lunedì 3 luglio 2017

The devil's candy

16:06
Oh, Sean. La blogosfera lo diceva che eri tornato, ma io li ignoravo. Li ignoravo perché sono scema, e oggi sono qui a pentirmi del mio essere scema prostrandomi ai tuoi piedi con questo post.
Ti vogliamo tutti molto bene e siamo molto grati tu esista.




Lo Sean con cui parlo è Sean Byrne, che qualche anno fa mi ha causato una bella notte insonne con il suo The Loved Ones, e che a quanto pare fa solo film (belli) con titoli bellissimi.
In questo, Liz di Roswell è sposata con un pittore, con il quale ha una figlia, Zooey. I tre comprano una casa nuova, ma fin dalla prima sera la loro tranquillità è disturbata da un omone che si presenta alla loro porta, sostenendo di essere il figlio della coppia morta in quella stessa casa tempo prima.

Poco tempo fa, parlando di The town that dreaded sundown, ho detto cosa mi piace di alcuni horror recenti. Dicevo che amo come qualcuno (quelli più intelligenti) prenda elementi classici e canonici per rifinirli, risistemarli, smussarli, per regalarci un'esperienza tradizionale ma allo stesso tempo innovativa.
Ecco, abbiamo un nuovo nome da aggiungere all'elenco.
The devil's candy parte da una premessa che conosciamo come le nostre tasche: famiglia compra casa, in casa c'è stata una tragedia, papà è quello che la 'sente' di più.
Amityville, certo, ma anche quel signorino sconosciuto di Shining.
Ora, non è che adesso mi metto a fare paragoni giganteschi, ma il film di Byrne mi ha commossa tantissimo, e un horror non mi commoveva (?) da tempo.
Andiamo con ordine, però.

La casa nuova. Elemento principale di questo sottogenere, a volte è quasi un personaggio del film. L'Overlook lo era, era protagonista. Qua no, la casa è solo un pretesto. Non è una di quelle incantevoli magioni vittoriane per le quali la sottoscritta perde la testa in tempo record, no no. È una bella casona, ma anonima, senza alcun valore se non quello di essere una gran fonte di gioia che poi si trasforma in disgrazia.
La famiglia. Ogni recensione di questo film che esista nel web parla di quanto incantevole sia questa famiglia. A costo di ripetermi, i tre sono uno spettacolo. Imperfetti, uno schiaffo in faccia agli ideali borghesotti che ci vengono spesso schiaffati in faccia, ma pieni di un amore limpido e genuino, legati da un rapporto quasi amicale. Empatizzare e non soffrire con loro è impossibile.
Elemento demoniaco, perché c'è. Partendo dal presupposto che se anche solo si fa intuire alla lontana che Big S è coinvolto io me la facio addosso preventivamente, il film è furbo e lo usa solo come 'voce nella testa'. Conseguenza? Ancora più paura. Sipario.
Cattivo e violenza sono inversamente proporzionali. Tanto più il personaggio Pruitt Taylor Vince è ripugnante e colmo di disagio, allo stesso tempo Bryne si prende la libertà di non mostrarci niente di sconvolgente dal punto di vista del sangue. Non che non ce ne sia, ma lui non ha bisogno di farci sbarrare gli occhi dallo sgomento.
Ci ha fatto spalancare il cuore, e quello è molto, molto più difficile.

sabato 1 luglio 2017

Liebster award 2017

13:40
Time for some meravigliosi fattacci nostri, il mio momento preferito della blogosfera!
Quest anno mi sono portata a casa tre Liebsters, il che significa che ho una marea di domande a cui rispondere. Accorciamo quindi la mia consueta intro e passiamo alle risposte.



Domande di Kara LaFayette:

1) Scegli il tuo film d'autore preferito e quello commerciale.

Shining perché la sua esistenza mi ha insegnato che fino a quel momento avevo guardato al cinema nel più sbagliato dei modi. Il labirinto del fauno e La città incantata finiscono la sacra triade dei miei film intoccabili. Valgono come commerciali anche se non sono statunitensi?:D


2) Se fossi un produttore molto ricco, in quale progetto cinematografico tratto da un romanzo (o racconto) ti imbatteresti? 
S A N D M A N.
Ok, è un fumetto. Ho barato? Però, immaginatevelo quel Cumberbatch che sogno come Morfeo, avanti. Me lo merito un film su Sandman. Il mondo lo merita.

3) Qual è l’attrice più sopravvalutata (non vale dire Meryl Streep per citare Trump)? E l’attore? Quali sono, invece, attori e attrici più sottovalutati?
Ce ne sono molte che non mi piacciono: Keira Knightley, Carey Mulligan...ma la regina delle mie nemiche è lei: ANNE HATHAWAY. Uomini: non.trovo eccezionale Robert Downey Jr, anzi onestamente lo tollero pochissimo. Sottovalutati: il mio grande amore Martin Freeman e Natalie Portman.

4) Qualche tempo fa, Iñárritu affermò che i cinecomics fossero un genocidio culturale. Molti di noi lo hanno preso a pernacchie, essendo una generalizzazione estrema ed esagerata. Ma alla luce dei fatti poco gloriosi (non del botteghino, ma della reale qualità di alcuni cinecomics), oggi che ne pensi? 
Sono combattuta. Da un lato penso che i genocidi culturali siano ben altro, dall'altro penso anche che proprio chi produce prodotti così pop avrebbe il potere di usare il cinema - ma anche qualsiasi altro media - come veicolo di messaggi importanti, per esempio, oppure sfruttare personaggi dalla grande notorietà per guadagnare creando però un prodotto di qualità. Mi sembra che ci si sia provato in qualche caso, e quindi non mi sento di demonizzare. Ciò detto, a me i cinecomic non piacciono, mi rompo le scatole al minuto 6.
5) Che rapporto hai con l’animazone? Lungometraggi o serie TV animate ti interessano? Se sì, quali ti sono entrati nel cuore?
 Non la amo, guardo poche cose e molto selezionate. Di solito non sono interessata nè a Disney - Pixar, nè a Dreamworks, fatte ovviamente le dovute eccezioni. Il mio cuore va allo Studio Ghibli, pur non essendo io un'appassionata di cultura nipponica. Tra i miei preferiti, Ghibli e non: La città incantata, ovviamente, Wolf children, Song of the sea, Il castello errante di Howl, Dragon Trainer, Shrek.
6) Cosa pensi davvero dei cagatori di minchia (categoria da me messa in risalto) ai quali non piace mai niente e dove tutto viene scisso in capolavoro assoluto o merda?
 Siccome un tempo ero la Regina Autoeletta dei Cagatori di Minchia oggi li guardo con il doppio della severità, perché se ce l'ho fatta io a smettere allora possono tutti.
7) Sei chiuso in ascensore con Takashi Miike, Nicolas Winding Refn e Patty Jenkins. Tutti e tre ti fissano in silenzio con le braccia conserte, in attesa che tu dica qualcosa. Di cosa parli? A chi ti rivolgi per primo? 
 Refn! Il mio rivolgermi a lui sarebbe perlopiù fissarlo intensamente e cercare di trasmettergli amore.
8) Ti svegli una mattina e non sei più tu. Ti guardi allo specchio e sei diventato/a un personaggio di un film o di una serie TV. Quale?
Oh, se proprio devo scegliere allora Eva Green in Penny Dreadful.
9) Sei all’interno di The Sims, la fattucchiera ti porta la lampada magica da strofinare. Scegli i tuoi tre desideri.
 1) Vivere facendo quello che amo
2) Una casa con un soppalco e una mansarda. E una veranda con il portico. E una libreria gigantesca.
3) C'è una, e una sola, parte del mio corpo che detesto. Fattucchiera, sai cosa fare.
10) Hai mai partecipato alla realizzazione di un film o serie TV? Se sì, quali? e se no, ti piacerebbe? In quale ruolo?
 Ho sempre preferito il ruolo di spettatore, ma adorerei essere quella che gira per il mondo in cerca di oggetti di scena, nei mercatini dell'artigianato e dell'antiquariato. Esiste ancora una professione del genere?
11) La tua colonna sonora cinematografica preferita.
Orgoglio e pregiudizio, Only lovers left alive, Dirty Dancing, Sense8. (Ok, è una serie, ma che colonna sonora pazzesca ha?)


Domande di Giulia:

1) Qual'è il personaggio d'invenzione nel quale ti riesci ad immedesimare maggiormente e perché?

Questa domanda spunta ogni anno e io, dopo diversi tentativi, non ho ancora trovato la risposta giusta.

2) Qual è il personaggio d'invenzione che hai detestato o detesti fortemente e perché?

Va beh dai qua non c'è gara per nessuno al mondo: Dolores Umbridge.

3) C'è qualcosa che hai imparato e che adesso fa parte del tuo bagaglio personale dalla tua esperienza nella blogosfera?

L'umiltà, l'imparare sempre da chi ha qualcosa da trasmettere e la fragilità delle opinioni.

4) Qual è il motivo che ti spinge a scrivere?

Non ho motivi di natura psicologica troppo approfonditi, semplicemente mi piace farlo, mi appaga e mi sento sempre di stare spendendo bene il mio tempo se lo sto passando scrivendo.

5) Visione in sala o visione casalinga?

Entrambe, assolutamente. Per fortuna non si escludono.

6) Qual è il primo film in DVD/Blu-ray che hai acquistato?

Non ne acquisto mai, ma il mio primo è stato La casa, in un'uscita in edicola di mille anni fa. Prima di allora, quasi solo VHS per ovvi motivi non acquistate da me.

7) C'è un film (o anche più di uno) che assolutamente guardi una volta l'anno dovesse cascare il mondo?

I tre della mia Sacra Triade citati sopra: Shining, Il labirinto del fauno, La città incantata.

8) Quale film avresti voluto dirigere? Avresti cambiato qualcosa?

Risponderò a questa domanda come rispondo ogni volta che mi viene fatta: L'Esorcista, così magari ne avrei un po' meno paura.

9) Un film che hai interrotto a metà visione o meno e perché.

L'altro giorno ho iniziato Quarto potere ma non l'ho ancora finito perché devo incastrare le cose da fare in bizzarri orari di lavoro, quindi spezzo tutto!

10) Il cibo che preferisci mangiare durante la visione di un film.

Le patatine alla paprica, mio grande amore. 

11) Blockbuster o cinema indipendente?

Come sopra: entrambe. Per fortuna abbiamo una vasta scelta!

Domande di Marco:

1) Cosa ti ha spinto ad aprire un blog?

La voglia di trovare persone che condividessero la mia stessa passione.

2) Se potessi tornare indietro nel tempo, cambieresti qualche fatto storico? Se sì, quale e in che modo lo cambieresti?

Aiuto, che domandona. Impossibile sceglierne uno, la storia è piena di brutture. La salita al potere dei pentastellati però è una cosa che mi sarebbe piaciuto evitare, se vogliamo stare nei tempi recenti.

3) Quale personaggio di fantasia (cinema, letteratura o fumetti) vorresti come migliore amico?

Fumetti: Death, sorella di Morfeo. Letteratura: quel cazzone di Bartimeus. Cinema: Ash Williams, non scherziamo. 

4) Avete qualche ricordo particolarmente emozionante legato ad una giornata (serata) al cinema?

Ero in sala a vedere il remake di Evil Dead. Film finito, sala svuotata. Eravamo rimasti solo io e il mio ragazzo e una coppia di uomini cresciutelli. Ho avuto la sensazione fossero grandi amanti della saga originale, perché quando è comparso il profilo di Bruce sullo schermo sono scoppiati a ridere. Me li sono immaginati giovani e appassionati, davanti al vecchio film, e mi sono emozionata. Sparate ancora merda sui remake, però, voialtri.

5) Con quale criterio collezionate i vostri dvd/bluray?

Non colleziono:(

6) In quale città o luogo cinematografico, reale o non, vorreste andare in vacanza?

Ma Crystal Lake chiaramente!
No, ok, scherzo. La Contea.

7) Ti svegli e sei l'uomo più ricco del mondo. Come cambia la tua vita?

Smetto di lavorare come dipendente e apro la mia attività. Compro casa ai miei e una mansardina per me, poi finisco di pagare la macchina e quando la mia attività sarà ben avviata mollerò tutto e mi ritirerò a non fare niente dalla mattina alla sera. So che molti dicono che non sarebbero in grado di lasciare il lavoro, ma io sì, eccome. Vi riempirei l'amazon di libri indesiderati:D

8) Quale canzone vorresti fosse suonata al tuo funerale?

Non mi piace l'idea di dovermela scegliere, vorrei che qualcuno scegliesse qualcosa che gli ricorda me.

9) Se dovessi dare a tuo figlio un nome cinematografico, quale sarebbe?

I nomi dei miei figli sono belli che selezionati, ma posso dire che Ophelia per una bambina è tra le possibili selezioni!:D

10) A quale film associate la vostra infanzia?

Dirty Dancing, il mio migliore amico since 1990.

11) Con quale blogger, che seguite più o meno assiduamente, uscireste a bere una birra?

Praticamente con tutti, perché mi sono data all'arte buongiornissima di defolloware chi non mi interessava più seguire per un motivo o per un altro, quindi unirei un paio di tavoli e li conoscerei volentieri tutti!

Il regolamente vuole che io tagghi 11 persone, ma andrò per il mio classico: se passate di qui e leggete queste domande significa che siete taggati. Vediamo se riesco a farmi sufficientemente i fatti vostri:

.Quali sono i film e i libri di cui hai paura? Non intendo paura da film horror, intendo quelli che non hai ancora affrontato per timore siano troppo grandi.
. Preferisci scrivere recensioni positive o negative? Ovviamente tutti preferiamo vedere bei film, ma proprio dal punto di vista della scrittura, cosa ti diverte di più?
. Ho preso una cotta per Adam Driver. Io ho fatto coming out, tocca a voi: attore o attrice bruttarelli ma che vi piacciono da matti. Qua tutte a dire di Fassbender, ma io voglio la verità.
. Avete la possibilità di far scrivere la vostra biografia ad uno scrittore, non necessariamente il vostro preferito: chi scegliete?
. La colonna sonora della vostra vita?
. Quando scrivete, che sia un post o che sia altro, cosa ascoltate? Riuscite ad avere un sottofondo o vi serve il silenzio?
. Avete scritto il fumetto della vita, sapete che cambierete le sorti dell'editoria. A chi lo fate disegnare?
. A quale grande concerto del passato avreste voluto partecipare?
. Ho detto nelle risposte che odio i cinecomic. Se li ami, vuoi provare a farmi cambiare idea?
. C'è una citazione cinematografica che è diventata parte del tuo linguaggio comune? Quale?
. Visione di film domestica: divano, letto, poltrona? Pc, telefono, televisione, proiettore? Come vi gestite?

Non vedo l'ora di farmi i fatti vostri:D

giovedì 29 giugno 2017

Il bazar dei brutti sogni - Stephen King

16:02
Non sono capace - nè tantomeno voglio - di porre alcuna resistenza quando esce il nome di King.
Finchè lui scrive io leggo, punto.
Non staremo qui a discutere degli alti e bassi della sua carriera, dei romanzi preferiti (Dolores Claiborne, Dolores Claiborne, Dolores Claiborne!) nè di quelli sfavoriti (oh, a me La Torre Nera annoia), nè del suo essere il più pop tra gli autori contemporanei.
Una cosa, però, è un dato di fatto, un dogma quasi religioso, un mantra da ripetersi nei momenti di incertezza:
Come li scrive bene lui, i racconti, quasi nessuno.




Il bazar dei brutti sogni è la sua ultima raccolta, datata 2015. È composta da 16 racconti, 2 poesie e 2 novellette. Non è che possiamo star qui a recensirli singolarmente, ma tanto per darvi un'idea veloce: secondo me sono più le storie che funzionano che quelle che falliscono. Che poi, non è che ami usare il verbo fallire, intendo solo che la maggior parte mi sono piaciute, ecco.

Storie come Ur, Miglio 81, Tuono d'estate, La duna, Il bambino cattivo e Una morte sono secondo me l'essenza del Kingone al cubo. Auto maledette (Miglio 81), dispositivi elettronici misteriosi, isole che anticipano la morte, bambini crudeli senza motivazioni e condanne a morte sono cose che abbiamo già sentito e amato dalle sue labbra. Non importa, perché quando l'argomento è maneggiato così bene potrà anche essere ripetuto all'infinito ma si ama comunque. Sono aspetti che hanno caratterizzato King fin dal principio della sua carriera e che oggi, dopo anni e migliaia di parole, non hanno perso smalto. Anche quando si corre il rischio di trovarli prevedibili (come è stato per me Giù di corda, già pubblicato in Notte buia, niente stelle), la qualità non cala.

Certo, non sono pazzeschi tutti e 18. Potrei (ehm) anche avere evitato del tutto le poesie. Nel complesso, però, le storie che proprio non mi sono piaciute sono pochissime, una su tutte Blocco Billy, la storia sportiva che mi ha annoiato a morte.
Quando Stephen King scrive racconti, però, tira fuori il meglio dalle sue parole, e ritorna agli antichi fasti.

Più noi pivelli pensiamo che King abbia finito il carburante e si avvicini alla destinazione, più lui se la prende a male e allora ricominciano i brividi.
Di gioia, però.

lunedì 26 giugno 2017

Un tranquillo weekend di paura

19:10
Ogni tanto penso alla mole di film 'storici' che ancora devo vedere, e per riprendermi dalla traumatica lista mi servono i sali.
Arriva sempre il re, Stephen King, a darmi delle direzioni. In Danse macabre parla a lungo e molto bene di Deliverance. Io me la faccio un po' sotto, come sempre quando guardo i grandi classici di genere, ma mi faccio coraggio: oggi è il giorno buono.



Bobby, Lewis, Drew ed Ed sono quattro amici che partono per un weekend all'insegna dell'avventura, per godersi gli ultimi istanti di spontaneità di un fiume che sarà presto rovinato da una diga.
Gliene andrà bene una in questo weekend?
No, neanche a domandarlo per piacere.

Ora, io scrivo sempre le trame con modi ben poco seri, ma qua non c'è proprio niente da ridere. Deliverance è un film cattivo come la morte, che non lascia nemmeno un momento di respiro e che ha tutte le intenzioni di non farsi scordare.
Oggi siamo fin troppo abituati a film la cui trama si dipana da un gruppo di amici che parte per una vacanza e finisce male, ma Deliverance quell'aria malata lì, del 'qualcosa andrà storto', non la propone nei modi ormai a noi consueti. Non ci sono musichette spaventevoli nè uomini sospetti.
Noi li guardiamo con sospetto perché sappiamo cosa accadrà, ma gli uomini che i nostri amici incontrano dal benzinaio appena partiti sono solo chiusi e poco educati. Non siamo dalle parti di Captain Spaulding, per intenderci. Quello lì ce l'aveva scritto in fronte che non stava tanto bene.

Qua inizia tutto in modo più sottile, per poi esplodere in scene tremende senza che ci sia data la minima calma, finito un dramma ne inizia un altro, senza che si riesca ad immaginare un finale positivo per i quattro. L'uomo di montagna è ostile e violento, in modi inimmaginabili e insostenibili da vedere (se quella scena è tanto famosa c'è un perché: è durissima.), e quello di città cerca di barcamenarsi nei modi in cui riesce per sopravvivere. I quattro cittadini, peraltro, sono uomini dalle reazioni plausibilissime e quasi confortanti: piangono, scalpitano, si chiudono in un silenzio martoriandosi dai sensi di colpa, si innervosiscono, si sfogano.
Ed è esattamente questo che con me ha funzionato: l'empatia è stata totale e totalizzante.

Stavo facendo la cyclette mentre guardavo Un tranquillo weekend di paura. 
Mai pedalato così veloce.


sabato 24 giugno 2017

The Handmaid's Tale

15:48
Oggi avevo in programma di rispondere al Liebster Award a cui mi ha nominata Silvia (però magari ci penso domani). Sto lavorando molte ore e quello era un post veloce e semplice da scrivere, e oltretutto le sciocchezze su di me le dico sempre volentieri.
Sono però reduce da un intenso binge watching di The Handmaid's Tale, e le mani bruciano.
Insieme al cuore.



È ovviamente la serie del momento, quindi dirò la trama a grandi linee giusto per quelle due persone che non hanno avuto internet nello scorso periodo.
Siamo in una realtà distopica (non dico futuro perché si parla di Uber e ci sono gli smartphone, siamo ai giorni nostri). Degli Stati Uniti come li conosciamo non è rimasto niente. La società è stata completamente ricostruita, gli uomini hanno completa gestione del tutto mentre le donne sono divise in categorie, in base al loro ruolo. Le Marta sono le donne che gestiscono la casa, le Zie sono le educatrici, mentre le Ancelle sono le donne preposte a mettere al mondo i figli. Delle incubatrici. La nostra protagonista è un'ancella. Come tutte le sue pari ha perso il nome con cui è nata e ora ha il nome dell'uomo che la possiede. Da June che era, quindi, è diventata Offred.

Non che non fossi preparata. Ogni ragazza che seguo e conosco e che ha visto la serie prima di me ne era uscita malmessa. Sapevo, quindi, che sarebbe stato duro, e che mi avrebbe messo alla prova.
Ma quanto, perdio, non lo sapevo mica.

Fino a qualche tempo fa detestavo utilizzare per me il termine 'femminista'. È bastato informarmi, leggere, ascoltare, per capire che femminista io ci sono nata. Oggi lo grido al mondo con ogni mio pensiero, con ogni azione, con ogni sospiro. Fa parte di quello che sono, è lato fondamentale del mio carattere, perché i miei ideali sono quello che mi caratterizzano, come, se posso permettermi, per ogni altro essere umano. Quando siamo usciti dalla visione di Suffragette (l'avete visto, vero? È conditio sine qua non per stare sul mio blog) il mio ragazzo mi ha chiesto preoccupato se stessi bene, forse la mia faccia parlava da sè. Meno male che non può vedermi ora.

È una delle cose più difficili che ho visto in tempi recenti, ma allo stesso tempo è di una forza quasi travolgente, di quelle che ti fanno venir voglia di alzarti e urlare ancora più forte il tuo valore. Niente di quello che è mostrato è irreale. Qui di distopico, mi perdonerete un francese, non c'è proprio un cazzo di niente. C'è slut shaming, c'è oggettivizzazione del corpo, c'è omofobia, c'è giustificazione dell'aggressore, ci sono stupri legalizzati e non, c'è fondamentalismo religioso, ci sono mutilazioni genitali. Non c'è niente di inventato. E io, dalla mia posizione privilegiata, l'ho visto succedere per finta e lo vedo succedere davvero, ogni giorno. E quando non lo vedo, lo sento, lo percepisco, lo ascolto. Capito, antifemministi di questo grandissimo cazzo? (francese di nuovo)
Il problema esiste e non saranno i vostri capricci a farci smettere di combattere per risolverlo.

Sarebbe stato facile lasciarci sprofondare in questo mare di merda e farci annegare. La serie non lo fa. The handmaid's tale è il miglior ritratto delle donne che ho visto in una serie tv. Le protagoniste sono variegate, pliedriche, reali. C'è la donna forte, che prende la sua forza solo da se stessa (Moira), c'è la donna con una forte motivazione esterna (la figlia per June/Offred), c'è la donna che la forza la perde (Ofglen, in una interpretazione che Alexis Bledel scusa se ti ho sottovalutata - sei stata un mostro - e in una scena che mi ha atrocemente commossa), c'è quella che non l'ha mai avuta (Janine), la donna succube del proprio uomo, vittima della sua presenza e sottomessa ai suoi desideri, la donna crudele (Serena).
Ma soprattutto, c'è l'alleanza. Ci sono donne amiche, baci, strette di mano, sguardi che dicono più di ogni altra cosa (sì, va bene, farò gli incubi su quella scena della Bledel nel furgone), pacchetti, abbracci, sentimenti condivisi, incoraggiamenti. E c'è quella scena finale in cui si mostra come l'unione salva le vite, e non c'è niente al mondo che conta di più.

Abbiate il coraggio di dirmi che il femminismo non serve a niente, poi.

domenica 18 giugno 2017

Wonder Woman

12:02
Accolgo sempre le notizie di nuovi cinecomics con l'entusiasmo di un beduino che vede di nuovo la sabbia. Sono piena, basta. Pure Netflix ci si mette, una serie ogni sei mesi. In pratica per liberarmi dei tipi con i costumini dovrei ritirarmi dalla vita virtuale e darmi alla meditazione.
Wonder woman, però, è una felice eccezione. Capirete bene che mandare il mio moroso a vedere due ore di Gal Gadot senza la mia cinica censura a fianco sarebbe stata una missione suicida, quindi mi sono unita.
Niente, non ce l'ho fatta a percularla.



Diana è la figlia di Ippolita, regina delle Amazzoni. Vive con sua madre e le sue compagna sull'isola di Themyscira, e la sua vita scorre felice tra un allenamento e l'altro. La trnquillità dell'isola viene disturbata dall'arrivo di un uomo, Steve, che racconta a Diana di come il mondo sia sconquassato da una guerra tremenda, mai vista prima. Lei si convince che il vero responsabile sia Ares, dio della guerra e nemico storico delle Amazzoni, quindi torna sulla Terra con Steve, nella speranza di trovare Ares e ucciderlo.

Non entriamo neanche nel merito DC/MCU perché quella lì non è roba per me. A livello editoriale ho una simpatia maggiore per DC, perché il mio venerato Sandman esce da lì e perché la mia prossima lettura sarà Hellblazer, ma per me la questione finisce lì. E la competizione a tutti i costi mi sta anche tendenzialmente sulle balle.
Diciamo solo che Wonder Woman fa una cosa che nei miei pochi film visti Marvel manca del tutto: fa della morale il suo punto principale.
Sì, ci sono botte da orbi, citazioni che fanno palpitare il cuore agli appassionati, la guerra e gli effetti senza i quali ormai la gente non va al cinema, ma sono solo un contorno rispetto al grande cuore di Diana, che scende sulla Terra e non si fa contaminare dalla parte peggiore dell'umanit, pur conoscendola proprio quando questo lato peggiore è quello che prevarica. Diana però non è una bimbetta ingenua, occhio a non sottovalutarla. Il fatto che creda nel lato positivo delle persone non significa che sia una stupidella naive che non sa come gira il mondo, perché le osservazioni di Diana sono sempre argute. Piuttosto, fa del suo idealismo la spinta principale per non smettere mai di combattere.
A fine visione alcuni miei amici hanno sollevato la questione 'recitazione della Gadot', esprimendo pareri negativi. Io l'ho trovata adeguatissima.

Mi sarebbe piaciuto evitare la questione femminista, ma capirete bene che mi viene piuttosto difficile data la mia opinione leggerissima sull'argomento.
Forse la cosa che ho amato di più nel film è prprio il modo così affine al mio di trattare il femminismo. Diana è nata in un'isola di sole donne, per lei che le donne possano fare quello che vogliono e che siano padrone di se stesse è naturalissimo. Non ci deve lavorare, non ha costrutti sociali contro i quali combattere, è così e basta. Cresciuta in un mondo in cui le donne non solo non sono mai state sminuite, ma in cui erano proprio la principale arma contro Ares, le riesce impossibile pensare all'umanità come divisa in due generi. Non se la prende nemmeno troppo quando qualcuno degli uomini cerca di proteggerla, lei fa quello che le pare punto e basta. Non ha bisogno di puntare i piedi, non deve nemmeno alzare la voce, quando le gira lei volta i piedi e se ne va.
Questo non significa che per lei gli uomini siano creature del demonio. Non li detesta affatto, anzi, ci diventa amica e li ama come amava le sue sorelle su Themyscira. Sono esattamente suoi pari, che è poi la lezione di questa ultima ondata del femminismo.
Beh, magari non proprio suoi pari, ché se questa ti guarda storto ti spezza una gamba, ma ci siamo capiti.

Da questo punto di vista il film mi è piaciuto tantissimo, sono uscita dalla sala senza nemmeno detestare la Gadot per la sua sfacciatissima bellezza inumana, e secondo me il vero risultato del film è questo.

giovedì 15 giugno 2017

Un giro in libreria #2: ET Einaudi e Graphic Novel

18:25
Sono tornata in libreria. Questa volta in Feltrinelli, perché nella mia città ci sono quasi solo librerie di grandi gruppi editoriali. Questo è perché Cremona attende in ansia che io apra il mio piccolo e intimo caffè letterario che venderà anche libri usati e farà la gioia vera di grandi e piccini.



A balzare subito all'occhio è inevitabilmente la promo Einaudi: compra due ET e ti regaliamo il telo mare de L'isola del tesoro (che, ammettiamolo, è proprio un gran bello).
È già stato fatto da blogger ben più rilevanti della sottoscritta, ma se non sapeste come barcamenarvi nel marasma dei tascabili Einaudi, ecco i miei due spicci, esclusi i classici:


  • per gli idealisti politici, attaccati alla sinistra vecchio stile, che tutti gli anni vanno a mangiare pane e salamella alla Festa dell'Unità: gli scritti di Augias e Berliguer sono ET. 
  • girl power: Chimamanda Ngozi Adichie, Margherita Hack, Concita De Gregorio, Michela Murgia, Alice Munro.
  • gialli: qua ci potrebbe essere da sbizzarrirsi, di giallisti ne è pieno l'universo. Un solo nome, però, spunta nell'arido cuore mio. FRED VARGAS.
  • da regalare all'amico hipster: David Foster Wallace. Ma proprio tutto, in pratici formati convenienza. Se Infinite Jest risulta un po' poco pratico da trasportare, allora ci si può buttare sulle Brevi interviste per uomini schifosi.
  • se vi serve un piantino liberatorio: tutto quello su cui potete mettere le mani di Kazuo Ishiguro. Ma non prendete sottogamba nemmeno il fattore lacrima di Philip Roth. 


Infine, le novità graphic (che sono novità almeno per me). Ribadisco quanto detto la volta scorsa: ora che tutti leggono i fumetti le case editrici si adeguano.
Della già citata collana di Mondadori, Oscar Ink, ha colpito la mia curiosità Monstress, fantasy ambientato in un mondo in cui la popolazione è divisa per razze, e che ha per protagonista una donna che sembra avere possessioni demoniache.
Sono inoltre sempre più tentata da Saga, che in ogni libreria in cui vado sta lì, a sfidarmi. Certo, in attesa di essere acquistati ci sono anche Paper Girls e Strangers in paradise, ma non è che ho i miliardi a disposizione. Alla fine il fil rouge di quello che mi attira è il mood anni 80, amici, mostri e fantasy. Niente che sia il mio genere del cuore, in realtà, eppure in forma di fumetto è questo che attira sempre la mia attenzione.
Per suscitare in voi le mie stesse voglie a proposito di questo maledetto calderone mangiadenaro che è l'editoria a fumetti, lascio qui questo video, che se devo soffrire io almeno soffrite con me:


lunedì 12 giugno 2017

The town that dreaded sundown

11:17
Ogni volta che negli ultimi mesi ho aperto un sito di streaming, per scegliere il film da vedere, sono incappata in questo. Mi dicevo che il titolo era un gran bello ma poi lo lasciavo lì, e mi lasciavo prendere da altro.
Oggi mi sono decisa.



Texarkana è una città che si trova sul confine tra Texas e Arkansas. Negli anni 40 era stata vittima di una serie di brutali omicidi, per mano di un serial killer chiamato Il Fantasma. 60 anni dopo Il Fantasma è tornato.

Ho questa impressione, che potrà essere confermata o smentita dagli amanti del cinema in senso più 'tecnico' di me: negli ultimi anni sono spuntate pellicole che hanno una grossa caratteristica comune e che alla fine della fiera si sono rivelati alcuni tra gli horror migliori del periodo. Prendono gli elementi 'canonici' di un particolare sottogenere (lo slasher regna incontrastato), li mettono tutti bene in fila su un tavolo, poi si lanciano sul tavolo e fanno l'angelo con le braccia e le gambe per spostare tutti questi elementi e rimescolarli, dando loro nuova luce, nuovi significati, pur rimanendo fedeli alla loro natura.
Il primo film che ho notato (nella mia ignoranza) fare questo giochino è stato Quella casa nel bosco, osannato come l'horror dell'anno del 2012 (che aveva comunque altre uscite interessanti). Ci sono stati poi It follows, The final girl, e, oggi, The town that dreaded sundown. Dove con oggi intendo tre anni fa, ma ci siamo capiti. Quest ultimo, in particolare, non è solo una rivisitazione di un genere che sembra essere il più diffuso anche tra chi gli horror non li guarda, ma è anche un monumento al film di cui è remake e che io, colpevole, non ho visto. Il film del 1976 è in tutto e per tutto un personaggio fondamentale del suo remake, rendendo quello del 2014 un film intrigantissimo. È metacinema felicissimo di esserlo. 
Oltre a ciò, è anche uno slasher con tutti i crismi, con il villain con la maschera, le morti violente e tutto il resto, sempre per quel discorso che gli elementi classici non vengono toccati ma solo riadattati. 
Ma la cosa più importante, che se vogliamo essere onesti nel mio cuore batte tutto il discorso sopra, è che The town that dreaded sundown è un film bellissimo, pieno di colori e movimento, 
E tanto mi basterebbe. Se poi c'è anche il resto, beh, io non mi lamento.

giovedì 8 giugno 2017

Il paradiso degli orchi, Daniel Pennac

16:33
Come avevo detto nel primo post sul giro in libreria, mi sono finalmente decisa a conoscere Malaussène.
Ho fatto bene.


Benjamin Malaussène è un capro espiatorio. Di lavoro, infatti, si prende la responsabilità di tutti gli errori di un centro commerciale, recitando la parte del pover'uomo e convincendo i clienti a ritirare le lamentele. Quando torna a casa si occupa dei suoi fratellastri e delle sue sorellastre, che la madre gli ha lasciato in gestione per andare in giro per il mondo con la fiamma del momento. Un giorno, nel centro commerciale scoppia una bomba. E poi un'altra, e poi un'altra.
Chi potrà essere il primo sospettato, se non un capro espiatorio?

Sapevo che Pennac mi sarebbe piaciuto. La sua fama lo precede, e sapevo che questo modo fresco di scrivere mi conquista sempre. Ero stata ben attenta a non costruirmi delle aspettative particolari, però, ché quelle lì sono delle nrutte bestie e rovinano sempre tutto. Quello che non sapevo, quindi, era quanto Pennac mi sarebbe piaciuto.
Ora lo so: tanto.
Se la bizzarria della famiglia Malaussène non fosse sufficiente a farvelo amare, e io credo basti da sè, vi dirò di più: la scrittura di Pennac è deliziosamente inaspettata. Pensavo a qualcosa di molto elementare nello stile che finiva per avere il suo risalto nei contenuti. Niente di più sbagliato.
Daniel Pennac scrive in un modo incantevole, che è sì leggero e scorrevole come olio di cocco sulla padella calda su cui state per fare i pancakes, ma è molto meno immediato rispetto all'idea che mi ero fatta. Nelle prime pagine, soprattutto, in cui il rapporto tra i membri della famiglia Malaussène non è ancora chiarito, serve un momento per fare il punto della situazione senza finire a pensare di essere impazziti.
La routine familiare è adorabile, ogni fratello ha caratteristiche e passioni molto pronunciate, che rendono ciascuno indimenticabile a modo suo. L'equilibrio in cui Benjamin deve restare per gestire da solo una famiglia molto numerosa e un cane epilettico ricorderà a tutti gli assurdi giochi di gestione familiare, in cui le bizzarrie di ciascuno non sono più assurde ma quotidiane, in cui ogni secondo della giornata è incastrato alla perfezione per non lasciare fuori le necessità di nessuno e in cui, tutto sommato, è l'affetto a tenere in piedi la traballante baracca.
Oltre a ciò, il giallo, le bombe che esplodono e i personaggi altrettanto inconsueti che lavorano nei Grandi Magazzini. Niente è lasciato al caso, ogni dettaglio è curato e divertente, e sì, ogni dettaglio fa ridere.
Fino alla risoluzione del caso, lì non c'è proprio niente da ridere.
Ed è lì che Pennac passa dal raccontare una storia buffa ad una ben più grande con un solo giro di pagina. In poche righe il romanzo assume tutt'altra piega, entrando nella lista dei Grandi, facendosi spazio nel cuore del lettore senza che questo nemmeno se ne renda conto.
È troppo impegnato a ridere.

lunedì 5 giugno 2017

Raw

16:06
Circa un anno fa Twitter è esploso dopo l'uscita delle prime news su questo misterioso film franco-belga che doveva essere la nuova frontiera del gore. Per giorni gli account di cinema che seguo non hanno parlato d'altro, non facendo altro che far crescere la mia già notevole scimmia. Che vi devo dire, io in queste campagne ci casco con tutte le scarpe, quindi mi sono seduta comoda comoda in un angolino e ho aspettato.
E ho aspettato.
E ho aspettato.
Fino ad oggi.




Justine parte per l'università. Si è iscirtta a veterinaria, facoltà che sta frequentando anche la sorella maggiore, Alexia. Al suo arrivo è sottoposta agli scherzi che vengono fatti alle matricole. Quello che i suoi compagni più grandi non sanno, però, è che Justine tende al cannibalismo (non che lei ne sia a conoscenza, comunque), e che darle da mangiare della carne cruda forse non è una buona idea.

L'avete letto Danse Macabre, di Stephen King?
Se non l'avete fatto fatelo, io vi faccio solo uno spoilerino: quando il Re parla de L'esorcista dice che è una bellissima (e terrificante, ndr) metafora della pubertà. Corpo che cambia senza controllo, bisogni diversi, incapacità di riconoscere se stessi. Ragazze, il vostro primo ciclo ve lo ricordate come se fosse successo cinque minuti fa, giusto? Se è così, e non mi sento di andare contro a lui, allora mettetevi comodi, perché Raw è L'esorcista del 2017.

QUALCHE SPOILER 

Parole forti? Parole forti.
Però guardate che Raw è più forte ancora.
Lo so, lo so, la campagna che lo ha anticipato (e che ha fatto cascare me tra le sue braccia fin dal primo istante) non gli rende giustizia. O forse sì. Perché se fare del becero allarmismo (giente svenuta in sala!1! vomitini verdastri!) porta le persone ad avere voglia di guardarlo, allora ben venga, perché film così vanno visti e diffusi, va sparso il verbo. Poi ci sarà di sicuro quello che lo odierà perché non è splatter come l'avrebbero voluto, ma noi sappiamo che di loro ce ne deve importare meno di niente, vero Julia? Perché tu hai girato un film intensissimo e profondo, hai guardato all'anima delle persone fin nel punto in cui fa più paura, e l'hai messa su pellicola, non smettendo nemmeno per un istante di renderle giustizia. Perché i personaggi di Raw sono sfaccettati come diamanti, e non perdono di credibilità nemmeno quando si mettono a mangiare carne umana.
Justine è la ragazza modello: non beve, odia le feste, ragazzina prodigio dalla mente geniale che non copierebbe mai un compito e che ama gli animali come le persone. Alexia è provocatoria, scaltra, distante dalla sua famiglia di perfettini. Adrien è il coinquilino omosessuale.
Alla fine della fiera, però, Justine è quella che limona allo specchio pronta a fare le cosacce, Alexia è quella fragile e Adrien è quanto di più lontano dallo stereotipo del gay tutto Spice Girls e arcobaleni, e se gli scappa si fa anche le donne. È un veloce esame su quanto siamo lontani da quello che crediamo di essere (Sense8, s2e1, Lito e Van Damn, vi dice niente?), su quanto la nostra personalità non fa altro che crescere, e cambiare, per poi cambiare di nuovo.
Forse le creature che si aspettavano il film più violento di sempre saranno rimasti delusi. Io no, perché un paio di scenette da pelle d'oca ci sono state e il mio stomaco mi ha detto che andava bene così, tante grazie. Se quelle riuscite a sopportarle, ci sarà il rifiuto di Justine per se stessa a non farvi dormire la notte.
Con tanti cari saluti all'horror 'estremo'.


Recensioni che vi convinceranno che Raw è il film che dovete vedere stasera:
Shiva Produzioni
The Guardian
Ilgiornodeglizombi

giovedì 1 giugno 2017

Nonsolocinema: I segreti di Heap House

15:42
Maledette siano le aspettative e chi le ha create. O ancor più maledetta io, che mi conosco eppure continuo a farmele.
Puntavo questo libro da mesi. Avvistato in libreria e bramato immediatamente, è stata la lettura più desiderata di questi mesi.
Mi è piaciuto?
No.
E adesso venite a dirmi che non è una sensazione da schifo.



La famiglia Iremonger è disprezzata dall'intera città. Vive in una casa costruita da e su una discarica, e ha consuetudini molto radicate e bizzarre. Per fare un esempio, ad ogni Iremonger viene consegnato un oggetto natale, cioè un semplice oggetto della vita quotidiana (come un tappo da bagno) da conservare con estrema cura. Clod è un membro della famiglia, un ragazzino esile e malaticcio che ha la caratteristica di sentir parlare gli oggetti natali.

Quello che mi fa incazzare è che le premesse le ho amate. Se andassi in libreria e trovassi un altro libro simile, lo vorrei allo stesso modo, perché se c'è qualcuno che ripensa con nostalgia ai bei vecchi tempi in cui il nominatissimo Tim Burton faceva bei film quella sono io. I segreti di Heap House avrebbe potuto essere un nuovo La sposa cadavere e rendermi la ragazza felice e piena di soddisfazioni che ogni tanto credo di meritare di essere.
INVECE NO.
Quanto le volevo quelle atmosfere weird un po' schifosine in cui non capisci bene se i personaggi ci sono o ci fanno, volevo i rapporti familiari malsani, volevo un clima goticheggiante mischiato con una dose inaspettata di ironia. Questo mi diceva la copertina, questo suggeriva la quarta, così mi ha illuso Bompiani.
Tu quoque, Bompiani mia?
Mia amatissima, incantevole casa editrice. Nel post di giovedì scorso avevo appena palesato al mondo il mio amore per te, e tu ti prendi gioco dei miei sentimenti così, con un romanzetto che ci prova fortissimo a fare l'Henry Selick della situazione ma manca l'obiettivo cadendo rovinosamente nella pila dei libri non riusciti.
(Avete mai notato che nelle foto di profilo Selick pare l'Uomo Pallido de Il Fauno? Sono pazza?)

Ci sono gli ambienti giusti, ci sono alcuni personaggi che mi sono piaciuti (la Nonna e Tummis), altri che ho detestato in ogni momento (Lucy, Lucy, LUCY!), ma tutto sommato è il mordente che è mancato. Non ho letto passione, non ho letto la storia un po' marcia e un po' romantica che mi aspettavo. Mi fossi limitata a volere una lettura piacevole magari l'avrei pure amato, ma così no.

Peerò, oh, i disegni dell'autore quelli sì che son proprio belli.

sabato 27 maggio 2017

Non solo horror: Dark Places

20:02
Giro intorno a Gillian Flynn da quando ho visto Gone girl, quella perla scattata di colpo tra i film più belli che abbia mai visto. Non ho ancora finito di girarle intorno, perchè i libri non li ho letti, ma almeno mi sono procurata Dark Places, tratto da un altro dei suoi romanzi.
Le aspettative erano alle stelle, e non sono stata delusa nemmeno per un istante.



Charlize Theron è Libby Day. Una trentina di anni prima sua madre e le sue sorelle sono state assassinate e per l'omicidio è stato arrestato il figlio maggiore, Ben. Libby è sul lastrico, e quando un gruppo di appassionati di cronaca la assolda per indagare di nuovo sul caso Libby accetta.

Se dopo Monster avevamo bisogno di una conferma sulla Theron, eccola qua: è bra vis si ma. Libby è traumatizzata, torturata dal più tremendo dei lutti e sola al mondo. Ha un viso indurito dal tempo, è rigidissima e intoccabile, e queste caratteristiche piazzate sul viso algidissimo della Theron sono state un mix micidiale.
Ci fosse solo la Charlize sarebbe già un bel film, invece si rivela ottimo perché la storia è eccezionalmente intrigante, come adesso mi aspetto da ogni cosa scritta dalla Flynn, molto più articolata dei thriller commercialotti a cui siamo abituati (sì, Glenn, sì, Dan, parlo di voi).
La figura di Ben è la meglio costruita di tutta la vicenda. Il Ben giovane e quello adulto sono sfocati, dai contorni vaghi, indecifrabili fino alla fine. Il primo incontro che abbiamo con lui, in carcere, è serimente inquietante, quella mano sul vetro a me ha dato i brividi, un po' per la bravura dell'attore e un po' per la forza della convinzione che, noi insieme a Libby, abbiamo della sua colpevolezza.

Io non ho un gran cultura di thriller, devo dire la verità. Se ce n'è un tipo che amo, però, è quello in cui il vero mistero sono le anime dei personaggi. Non è che la storia non sia interessante, anzi, ma come in Gone girl sono le persone ad essere ancora più interessanti del caso. Ognuno è spinto da motivazioni potenti e dolorose, nessuno è quello che sembra e soprattutto alla fine della storia nessuno è lo stesso che era ad inizio film. L'influenza che quello che viviamo ha su di noi è profondissimo e Libby ne è una prova evidente. Il suo trascorso nella vicenda, sia nel passato che nel presente, il processo di autocritica e perdono, sono il vero fulcro del film, e lo trasformano da bel film a lavoro splendido.

Adesso la Flynn la leggo davvero.
Davvero.

giovedì 25 maggio 2017

MI SA CHE HO SCRITTO UN LIBRO

17:38
Una blogger che scrive libri: originale, nevvero? 
Ok, forse il titolo è un po' clickbait, con il caps lock e tutto il resto. Ma un libro l'ho scritto per davvero.
È un racconto, un racconto per bambini e ragazzini.
Si chiama Per l'amor di Asgard e sta su Amazon. Più avanti vi spiego i dettagli per averlo, nel caso in cui vogliate farmi l'immenso onore di leggerlo.

Due parole nel caso in cui vogliate sapere di cosa parla: il protagonista è un undicenne che decide di scappare di casa, stanco delle punizioni della madre. Si trasferirà in un bosco alle porte di Reggio Emilia, dove scoprirà di non essere solo. Non resterà a Reggio molto a lungo.


Nella vita voglio scrivere, mi sembrava ovvio dal momento in cui ho aperto un blog. Un secondo progetto è già nella mia testa, e sta occupando i miei pensieri da giorni. Andrea e la sua storia sono stati il primo passo verso quello che voglio fare, e che indirettamente faccio da sempre. Per ora la mia scelta è stata 'domestica': il libro non è stato editato da nessuno che non sia la sottoscritta, la copertina è un disegno della mia migliore amica Elena, che non sarà mai ringraziata a sufficienza per avere trovato un angolino di tempo per questa cosa nella sua vita frenetica. Il mio proofreader è stato Riccardo, il mio ragazzo, costante supporto e consiglio in tutta la (lunga) fase di stesura e revisione. Riccardo è stato anche ispirazione per Andrea, insieme ad un bambino, cliente abituale del bar in cui lavoro, il Capitan Pirla a cui il libro è dedicato. Ha anche un nome, Capitan Pirla, ma per ora lo terrò per me. Se lo conosceste lo amereste quanto me, è un personaggio incredibile.

Per l'amor di Asgard lo trovate qui. Costa 1,99€.

Angolino spiegone per gli amici meno abituati al mondo di Amazon. 
Funziona così:
Acquistate il libro con il vostro account Amazon e lui ve lo mette in download. Per leggerlo occorre un Kindle. Non avete un Kindle? Non tutto è perduto! Dal Play Store del PC, del telefono, o del vostro lettore ebook vi scaricate l'app di Kindle (che è gratis), la collegate al vostro account Amazon e il libro arriva comodo lì. Anche sul cellulare. Agilissimo.

Mi tremano le mani, e mi hanno tremato ininterrottamente per le scorse settimane, al pensiero che questa cosa fosse davvero finita, davvero mia, davvero reale. Nella mia testa lo è sempre stata, ma ora lo è per tutti, e se vi chiedeste se la Mari se la sta facendo sotto la risposta è TANTO.
Ma ho lasciato che Andrea stesse chiuso in un cassetto per troppo tempo, ed è ora che la vita smetta di far paura a me e anche a lui. La sua mamma lo sta lasciando libero nel mondo, e sarà durissima non riportarlo tra le braccia familiari.
Non sarò affatto in grado di gestire alcunchè di quello che verrà dopo, le critiche e l'ansia e la frustrazione. Non so nemmeno cosa succederà dopo: se resterò sempre e solo su Amazon, se mi allargherò, come e quando lo farò. Lascerò che le cose scorrano per un po' da sole prima di prendere decisioni.
Ma con oggi inizia un viaggio, e sono felicissima di avere voi con cui condividerlo.


martedì 23 maggio 2017

Un giro in libreria #1

08:05
Domenica sono andata al cinema. Sono partita in anticipo da casa perché la mia insonnia mi ha impedito di fare la pennica pomeridiana, e dopo aver sottoposto il mio martire fidanzato a prove di vestiti e critiche sui negozi che non hanno mai niente, sono entrata in libreria, che sta proprio di fianco al mio multisala di riferimento.
(È una libreria Giunti, se amici di Giunti volete iniziare a finanziare questa serie di post scrivetemi che ci accordiamo per il tariffario)
Insomma, sono lì che vago e mi è venuto in mente che potremmo anche fare due chiacchiere insieme sulle novità, su cosa mi ha intrigato e su cosa no, sul mondo dei librai, eccetera. La nuova rubrica avrà cadenza rigorosamente casuale, come di consuetudine da queste parti.


Partiamo dalle novità che mi hanno colpita nel mio povero cuore sensibile:

✤ Il nuovo Stefano Benni, Prendiluna.
Parliamo di Benni. Perché si parla sempre così poco di Benni? Cos'ha il mondo contro uno dei più adorabili scrittori italiani contemporanei? Secondo me è meraviglioso, e se vi ricordate bene a me la gente che vuole far ridere annoia. Lui però è più intelligente della media, è brillante, mai ripetitivo, spumeggiante. Ho letto la quarta e niente, è finito irrimediabilmente in wishlist, anche se prima voglio leggere quel La bottiglia magica illustrato che ancora mi manca.

Ombre. 
Io di arte pittorica non so niente. Lacuna mia, senz'altro, ho solo col tempo dato la precedenza ad altre arti. Di recente, però, sono incappata in un signore: Edward Hopper, e mi sono innamorata. I suoi quadri mi calmano, mi danno un senso di pace infinito e siccome io ho sempre una tempesta in corso direi che è arte necessaria. Arrivo tra le novità, e spunta un libro che ha del miracoloso: una raccolta di racconti, ognuno ispirato da un quadro di Hopper, scritti da alcuni tra i nomi più importanti della letteratura americana. Due nomi tanto per dire che il libro nella mia mente è già mio: Stephen King (fingete sorpresa) e Lei, Joyce Carol Oates, il più grande Nobel mancato per la letteratura. Tra gli altri, Lee Child e Joe R. Lansdale, due cretini a caso.
Vi chiederete se cotanta perfezione letteraria non sia finita nel mio carrello. No, perché è edito Einaudi, e si vede che gli amici di Einaudi non hanno capito che 18 sberle per un libricino relativamente breve con copertina flessibile sono un attimino tanti.

✤ L'ultimo capitolo del Ciclo di Malaussène, di Pennac.
Quando ho fatto il cambio di libri sull'ebook l'ultima volta, ci ho infilato i primi due volumi del Ciclo. So per certo che Pennac è esattamente nelle mie corde, però per qualche motivo l'ho sempre rimandato. Vedere lì l'ultimo volume, leggere la quarta, mi ha lasciato vagamente intendere che il mio cuore aveva già deciso: finisco quello che sto leggendo ora e poi passo a Pennac, arrivederci e grazie.

Black Monday vol. 1
Parliamo di fumetti. Fino a qualche tempo fa nessuno leggeva fumetti (me compresa) e chi lo faceva era uno sfigato. Oggi le chiamiamo graphic novel perché siamo diventati radical chic e le leggiamo tutti (sempre me compresa). Le case editrici si sono adeguate e pian pianino stanno tutte inserendo la loro bella collana di fumetti. Mondadori poteva forse esimersi? Ma no, quindi crea gli Oscar Ink. Ora, io credo di non aver mai dato soldi alla famiglia B. manco tramite libri, e credo continuerò su questa strada. Però, nella ovviamente ampliata sezione fumetti della Giunti, spunta questo Black Monday che cattura il mio sguardo. Innanzitutto perchè è nero, quindi l'ho preso per riflesso incondizionato. Sembra essere una storia un po' demoniaca e un po' sul potere del denaro, e non nego di esserne intrigata. Mi sa che lo cerco in inglese.

Passiamo poi alle chiacchiere generiche che non sono novità ma che faccio sempre dopo un giro in libreria:

Bompiani continua ad essere la mia casa editrice preferita. Se nessuno al mondo nel mio cuore batterà mai Salani per quanto riguarda la narrativa per ragazzi, devo riconoscere quanto Bompiani sia diventata la mia prediletta negli ultimi anni. Aldilà del catalogo che incontra il mio gusto, e che quindi è un parametro soggettivo (Jonasson, Tondelli, Faber, Vonnegut, tanto per dirne alcuni che mi fanno felice), i libri Bompiani sono gli unici al mondo a farmi rivalutare la mia scelta digitale. Sono oggetti splendidi, di qualità altissima, con delle copertine che ogni volta sono un incanto. Si, gli Adelphi sono eleganti come nessuno e gli Einaudi sono il paradiso del miminal lover, ma i Bompiani sono dei gioielli di carta. Ero in estasi.

Non so che piega prenderà questa rubrica, ma finchè ci sono dei libri ci sarà sempre qualcosa di cui parlare.



lunedì 22 maggio 2017

Get out

11:25
È successo di nuovo. È arrivato il film chiacchieratissimo, pompatissimo, discussissimo, il film fulcro del 2017, senonlovediseinessuno.
La cosa più importante della massiva campagna pubblicitaria che ha anticipato l'arrivo di Get Out è che il film è bello per davvero.



A meno che non viviate sulla Luna (fortunelli), la trama la conoscete. Agli alieni in ascolto la racconto: Chris è un ragazzo che deve sottoporsi alla tortura di andare un weekend a conoscere la famiglia della fidanzata Rose. Come se questa non fosse già una trama sufficiente ad un grande film dell'orrore, ecco che la famiglia si rivela ancora più bizzarra della media delle famiglie comuni.

Dal trailer buona parte della questione è comprensibile, ma non fatevi ingannare: la vera storia è meno prevedibile del previsto, soprattutto nella sua parte conclusiva. La cosa davvero bella, però, è che il film è disseminato di frecciatine, riferimenti, doppi sensi, divertentissimi e intriganti. È impossibile restare indifferenti, giocare a chi capisce prima cosa succeda è inevitabile. Guardarlo a casa è quasi consigliabile, soprattutto in compagnia e soprattutto con soldi da scommettere. Io perderei tutti i miei averi perché non capisco mai niente, ma tant'è.
Si parte con un cervo investito, e da lì è tutto in discesa. La tensione inizia ben prima di arrivare a casa della famiglia di Rose, un po' perché ci si arriva carichi delle immagini di cui siamo stati sommersi e un po' perché effettivamente il film è molto rapido nel dirti che qualcosa non andrà bene.
Il cervo è solo il primo dei presagi di malasorte.
Guardato poi con occhi provati dall'aspettativa, ogni frase, ogni immagine, ogni scena è una guida verso il male che accadrà, e il film non fa proprio niente per impedirlo. Chris vive la situazione dall'interno e ci mette un po' a vedere che qualcosa di storto c'è, ma noi siamo lì proprio per aspettarlo, e vediamo il marcio in ogni cosa.
Non che ci sbagliamo, comunque.
Questo gioco tra la consapevolezza dello spettatore e quella del protagonista, che abitualmente mi fa venire in mente nomi ben più conosciuti di quello di Peele, che è al primo film, a me ha soddisfatto tantissimo. Da tempo non mi attaccavo allo schermo con uno sguardo così coinvolto, da tempo non volevo urlare al protagonista di non andare da quella parte.
Con l'inserimento dei due servitori di colore, poi, ho toccato le stelle. Inquietanti il giusto senza mai scadere nello strepitio del 'Ehi! Lo vedi che qualcosa non va? Non siamo proprio normali!', ma con il giusto equilibrio di normale bizzarria umana e lieve eccesso della stessa.
Ad un certo punto, poi, mentre già ero lì che sfregavo le mani dalla soddisfazione, ecco che compare Caleb Landry Jones. E allora, in quella sala mezza vuota, avrei voluto alzarmi in piedi ad applaudire, perché é BRAVO BRAVO BRAVO e a me quelli bravi bravi bravi rendono felice.

La cosa migliore, però, e mi rendo conto che qui si toccano i gusti personali, è che il film sceglie di non farci vedere le mazzate in testa, ma di deviare in qualcosa di simil-paranormale, in una delirante conclusione che però, a me, è piaciuta da impazzire. Inaspettata e folle, prende per il collo i nostri privilegi bianchi e, prendendoci abbondantemente per il sedere, li rispedisce al mittente, senza privarci di un po' di sana umiliazione.
Con It a ottobre è difficile parlare di film dell'anno, almeno tra quelli che usciranno in sala, ma oh, io son proprio contenta.

sabato 20 maggio 2017

#CiaoNetflix: Trollhunters

17:10
Vediamo: Netflix che crea una serie animata che ha evidentemente a che fare con i troll firmata da Guillermo Del Toro.
Evasione in massa da questo post (che arriva in ritardo colpevolissimo) per andare a vederla, suppongo, perché non mi vengono in mente combo più felici.
Rischio: non totale oggettività, GDT è pur sempre il mio grande amore. Però vi garantisco che Trollhunters è splendido davvero.



Il protagonista è Jim, un ragazzino normalissimo, forse un po' sfigatino, che un giorno viene scelto  da un amuleto per diventare il protettore dei troll buoni, per difenderli da quelli meno buoni. Il trollhunter, appunto.

Ma allora, perché il titolo è al plurale?
Ah, mettetevi comodi, perché è stupendo.
Jim mica sa niente dei troll. Come noi, nemmeno sapeva che esistessero. Poi, di punto in bianco, un amuleto, e una vita rivoluzionata. Mica solo quella di Jim, però, perché Jim non è solo. Toby, il suo migliore amico, diventa la spalla che serve ad ogni eroe. Barbara, la mamma, nota che il figlio, fino ad un momento prima così adulto e responsabile, improvvisamente diventa un misterioso adolescente dal comportamento un po' troppo strano. Claire, la belloccia della scuola, viene derubata del fratellino minore...la vita di tutta la città di Arcadia è messa sottosopra.
Ed è qui che inizia il bello. Il trollhunter si circonda di anime amiche, di sostenitori ed aiutanti, di consiglieri e protettori, e il ruolo che fino ad allora era stato ricoperto da un solo troll alla volta ora è un lavoro di squadra, di trollhunterS, appunto.
La squadra di amici, umani e troll, è solo uno dei vari modi in cui Del Toro usa la serie per parlare di famiglia. Jim è stato abbandonato dal padre e vive con una madre un po' troppo impegnata col lavoro ma comunque molto presente, i genitori di Toby sono morti, le famiglie troll cercano per i mondi sotterranei i loro membri, Claire combatte i mostri per riprendersi il fratellino, Draal teme di deludere il padre...
La famiglia diventa più o meno direttamente il movente di ogni azione, di ogni combattimento, di ogni scelta. Anche la famiglia che non ha vincoli di sangue. E lo diventa senza bisogno di scene madri con bambini straziati e piagnistei inutili. Conservando un'ironia adorabile (e da Del Toro non mi sarei mai aspettata le risate scorreggione), soprattutto in quel Tobias che è un personaggio perfetto, si toccano picchi altissimi di approfondimento, emozione ed avventura. Sì, anche emozione, perchè mi sono commossa pure in un cartone sui troll, maledetto messicano.

Ma d'altronde, chi si sarebbe mai aspettato qualcosa di meno, da lui?

giovedì 18 maggio 2017

Non solo cinema: Breve storia di (quasi) tutto

19:42
Mai letto saggi in vita mia, fino ad ora. Sono sempre stata tra quelle spaventate all'idea di leggere polpettoni infiniti, e i romanzi continuano ad essere quello che cerco più volentieri.
Però è arrivato Bill Bryson, e qualcosa è cambiato.


Breve storia di (quasi) tutto è quello che promette: un lungo racconto sulla nascita delle scienze come le conosciamo oggi.
Spoiler: fa tanto ridere.

Partiamo dai miei precedenti: io sono un'umanista, mi pare quasi ovvio. Alle superiori ogni parvenza di scienze mi dava la nausea, ho sempre fatto francamente schifo in ogni materia scientifica e oggi non so niente. NIENTE NIENTE. Esco con una compagnia di persone decisamente più intelligenti di me che ogni tanto si perdono in interessantissime discussioni di natura fisica, o chimica, o medica, e sono certa siano divertentissime. Io mi limito al sorrisino da bionda a cui si è bucata la gomma della macchina e attendo che si ritorni a parlare di scemenze, quelle che mi vengono meglio.
Adesso, però, posso raccontare loro di quel ricercatore che si beveva tutti i beveroni e infatti l'hanno trovato secco sul tavolo della cucina perché chissà cosa si era preparato.
E sapete perché?
Perché il testo di Bill Bryson è così.
Con un linguaggio a prova della bionda di cui sopra, ripercorre la storia dell'umanità e delle nostre conoscenze, riuscendo, ai miei occhi in maniera miracolosa, a non essere mai noioso. E badate che il libro è lungo venticinquemila pagine, il rischio c'era.
(Parlo per iperbole, ormai ci siete abituati, vero?)
La sua ironia è sottile e inaspettata, spunta tra una spiegazione e un racconto, con una battuta fulminea o con un aneddoto incredibile, ed intrattiene con la piacevolezza di poche cose che ho letto di recente.
Quanto avrei voluto leggerlo al liceo! È brillante, spiritoso, scorre come acqua fresca, e fa onestamente tanto tanto ridere, ma proprio di gusto.
Io non credo che qualche mia compagna di classe del liceo legga il mio blog, ma riesco ad immaginare i loro volti di fronte a me che rido di gusto quando si parla di fisica. Esterrefatti.
Lo sarebbe anche il professor Barbieri, il portatore originario dell'epiteto 'nano malefico' prima che Berlusconi entrasse nella mia vita da cittadina votante.

Breve storia di (quasi) tutto è il saggio da leggere se odiate i saggi, se non vi piacciono i polpettoni ma avete comunque uno sguardo curioso sul mondo.
Ah, e dice la verità su Einstein. acciocchè vi sia possibile umiliare pesantemente quelli che su facebook mettono foto improbabili con citazioni che il vecchio E. non ha mai fatto.

lunedì 15 maggio 2017

Personal shopper

18:28
Dove ci sono i fantasmi ci sono io. Anni di blogging, anni di cinema, ma il mio cuore è sempre con gli ectoplasmi, sono i miei preferiti.
Arriva quindi una cosa molto intrigante, ci sono i fantasmi, io in visibilio. Poi scopro che si parla di fratelli, ouch. Tema sensibile. Cautela.
Non so che aspettative avessi, ma alla fine Personal shopper è stato una sorpresa incredibile.


La personal shopper del titolo è Maureen, che vive a Parigi facendo appunto acquisti per una villanissima divetta, mentre aspetta segni dall'aldilà da Lewis, il suo gemello morto da poco.

Partiamo da un presupposto: c'è qualcosa, nella Stewart, che mi causa un'irritazione quasi fisica. Mi rendo conto che questa sia una frase davvero maleducata e infantile, e vi garantisco che non ha nulla a che vedere con Twilight. C'è solo qualcosa nel suo viso, nella sua gestualità e nelle sue movenze che proprio mi fa antipatia. Quindi ideona guardare un film in cui c'è praticamente solo lei.
Però c'è un però.
Quel suo viso così statico, con quelle espressioni che davvero non apprezzo, è sfruttato alla perfezione col personaggio di Maureen. Tipo Affleck in Gone girl per intenderci: ha la faccia da babbo, ma siccome è babbo anche il personaggio allora tutt'apposto.
Dico che è perfetta perché Maureen è bloccata. Ha un lavoro che non le piace, un ragazzo lontano, un fratello perso per sempre, pochi rapporti umani che non siano filtrati dalla tecnologia. Anche le comunicazioni con l'aldilà sono virtuali. È in piena elaborazione di un lutto mostruoso, con un dono da imparare a gestire (è una medium), e l'unico umano che ha vicino è proprio quello che più di ogni altro le ricorda il fratello.
Eppure sta lì, non scappa da una vita triste e insoddisfacente, non si avvicina agli amati per farsi aiutare. Sta lì perché lei e Lewis si sono fatti una promessa, e lei si aspetta che il fratello la mantenga.
Lo farà? Mettetevi comode ment curiose, perché non lo sapremo mai.
Quello di Assayas è uno di quei film in cui il regista lancia il sasso e poi ritira la mano, impedendoti di avere la minima spiegazione. Se ti sta bene ricostruisci tu, se non ti sta bene, beh...il film è comunque così.
Ed è bellissimo. È lentissimo, e angosciante più per il ritratto dei rapporti umani che ne esce che per la questione sovrannaturale. Poi ci sono anche i fantasmi, ma poiché su quelli io non sono oggettiva mi astengo dal giudizio. È una lunga elaborazione del lutto, attraversata parlando del mondo, della società, del mondo della moda, della vita dopo la morte, degli affetti e delle persone, delle scelte che facciamo e di quelle che per un motivo o un altro non siamo in grado di fare. Maureen avrebbe potuto andarsene da quel lavoro tanto detestato e iniziare una nuova vita, prendendosi il tempo di imparare a convivere con il dolore, invece resta lì. Si soffre anche un po' con lei, ogni volta che parlando con uno spirito spera sia il fratello e chiama il suo nome. Soprattutto in quella scena finale, che per ambientazione e scrittura è un colpo al cuore. Non vuol dire che si sappia qualcosa del destino di Maureen, ma se c'è un momento in cui l'empatia è massima è proprio in quella stanza d'albergo.

Non voglio dire che da adesso ho cambiato opinione sulla Stewart, ma magari facciamo che questo Assayas me lo vado a conoscere meglio, ok?

domenica 14 maggio 2017

#CiaoNetflix: Il lato positivo

15:09
Un sabato pomeriggio di riposo!
C'è anche il sole! Usciamo, facciamo un giro in bici, andiamo a vedere un museo, andiamo a dar da mangiare agli asinelli!
No, dormimo fino alle 4 e poi attacchimoci al pc, perché sprecare la vita è sport olimpico.


Il lato positivo è la storia di Patrick, appena uscito dall'ospedale psichiatrico in cui era stato ricoverato dopo che il suo disturbo bipolare era emerso. Una volta uscito il suo unico scopo è riconquistare la moglie, e per farlo chiederà l'aiuto di Tiffany, una conoscente. Tiffany, però, chiede un favore in cambio.

Quando dico che i film d'amore non mi piacciono in realtà mento sapendo di mentire. Diciamo che non sono la prima cosa che cerco quando vado al cinema, ma credo che la colpa sia anche del fatto che sono molto molto esigente. Quando mi emoziono piango per giorni, ma prima di trovare coinvolgimento dalle storie d'amore ce ne passa. Il mio snobismo mi fa dire che è molto presuntuoso voler parlare d'amore, è follia chiedere a due persone di fingere di amarsi e soprattutto è quasi impossibile trasmettere il sentimento a chi stia fruendo del prodotto.
Però ci provo, ogni tanto, perchè quando trovo un film d'amore che mi emoziona mi conquista in modo totalizzante.
È il caso di Silver Linings Playbook?
Eh, mi sa di no.

DA QUI ANTICIPAZIONI ROVINATRAMA, COME SE CI FOSSE QUALCOSA CHE NON SIA INTUIBILE ANCHE SOLO DALLA LOCANDINA

Partiamo dal dire cosa cerco: la cosa che preferisco della rappresentazione dell'amore è vederlo nascere. Cioè quello che preferisco è il prima. Outing: quando avevo 16 anni e leggevo Twilight (eh, oh), lo adoravo perché nel romanzo buona parte del rapporto tra i due è ritratta prima della nascita della storia. Edward e Bella si pizzicavano, si provocavano, si divertivano. Non alla Mulder e Scully che ci hanno messo 10 anni, ma insomma è stato bello per me vedere la lenta crescita di qualcosa oltre l'amicizia. È sempre bello per me, mi coinvolge e quando arrivo alla definizione della relazione sono già emozionatissima.
Niente, qua non mi ha toccato niente. Ci stava quasi riuscendo, con le scenate in giro per la città e i due che si rincorrevano per le strade, c'eravamo quasi. Poi hanno preso a ballare e niente, è morto tutto. E non è che io odi le scene di danza, ve lo ricordate vero che uno dei miei film della vita è Dirty Dancing?
Però Bradley, ti prego, sei bello come il sole, la finisci di ballare? Stai fermo, come la statua greca che ricordavi prima di diventare un mortadellino, e lasciaci sognare.
Il suo personaggio non mi conquistata nemmeno per un istante, non so se sia colpa del fatto che BC è tanto bello poco bravo. Anche Jennifer Lawrence mi ha lasciata freddina, ma c'è anche da dire che non sono una sua particolare ammiratrice.

Tutto sommato non è che il film sia brutto, scorre veloce e abbastanza piacevole, ma coinvolgimento da parte mia meno venticinque.
Lo troverò il film d'amore della mia vita, a costo di metterci vent'anni.

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