena in cui qualcuno fa qualcosa con un cadavere femminile. Fortunatamente la scena non è mostrata direttamente perchè io avevo appena fatto colazione.
Che poi è una scena che non verrà più nominata, citata, nemmeno intravista, come se non fosse mai esistita, quindi anche se arrivate due minuti dopo non succede niente.
Immagino servisse a spiegare perché quel tale BJ ha trasmesso alla tale Sam il germe del marciume, ma non era assolutamente necessario.
Poi ci sono dei gran bei titoli di testa, coi fiorellini, molto romantico.
Una prima parte è dedicata al pre-marciume. Conosciamo Sam, i suoi amici Alice e Riley, sua mamma, la sua odiosissima, spocchiosa e indifferente compagna, la vediamo prendersi una di quelle scimmie che ti lasciano i postumi per una settimana e la intravediamo divertirsi (?) con BJ.
Si sveglia, un lago di sangue. Ma sì, mi saranno venute le mie cose, andiamo a lavorare. Fa la pipì al lavoro e altro lago di sangue. Va dal dottore, il quale le chiede:
'Ti sono venute?'
Domanda a cui lei risponde:
'Sì, ho pensato che fosse quello.'
Figlia mia se tu quello lo chiami ciclo mestruale devi avere grossi, grossi problemi ormonali.
ENORMI probemi ormonali.

Andare a fine film lei rimane senza ciocche intere di capelli, senza qualche dente, senza qualche unghia, con un intenso e sexy sguardo magnetico dato da due occhi completamente rossi, ma soprattutto con litri e litri di sangue che le escono da ogni poro.
Va dal medico un paio di volte tanto per, e il medico è talmente allarmato dai sintomi che le dice:
'Eh ma tipa finchè non ho i risultati degli esami non so cosa dirti.'
Poi lamentiamoci della sanità italiana, questo si trova di fronte una creatura mostruosa che non sembra stare affatto bene ma non gli viene manco in mente di ricoverarla.
E non è l'unico a fregarsene altamente dello stato di salute di sta poraccia, visto che la sua morosa la vede concia come uno zombie e la molla solo perché questa si è fatta un uomo, la sua amica la vede con un herpes labiale che ha la circonferenza del Texas e nonostante ciò ci sta quando lei prova a baciarla e quel povero smidollato di Riley ha pure un rapporto con lei.


Poi su questo rapporto possiamo anche dirne d'ogni.
Lei brutta come la morte ingorda (non so se si dica così in tutta Italia, ma non credo) il giorno prima lo aveva accusato di stalking, intimandogli di starle alla larga, il giorno dopo lo chiama vogliosa e lui corre. Quindi già sei uno smidollato, come ho detto su.
Non aspettava altro.
Durante questo benedetto rapporto lui lamenta bruciore e pizzicore.
Ora, io non sono una di voi, masculi cari, ma ho il sospetto che bruciore e pizzicore non siano esattamente sintomi di un rapporto sessuale sano. Ma lui continua tutto felice e contento.
Poi però sono cavoli tuoi, perché sei un cretino di quelli belli potenti.
Qua è proprio l'IGIENE di base che manca.
Basti narrarvi che la Sam, quella che marcisce, crede sia sufficiente usare due strappi di carta igienica per pulire un water pieno all'orlo di sangue. Eh insomma, chissà che casa bella pulita devi avere.

Adesso, a parte che le stupidate, i film non va. E mi dispiace, perché avrebbe anche spunti non male, in potenza, è la resa in atto che proprio arranca. E' una specie di teatro dell'assurdo, in cui il gestore di un ristorante permette di cucinare e servire ai tavoli ad una dipendente che ha delle unghi disgustosamente rovinare e gli occhi di chi si è appena fumato un bong di dimensioni umane pieno di incenso da messa. Le reazioni umane non sono proprio concepibili, non è credibile che una ragazza innamorata di un'altra, come si rivela essere Alice, non si preoccupi di portare di peso al Pronto Soccorso la sua amata che sta quasi cascando a pezzi.
Quello che mandi a pezzi facendo così è tutta la credibilità.
Poteva essere interessante la regressione mentale di Sam, se non me la fai limonare con la sua amica quando ha quella cosa disgustosa purulenta sul labbro. Che orrore e che disgusto.
E che brutto film.

Certo che è che almeno a fine film mi sono guardata allo specchio e mi sono trovata bellissima.

domenica 4 maggio 2014

Non solo horror: La fuga di Martha

18:10
(2011, Sean Durkin)



Avrete ormai capito che sono una fan dei polpettoni.
E, ad un occhio superficiale, questo film è il re indiscusso dei polpettoni, perché di fatto per tutta la durata non succede assolutamente niente.

Altro non è che la storia di Martha (o Marcy May, a seconda che voi siate parte di una setta-comunità o meno, o ancora Marlene) che fugge dalla sopracitata setta-comunità e va a rifugiarsi a casa della sorella maggiore.
That's it.

Bisogna essere bravi per dire tantissimo senza raccontare niente.
La Olsen, sorella riuscita bene delle più famose gemelline quelle col maggiordomo, è senza dubbio brava a dire tantissimo senza dire niente, nè a noi nè alla sorella (ciao, SarahPaulson! Spero di rivederti a ottobre!).
Mai una volta, nel corso della visione, la questione della setta viene affrontata apertamente. Noi spettatori lo sappiamo perché il regista ce lo mostra abbondantemente, girando il film su due piani temporali ben separati, ma che sembrano accavallarsi nella mente di Martha.
Quello che spezza il cuore (sono una sorella maggiore, capitemi, provo empatia) è vedere Lucy (Sarah Paulson, appunto) cercare disperatamente di aiutare la sorella, lanciarle continui sguardi preoccupati, andarla a prendere affrontando tre ore di viaggio, andando continuamente a sbattere contro l'incrollabile muro che Martha ha costruito intorno a sè.


Anche perché Martha non esiste più. Non come Lucy la ricorda, almeno.
La sua individualità è stata distrutta dalla comunità, e ora lei che ne è uscita deve ricompattare quello che ne è rimasto, ammesso che ne sia rimasto qualcosa. Per due anni Martha è stata soppiantata da Marcy May, succube del fascino del leader Patrick, parte come le altre di qualcosa completamente fuori dal loro controllo, ma da cui uscire non è solo difficile, è un'impresa.
Un'impresa che lei prova a compiere, ma a che prezzo?
Quanto può essere difficile uscire da qualcosa che ti ha prima cancellato l'identità per poi costruirtene una completamente nuova e diversa?
Ti ritrovi priva di tutto, potrebbe quasi essere più comodo restare dove sei per non doversi ricostruire da capo.
Invece lei scappa comunque, peccato che poi non sappia gestire il trauma, non sia in grado di far entrare nessuno nel suo dolore e che quindi nemmeno Lucy sappia aiutarla.


Durkin stravolge il significato di famiglia. Famiglia è quello che la setta vuole essere per i suoi adepti, in uno stile famigliare retrogrado e patriarcale, in cui il ruolo del capofamiglia è il leader della setta a cui tutti devono guardare con ammirazione e rispetto. Famiglia è Lucy, l'ultimo legame di sangue rimasto a Martha, che però non riesce a scavare fino in fondo.
Immaginate un mondo in cui vi trovate senza il porto sicuro della vostra famiglia, in qualsiasi modo interpretiate questo termine.
E immaginate di avere un enorme, enorme trauma, qualcosa che cambi per sempre il vostro modo di vedere le cose.
Senza quel porto sicuro su cui rovesciarlo.
Riesce difficile vero capire come possa stare Martha?

La fuga di Martha non è uno di quei film da guardare per passare un pomeriggio spensierato.
Di sicuro non è il film da scegliere se si vuole un po' di adrenalina, o se si cercano le risate, o i buoni sentimenti.
Ma è una visione indimenticabile.


A proposito, domani è il compleanno della mia amica Marta, auguri tesorino!
Sono quasi certa che lei non sia in qualche strana comunità con santoni di vario genere, però.



domenica 27 aprile 2014

Il fenomeno Amityville - parte II

18:48
Proseguiamo il nostro discorso sulla faccenda Amityville, che avevamo iniziato qui.
Ero stata preventivamente avvisata da Frank di Visione Sospesa sul fatto che il secondo episodio della saga avrebbe fatto paura, ma ormai saprete quanto sono coraggiosa e temeraria.


Comunque, questo secondo film è pure lui tratto da un libro, Murder in Amityville scritto da Hans Holzer. Però George Lutz, che con sta questione della casa maledetta ci stava facendo su le palanche, ha detto:
'No, Dino (DeLaurentiis, il produttore), per piacere, ascolta ammè che di ste cose ne so, ispirati a Amityville Horror Part II!'
Ma Dino, che qualcosina sapeva pure lui, ha risposto:
'Senti bello, resta nel tuo che qui comando io e questa è casa mia.'



Tribunali e mica tribunali, per decidere che Damiani poteva ispirarsi a quello che gli pareva a lui a patto che specificasse che il film non c'entrava nulla con lui.
Ma appurato che il film è ambientato PRIMA dell'arrivo dei Lutz, come poteva c'entrare con lui?
Megalomane.

AMITYVILLE POSSESSION - 1982 - Damiano Damiani

Prima dei Lutz con tutti i loro casini, nella casa di Ocean Avenue ci stavano i DeFeo.
Che in questo caso si chiamano Montelli.
I quali, poveri Montelli, non partono da una base gioiosa ed equilibrata. Papà Montelli è uno schifo di uomo. Mamma Montelli è un'isterica senza palle. Figli Montelli Senior sono dei precursori della moda Lannisteriana e Figli Montelli Jr non contano niente, però sono teneri perché sono fratelli anche nella realtà e sono tanto carini.
Arrivano in quel fenomeno di casa, non fanno in tempo a disfare le valigie che inizia a scorrere sangue dai lavandini, scritte sataniche sul muro, è una velocissima discesa verso gli inferi che non lascia un attimo di respiro.


Amityville Possession è un prequel che supera abbondantemente il predecessore, facendogli anche mangiare la polvere del sorpasso. E' un film teso, angosciante, spaventoso. Fa davvero paura, come mi aveva detto Frank. Siamo da subito consapevoli che nella casa qualcosa non va, ma ci viene spontaneo non dare troppo peso alla questione perchè siamo belli coinvolti nei problemi famigliari. Padre violento, madre succube, figli incestuosi. E' pieno di spunti, al punto che quasi quasi ci dimentichiamo che qua c'è un figlio posseduto di troppo.
La vicenda è bella divisa in due, con una prima parte più umana, che poco ha a che vedere con il soprannaturale. Si arriva poi alla seconda che ha inizio con lo scoppio vero e proprio della possessione, in una scena che ha dell'incredibile.
Sonny, il figlio maggiore, è solo in casa, in un periodo nel quale cominciava a sentire un po' di inquietudine e malessere. Si aggira angosciato per casa, consapevole di non essere solo. Si volta qua e là, guardando in faccia qualcosa che a noi è celato. Cresce la tensione, fino a quando questo 'qualcosa' lo inchioda disteso a letto e fa continue e costanti pressioni sulla sua pancia. Come se la possessione non fosse più una cosa 'spirituale' ma una vera e propria possessione fisica, con la presenza che entra letteralmente nel tuo corpo e lo fa proprio.
Un punto di vista interessante e poco sviluppato altrove, anche nello stesso Esorcista che Daminìani così spesso cita.


Ho poi adorato il modo in cui la storia è strutturata.
Tutto gira intorno al momento in cui Sonny uccide la famiglia. (Non è uno spoiler, il film racconta la storia dei DeFeo morti ammazzati dal figlio.) Tutto quello che succede gira intorno a quella scena. Eppure il film non finisce lì. Non è il momento finale, non è che da lì parte il crescendo finale cum esorcismo cum esplosione.
Muore la famiglia, ma continua l'esplorazione della mente di Sonny, continuano le scene (spaventose) in cui il demone si manifesta.
Continuo a farmela sotto.

A fine film, però, rimane un dubbio amaro sulla natura umana.
Tra padre bastardo e violento e figlio - suo malgrado - posseduto, chi è il vero demone, lì dentro?



martedì 22 aprile 2014

Eden Lake

16:10
(2008, James Watkins)


Un giorno come un altro uscite dal lavoro, trovate una macchina ad aspettarvi, salite e c'è MICHAEL FASSBENDER.
Niente, la giornata assume una piega diversa.
Come se la sua presenza non fosse sufficiente accade che MICHAEL FASSBENDER vi dice: 'Andiamo in campeggio?'
E voi tutte così:


Ma ricominciate a respirare, perché quelle che andranno in campeggio con MICHAEL FASSBENDER non siete voi.
Manco io.
E' una tipa bellissima di nome Kelly Reilly.

Insomma, Kelly e MICHAEL FASSBENDER vanno in campeggio insieme. Tutto bello, tutto paradisiaco, se non fosse che un gruppetto di ragazzini comincia a infastidirli, fino a trasformare questo weekend romantico in un incubo.

E no, il fatto che questo post abbia un incipit così cretino non è affatto casuale.
Sto cercando di sdrammatizzare, perché ad un giorno dalla visione tutte le sensazioni negative che Eden Lake mi ha trasmesso sono ancora lì.


Watkins mi ha fatta arrabbiare, anzi mi ha proprio resa rabbiosa, sbattendomi in faccia il totale nonsense di alcune azioni umane. Di tutto quello che vediamo non esiste un perché. Ed è questo a rendere la vicenda, che di per sè non ha niente di nuovo o eccezionale, un incubo.
Gli aguzzini ci vengono mostrati da subito, non sono altro che ragazzetti, più o meno dell'età di mio fratello, preadolescenti. Se ne stanno lì a bighellonare, importunano un altro ragazzetto timidino, niente di eclatante.
Non sono ragazzini demoniaci, fantasmi, mostri.
Sono solo ragazzini.
Questo è un elemento destabilizzante, tanto quanto in Them, ma senza l'elemento sorpresa finale. Non c'è niente di sorprendente, loro sono lì fin dal principio, quello che è surreale è quanto noi restiamo di sasso nel vedere quanto si spingono in là.

Se in Them alla fine mi sentivo il freddo dentro, alla fine di Eden Lake ho sentito solo una calda, caldissima rabbia.
Siamo in un bosco apparentemente senza fine, sempre di giorno (c'è solo qualche scena finale di sera, ma ormai il grosso era fatto). Eppure, anche senza il grande aiuto del buio ci sentiamo opprimere, siamo all'aperto ma la pressione è tale che sembra manchi l'aria alla gola.
Loro sono ovunque, non puoi nasconderti, non puoi scappare a lungo.
Ma soprattutto sono disposti a tutto.
E gli equilibri di questo gruppetto di microcefali sono così netti che sembra di stare leggendo uno studio antropologico anzichè stare guardando un film horror. Tutti sono sottomessi alla figura carismatica e sicura di sè di Brett, il piccolo boss, tutti desiderosi di soddisfarlo e incapaci di contraddirlo. Figura leader che si manifesta per quello che realmente è (un vero mostro) nella scena, a mio parere una delle più tremende, in cui massacra di botte uno dei suoi stessi amici.
Niente ha più importanza, è solo una folle esplosione di violenza fine a se stessa, in uno scoppio di rabbia furiosa che ha il potere di surriscaldare anche lo spettatore.
Una scena terrificante davvero.


Tanto quanto sono interessanti le interazioni tra i giovani, altrettanto interessanti sono i due personaggi adulti, che in una sola ora e mezza scarsa si evolvono al punto da scambiarsi i ruoli.
Apparentemente forte e sicuro di sè lui, apparentemente timida e dolce lei, a metà visione li troviamo uno mezzo morto e l'altra sporca, stanca e sudata, ma aggressiva e determinata a non lasciarci le penne.
L'istinto di sopravvivenza la riempie di una grinta che non è mai assurda o insensata. Non passiamo da Pollyanna a Wonder Woman, badate bene. Lei rimane la stessa donna di sempre (come si vede nel momento di senso di colpa che ha quando uccide il ragazzino sbagliato), ma vuole vivere e se qualcosa si mette in mezzo tra lei e la sopravvivenza allora lei elimina quel qualcosa. Punto.
Anche se quel qualcosa avesse le sembianze di una bambina.

Per il post numero 100 di MRR non potevo trovare film migliore. Uno dei più intensi visti ultimamente, uno di quelli che imprimono la loro forma nel cuore prepotentemente, uno di quelli per cui la parola capolavoro non è usata a sproposito.

PS. Posso garantire ancora per un po' per mio fratello, coetaneo dei bulletti. E' un po' cretino, ma la gente non la ammazza.
Credo.

giovedì 17 aprile 2014

The Ward

12:40
(2010, John Carpenter)


Immaginate di invitare i vostri amici una sera a cena.
Magari una sera speciale, come il vostro compleanno.
Passate ore a cucinare, a preparare tutto alla perfezione, e i risultati sono grandiosi.
I piatti sono buonissimi, hanno un successo incredibile e i vostri amici vi eleggono ufficialmente chef della cumpa, ormai siete segnati e vi toccherà cucinare per ogni singola occasione futura.
E' una soddisfazione, per carità, ma da quel momento tutti quanti si aspetteranno che dalle vostre manine fatate escano dei manicaretti straordinari, anche se magari voi avete lo scazzo e volete cucinare solo i sofficini.

E' un po' una palla, vero?
Le aspettative sono rognose.
Perché magari una cosa vi viene pure buona, ma se non è buona come quel risotto zafferano e gamberetti che avete fatto per Santo Stefano del 1998 allora non è buona abbastanza.


Pensate quindi a quella povera bestia che ha girato Il seme della follia.
Non andrà mai più bene niente, se non raggiungerà quei livelli.
Poi lui ce lo mette a tutti nel sedere quando gira Cigarette burns, ma quello è un altro discorso.

Insomma, dopo 10 anni di meritato riposo, Big J torna a narrarci una storia, quella di Kristen, una giovane che dopo aver dato fuoco ad una casa viene ricoverata in un ospedale psichiatrico, da cui ogni tot spariscono delle ospiti ma pare che nessuno ci badi troppo.
La ricetta prevede Carpenter+ospedale psichiatrico.
Dite quello che volete ma io già godo.


A fine visione la mia goduria è un pochino calata, perché quello che abbiamo tra le mani è un film tutto fuorchè perfetto. La trama (ma soprattutto il finale) sa di già visto, la sceneggiatura non è sto granchè e nemmeno l'atmosfera è delle migliori.
MA.
E' tutto sommato un buon film, si fa guardare tranquillamente, non annoia, presenta personaggi magari poco sviluppati ma con spunti interessanti e a me quel salone lì con le colonne ricorda l'Overlook quindi gli voglio un bene grande.
In più, voi che ne parlate male, che sparate cacca su uno dei Grandi solo per un film buono-ma-non-perfetto, avete il diritto di farlo solo se sapete fare delle inquadrature così, altrimenti tutti zitti ad imparare.

La Gloria non si tocca, non sarà un filmetto a rovinare l'immagine di chi ha cambiato irrimediabilmente la storia e la qualità del cinema horror.
E poi alla fine ho preso uno spavento di quelli atomici.




(Big J, parlo a te. So che sei un uomo e di queste cose non te ne curi - giustamente - ma la prossima volta che vuoi ritrarre le chiappe di una bionda in doccia ricordati di farle togliere le ciglia finte che se no si rovinano. Tanto lo so che non le guardi gli occhi, mandrillone.)

sabato 12 aprile 2014

La casa muda

17:32
(2010, Gustavo Hernandez)


Ma voi lo chiedereste mai ad un morto 'Cosa ti è successo?'
Dopo 25 minuti di film, il dialogo migliore è questo, una tipa che chiede al papà morto cosa sia successo.
Stellina, se ti risponde finisce che dobbiamo cambiare il tema principale del film, da home invasion (?) a zombie.
L'interrogatorio prosegue con 'Che cosa ti hanno fatto?'
Pare scontato che la domanda migliore da fare sarebbe stata 'CHI ti ha fatto questo?' dal momento che, sapete, Laura e suo papà erano in casa da soli.

Ma facciamo un passo indietro.
Laura e Daddy vanno in questa casa per fare dei lavori di ristrutturazione e ci passano la notte.
Cioè, ce la passa lei, perché lui tempo 10/15 minuti schiatta, per farci assistere alla scena di cui sopra.
Iniziano poi una serie di rumori strani, movimenti bizzarri, in casa c'è qualcuno che sembra voler fare del male a Laura e lo scopo è sopravvivere.


Ogni tanto a qualche regista vengono delle belle idee.
Cose interessanti, innovative, che potrebbero far spiccare il suo film al di sopra della media delle pellicole che vediamo in sala.
A volte gli va bene, come in The Blair Witch Project, che è imperfetto e tutto quello che vuoi ma dopo anni ancora se ne parla. A volte gli va benone, come a Cronenberg con La Mosca, che ha pensato bene di far trasformare un uomo in una mosca e gli è uscito un film che fa una paura dannata. A volte succede come al regista di ESP - Fenomeni paranormali 2 che poverino aveva avuto una bella idea e alla fine gli è uscito un FDC.
Indoviniamo insieme a quale categoria appartiene La Casa Muda?

Come al solito io poi me la prendo sul personale, ma è stata una delusione cocente.
Il film è girato in un unico piano sequenza.
In parole poverissime panesalamissime è un'unica 'scena'. Non ci sono stacchi, non ci sono spostamenti di ambientazione (anzi, a fine film quella casa lì, che tutto è meno che muta, vi farà venire la nausea), nè tantomeno spostamenti temporali.
Seguiamo Laura dal suo ingresso in casa e il tempo del film è il tempo reale, come nella serie 24. Viviamo insieme a lei quei 70/80 minuti, secondo dopo secondo. Un secondo suo è un secondo nostro.
E, insieme a lei, ci annoiamo da MORIRE, roba da invidiare il papà che quantomeno lui è morto per davvero. E a inizio film, che si è risparmiato tutto il patatrac.
Il punto saliente doveva essere ovviamente la tensione più che la paura fine a se stessa, ma a me sono mancate entrambe. Ricordate una delle scene finali de La finestra sul cortile? Il protagonista è seduto in casa, al buio, e si sentono dei passi nel corridoio. Noi sappiamo esattamente chi entrerà dalla porta, ma ragazzi che brividi quella scena. Una tensione quasi insostenibile, roba da mandare tutti gli altri registi del mondo a scuola.


Poi non entro nei dettagli tecnici di come abbiano realizzato una pellicola in questo modo, ma sul web girano leggende metropolitane sulle occhiaie del cameraman dopo 4 giorni di riprese no-stop.
E' proprio l'aspetto tecnico che rende il film così 'ma uffa'.
Se da un lato premio il coraggio del giovinotto regista al suo primo lavoro, che si è buttato subito in un progetto così inusuale e intrigante, dall'altro devo riconoscere, a gran malincuore, che il risultato è un filmettino mediocrissimo, in cui tra l'altro tutto ruota intorno ad una sola attrice che recita male.
Il colpo di grazia poteva essere dato dal finale, che poteva svoltare, dare nuovi significati al film.
Effettivamente li dà, ma in peggio.

A seguito di tale successone, indovinate che ideona hanno avuto gli americani?
Il remake è uscito l'anno dopo.

venerdì 28 marzo 2014

Non solo horror: Dallas Buyers Club

09:19
(2013, Jean-Marc Vallée)


Il trailer è in italiano, ma inutile dire che se non lo guardate in lingua siete polli)

(RECENSIONE CON SPOILER PERCHè NON POSSO FARE ALTRIMENTI)

Avete presente l'emozione?
Una di quelle forti, che ti fanno venire la pelle d'oca sulla nuca, i brividi lungo la schiena e il battito accelerato?
Ecco.
Nella tremenda scena in cui Rayon sta male, si siede sul letto e dice 'I don't wanna die' si toccano picchi di emozione che pochissimi film mi hanno dato prima.
Già da sola questa dovrebbe essere una motivazione a chiudere questa pagina e andare a vedere Dallas Buyers Club adesso, subito, se avete avuto la sfortuna di non averlo ancora fatto.

La vicenda narra di Ron, che incarna in sè tutti i clichè sul Texas che in questo momento vi stanno venendo in mente. Fino a quando gli diagnosticano l'AIDS e da quel momento, gradualmente, si spoglia di ogni precedente convinzione, perchè sopravvivere diventa più importante di qualsiasi altra cosa. L'incontro con il transessuale Rayon non farà altro che aiutarlo in questa sua rivoluzione di ideali.


AIDS, morte, malattia, case farmaceutiche, tribunali, famiglia, droga, sesso, omofobia, amicizia. Mille temi, mille pesantissimi temi, eppure l'unica cosa che rimane dentro dopo la visione, e che include ovviamente anche tutte le cose elencate sopra, è la costante ricerca di sè dei personaggi, termine che viene usato spessissimo ma di cui in fondo il significato è poco chiaro.
L'unica persona che qui sembrava in cerca di sè, il transessuale, in realtà era l'unica che invece si era trovata da molto tempo. Sapeva esattamente chi era, era il mondo che faceva fatica a comprenderlo, ma a lui/lei era chiarissimo.
In evoluzione ci sono invece quei personaggi così fermi nella loro esistenza costruita che appena arriva una tempesta devono rimettere tutto in gioco per reggersi in piedi. Come Ron, che passa dall'odio totale per quelli che sa chiamare solo 'froci' al litigare con un amico di vecchia data per fare in modo che questi stringa la mano proprio ad uno di quei 'froci' che tanto insultava. Cambia tantissimo, ma tiene sempre quel suo cappello in testa, come a ricordarsi da dove è partito. O come la dottoressa Saks, apparentemente così borghesotta e legata alla sua professione, che in realtà è umana, emotiva, forte, combattiva.


E sì, McConaughey quell'Oscar se l'è meritato, eccome, perché è magistrale. Ron è, possiamo dirlo? un uomo di merda, all'inizio. E già quello gli veniva bene. Diventa però un crescendo di emozioni, e insieme al personaggio è come se crescesse anche lui, regalandoci scene pazzesche, sguardi intensi e quando lo vedi piangere resti basito davanti allo schermo. Una sola scena di pianto, che è sufficiente a elevarlo ancora di più al rango di Attore. E niente di tutto ciò ha a che fare col dimagrimento, perché a perdere peso sono capaci tutti. A renderlo speciale è il fatto che possa essere così bravo a fronte della debolezza fisica che tale dimagrimento comporta.


Ma Jared. Oh, Jared.
Da copione gli spettava un personaggio meraviglioso.
E lui ha fatto la magia.
Ha mangiato in testa, facendo anche il gesto dell'ombrello, a tutti coloro che lo sottovalutavano, o peggio, non lo consideravano proprio.
Ne ho viste poche di interpretazioni così, è surreale. Non rimaneva niente dell'uomo, del cantante, dell'attore.
La sua costante lotta contro i milioni di problemi che lo atterriscono è una lotta persa in partenza, perchè Rayon non è forte. Si attacca alla droga, perchè cerca una via di scampo.
E quando alla fine è ormai morto comprendiamo come non abbia ottenuto niente di quello che desiderava, perché i suoi amici parlano di lui ancora al maschile, esattamente come sto facendo io.
Persino la sua voce è perfetta.
Come ciliegina meravigliosa sull'incredibile torta che Leto ha cucinato per noi spettatori c'è un make up che è sì avvantaggiato da un gran bel viso, ma che ha reso Rayon una donna bellissima.


Poi vince l'Oscar, e fa un discorso perfetto e meraviglioso. Facciamo ciao con la manina a Sorrentino e a Maradona tutti insieme.



Tornando al film, in mezzo a queste tragedie, però, ci fosse un personaggio UNO che si piange addosso. Nessuno lo fa, tutti lottano col coltello tra i denti, sul filo della legalità, perché il valore della vita è al di sopra di qualsiasi regolamento. E mai, mai, troverete scene volutamente commoventi, solo sonori schiaffi in viso. Manca completamente qualsiasi volontà voyeuristica di mostrare la sofferenza.
Quando Rayon muore nemmeno lo vediamo.
Muore e basta, in un'altra scena, a noi oscurata.

E quando dite che si poteva fare di più, che manca qualcosa, eccetera eccetera, non avete torto eh.
Ma di fronte a tale talento, tale emozione, tale coivolgimento, tale cuore, è davvero importante?

lunedì 24 marzo 2014

The last will and testament of Rosalind Leigh

09:13
(2012, Rodrigo Gudino)



Ho da poco iniziato a lavorare in una casa di riposo.
Appena gli anziani hanno un po' di tempo per parlare (o meglio, appena IO ho un po' di tempo da dedicare all'ascolto) le parole più frequenti sono 'mio figlio', 'mia figlia', 'i miei figli'.
Spesso si lamentano della loro mancanza, di quanto poco gli fanno visita, spesso raccontano aneddoti, spesso li lodano.
Ma quella dei figli, anche di quelli che non vedo venirli mai a trovare, è una presenza tangibilissima.

Per questo, quando ho visto Rosalind Leigh non ho fatto altro che pensare ai miei amati nonnini, e a tutti i nonnini che non conosco ma che nutrono la stessa adorazione per i propri figli che spesso sono troppo presi dalla loro vita per rendersene conto.


Come Leon, per esempio, un uomo la cui madre viene a mancare dopo molto tempo che i loro rapporti si erano allentati.In seguito al decesso il figlio erediterà tutti gli averi della defunta e si reca nella casa di quest ultima per gestire le varie questioni.

Un'ora e mezzo di film che ruota interamente intorno ad un solo attore (nemmeno troppo bravo, ad essere sinceri) e una sola location. C'è poi, a nuotargli attorno, la presenza di questa strana madre, personaggio che si rivelerà per quello che realmente è solo alla fine.
Inizialmente ci viene fornita l'immagine di una fanatica religiosa, appartenente ad una setta che idolatra l'immagine degli angeli, ed anche un po' fuori di testa (che poi per me lo siano tutti gli estremisti religiosi è un altro discorso), nonchè pessima madre. Abbastanza agghiacciante è il racconto del gioco delle candele a cui sottoponeva il povero figlio già da piccolo dichiaratamente ateo.


Su questa immagine costruita della iperreligiosità della madre, la casa è un ambiente spaventoso, pieno di statue, icone, immagini sacre, candele, scura, cupa, fa una paura dannata. Ed è in questo ambiente inquietante che anche il figlio rivela di non stare troppo bene, le conseguenze di un siffatto genitore si fanno sentire nelle sue debolezze che emergono man mano che la sua permanenza trascorre.

La luce del sole si vede poco e niente, è tutto buio e scuro, come se la solitudine schiacciante di queste due persone non lasciasse scampo alla luce della speranza. Perché è intorno a questo che ruota tutto il film. Se si stia parlando di fantasmi o di persone che non stanno troppo bene con la testa non è mai troppo chiaro, il confine è volutamente annebbiato. E questo non fa altro che incrementare la paura in quei due o tre spaventi ben assestati che il regista ci infligge. 


Certo, i film perfetti sono sicuramente altri, ma forse quando un film ti ricorda che un 'ti voglio bene' può salvare una vita, allora ha sicuramente fatto un gran bel lavoro.

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