giovedì 11 maggio 2017

Non solo cinema: La principessa sposa

20:00
Lo scorso weekend a Cremona c'è stato il mercato europeo. Il centro della città era pieno di banchetti alimentari e non, ed è un evento che a me piace sempre tanto. Sotto la galleria della città, però, stavano i libri.
Con cosa sono tornata a casa?
Con una copia di The Princess Bride, in inglese e con questa copertina bellissima qui:


Facciamo che avete un bambino nella vostra vita. Un cuginetto, una sorellina, un vicino di casa affezionato, un nipote, un amico. Se ne sta lì, e gioca con le spade di legno. Oppure fa finta di cavalcare la scopa, oppure ancora ama i pirati. 
Mettiamo anche che ci sia la circostanza giusta per fargli un regalo, al bambino in questione (non che serva occasione per regalare libri ai bambini, ma tant'è).
Ecco, mettete da parte ogni vostra idea, perché c'è una sola cosa che farà gongolare il vostro bambino da qui all'eternità: La principessa sposa.
Ci sbilanciamo? Ci sbilanciamo: è perfetto.
È un mix esplosivo ed esilarante di avventure varie ed imprevedibili, di combattimenti e cuori che palpitano, di vendette e di torture. 

Di cosa parla lo sapete se avete visto La storia fantastica, ma ve lo riassumo così:
Buttercup (Bottondoro in italiano) e Westley sono innamoratissimissimi. Ma proprio di quell'amore grande e che scavalca le montagne. Il fato li separa: Westley viene rapito dal perfido pirata Roberts, Buttercup viene data in sposa ad un crudele principe. 
Riusciranno gli amati a riunirsi?

Mi rendo conto che la mia capacità di sintesi sia deplorevole, e che quindi sembri una storiellina d'amore per cucciolini indifesi. 
Ma manco per niente. 
Questo è un libro per bambini sfacciati e coraggiosi, con le mani che fremono dalla voglia di avventura e il tono della voce sempre troppo alto. Ci sono i pirati, gli eroi, gli spadaccini, le principesse, i cavalli, i cattivi cattivissimi e i cattivi non proprio cattivissimi, qualche parolaccia qua e là per sentirci grandi. Non manca niente, è una formula vincente per chiunque. Ai bambini regala sogni enormi, di quelli che fanno fantasticare anche quando il sogno è finito, ma è agli adulti che regala le vere sorprese.
Ragazzi, La principessa sposa fa spaccare dal ridere.
Io mica lo sapevo, ho visto il film da bambina e poi basta, lo ricordavo come una cosa seria. Devo rettificare: divorato in due giorni, risate incredibili. Battute brillanti, descrizioni spiritosissime e un po' di sarcasmo qua e là messo giusto per strizzare l'occhio a quei lettori che abbiano già le capacità per coglierlo.
Ma argomentare è anche inutile.
C'è Inigo Montoya, e tanto basta.

lunedì 8 maggio 2017

Fantasmi

18:38
Il giorno che per tutti è fonte di angoscia e tremori è il mio giorno di riposo.
Avrei potuto sfruttare la bella giornata di sole uscendo a fare due passi, godendomi un libro, guardando un film di Wes Anderson che ti rimette in pace con l'universo.
No, Coscarelli.


Phantasm parla di Mike, un ragazzino di 13 anni che ha perso da poco entrambi i genitori. Vive con il fratello maggiore, Jody, e vive nel terrore che anche lui lo lasci. Per questo, lo segue ovunque, ed è proprio durante uno dei suoi inseguimenti, mentre Jody è ad un funerale, che Mike scopre che il becchino del paese per qualche motivo si porta via le bare con i defunti.
È chiaro che non ne fa un uso, diciamo, legittimo.

Mi accorgo che sto guardando un film Grande, aldilà della fama che lo precede, quando c'è un dettaglio, o una scena, che mi colpisce in particolare. Qua potevano essere mille cose, il tono sempre in bilico tra il reale e l'onirico, l'atmosfera così malsana e lugubre (siamo spessissimo al cimitero), quel Tall Man così sinceramente inquietante.
Invece no, a colpirmi questa volta sono stati i suoni. Non solo la colonna sonora, che si piazza nel lobo frontale come una trapanata, per non mollarvi più, ma proprio tutti i suoni e i rumori del film, a partire dai suoni sinistri che Mike sente nel suo primo giro al cimitero in moto, e che poi si riveleranno essere i versi dei nani malefici (Coscarelli peraltro profeta dei giorni nostri che ha usato nani malefici in un film ben prima della notorietà del capostipite della specie: Berlusconi).
Ci sono poi i passi che risuonano in quella villa modesta e discretissima, il rumore delle lame che escono dalla sfera maledetta, le voci, le canzoni.
Sono pazza? È una sensazione che ho avuto solo mia? Ho trovato una versione del film particolarmente felice con l'audio migliroe mai sentito in un film con la sua età? O forse davvero una buona parte del fascino (indiscutibile nel modo più assoluto) di tutta la pellicola sta nella paura che mette con l'uso superbo che fa del sonoro?
Perché quel finale lì, che abbiamo visto un milioncino di volte e che è stato anche l'argomento della mia tesina di maturità, fa mille volte più effetto quando ci si arriva così provati.

Poi possiamo anche parlare della camminata spaventosa del Tall Man, se volete.
Oppure della combo micidiale delle due cose, e invece che parlarne ce la facciamo sotto e basta.

sabato 6 maggio 2017

#CiaoNetflix: Sense8, stagione 2

13:49
Io ieri ho pure guardato Paterson, che è un film incantevole.
Il problema è che l'ho guardato mentre refreshavo Netflix nell'attesa di Lei, Nostra Signora Seconda Stagione Di Sense8. 
Qualcuno di voi si ricorderà lo sconvolgente stravolgimento emotivo che la prima stagione di quella che è per me una delle serie migliori di sempre mi aveva causato. Ora sono reduce da una maratona della seconda stagione, e il coinvolgimento non solo non è calato, è cresciuto ulteriormente.


Avevamo lasciato i Sensate nello speciale di Natale, li abbiamo visti proseguire nelle loro vite cercando di sopravvivere a chi vuole dare loro la caccia. Non credo sia necessario raccontare quello che accade, perché è un viaggio eccezionale nelle emozioni umane che va vissuto in prima persona.

La prima stagione ci aveva presentato i Sensate, le loro vite all'inizio della connessione, il loro rapporto agli inizi e soprattutto le loro personalità. Il loro presentarsi nelle vite degli altri al bisogno, il loro essere condivisione di conoscenze e di sentimenti, è stato di grande, grandissimo impatto sullo spettatore. (O se non altro, su di me)
Li ritroviamo in questa stagione un anno dopo. La loro connessione è sempre lì, con nostra grande gioia. Se c'è da picchiare qualcuno arriva Sun, servono informazioni e Nomi ha già il pc in mano, servono bislacche quanto funzionali performance attoriali e si presenta Lito, in una scena davvero esilarante. Ci sono ancora le scene di gruppo, quelle più intense che si infilano nella memoria come se fossero ricordi personali. Ci sono le scene di sesso (delle quali mi è capitato di chiedermi l'utilità, ma in effetti c'è un momento in cui le sensazioni sono più amplificate? La loro connessione è fisica, tattile, emotiva. Forse davvero il sesso è il momento che rende meglio), quelle festose, quelle riflessive, le crisi. I momenti alla 4NonBlondes della scorsa stagione.
Seriamente, riuscite ancora a collegare quella canzone lì a qualcosa che non sia quel capolavoro di scena della prima stagione? Io no.

Ma quindi, è cambiato qualcosa dalla prima stagione?
Oh, eccome.
Sono diventati amici.
No, non amici nel senso che al sabato si prendono una birretta in vari locali sparsi per il mondo, amici nel senso in cui lo intendo io quando parlo dei miei, di amici. Amici nel senso di famiglia. Tengono l'uno all'altro, sono pieni di affetto e premure, la loro comunicazione è affinata dal bene che si vogliono. Giocano, ballano, si aiutano, si scambiano confidenze. Non è più solo un legame dato dalla loro condizione, i loro rapporti crescono e sono più sofisticati, profondi.
In questa seconda stagione c'è grande attenzione nel far comunicare tutti con tutti. È chiaro che Riley e Will magari passano più tempo insieme, ma ci sono molte scene con i Sensate presi a coppie, o a gruppi di tre, in assortimenti magari trascurati nella prima stagione, e si approfondiscono relazioni che altrimenti, senza il dono di cui sono stati omaggiati, non sarebbero mai nate e che si rivelano salvifiche. Non solo perché devono salvarsi le chiappe da chi li cerca, ma anche nella quotidianità distinta di ciascuno di loro.

Sun è ancora la mia preferita. Lei inizia a combattere e io esulto come allo stadio, poi riguardo la scena ed esulto di nuovo. Algida, rigidissima, forte come una roccia, implacabile, imbattibile, senza paura. Wolfgang può dare pugni ad un sacco finchè gli pare ma lei con due dita gli spezzerebbe il collo. Adoro che ci sia fatto credere che la sua caratteristica fosse il combattimento ma che in questa stagione lei compaia sempre alle persone sperdute. Riley, Kala, Lito. Quando uno dei Sensate perde il controllo sulla propria vita, è la calma e apparentemente fredda Sun a comparire. È un personaggio stupendo, la adoro.
E quando è Sun a stare male, non basta un Sensate ad aiutarla, ci vuole un fronte comune, in una scena splendida splendida splendida. C'è una scena che non lo sia?
Spoiler: no.
Mi è solo dispiaciuto che non fosse dato lo stesso spazio alla mia coppia del cuore, Lito ed Hernando, che nella prima stagione mi avevano emozionato come poche altre coppie di finzione. Lito, in compenso, diventa il vero divertissement della serie. Mi ha spaccata, con quel pigiamone blu da bambino. Che bene che gli si vuole.
Infine, sono stata molto contenta di vedere Kala assumere una personalità ben più definita, da cerbiatto dei boschi a donna di potere, con conoscenze e carattere utilissimi alla causa.

È troppo facile nelle serie tv farci piangere. Vediamo protagonisti a lungo, ci affezioniamo, cerchiamo di empatizzare, quindi quando succedono scene alla Not Penny's Boat finiamo a pezzi. Ho pianto singhiozzando come una dannata quando è morto il mio Charlie, lo amavo appassionatamente. Aveva fatto un percorso bellissimo e poi me lo hanno sacrificato così, è stata una morte ingiusta. Però facile.
Quello che fa Sense8 non è farci piangere. (Cioè io ho pianto sempre, ma riconosco sia un mio problema.) È coinvolgere in maniera equilibrata ogni sentimento, coinvolgendoci in ciascuno in ugual misura. Uscirne indenni è impossibile.
Se sopravvivete con qualche emozione rimasta da questo ultimo episodio, sediamoci a parlarne. Ora c'è il lutto della fine, e con Sense8 è un po' più difficile del solito.
Mi mancano già.

giovedì 4 maggio 2017

Non solo cinema: La tetralogia di Bartimeus

13:42
Oggi è un giorno cupo.
La vita intorno a me sembra scorrere normale, con il viavai di esistenze che mi circondano. Eppure oggi è un po' più triste, per me. Perchè oggi, giovedì 4 maggio, è il giorno in cui ho finito di leggere la saga di Bartimeus.


Questo incanto di saga per ragazzi (anche se lo sappiamo che i target a noi non interessano), uscito dalle ugualmente incantate mani di Jonathan Stroud, è formata da quattro volumi che parlano di magia. Io quando un libro parla di magia perdo la ragione.
In questo caso la magia è trattata in un modo bizzarro. I maghi, nel mondo di Stroud, non sono portatori di poteri magici, ma traggono la loro posizione privilegiata dall'essere in grado di governare i demoni. Demoni come Bartimeus, re indiscusso della saga.

Il primo volume, L'anello di Salomone, è un volume a sè stante, separato dai seguenti che formano una trilogia a parte. Tra l'altro è stato scritto dopo la trilogia, quindi non capisco perchè Salani l'abbia messo prima, in quell'edizione di cui vedete la copertina sopra, ma ce ne faremo una ragione. In questo primo volume siamo a Gerusalemme, nel regno di re Salomone, cosa che sono certa il titolo nasconde bene. Salomone, affamato di potere e ricchezze, manda maghi suoi sottoposti in giro per il mondo a trovargli tesori con poteri magici. Uno di questi pensa che sia una buona idea mandare Bartimeus. Nello stesso momento, una regina di un regno vicino a quello di Salomone manda una delle sue guardie ad uccidere il Re.
Chiariamo per l'ennesima volta una cosa: se si parla di medioriente io non ho difese, amo appassionatamente. Questo libro, quindi, che parla di magia a Gerusalemme (una delle città che smanio dalla voglia di vedere), sembrava fatto su misura per me. La città è quasi un personaggio a sè, insieme al deserto.
È qui che si fa la conoscenza per la prima volta di Bartimeus, un jinn di quarto livello.
Qualora la magia, i libri per ragazzi, e i libri orientali o londinesi non facessero per voi, lasciate che sia Bartimeus a trascinarvi in questo mondo pazzesco. Fondamentalmente è un cazzone. Non ha alcun rispetto per l'autorità, è furbo e dissacrante, con una visione distorta di sè e con un'ironia costante. Si perde la testa per lui dalla prima convocazione. È brillante, comunicativo, e anche piuttosto forte. È convintissimo che il mondo sia ancora in piedi solo grazie alla sua fondamentale presenza e dice di avere lavorato per i grandi. Ma tutti tutti i grandi. Sarà lui, oggi, a mancarmi più di tutto il resto, dopo 1600 pagine di costante Bartimeusitudine smettere sarà difficilissimo.

Questo personaggio, che già nel primo volume è perfetto, cresce a dismisura quando si inizia la trilogia. Questo perché il nostro demone preferito trova un padrone: Nathaniel.
A questo nome risponde un ragazzino, apprendista mago. È la definizione di apprendista che gli sta stretta: Nathaniel è curioso, un Hermione Granger al maschile pieno di cervello e voglia di imparare. Il suo maestro gli insegna le basi e lui già evoca demoni di nascosto nella cameretta. Ormai, però, dovremmo sapere che i cervelli brillanti sono anche inquieti. Il ragazzino, infatti, preso dalle sue (ottime) intenzioni, finisce per non combinarne una giusta e per creare una serie di eventi enormi che spesso sfuggiranno al suo controllo.
L'unione di questi due è felicissima. Se mi sarei aspettata un'amicizia di quelle alla Red e Toby, però, ecco che Stroud stravolge le aspettative: Bartimeus e Nathaniel si detestano per buona parte del tempo. Bisticciano, si insultano, si mettono vicendevolmente nei casini e se si salvano l'un l'altro è perché un vincolo importante come la vita li lega l'uno all'altro, decisamente contro la loro volontà.
Insieme, però, sono un fuoco d'artificio.
Come se questo non fosse sufficiente a farmi amare la saga, ecco che arriva lo sfondo: una Londra in rivolta, in cui i comuni (i babbani, insomma) non accettano la supremazia dei maghi e cercano una riscossa. Ci sono furti, atti vandalici, Finiamo in guerra in America, a Praga, nell'Altro Mondo. Il governo, formato da maghi, è in crisi e nessuno sembra avere la minima idea di come risolvere il problema.

Questa meraviglia di libro, però, non ha solo la storia ad essere bella. I libri hanno uno stile particolarissimo: si alterna la prima persona con cui Bartimeus racconta la sua versione della storia e la terza, con cui seguiamo Nathaniel. Come se ciò non bastasse, ecco le note, con cui il demone si rivolge direttamente al lettore. Delle perle esilaranti.

È stato un viaggio divertentissimo, pieno di valori buoni insegnati senza alcuna banalità, in cui il bene e il male si mescolano, esattamente come nella vita reale.
Un regalo incredibile se avete ragazzini a cui volete molto molto bene.

venerdì 28 aprile 2017

Non solo horror: Hidden Figures

16:45
Disclaimer: ogni tanto questo blog diventa veicolo di messaggi personali, nei quali il parlare di un film o di un libro sono solo una scusa per dire qualcosa a qualcuno che fa parte della mia vita reale. Mi rendo conto che possa sembrare scortese, ma Hidden Figures è un film che si presta moltissimo a fare da sprono a persone che stanno vivendo momenti particolari, e ha l'aggiunta non da poco di essere anche un film bellissimo. 
Oltretutto, citando le sagge e profonde parole della sempre stimata Gigliola Cinquetti, qui comando io, questa è casa mia, quindi oggi si va di post personale.


Cara Amica mia,
lo so che quel post qua, proprio su quel film qua, è piuttosto prevedibile considerato il numero di volte in cui ti ho detto di guardarlo, ma siccome la situazione si fa più complicata ogni volta che ci vediamo, ci vuole l'artiglieria pesante: il blog. Più complicata per entrambe, tra l'altro, perché se ci si vuole bene davvero allora bisogna condividere anche quelli che in francese si chiamano periodi di merda.
Le protagoniste del film sono tre amiche, il che rende il tutto ancora più pertinente. Lavorano come computers alla NASA, cosa che le rende intellettualmente più affini a te che a me. Tutte e tre hanno particolari predisposizioni, talenti innati e capacità sopra la media, che però vengono ignorate in virtù del loro essere donne, con l'aggravante dell'essere donne di colore. La cosa paradossale è che tutte le predisposizioni delle tre signorine in questione stanno dentro al loro cervello, che come tu sai bene non ha nulla a che vedere con quello che sta fuori dalla sua bella e preziosa scatolina cranica. Al massimo al contrario, è lui che comanda quello che sta fuori, ma di certo non viceversa.
Le ragazze si chiamano Katherine, Mary e Dorothy. Fanno vite normali, con famiglia e figli, e si ritrovano vincolate in qualcosa che non fa completamente per loro (suona familiare?).
Bella eh, la NASA, bello fare i conti, bello essere d'aiuto, però...
È davanti al però che nasce il futuro, si aprono le possibilità, si scavalcano i limiti. Ecco, questi sono quello di cui dobbiamo parlare. Limiti ne abbiamo tutti, e dio solo sa quanti ne hanno le tre protagoniste. Sono nere, negli anni 60, sono donne, fanno la pipì in bagni diversi, cose del genere. Eppure, vogliono entrare in un mondo che sembra impossibile, un mondo lavorativo utopico e irraggiungibile, fatto della stessa materia di cui sono fatti i sogni (suona familiare anche questo?).
I tuoi, di limiti, sono di ben altra fattura, e sai bene che con questo non intendo affatto sminuirli. I tuoi sono esattamente quello che le tre non hanno. Loro sono sicure di sè, convinte di potercela fare, non dubitano mai delle loro capacità. È per questo che voglio così tanto che quando lo sconforto prende il sopravvento tu guardi questo film: perché sono una bomba di energia, prendono una scala e fanno calcoli su una lavagna francamente gigantesca con la stessa naturalezza che hai tu quando parli delle questioni che riguardano la tua vita professionale. Quando un dono è così profondamente innato, non ci sono incertezze che tengono. La strada per il futuro sarà anche costellata di incertezze e buchi nel terreno, ma la meta è cristallina, solo che ogni tanto ti vengono i dubbi sulla capacità della macchina di percorrerla, quella strada lì.
Mary, Dorothy e Katherine sono brillanti anche e soprattutto perché perfettamente conscie di esserlo. È questo che le tiene in piedi quando il sistema combatte contro la loro riuscita. È per questo che scavalcano i loro superiori, si impongono, finiscono in tribunale. Sono eccezionali e sanno di esserlo, e si prendono con la forza il futuro che gli spetta.
Non che sia sempre tutto liscio come l'olio, figuriamoci. Non lo è mai nella realtà, figuriamoci se può esserlo in un film così genuinamente onesto. Ci sono ostacoli, insicurezze, fraintendimenti. Ma a farglieli superare non c'è la solita fragorosa botta di culo (sempre in francese, perdonerai il mio essere poliglotta), è il loro carattere a tirarle fuori. Sono coraggiose e impertinenti.
Delusione? Aggiustatina degli occhiali sul naso e calcolo fatto alla perfezione tanto per ricordare a tutti chi è il genio qui dentro.
Marito che cerca di prendersi troppa autorità sulla tua vita? Prendi il titolo che aspetti e glielo sventoli sotto il naso come fosse Rossella O'Hara.
Capa fracassa-anima e anche un po' razzista? Le aggiusti il macchinario che nessuno sa manco guardare e se ci scappa le scoreggi anche in faccia.
Avranno anche creduto di non potercela fare, in qualche momento, ma sono partite come treni e nessuno le ha fermate. Il tuo, di treno, è in corsa già da un po', punta più lontano che puoi e ci andrà praticamente da solo.
Impegnate ognuna a pensare ai propri problemi, però, sono state anche la rete di supporto una dell'altra. E se tu, per anni, sei stata la mia, sappi che a tua volta puoi buttarti quando vuoi, hai le spalle sempre coperte.

giovedì 27 aprile 2017

Non solo cinema: La macchia umana

13:58
Se siete passati per questo blog anche solo più di una volta sapete che la mia passione più grande sono le parole, in tutti i loro utilizzi: nella musica, nel cinema e, naturalmente, nei libri.
Quando lo stile dell'autore passa sopra a quasi tutto il resto è inevitabile finire prima o poi tra le braccia di un certo signore, Philip Roth.


La macchia umana, considerato da molti il suo capolavoro, è la storia di Coleman Silk, stimatissimo professore universitario che perde credibilità e lavoro dopo un'accusa di razzismo. Usa la parola sbagliata nel momento sbagliato e ciao, anni di lavoro in fumo. Un anno dopo perde la moglie, Iris, e finisce per intraprendere una relazione con una donna ben più giovane di lui, Faunia. Da rispettabilissimo membro della società, allora, Coleman diventa scandaloso. Razzista, manipolatore di donne giovani e analfabete, giusto giusto nel periodo in cui il sesso agli statunitensi faceva così orrore, dopo che il Presidente si era messo a fare lo sporcaccione con la stagista.

Arriverà un punto, durante la lettura, in cui crederete che ci sia stato un errore. Se siete impazienti come me vi ritroverete a cercare su Google delle risposte. Cattiva traduzione? Errore di editing? Possibile?
No, infatti.
È solo che Roth (e Coleman) vi hanno preso per il culo per un'ottantina buona di pagine. Avete conosciuto una realtà, l'avete assimilata e presa per assodata. Avete analizzato la vicenda narrata alla luce di questa premessa. Poi, una volta messi comodi ad assistere alla disastrosa discesa della carriera di quest'uomo, ecco che viene svelata la sua macchia. Quella vera, però, mica quell'accusa di razzismo che col tempo assume connotati quasi tragicomici.

Da quella pagina in poi, dallo svelarsi del segreto con cui Coleman convive da almeno 50 anni, il libro assume aspetti nuovi, ben più intriganti degli scandali di cui Coleman si era macchiato fino a quel momento. Da lì è il concetto di identità stesso che viene preso, infilato in uno shaker e rimescolato. Silk è ben diverso da quello che credevamo, non tanto per la natura del segreto (ma quanto è difficile parlare senza dire spoiler?) ma per le sue ragioni e le sue implicazioni, per quello che Coleman è diventato in seguito al suo cambio vita e per quello a cui ha dovuto rinunciare. Se all'inizio il personaggio era 'solo' un illustre preside di facoltà che aveva perso la rispettabilità, ora è tutta la sua vita che viene letta sotto una nuova luce: i suoi rapporti, le sue scelte, le sue possibilità, la sua carriera. Va tutto riletto con l'ottica di un uomo che ha cercato di aggirare un sistema intero e ci è riuscito, per quanto paradossale possa sembrare.

Come se questo non fosse sufficiente a fare del romanzo un testo incredibile, è il modo in cui è scritto a renderlo quasi miracoloso. Ci sono certe coppie di aggettivi che rasentano la pornografia lessicale. È fluido, quasi musicale, armonioso, pieno di descrizioni (in particolare delle donne di cui Coleman si circonda) che ho letto e riletto nella speranza che siffatto talento entrasse per osmosi nel mio cervello.
Non credo abbia funzionato.
Nel dubbio, adesso ci riprovo e leggo Lamento di Portnoy.

lunedì 24 aprile 2017

Under the shadow

10:06
Io e l'horror, mio compagno fedele dai tempi dell'infanzia, siamo stati per un po' in rotta. Nel periodo di lontananza da internet non ho visto niente, letto niente, scritto di niente. Siamo stati così, un po' lontani l'uno dall'altra, nella speranza che lo storico amore che ci lega ci riavvicinasse.
Non so niente delle novità, non ho ancora tempo di leggere altri blog come invece vorrei e quindi mi sono ritrovata, il giorno di Pasqua, a bazzicare per Netflix (ma va?) senza idea di cosa guardare.
Spunta Under the shadow. (O meglio, spunta L'ombra della paura ma noi fingiamo che il titolo italiano non esista).
Vi racconto una cosa: come tutti, mi piace l'idea di passare la vita a viaggiare. Ma se ci sono luoghi che mi fanno palpitare dall'attesa, che sogno ardentemente di visitare, sono i paesi del Medio Oriente. Mi rendo conto di dover aspettare un po', ma a me l'idea di visitare Israele, Iran e Iraq, la Turchia, tiene sveglia la notte. Eccoci allora al perché della scelta del film: Under the shadow ha una produzione tutta mediorentale. L'ultima volta che ci era piombato addosso un film di quelle parti c'era andata di lusso, il film era A girl walks home alone at night.


Siamo in una Teheran degli anni '80. Un medico viene convocato in battaglia, e lascia sole a casa la moglie e la figlia. Occupate a vivere la vita tra un bombardamento e l'altro, si troveranno ad affrontare una presenza che sembra avere scelto tempi e luoghi ideali per un'infestazione.

Messa giù così la faccenda sembra velocemente riconducibile ad una banalotta ghost story con l'aggravante della guerra. Non è così, ma proprio per niente niente niente. È un film che, non dimendicandosi di mettere qualche momento molto teso in giro tanto per non farci ammosciare sul divano (cosa che sarebbe impossibile in ogni caso, ma non si sa mai), prende due milioni e mezzo di tempi di un'importanza fondamentale e li mette in pellicola.
Al che ti chiedi, giustamente, se non ne sia uscito un minestrone. No, affatto.
Partiamo dall'inizio e vediamoli.
Shideh, la madre, è un'ex attivista politica. Dalla parte sbagliata, però, perché adesso la sua passione civile le impedisce di inseguire il sogno di sempre: diventare un medico. Le viene impedito di riprendere gli studi, distruggendo ogni speranza. Torna a casa, dove la aspetta una bimba, Dorsa. Il padre della bambina è a sua volta un medico, che se all'inizio sembra comprensivo nei confronti della moglie, con lo scorrere del film diventa più teso e severo.
Lui viene convocato in guerra e le donne di casa restano sole. Dorsa inizia a percepire una presenza, e se all'inizio Shideh dà la colpa alle storie spaventose che le vengono raccontate dagli amici, non passa molto prima che le visioni della bambina si facciano più invadenti.

Ora, io non sono una cima a cogliere le metafore. Cioè magari vedo un film, per qualche motivo lo apprezzo, poi finisco a leggere qualche articolo a riguardo, mi vengono aperti gli occhi su simbolismi e similitudini allora io faccio «Aaaaaaaaaahhhh, ecco!» e poi vado avanti con la mia vita.
Qua, insomma, mi pare tutto piuttosto palese. La quotidianità delle due viene lentamente smantellata. Se iniziamo 'solo' con finestre scotchate e corse in cantina, finiamo con il vedere frammenti della loro routine che vengono lentamente portati via. Verrebbe naturale pensare che la prima cosa a saltare sia la serenità, ma vi rassicuro: noi la serenità non la vediamo proprio. Inizia il film ed è già tutto un disastro, la presenza peggiora solo cose già messe male.
Spariscono cose più piccole solo in apparenza: una videocassetta, una bambola, un libro. Cose piccole, ma solo in apparenza. Cose che ci rendono normali, che rendono la nostra vita come quella di tutti gli altri, che ci restituiscono quel briciolo di umanità in un Paese che l'umanità la sta perdendo. Il tutto per condurre ad una scena finale, in quella cantina-rifugio, da pelle d'oca, con due donne ricoperte da un immenso chador. Questa sono riuscita a leggerla persino io, di metafora.

Non ho nemmeno parlato di tutti i risvolti femministi del film, perché ci hanno pensato i signori del Guardian: trovate l'articolo qui.
Da troppo tempo ero lontana dal genere che ha fatto nascere questo posto. Senza la fretta che ho avuto in questi anni mi rimetterò in carreggiata. Dopo questo infatti ho visto Hellions che è un bellissimo film TUTTO ROSA. Splendido.

giovedì 20 aprile 2017

Non solo cinema: Il Monaco

15:36
Che voi amiate la letteratura dell'orrore, il mondo dei brividi in genere, o meno, io dico gotico e a voi vengono in mente tutta una serie di immagini. Provo ad indovinare? Se vinco sono gradite ricompense in denaro.
Ragnatele. Antiche residenze vittoriane, meglio se in decadenza. Lunghi abiti damascati, con i tessuti pesanti. Lampade ad olio. Fantasmi, soprattutto fantasmi.
Ci ho preso?
Nell'immaginario comune al gotico corrisponde quel mondo lì, e la cosa più bella di tutte è che l'immaginario comune ha ragione. Devo ammettere che quell'immagine lì è estremamente riduttiva, ma se quell'idea lì, quell'atmosfera lì, vi fanno friggere dall'entusiasmo, la cosa giusta da fare è mollare questo piccolo blog e prendere in mano il grande, gigantesco (ma non per dimensioni) libro di Lewis.
Tanto per chiarire la mia posizione a riguardo: di tutti i sottogeneri che compongono il fantastico, il gotico è tra quelli che preferisco. Sembra che mi appartenga, per atmosfera, morbosità, romanticismo.


Il monaco del titolo risponde al nome di Ambrosio. Il più pio, santo, vicino al Signore monaco di Madrid. Ambrosio in monastero ci è cresciuto: abbandonato in fasce dalla madre è stato accolto e accudito dai frati cappuccini. Tutta la città accorre alle sue ammirevoli prediche, in estasi di fronte alla bellezza, fisica ma soprattutto spirituale, del frate. Alla prima messa facciamo la conoscenza degli altri personaggi che popolano il romanzo: la bella e ingenua Antonia e il giovane Lorenzo, per dirne solo due.

Sarà difficile andare con ordine e cercare anche di non rivelare troppo di una trama che vale davvero la pena di essere spolpata senza rivelazioni. La storia è un gomitolo di racconti, legati dal filo comune della santità perduta, della Chiesa delusa, del peccato.
La Chiesa è la grande protagonista: se la maggior parte della vicenda ha luogo tra i frati, hanno un ruolo fondamentale anche le suore. Fa quasi ridere che in realtà Dio non sia quasi mai nominato. Tutto il clero è ritratto come un corpo unito, all'inizio. L'intero convento è innamorato di quel Sant'Ambrosio, tutti i frati gli sono devoti, incapaci di vedere in lui la minima scintilla di peccato. Rosario, in particolare, la cui compagnia è la prediletta di Ambrosio stesso, pende dalle sue labbra.
Ah, già, ma Rosario è una donna.
Da questo momento, dal punto in cui una certezza così forte viene sradicata, tutta la compattezza dei corpi religiosi finisce lentamente in frantumi. Ma nessun baccano di vetri rotti. Lo sfaldamento è lento e doloroso. Dalla pagina in cui viene rivelata l'identità del giovane frate, niente nel romanzo è più lo stesso. Da lì in avanti ogni pagina sarà un passo in avanti verso l'abisso della perdizione, da lì in poi non c'è ottimismo, non c'è soluzione: perduto Ambrosio, è perduto tutto.
Ambrosio, infatti, l'ha vinta facile fino a quel momento: mai uscito dal convento, mai incontrata una donna se non in chiesa, mai visto il mondo con occhi profani. In un secondo, in una notte rivelatoria, tutta la sua santità è perduta.
Se noi poveri peccatori siamo ormai usi al nostro errare e quindi siamo molto rapidi nel perdonarci e farci perdonare (proprio dagli Ambrosi, peraltro, con la confessione), ecco che lui, inciampato una volta, è andato per sempre. Non esiste recupero, non esiste risalita. È come quando sgarri in un giorno di dieta: 'Va beh, mangio anche le patatine fritte, tanto ormai ho mangiato la pizza.'
E se i frati, rappresentati dal loro superiore, non ne escono bene, dovreste vedere la fine che fanno le suore.

Intorno a questi conventi, ci sono i laici: uomini di mondo, peccatori, innamorati, ingenui, amici fedeli o miserabili criminali. Non ne manca alcuno, nel romanzo.
La storia, quando potrebbe migliorare e ridare speranza, non fa che trascinarsi sempre più a fondo, in ritratti di umani, laici o meno, che vivono in virtù dei loro peccati, dei loro errori imperdonabili. Intorno a loro, i due volti candidi del romanzo, Lorenzo e Antonia, unici ingenui privi di vizi che vivono nel mondo di Lewis.
Ogni pagina, ne Il monaco, è un gradino verso la graduale discesa all'inferno di Ambrosio e di chi stia leggendo la sua storia. Si inizia con un errore e si finisce con un'anima perduta per sempre.
Il tutto in un romanzo che, farcito di perversione e passione, trasuda un fascino incontrato poche altre volte in vita mia. Si passa dal romanticismo, alla morbosità, ai demoni, ai fantasmi, alla violenza, ai segreti. Il tutto senza mai stroppiare, senza mai farsi sentire indigesto, mettendoci a disagio senza passare per una volgare fiera delle vanità al contrario.
È un capolavoro.
Amen.

sabato 15 aprile 2017

Cosa guardare su Netflix se a Pasquetta piove

11:34
Lunedì è Pasquetta è per una serie di fortunatissimi eventi io non lavorerò.
Mettiamo che anche voi abbiate questa straordinaria fortuna ma all'orizzonte si stagli la possibilità di non avere programmi. Mettiamo anche che abbiate un divano, un pc, una connessione internet, una ciotola di patatine alla paprica. Deve essere un chiaro segno del destino: s'ha da fa la maratona Netflix.
Ora, ci sono alcune serie tv sulla piattaforma più bella della storia del mondo che vanno recuperate ad ogni costo, meritevoli di farvi saltare qualche pasto che tanto mangiare è sopravvalutato (Sherlock, Friends, Sense8, Lost, tanto per fare qualche nome sconosciuto), ma oggi parliamo di film.
Cercherò con i miei soliti precisissimi criteri casuali di dividere i film in categorie. Se il titolo del film è scritto in blu cliccateci sopra per finire al trailer, o a qualche scena.
Questo è un post aperto, perchè non è che posso avere visto tutti i film del catalogo anche se mi piacerebbe. Nei commenti si accettano postille, correzioni e aggiunte!

Sempre sia lodato

I famosissimi, quelli che se non li avete visti siete dei cinefili farlocchi!!11!1

Qua c'è da sbizzarrirci. Mettetevi comodi.
Voglia di western? Perfetto, c'è il Programma Leone pronto per tenervi occupati una giornata: C'era una volta il westC'era una volta in AmericaPer qualche dollaro in piùIl Buono, il Brutto, il Cattivo. Solo per citare i più famosi. Se riuscite a farveli di fila il Sergione D'Oro vi verrà recapitato direttamente a casa.
Point Break, che sta lì da secoli quindi ho il timore che scadrà tra poco.
Tutte quelle cose supericoniche che basta nominare metà titolo e tutti le conoscono ci sono: Scarface, Donnie Brasco, La sottile linea rossa, Il buio oltre la siepe, Schindler's list...Per una Pasquetta culturale.

Musica!

Lo sapete ormai che io con i musical ci perdo la testa. Accade che Netflix ospiti due dei miei preferiti di sempre: lo strabiliante, vertiginoso, provocatorio e irresistibile The Rocky Horror Picture Show. Avete presente quanto la gente sta facendo venire le palle quadre all'internet perché di Pennywise ce n'è uno solo ed è Tim Curry? Immaginate la rivolta popolare se venisse confermato un remake del Rocky Horror. Il film è da guardare solo previo spostamento di mobili in casa, c'è da ballare il Time Warp.
Moulin Rouge! è l'altro barocco splendore a cui dedico le mie preghiere prima di dormire. Una delle colonne sonore migliori di sempre (qui l'album su Spotify), per un pomposo e ridondante film che vi lascerà agonizzanti sul divano. E Ewan McGregor bello così non lo è stato più.
Footloose poverino rispetto ai due Signori qua sopra passa un po' in secondo piano, ma lo adoro.

Come non ridurre i bambini ai soli film Disney

Vi posso concedere due cartoni Dreamworks, che sono due miei grandi amori: Dragon Trainer, un film che crede di parlare di draghi e invece parla di gatti, e Shrek, una delle mie cose preferite di sempre. Mi spacca dal ridere, che ci posso fare.
Poi però si deve passare all'artiglieria pesante, che non è che li possiamo viziare sti bambini: Monster House, che secondo me la sua dose di strizza la dà eccome, e infine Lei, Coraline.
Se fanno i bravi e non frignano a metà dalla paura, vanno gratificati, con uno dei film d'animazione più belli che siano mai stati fatti, Wolf Children.

Che l'orrore sia con voi e con voi rimanga sempre

Netflix ha ampliato i suoi orizzonti sul genere horror con calma. Come un diesel, appena acceso arrancava un po', invece oggi, pur non avendo le prestazioni di un benzina, si difende bene. Titoli culto? Halloween, da cui si va in pellegrinaggio almeno una volta l'anno, Scream, così se poi vi piace (e vi piace) avete già pronta in canna la serie tv, Lo Squalo, che vi garantisce un'altra maratona a tema perchè ci sono tutti fino al 27.
Meno mainstream ma amatissimi da chiunque abbia visto più di 5 film di genere: The descent, che è indimenticabile perchè un po' fa un paurone e un po' spezza i cuori, The orphanage, che spezza i cuori e basta, ma lo fa con un twist che vi rovinerà la vita, Drag me to hell, che è praticamente Sam Raimi che corre per la strada sventolando bandierine fatte di vomito cantando I'M BACK BITCHEEEEESSSS.
Infine, ma non per importanza, uno dei finali più sconvolgenti della storia, inserito in un monster movie bello come pochi: The mist.
Ah, ci sono anche Evil dead e The final girls. Non fatemi nemmeno cominciare su questi, di corsa a guardare.

Documentari femministi

Netflix ha dato alla parola documentario un significato tutto nuovo, alleggerito della spocchia e della pesantezza che gli si attribuiva (o forse ero solo io).
Se tutto il catalogo è infarcito di cose davvero interessantissime, di ogni tipo e genere, oggi vi elenco solo quelli a tema femminista. Sono importanti, oggi e sempre, e sono impegnativi nel tema ma mai nella trattazione.
Audrie & Daisy The hunting ground parlano di violenza, nel primo caso riguardo a due casi specifici e nel secondo del problema enorme degli stupri nei campus universitari degli Stati Uniti.
She's beautiful when she's angry, che racconta della seconda ondata del femminismo statunitense, degli anni '60 e infine Miss Representation.
Ecco, mi raccomando. Una camomilla prima di partire con questa fila. Alla fine sarete incazzate nere. Ma è un'incazzatura necessaria, anche per Pasquetta.

Quelle due comedy in croce che mi piacciono

Non amo le commedie e nemmeno le stand up comedy. Se vi piacciono, però, Netflix è pieno anche di quello.
Delle poche che adoro, però, sul sito ci sono JunoColazione da Tiffany, e Clerks.
Insieme a loro, tonnellate di quelle cose con Jennifer Lopez o Schwarzy insieme a dei bambini, e un numero francamente inaspettato di roba italiana. Più i vari American Pie, Scarie Movie e compagnia briscola.

Alcuni tra i miei film preferiti della vita 

American History X, una batosta come poche altre ne ho prese.
Fight Club, e credo di non dovervi dire nient'altro.
Gone girl, un thriller eccezionale e con un finale incredibile.
E infine Lui, il Re dei film che abitano il mio cuore: Il labirinto del Fauno. Aprite Netflix, fate partire il film, e lasciate che Del Toro vi porti altrove. Tornerete diversi.

Cosa c'è che devo recuperare assolutamente? Potrei giusto avere una mattina di Pasqua da passare al pc...

giovedì 13 aprile 2017

Non solo cinema: Ano Hana

20:04
La cultura giapponese non mi appartiene. Non leggo manga (o almeno, non li ho letti fino ad ora), non guardo anime, ho provato a leggere persino Murakami Haruki ma non mi è piaciuto. Per qualche motivo che non so spiegarmi lo Studio Ghibli fa eccezione, ma non è di Loro che voglio parlare oggi.
È del mio primo esperimento manga: Ano Hana, consiglio di mio fratello che della cultura nipponica ne sa molto più di quanto ne saprò mai io.


La storia è quella di un ragazzo che si è chiuso in se stesso, ha fallito l'esame d'ingresso in un prestigioso liceo della città, e ha perso gli amici dopo la morte di un membro del gruppo, Menma.
Il fantasma dell'amica scomparsa inizierà a fargli visita, intenzionato ad esaudire un proprio desiderio con l'aiuto dell'amico.

Il collegamento con la recente e ancora fissa in testa visione di 13 reasons why è immediato anche se un po' superficiale: una morte, un ragazzo ossessionato da questa morte, un gruppo di altri ragazzi che gli gira intorno. Se la serie Netflix mi aveva però completamente conquistata in nome di uno stile molto affine a quelli che sono i miei gusti, con Ano Hana il mio apprezzamento è arrivato con calma.
Il manga è composto di soli tre volumi che si leggono alla velocità della luce, motivo per cui ho scelto di iniziare da lui, e si prefigge di raccontarci l'elaborazione di un lutto così profondo. La cosa all'inizio mi aveva fatto storcere il naso.
Insieme a questo, la traduzione atroce e l'uso francamente offensivo della punteggiatura mi avevano fatto voglia di prendere i volumi e lanciarli dal balcone. Non sono miei quindi mi sono trattenuta. Non hanno aiutato nemmeno le espressioncine kawaii che a me fanno venire i brividi freddi.
Col tempo però è successo qualcosa.
Quello che all'inizio mi dava l'impressione di essere un drammone melò scritto con toni e riferimenti che non comprendo, pagina dopo pagina si è rivelato altro. Il fantasma di Menma non è comparso con lo scopo dolcissimo e strappalacrimissime di riunire gli amicy nel gruppo mitico dell'infanzia.
Se succede, è un effetto collaterale. Lei ha semplicemente fatto una promessa (che riconosco essere profondamente frignona e che quindi ammetto avermi fatto storcere il naso) e la vuole mantenere. In poche pagine si riesce a trattare il tema del lutto e dell'amicizia (insieme a quello, enorme e a mio parere trattato meglio), senza troppi fronzoli, andando dritti al sodo e con la voglia di dimostrare quelle che sono le cose che contano davvero. E poichè i miei amici sono la mia famiglia, direi che con me ha vinto facilissimo. La crescita, vista sia mentre avviene che grazie al confronto con i protagonisti bambini, è genuina e onesta, ho rivisto molte cose della Mari di qualche anno fa sparse per diversi personaggi. Ribadisco, in tre volumi si è riusciti a creare personaggi che pur essendo lievemente caricaturali sono riusciti e, se ridimensionati, credibilissimi.

Come primo approccio al mondo, direi che Ano Hana è stato un successo. Non ho in programma di diventare un otaku con il Giappone come solo scopo nella vita, e state tranquilli che non mi vedrete mai ad una fiera del fumetto conciata come un personaggio di finzione, ma sono uscita dalla solita comfort zone ed è stato bello.
Datemi bello e finisco per recensirvi Checco Zalone.

lunedì 10 aprile 2017

Green Room

15:49
Conoscevo il talento di Patrick Stewart solo di fama. Quando sbaglio, io lo riconosco. (citazione altissima da Dirty Dancing). Poi l'ho visto in Logan, dove ha portato sullo schermo la migliore rappresentazione degli anziani che io abbia mai visto. E ne so qualcosa, ho lavorato in una casa di riposo. Me ne sono innamorata.
Leggendo cose su di lui, quindi, spunta questo Green Room, che oltre ad avere Steward ha la magica combo horror/musica. Se avete visto Deathgasm sapete quanta soddisfazione dia questa somma.


La musica in questione qui è il punk, ben lontano da quello che amo ascoltare. La band di protagonisti, però, è carina. Sono quattro tizi più sfigati di me (ed è tutto un dire) che prima perdono un ingaggio e poi vengono indirizzati verso una seconda possibilità che si rivela talmente pessima da far rimpiangere i concertini per anziani della festa dell'Unità.

Curioso che sia stata proprio la festa dell'Unità a venirmi in mente: il film parla di nazisti. I nazisti sono gli organizzatori dell'evento, e quando ad organizzare le cose sono quelli lì non è che puoi aspettarti un festone. Finito il concerto, non particolarmente riuscito, i nostri si ritirano, passano velocemente dal camerino e assistono ad un omicidio, che è una di quelle cose da cui non si esce proprio indenni.
E infatti.

Arrivati a questo punto sarebbe troppo facile far fare ai nazisti gli scimmioni senza cervello, in un filmone atrocemente esplicito come l'adorato Dead Snow, invece si sceglie una strada diversa. O meglio, non prendetelo troppo sottogamba perché se chiudo gli occhi rivedo un paio di scene e non perché ci fossero dei cuccioly, ma sappiate che non è il gore ad interessarci.
Mi piacerebbe tantissimo mostrare questo film a quelli che parlano dei clichè dell'horror, del nero che è il primo che muore, delle scelte stupide dei personaggi che tra l'altro devono essere tutti degli stereotipi altrimenti non se ne fa niente, cose così. Mi piacerebbe perché i personaggi di Green room non sono scemi per niente. Si fanno il sedere a strisce per sopravvivere, non cadono in balia degli eventi ma sono combattivi e scaltri, anche quando qualcuno finisce inevitabilmente per soccombere. Si soffre un po' a vederli in mano ai nazi.
Nazi che peraltro sono altri personaggi scritti in un modo da bacio in fronte. Al di là della presenza di PS che lascia gli altri nella foschia della sua ombra, a me questi cattivi sono piaciuti tantissimo. Sono pacati in un modo che innervosisce come poche altre volte mi era successo, all'inizio del film il loro atteggiamento era da sbatterci la testa contro il muro. Poi si passa alla violenza e allora la pacatezza viene accantonata, ma le prime scene mi stavano mandando al pronto soccorso.

In questo mio periodo d'assenza l'horror è il genere che, paradossalmente, ho trascurato di più. Ricominciare con un film del genere è stato come tornare a casa dopo una lunga assenza.

Amanti di Star Trek, raccomando cautela: il protagonista è Anton Yelchin e vederlo così carino e così bravo fa un po' male al cuore, oggi.

sabato 8 aprile 2017

#CiaoNetflix: 13 reasons why

11:12
Netflix è tornato, sia lodato Netflix!
Connessione nuova fiammante e il mio servizio preferito di nuovo in funzione che ho voluto onorare con un binge watching come non ne facevo dai tempi di Stranger Things. 



13 reasons why è una serie che temevo fosse la Pretty Little Liars del 2017. Mi sbagliavo, perché da Netflix non ci lavorano dei babbi.
Parla di Hannah, una diciassettenne che si è tolta la vita. Prima di suicidarsi, però, ha deciso di registrare 13 cassette nelle quali confidare i motivi del suo gesto, e di farli girare tra alcuni compagni di scuola, tutti in parte responsabili della sua decisione.

Alle superiori ci siamo andati tutti quanti e ne siamo bene o male sopravvissuti. Se la vita sociale di un liceo americano è molto diversa da quella di un istituto italiano (almeno per come l'ho vissuto io), ci sono enormi e tristi somiglianze tra quello che i media ci mostrano delle famose high school statunitensi e la vita di paese, soprattutto se come me si vive in paesini che si aggirano intorno alle 3000 anime. Tutti conoscono tutti, anche quando non ci si conosce affatto, tutti sanno tutto di tutti (o almeno credono, ma non è questo quello che conta), e soprattutto tutti giudicano tutti.

Indicativamente al minuto 5 abbiamo capito tutti dove sarebbe andata a finire la serie. Quale sarebbe stato l'evento scatenante, la famosa goccia traboccavasi. E va bene così, non è il reveal il punto. Il punto è che 13 reasons why va preso così com'è e fatto girare in ogni scuola. Anche già dalle medie, va benissimo. Perchè si parla di qualcosa di cui è fondamentale parlare sempre, ma la cosa più importante è come ci si arriva.

SPOILERS ARE COMING.
tante parolacce pure.

Fin dal primo episodio Hannah, che ricordiamolo è morta, viene riempita di accuse. Bugiarda, attention whore...intuiamo subito che i nastri contengono qualcosa di grosso, ma ci arriviamo col tempo, passando per una serie di molestie che tutte le donne almeno una volta nella vita hanno provato e che sembrano meno rilevanti.
Hannah è stata presa in giro da un ragazzo che le piaceva, una sua foto è stata diffusa contro la sua volontà e sottoposta al pubblico giudizio. Chi è stato mal giudicato in quel caso? Lui? Il ragazzo bello e popolare? Ma no, chiaramente. Quella da prendere in giro era lei. Inizia tutto così, da una foto fatta girare per la scuola. Si prosegue con accuse di essere una ragazza facile, perchè la serie ci ricorda chiaramente che un maschio può fare il gran cazzo che gli pare ma non sia mai che una si diverta. Zitte mute in un angolino. Non datela a nessuno, così poi vi chiamano fighe di legno. Oppure datela a qualcuno tanto per, e siete zoccoloni da combattimento.
Il fatto che Hannah facile non lo fosse non conta poi granchè. Era quello che la gente pensava, e tanto bastava a renderle la vita un inferno.
Siccome la gente ha iniziato a parlare, allora, altri ragazzi della scuola credono sia opportuno infilarle la mano in mezzo alle gambe al primo, idiotissimo, appuntamento. Tanto te la dà, no?
Passiamo poi per lo stalking, per la vita colma di paranoia di qualcuno che si trova un pazzo che ti fotografa sotto la finestra.
In mezzo a tutta questa spazzatura, amicizie false e che si rompono, la solitudine di chi non ha nessuno a cui rivolgersi e l'ipocrisia di chi ti si dichiara amico per poi contribuire alla tua rovina.
Infine, lo stupro. Prima all'amica, poi a lei. Come dicevo, quasi lo aspettavamo. Lo stupro che in questo caso è anche un pretesto per parlare di quello che succede intorno alle vittime, più che alle vittime stesse. Certo, qua una si dà all'alcool e l'altra si ammazza, quindi credo sia piuttosto evidente la vita di una vittima. La macchina che si muove intorno a loro, però, è quella cosa di cui dobbiamo parlare. La vittima la dobbiamo aiutare, ma il contorno lo dobbiamo denunciare.
Abbiamo insegnanti incapaci di gestire una violenza, figuriamoci una vita spezzata. Il pensiero principale è non perdere il lavoro, mantenere la facciata di scuola attenta ai suoi studenti e che non si lascia scappare niente, ma nessuno ad accorgersi che una studentessa è arrivata a scuola ubriaca. Nessuno ad accorgersi che un coglioncello (che poi si rivelerà più pericoloso dei suoi ben più temuti compagni) gira per la scuola scattando foto a persone ignare. Ma paghiamo fior fiore di avvocati per coprire la nostra facciata di professionalità.
Hai voglia poi a farti vedere a piangere.
Abbiamo ragazzi che coprono l'amico stupratore accampando motivazioni che pur facendo riflettere non sono e non saranno mai sufficienti, abbiamo un branco di adolescenti che pur di proteggere il proprio futuro decide di spalare merda su qualcuno che un futuro non ce l'avrà a prescindere. È allarmante, e lo è ancora di più il fatto che nemmeno per un istante io fossi sorpresa.
Di fianco a queste cose incredibilmente grandi e terribili, ci sono violazioni più piccole: l'amica che parla male di te per coprire la sua omosessualità, il collega che pubblica di nascosto un tuo lavoro dimostrando la sensibilità di un piede quando si addormenta, l'altra che ti schiaffeggia perchè pensa che tu le voglia rubare il ragazzo.
Statisticamente, che tutte queste cose accadano ad una sola persona è improbabile. Non impossibile, ma quantomeno complesso. Ma non è questo l'importante. Il ritratto della società adolescenziale che ne esce è tremendamente fedele, ed è spaventoso.
Per farvi un esempio, quando ero adolescente, quindi fino a tipo 5 minuti fa, nel mio paese c'era questa moda: se una ragazza andava con tanti ragazzi per prenderla in giro si diceva che aveva una squadra. Che ne so, di calcio, di basket. La squadra si chiamava con le iniziali della ragazza in questione. Il tono di perculo con cui queste ragazze (ne ho in mente in particolare due) venivano chiamate oggi mi fa accapponare la pelle. Chissà se allora mi rendevo conto di quanto disgustoso fosse.
È per questo che serie come 13 reasons why andrebbero proiettate nelle scuole, mostrate in circoli, associazioni giovanili, ovunque. Che siano uno spunto di comunicazione, di insegnamento, di riflessione.

Se pensate che la visione di 13 reasons why mi abbia reso incattivita, dovreste vedermi quando parlerò di Suffragette.

giovedì 6 aprile 2017

Neil Gaiman

13:33
Con cos'altro avrei potuto ricominciare?

DISCLAIMER: POST INFINITO

Un giorno ero in auto con Riccardo. Sfoglia alcune foto sul cellulare, ne passa una, simile a questa, se non proprio lei:

(è ancora la mia immagine preferita di Morfeo)
Mi colpisce molto, chiedo chi sia. Mi viene raccontato di Morfeo, del fumetto di cui è protagonista, mi viene consigliato, sempre per quel principio che vuole che Riccardo sappia esattamente cosa mi piacerebbe. Me lo procuro, quindi. Finisce così. Oggi leggo molti più fumetti di un tempo, ma niente, niente, si avvicina a Sandman.
Capisco durante la lettura di avere incontrato uno di quei cervelli che mi parla. Ognuno di noi incontra in certi artisti quelli che parlano direttamente al nostro cuore, che sembrano avere un linguaggio fatto su misura per le nostre necessità. Chissà perché, forse per affinità di sensibilità, per temi comuni, per passioni condivise. Per me queste persone sono due: Neil Gaiman, chiaramente, e Guillermo Del Toro, come vi dicevo qui.
Inizia quindi un percorso monotematico, che si prende un ramo del mio tempo e mi porta a non voler far altro che scoprire ogni cosa possibile sul signore in questione.
Se decidete di entrare in questo singolare mondo, e portarvici è quello che spero di fare con questo post, preparatevi a vedere il vostro, di mondo, cambiare. Lo vedrete riempirsi di tenerezza, e colore, e magia. E di arte, in tutte le sue forme.
Non voglio, quindi, solo parlarvi di come io vedo e amo Gaiman, ma voglio accompagnarvi attraverso una carrellata di cose che ha detto o scritto, per cercare di farvelo amare anche solo la metà di quanto lo ami io. Fare una selezione è stato difficilissimo, perchè NG è l'uomo più prolifico del mondo. King scrive tanto, ma ho l'impressione che Gaiman lo batta. Non solo libri per adulti e ragazzi, fumetti, raccolte di racconti, saggi e sceneggiature. No, lui scrive anche per i libri degli altri: compri un libro fotografico? Introduzione di Neil Gaiman. Libro su Guillermo Del Toro? Brano di Neil Gaiman. Libri sulla scrittura creativa? Indovinate saggio breve di chi.
Pensate di potergli sfuggire, ma non è così.
È Ovunque.

Capite? Non lo fermerete mai. (dal suo Tumblr)

Intanto, le presentazioni.
Neil Gaiman è lui:


Ora, io ho scelto una foto che gli rende particolare giustizia, ma sappiate che ha anche i capelli del creativo folle e incontrollato, scappato dritto dritto da Montmatre. Me lo immagino sempre così, circondato di fogli volanti pieni di annotazioni e con le penne infilate dietro le orecchie, che poi è il modo in cui immagino tutti gli artisti.

La caratteristica principale di NG è quella di conoscere molto bene le regole. Le studia, le approfondisce, le fa proprie. Poi le prende, le appallottola e le lancia lontano. Le ribalta, creandone di nuove, imponendosi di non avere confini, di non farsi vincolare in concetti che non servono a niente se non a ribadire se stessi. Non esistono etichette, generi, target prefissati.
Un esempio?
Neverwhere si apre con un prologo, come un impressionante numero di libri. Ma dove sta scritto che deve essere solo così? NG di prologhi ne fa due.


Per qualche motivo la cosa mi ha fatto ridere fino alle lacrime.
Sempre Neverwhere è fonte di un'altra riflessione. C'è una scena, che adoro, in cui il protagonista deve essere accompagnato ad una destinazione. Si arriva quindi alla metropolitana, convenzionalmente mezzo che ti conduce alla destinazione. Per NG no. La metro è la destinazione. E se sembra una cosa di poco conto, per me è invece la capacità di vedere al di là delle cose, di saltare l'ostacolo delle cose che abbiamo sempre saputo per crearne di nuove.
Cosa sono le stelle? Corpi celesti? E chi dice che non siano ragazze scontrosette invece, come in quel candore di libro che è Stardust? Voi direte: beh? è solo uno scrittore di fantasy! Che c'è di speciale?
C'è che non è vero, che non possiamo vincolare una creatività così ad un genere. Lui riscrive il mondo, gli dà una luce nuova. Apre la mente come solo gli Artisti sanno fare.

Non è un caso che i due grandi amori artistici della mia vita siano proprio Guillermo Del Toro e Neil Gaiman, perché i due hanno una gran cosa in comune. Insieme a loro mi viene da pensare anche a Miyazaki, per esempio. Parlo della capacità che hanno in quanto creatori di fantastico di rendere migliore il mondo reale. La magia del creare qualcosa che non esiste sta nell'essere in grado di renderla non solo un'evasione dal quotidiano ma anche un'ispirazione, una motivazione, un esempio, che non serva solo a gestire la vita reale ma anche, e soprattutto, a renderla migliore. Questa è una cosa che ha detto la signora JK Rowling, che di fantastico un paio di cosine le sa. L'intervistatrice, o chi per essa, parla delle lettere di Hogwarts, e dice che tutti ci siamo illusi di riceverla. Forse era uno scambio su Twitter. Veniva sottolineato proprio il fatto che tutti l'avessimo effettivamente ricevuta, ma solo nella fantasia. Rowling ha dato una risposta splendida:
«Certo che è stato solo nella fantasia, ma questo non significa che non sia vero.»
Se nel caso di Harry Potter il fenomeno è di ben altra scala, con NG questo fenomeno si verifica in ogni romanzo. Io sono stata a vivere in un cimitero con quel personaggio indimenticabile di Nobody Owens, sono stata oltre Wall e nella Londra sotterranea. Sono stata nel mondo dei sogni e all'inferno. La salita e la discesa tra i mondi in cui questo uomo bambino mi ha condotto sono state talmente dolci da non avermi mai fatto sbattere le chiappe per terra. Il suo modo di prenderti per mano è accompagnato da parole di una tenerezza che non ho incontrato in altri. A volte lo leggo e sorrido, e basta. Perché è in grado, con le stesse parole con cui noi comunichiamo per comprare un etto di prosciutto, di emanare vapori di candore infiniti, come se la sua anima non conoscesse le brutture del mondo.

Per farvi un esempio di quello che intendo, quello che segue è l'inizio di Stardust. Sorridete?
Anche io.

C'era una volta un giovane che desiderava ardentemente soddisfare le proprie brame. E fin qui, per quel che riguarda l'inizio del racconto, non v'è nulla di nuovo (poiché ogni storia, passata o futura, che narri di un giovane potrebbe cominciare alla stessa maniera). Ma strano era il giovane e strani i fatti che lo videro protagonista, tanto che egli stesso non seppe mai come andarono veramente le cose.

Leggendo questo articolo del Guardian, trasposizione di un discorso di Nostro Signore, si capisce quello che lui con i suoi libri cerca di raccontarci: un infinito e spassionato amore verso la letteratura, verso quello che le storie ci regalano quando sono raccontate come meritano.

È facile con persone del calibro di Gaiman confondere il creatore con la persona. Tale stupefacente genuinità non può stare in un'anima sporca. Un esempio anche di questo? Ce l'ho:

risposta diventata virale non a caso
E se non vi bastasse, vi dirò anche questo: la grandezza di un uomo si vede anche dal modo in cui parla degli altri. Neil Gaiman è una fangirl. Lo nasconde bene, vuole fare il duro, ma quando parla di quelli che ama lo fa con un tale affetto e con una stima talmente forte da trasparire da ogni parola. Non vi linkerò ogni video presente sul tubo in cui Neil parla bene di qualcuno, vi lascio il suo ricordo di Terry Pratchett, con cui ha scritto quella delizia di Buona Apocalisse a tutti! 



Ma come? Un post intero sul suo autore e neanche un accenno ad American Gods, uno dei romanzi migliori scritti negli ultimi decenni?
No. Il primo maggio esce la serie e io sono in ritiro spirituale.
L'avete visto il trailer? Parliamone, abbracciamoci, rileggiamolo, amiamoci. Facciamo un gruppo di lettura? Uno di sostegno?
Piangiamo.

Per concludere, vi lascio a Lui. Le sue parole, in un quarto d'ora, annulleranno ogni mia virgola scritta qui, o forse ne daranno solo conferma, in quel modo speciale e nasale che ha Lui di dire le cose.



giovedì 23 febbraio 2017

Un momento di pausa

09:05
Ho iniziato il 2017 con un milione di idee per MRR. Progetti più grandi e impegnativi a livello di preparazione, più apertura verso lo sconosciuto e, soprattutto, ancora più me stessa.

Sono contenta dei cambiamenti fatti fino ad ora, sia di grafica, che di contenuto, che di programmazione. Ora mi riconosco in pieno in questo spazio sul web tutto mio.
Proprio per questo, però, quando la vita fuori da internet mi richiede un po' più di tempo, MRR è il primo ad essere messo da parte. O gli dò tutto o niente.

In questo periodo stanno succedendo alcune cose. Sto lavorando molte più ore del solito, l'azienda che ha la pazienza di avermi come dipendente ha bisogno che io mi sprema un po' di più, e a me va bene.
Quando sono a casa mi sto dedicando ad un progetto che è stato immobile per troppo tempo e che ora merita gli sia dedicato più spazio. In un paio di mesi dovrebbe vedere la luce e io non so se essere terrorizzata o emozionata. Per ora vince la prima, motivo per cui ci sto mettendo tanto.
Infine, sto banalmente cambiando gestore telefonico. Sono con una linea internet scandalosa da tre settimane ormai, ce ne vorranno altre due perché il passaggio sia infinito. Sono da settimane senza Netflix, Spotify e Youtube, praticamente il 90% di quello che faccio sul web, e se anche riuscissi in questo periodo a pubblicare qualche post sarebbe con l'aiuto di qualcuno e il triplo della fatica. Per post mediocri e scritti velocemente tanto per riempire il buco, non me vale la pena, davvero.

Ogni tanto serve anche a me fermarmi, togliere qualcosa dalla lista di quelle che faccio e prendere un momento di respiro. Non possiamo che giovarne sia io che il blog. Seguirò gli Oscar quasi in silenzio, facendo un tifo furioso e scatenato per quell'Arrival che mi ha rubato il cuore. Che possa vincere tutto ciò per cui è candidato e che rubi le statuine agli altri per ciò in cui non è stato candidato.

A tutti i passanti mando un abbraccio, a presto!

giovedì 16 febbraio 2017

Non solo cinema: Camere Separate

19:20
Abbiamo aperto la settimana di San Valentino parlando di come si sopravvive alla morte di un'amata. Proseguiamo con lo stesso tema, ma con toni notevolmente diversi. 

Io non conoscevo Pier Vittorio Tondelli, giuro che non l'avevo mai sentito nominare, perchè quando si parla di letteratura italiana sono di un'ignoranza vergognosa. Ora sto approfondendo la conoscenza, perchè la lettura del suo ultimo romanzo mi ha folgorato.


Camere separate è la storia autobiografica di come si sopravvive ad un amore che muore. Non nel senso di una relazione finita ma, come era stato per Nina Forever, nel senso del sopravvivere ad un amato che muore. Leo, l'alter ego di Tondelli, conosce Thomas a Berlino e se ne innamora. Quella che nasce è una storia d'amore immensa, che ci viene raccontata attraverso i numerosissimi flashback di cui il libro è cosparso.

In un numero limitato di pagine Tondelli esplora una vastita di sentimenti, drammi, angosce, e li riporta sulla carta con una chiarezza cristallina, quasi vivisezionandoli. Non lo vediamo mai scadere nell'autocompassione, ma analizzare con sguardo quasi freddo quel dolore che lo sta annientando. Una capacità incredibile, che spero con tutto il cuore gli sia stata d'aiuto a superare un lutto così assurdo, perchè se davvero Leo è Tondelli allora io, Pier Vittorio, che bene che ti voglio. Quanto ho sofferto con te. Leo è un personaggio come pochi altri ne ho trovati. È talmente tridimensionale, completo, umano, reale, che è impossibile non avere empatia massima. Non si lamenta mai del suo dolore, non se ne fa investire, ne vive semplicemente le conseguenze non potendo fare altro che osservarle compiersi. 
A noi questa sopravvivenza è raccontata in modo quasi chirurgico: la storia non è narrata in modo lineare ma con episodi disparati, della vita quotidiana, che diventano il modo migliore per conoscere i due amanti. La lingua di Tondelli non è la stessa mia, non è l'italiano che usiamo per parlare. È preciso ma semplicissimo, non fa uso di esagerazioni nè di vezzeggiativi. Sono i fatti a parlare da sè. Il modo di esplorare come mai Leo si comporta in un modo piuttosto che un altro è di un'umanità disarmante, anche quando non si condividono le sue azioni è impossibile non comprenderle. 

In tutto ciò, protagonista è l'amore. Amore nato come travolgente passione, raccontata nei dettagli ma priva di qualsiasi volgarità, e diventato la storia della vita. Arrivato dopo una storia di fondamentale importanza, dalla quale Leo credeva non si sarebbe ripreso mai, Thomas si è preso uno spazio incredibile, costruendo con il protagonista una storia senza precedenti, per peculiarità e intensità. Leo e Thomas sono stati lontani, non si sono parlati, si sono presi e lasciati, si sono avuti ma mai posseduti. 
Poichè di solo amore non è fatta la vita, però, incrociamo anche gli altri grandi temi della vita di Leo: l'omosessualità e quindi il rapporto con la società, la fede, il lavoro. Temi di tutti e di nessuno. Ma poche altre volte ne avevo letto così.

Come mi era successo con Storia di una vedova sono rimasta affranta da una lettura intensa nei temi ma mai nei modi. Ed è proprio la dignità con cui questi lutti sono stati affrontati ed esposti a farmi amare così appassionatamanete i due autori.
Però come è difficile volere bene agli Artisti, a volte.


(Per un po' basta sofferenze, perchè qua non si può mica andare avanti a questa maniera)

lunedì 13 febbraio 2017

Nina Forever

15:42
Ogni anno quando si avvicina San Valentino cerco un film per parlare d'amore in un modo che non sia 'convenzionale'. Quest anno ha vinto Nina Forever, horror comedy che è anche una superba lezione di come si fa a parlare di temi profondissimi con un tono leggero ma che non distrae mai.

La Nina del titolo è la defunta fidanzata di Rob. Dopo la sua morte lui ha lasciato andare il suo futuro, i suoi rapporti, la sua vita. Solo due anni dopo, nel supermercato in cui lavora, conosce Holly, e se ne innamora. Nina non la prende benissimo.


Ogni tanto quando scrivo post su argomenti particolarmente intensi, come questo, mi ritrovo a leggermi smelensissima e non mi piaccio. Soprattutto, non mi piacerei in questo contesto, in cui il film fa l'esatto opposto del piangersi addosso e del creare commozione forzata. Nina Forever è buffo, dolce, nostalgico, e fa ridere. Parlando di cordoglio e ossessione, ma fa ridere. Perchè è così che si fa, mica come quel benedetto Colpa delle stelle che se potessi lo brucerei. 
Elemento di grande ironia è Nina stessa, che compare durante il primo rapporto tra Rob e Holly. Avrebbe potuto scegliere qualsiasi altro momento della loro relazione per ostacolarla, ma lei no, lei fa la sua apparizione in scena ogni volta che si fa sesso, e la cosa pare anche divertirla molto. Nina è sarcastica fino all'esagerazione, sicurissima di sè e forte del suo ruolo, la fidanzata morta. È una carta potentissima da giocarsi, non si vince contro il ricordo della morosa morta è un asse di briscola. Non è solo divertente il modo in cui ciò ci viene detto, è anche di una verità assoluta. Nessuna sarà mai Nina. 
Se Rob sembra avere accettato e superato questa realtà (d'altronde è lui quello che si è fatto i due anni di lutto), è Holly a non sembrare in grado di prenderne coscienza. O meglio, Holly c, i morti sono intoccabili, ma cerca di eliminarla. Butta le sue cose, diventa la prima complice di Rob nell'eliminare le tracce del suo passaggio, sia di quelle della Nina viva sia le pozzanghere di sangue lasciate dalla Nina defunta. Poi però si fa un tatuaggio per onorarla.
Rob, dal canto suo, è spiazzato. Gli si vuole bene dal momento due, più o meno. È sofferente, ha chiuso le porte al suo futuro mollando gli studi e accontentandosi di un lavoro onesto ma non sufficiente per lui, non è più in grado di costruirsi delle relazioni, vive quasi in funzione delle visite domenicali dai genitori di lei.
La relazione tra le due contendenti di Rob, quindi, finisce per diventare la cosa più interessante del film. L'ossessione di Holly, le costanti frecciatine di Nina, gli improbabili amplessi a tre, l'interessante risvolto finale. Le due si sfidano costantemente per un uomo ancora così provato dalla vita da non essere in grado nè di capire dove stia il problema nè tantomeno di provare a risolverlo. Rob vivacchia mentre le cose gli scorrono intorno. Non mi sento di biasimarlo. 
In un angolino, poi, il padre di Nina. Se per tutto il film siamo stati intrattenuti con leggerezza, ecco che alla fine compare un suo sfogo, fatto di poche parole, che ci riporta nella disperazione di cui il film è permeato. Alla fine anche le nostre risate svaniscono: arriva la consapevolezza di avere visto un film pieno di disperazione. 
Solo che non ci è mai fatta pesare, e non potrei essere più grata per questo.

sabato 11 febbraio 2017

Non solo horror: Qualcuno volò sul nido del cuculo

11:36
Per il trecentesimo post di MRR volevo qualcosa di speciale. Volevo un film importante, potente, con molte cose da dire. Speravo di non uscirne a pezzi, ma mi sono sopravvalutata. Dovevo saperlo, perchè l'ultima volta che ho visto un film di Forman non solo ho pianto per giorni, ma ancora adesso resto scombussolata dalla (bellissima) colonna sonora. Sì, ci piango ancora per Hair. 


Qualcuno volò sul nido del cuculo parla di McMurphy, uno splendido Jack Nicholson che fa il suo ingresso in un istituto psichiatrico. I motivi del suo ricovero sono un po' controversi: forse ha una malattia, forse no, ma va tenuto sotto osservazione. Qui Mac farà la conoscenza degli altri ospiti della struttura e della realtà degli ospedali psichiatrici.

Messa giù in questo modo la trama, sembra si parli di un film denuncia, di un trattato sulla società, di un manifesto. Non che non sia anche tutte queste cose, ma c'è tanto, tantissimo altro. Se ne esce sopraffatti e pieni di riflessioni. Sono due ore che scorrono velocemente ma che toccano l'infinito.
Temo che questo post sarà pericolosamente simile a quello di Freaks, spero perdonerete la ripetitività. Non credo che paragonandoli farei un favore a nessuno dei due, ma in effetti concorderete con me che poche altre volte al cinema la disabilità è stata trattata in un modo così efficace. È troppo facile raccontare la storia del genio malato (quella Teoria del tutto a cui riconosco alcuni meriti ma che nel complesso malsopporto), o dell'uomo che ha aiutato gli inglesi a vincere la guerra (ecco, The imitation game mi è piaciuto già di più, e non solo per Cumberbatch). 
Se vogliamo trattare dei disabili dobbiamo sporcarci le mani, scendere nei meandri delle difficoltà più oscure, per far riconoscere alla nostra coscienza chi siamo e cosa facciamo noi normodotati. Se Freaks era però ad un livello di coscienza dell'altro quasi medievale - non solo i disabili sono diversi, ma sono proprio fenomeni da baraccone, strumenti di spettacolo - qua siamo un passo ben oltre. 
Jack Nicholson è un personaggio che, colmo di genuinità, senza pensarci, senza sforzarsi, fa tutto quello che dovremmo fare noi. Quello che a causa del terrificante buonismo di cui ci rivestiamo non riusciamo a fare, perchè siamo ancora quelli che quando vedono un disabile dicono 'poverino'.
Lui no. Lui i disabili li prende in giro, come si fa con gli umani normali. E infatti cosa succede? Crea rapporti incredibili, viene amato incondizionatamente, diventa punto di riferimento e di forza. 
Se deve insultarne uno, lo insulta. Cinque minuti dopo, però, ci gioca a basket, come farebbe con qualunque altro amico. Sì, anche arrabbiandosi se non giocano bene, come farebbe con un amico normodotato. 
Ci viene talmente naturale riservare trattamenti speciali a persone che magari speciali non ci si sentono affatto. Ma l'equità non è questa. Equità è darti modo di essere uguale a me, per cui se non puoi camminare ti dò tutto quello di cui hai bisogno. Se non puoi comprendere alcune cose ti aiuto a farle tue. Ma per il resto sei come me, e come me hai diritto ad essere trattato.

Forse io parlo bene perchè non ho mai avuto rapporti con persone diversamente abili. Ogni tanto lavoro con una ragazza che soffre della sindrome di Down, ma questo è tutto. Non so come la penserei se avessi contatti più variegati e costanti, ma di certo Forman, come aveva fatto Browning, mi ha dato una gigantesca lezione di vita, mostrandomi l'amore, la lealtà e l'amicizia nella loro forma più elevata, genuina, depurata da ogni malizia. 
E poi mi ha lasciata in pezzi, ma ne è valsa la pena.


(Vi invito a seguire sui social Iacopo Melio, il ragazzo che era diventato noto per aver sollevato i problemi del trasporto ferroviario italiano per i disabili. Alcuni lo accusano di essere un po' saveriotommasiano, e non posso dirmi contraria, ma se si parla di disabilità il suo sguardo è molto importante per confermare nuovamente il messaggio del Cuculo. Non sia mai che ce ne dimentichiamo.)

giovedì 9 febbraio 2017

Non solo cinema: Guillermo del Toro Cabinet of Curiosities

19:16
Giusto un paio di settimane fa dicevo che leggo in digitale. Un guilty pleasure cartaceo, però, è rimasto: i coffee table books, ovvero quei libri che sono quasi oggetti d'arredamento, belli quasi più da sfogliare che da leggere. Grafiche interessanti, colori, volumi bellissimi. Chiamarli guilty pleasure è un po' sbagliato, in effetti, perchè io li sogno e basta, mica li compro, perchè i bastardoni sono costosissimi. Il Cabinet of curiosities dell'uomo della mia vita GDT è un regalo, infatti (💝). Costa una sassata. Fare una recensione di un libro del genere è quasi impossibile, ma può essere interessante discutere insieme del prezzo e del valore effettivo, per valutare quanto valga la pena.


Intanto è un volumone. Ma proprio grosso, di quelli che in libreria dovete tenere coricati. La carta è spessa e liscia come la pelle di un avambraccio dalla parte del palmo. Si alternano pagine interamente fotografiche o di illustrazioni ad altre discorsive, oltre a quelle con illustrazioni e foto più piccoli. Anche quelle di sole parole, però, non sono classiche pagine bianche, ma di un bellissimo beigiolino di cui vorrei almeno un paio di vestiti, con quelle bellissime cornicette intorno che mi fanno venir voglia di sfogliare il libro e basta, tanto per rendegli giustizia. È, in soldoni, esteticamente un volume splendido, da sfogliare e risvogliare.

Accade poi, per una felicissima unione di bellezze, che il libro in questione parli interamente di Guillermo del Toro. Se non avete letto questo post non lo sapete, ma il messicano è il mio regista del cuore. Il primo preferito, quello che parla in un linguaggio che pare fatto su misura per me. Un libro intero su di lui non è solo una cosa bellissima, è un sogno. Quindi sconsiglio l'acquisto a chi non ama il signore in questione, che pare una cosa scontata ma oh, non si sa mai.
Si parte parlando della sua vita, ed è interessantissimo. Più avanti si parlerà delle influenze artistiche e della creatività, ma qui ci sono proprio le origini, la bellezza di una mente geniale che si forma e che brulica da subito di entusiasmi ed interessi. Certo, potete guardare Trollhunters per vedere una fedele rappresentazione del giovane Guillermo (qua il post della mia amica Kara Lafayette), ma se non dovesse bastarvi, qua c'è il resto.
Non farò spoiler per chi se lo vorrà comprare e leggere queste cose da sè, ma la cosa migliore devo dirla. La famiglia di GDT era povera in canna quando lui era bambino. Un bel giorno suo papà ha vinto alla lotteria e hanno fatto i big money. Il papà DT, che per fare un figlio così scemo scemo non doveva essere, pensava che a fare la differenza in una casa fossero i libri. Prima cosa comprata con i big money in questione, quindi, furono due enciclopedie: una medica e una di storia dell'arte.
Adesso rileggete quest'ultima parte e ditemi se non è la sintesi perfetta di quello che è il lavoro di DT. Non ne avevo idea prima di leggere il libro, ma quando ho letto questa frase ho pensato che non poteva che essere così. Anatomia e arte.

La sezione successiva parla di quel capolavoro che è Bleak House, il Cabinet of curiosities reale di quello sperperatore seriale di danaro che è Nostro Signore. L'intera abitazione è un museo, pieno (MA PIENO SBOBBATO) di reliquie, ricordi, libri (tantissimi libri), statue, pezzi da collezione, che derivano dal mondo del cinema, della letteratura, dell'arte e non solo. Ha stanze tematiche, angoli dedicati ad artisti in particolare, ricordi del suo lavoro, opere dei fan. È strabiliante, un giorno intero non sarebbe sufficiente a scoprire ogni piccola cosa presente. Ed è tutta rossa, il che mi fa sempre sentire a mio agio.

Pare poi che il divino sia un fanatico della scrittura, credo sia nel gruppo delle Cartopazze su facebook in incognito. Tiene da anni migliaia di quaderni pieni di annotazioni, disegni, schemi, idee. Il tutto per le sue figlie. O meglio, ha iniziato perchè è fatto così, e capisco che tenere a bada una mente così attiva senza segnarsi niente sia pure complesso, ma col tempo ha deciso di averne particolare cura, perchè restassero alle figlie. Se riuscite a non commuovervi...
Pensate a che patrimonio gigantesco avranno per le mani ste ragazze, non oso pensarci.
Nel volume abbiamo l'onore di vedere alcune delle pagine di questi quaderni: sono frenetiche, scarabocchiate, colorate, scritte metà in inglese e metà in spagnolo. È un piccolo spaccato sul suo lavoro, sul suo modo di creare, ed è magico.

Infine, finalmente, si parla del suo cinema. Dopo una parte in cui si parla delle sue influenze e delle sue preferenze, in arte e in letteratura, si inizia a parlare dei suoi lavori, sia di quelli di cui (grazie. al. cielo.) possiamo fruire, sia di quelli mai completati (ancora ci spero in quelle Montagne della follia....). Il tutto in una chilometrica intervista, in cui GDT ci prende per mano e ci accompagna nel suo lavoro, dall'idea alla realizzazione, film per film. È un incanto

Quelle che per me sono la vera chicca del libro intero, però, sono le parole degli altri. Il libro intero è disseminato di brevi interventi di nomi di gente assolutamente irrilevante: James Cameron, Mike Mignola, NEIL amoremio GAIMAN, Ron amoresuo Perlman...
Leggendo l'infinita stima che questi giganti provano per lui si conferma la cosa più importante. Il valore della nostra vita, delle nostre opere, del nostro lavoro, si valuta in base a quello che lasciamo agli altri.
E quello che lascia Lui è immenso.

(Sì, il libro li vale i soldoni. Se potete, è imperdibile.)

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