Visualizzazione post con etichetta recensione. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta recensione. Mostra tutti i post

mercoledì 20 maggio 2015

Lake Mungo

13:29
(2008, Joel Anderson)

Sono al ventottesimo minuto di visione. Tuona, oggi da me è una giornataccia. Ricordo di colpo di essere in casa da sola. Realizzo di avere una maledettissima paura, quindi le scelte sono due: o lancio il pc giù dalla finestra, allontanando il fantasma di Alice Palmer il più possibile da me o mi armo di pazienza e attendo che qualche membro della mia famiglia rimetta piede in casa.
Film in pausa, me la sto facendo sotto.

Lake Mungo è il film che in sede di Liebster mi è stato consigliato da Bradipo. Ha detto qualcosa come australiano+mockumentary+muovilechiappearecuperarlo. Mi si compra con poco, me ne rendo conto.


In Lake Mungo incontriamo la famiglia Palmer. Papà, mamma e figlio cercano di affrontare come possono la scomparsa di Alice, figlia e sorella. Alice è affogata durante una gita di famiglia. Dopo la sua dipartita, però, fa continue apparizioni in foto e video di famiglia. Un fantasma?

LO SO, LO SO che al mio nominare i mockumentary tanti di voi hanno avuto un sussulto di disgusto. (Io no, io li amerò sempresempresempre)
Vi comprendo, amici.
Ma accantonate per un momento il moto di ostilità che si sta muovendo dentro di voi. Lake Mungo è diverso. Non ci sono quei movimenti da mal di mare che sembrano essere diventati l'unico modo per girare un finto documentario. Non ci sono inquadrature confuse o volutamente amatoriali.
C'è un documentario nel suo senso più convenzionale, con testimoni e persone legate alla vicenda che stanno sedute di fronte ad una telecamera a raccontare cosa è successo. E, ogni tanto, ci hanno buttato una bella scena di quelle intense a ricordarci cosa significa avere paura di un film.


Abbiamo tre personaggi disperati. Ma di quella disperazione dignitosa, non ci sono urla, strepitii, nè capelli strappati. Ci sono una mamma, un papà e un fratello che cercano il modo di stare in piedi nel mondo dopo un lutto del genere. E sembrano riuscirci, fino a quando il fantasma di Alice viene a fargli visita. Ma soprattutto, sembrano riuscirci fino al momento in cui sono costretti a guardare in faccia la realtà, a scavare al di sotto delle loro convinzioni per scoprire chi realmente fosse Alice.

Mi hanno molto colpito questi personaggi così composti, sofferenti ma in modo pacato e silenzioso. Considerato che poi buona parte del film ruota intorno a loro che fissano in camera e narrano, era necessario che gli attori fossero quantomeno credibili.
E lo sono, meno male, lo sono.


Dico 'buona parte' volutamente, perché non c'è solo questo. Ci sono le apparizioni del fantasma, ci sono le foto, ci sono i video. E soprattutto, c'è un filmato ripreso con il cellulare, che riprende il momento in cui Alice non è più stata la stessa.
E, mannaggia la miseria, fanno davvero paura.
Il che suona come una specie di piccolo miracolo. Non aspettatevi bus banali e telefonati, perché non ci sono. E non servono. Qui arriviamo nei momenti di maggiore inquietudine in punta di piedi, ma quando ci siamo dentro siamo vincolati, è troppo tardi per tornare indietro.

Ma chi ci vuole tornare, indietro?


mercoledì 6 maggio 2015

Sauna

16:33
(2008, Antti-Jussi Annila)

Non volevo proprio che la faccenda dei Liebster (se non sapete di cosa sto parlando, tutti qui) morisse con il mio post di domande. Siccome avevo chiesto ai vincitori di consigliarmi un film horror a testa, direi che è giunto il momento di seguire i vostri consigli.

Parto con Sauna, pellicola consigliatami dal buon Giuseppe (che potete leggere sul suo blog Il buio in sala), perché era l'unica di cui non avessi nemmeno lontanamente sentito parlare. Lo cerco, scopro che è scandinavo, parto presa bene.
L'ultima volta che ho visto un film del nord era Dead Snow, e la volta prima ancora avevo visto quello splendore di Lasciami entrare. Capite bene che sono prevenuta.

Sauna è un film ambientato a fine '500. Dopo la guerra tra Russia e Svezia due fratelli vengono inviati a collaborare con un contingente russo per ridefinire i confini tra le due nazioni. Finiranno a 'contendersi' un villaggio sperduto in una palude decisamente poco ospitale.


Un film abbastanza breve ma tutt'altro che rapido, che nulla ha a che vedere con i suoi colleghi sopracitati.
Giuseppe, lo ammetto: mi hai messa davvero alla prova.
Per la prima volta mi trovo ad affrontare un film così lontano dalle mie personali convenzioni, dal solito territorio della mia comfort zone mentale.
Non è stato facile ma, in modo (devo riconoscerlo) del tutto inaspettato, ne è valsa la pena.
Eccome se ne è valsa la pena.

Per la prima volta mi sono misurata con una pellicola in cui niente è cristallino. Parlo di un notevole dispendio di neuroni. Io certamente non sono una cima, non brillo per intelligenza, ma vi sfido a vedere questi 80 minuti con leggerezza.
Eppure, sono un toccasana sensoriale.
Gli occhi ne escono gratificati, da questa esperienza. I colori sono glaciali, pieno di azzurro, di blu, di grigi, che regalano un'atmosfera senza precedenti, e che sono interrotti solo saltuariamente non da brevi e fugaci apparizioni di colori caldi, ma solo ed esclusivamente dal fuoco.
Scalda, illumina, ma guarda caso si trova sempre o quasi nelle scene più di impatto. Come quell'acqua sporca di sangue che ci introduce alla vicenda e nel medesimo modo ce ne porta fuori.


Certo, poi c'è la storia.
Perché puoi essere bello finchè vuoi ma se non hai niente da narrare sei vuoto.
Sauna è una storia di redenzione.
O almeno ci prova.
Perché la redenzione, appunto, non sempre ci è concessa.
Il passato non ce lo laviamo via, non eliminiamo le tossine dei nostri errori solo entrando in una sauna, purtroppo. Sta lì, appollaiato sulle nostre spalle come un avvoltoio e quando meno siamo pronti ad affrontarlo vola giù e chiede il conto.
Così l'ha chiesto a Erik.
Per portarlo ad un finale ESEMPLARE, per realizzazione ed intensità.

Difficile da scordare, sto inaspettato Sauna.


 

giovedì 30 aprile 2015

K - Horror Day: Sorum

11:46
 

Io di cinema orientale non so niente niente niente.
(Ancora per poco, stay tuned.)
Per questo motivo, quando il buon autore del blog Obsidian Mirror ha pensato di proporre alla comunità di cinefigoni di parlare di horror coreani, io ho prontamente alzato la mano, sperando fosse l'occasione buona per iniziare a farmi un po' di cultura.

Per inciso, proprio Obsidian sta festeggiando i 4 anni del suo blog con uno specialone sulla saga (coreana, appunto) Whispering Corridors (ma non è un titolo bellissimo?). Lo potete leggere qui.

Il giovane Yong-hyun trasloca in un nuovo appartamento, collocato in un condominio dalle condizioni fatiscenti.
Qui farà la conoscenza di altri inquilini: l'editore fallito, la giovane donna picchiata dal marito, l'amica di quest'ultima, ma soprattutto il fantasma che condivide con lui l'appartamento, il 504.

Ecco, forse parlare del fantasma già nella trama è stato un errore, perché Sorum si può definire a tutti gli effetti una ghost story senza il ghost, il che la rende abbastanza ricercata.
Certo, di fantasmi ce ne sono, ma non sono proprio quelli a cui penseremmo noi.
C'è il fantasma di un passato ignoto, come quello del nostro protagonista, rimasto orfano in modo misterioso; ci sono diversi fantasmi di dolori passati, ma ancora presenti in maniera prepotente; c'è il fantasma del fallimento, quello che temiamo tutti che prima o poi ci piombi sul groppone.
Infine, c'è anche un fantasma convenzionalmente inteso, ma è quasi (quasi) irrilevante ai fini della trama.

Perché a Sorum non importa spaventare superficialmente, ti vuole entrare dentro con delle paure estremamente reali. La perdita di un figlio, di un amore, di un lavoro, di una famiglia. Sono dolori perfettamente comprensibili anche di non ha avuto l'immensa sfortuna di provarli. Per questo, se l'intento del film era causare la pelle d'oca che richiama col titolo, allora gli riesce benissimo.
Riesco poi a comprendere la critica che gli è mossa più spesso, ovvero quella di non essere un vero film dell'orrore, ma più un dramma.

Effettivamente, il dubbio è lecito. La prima ora di film è intensa, ma non spaventosa. E se vogliamo essere sinceri, grandi picchi di terrore non se ne toccano nemmeno nella seconda parte.
Eppure, c'è questo condominio lurido, fatiscente, ci sono questi personaggi incomprensibili, ci sono queste circostanze misteriose. . .
Non è pane per tutti i denti, poco ma sicuro.
E' anche un pochino prolisso, toh.
Eppure, per l'ennesima volta in pochissimo tempo, mi sono ritrovata di fronte ad una pellicola in cui niente è quello che sembra. Nessuno è chi dice di essere, o almeno non completamente. Ed è una cosa che mi piace sempre, soprattutto quando, come in questo caso, i personaggio sono così lontani dalla banalità.
C'è anche un bel pezzettino di metaracconto che mi è piaciuto assai.

Ma forse, quando si parla di 'camere maledette', sono io ad essere di parte.

Ovviamente, non sono l'unica ad avere parlato di cinema coreano, oggi.
Gli altri signori sono tutti qui!

"Whispering Corridors" (1998) su Non c’è paragone
"Whispering Corridors" (1998) su Pensieri Cannibali
“Two Sisters” (2003) su White Russian
“Three...Extremes” (2004) su La Fabbrica dei Sogni
“The Host” (2006) su Recensioni Ribelli
“Hansel & Gretel” (2007) su In Central Perk
“Thirst” (2009) sul Bollalmanacco di Cinema
“I Saw the Devil” (2010) su Delicatamente Perfido
“The Terror Live” (2013) su Cinquecento Film Insieme
“Mourning Grave” (2014) su Director’s Cult
"Speciale Whispering Corridors" su The Obsidian Mirror

venerdì 24 aprile 2015

Dylan Dog - Vittima degli eventi

14:12
"Oh, ciao, cinema italiano, quanto tempo! Tutto a posto?"
"Mari, ciao, mah insomma, al solito!"
"Ero preoccupata per te, tutti dicevano che sei morto, ho sentito le campane. . .mi sono allarmata! Sei stato un giovane glorioso, era un peccato perderti così!"
"Beh, non sono in formissima. Non sono invecchiato bene. Certo, ero proprio un bel ragazzo, eh?"
"Ah, se eri bello! Te lo ricordi Mario Bava?"
"Se me lo ricordo! Oggi non viaggiamo più su certe cime, ragazza mia. . ."
"Eppure, qualcosina si muove! O no? Ho letto certi articoli interessanti su qualche progetto indipendente, qualcosina di horror. Mi sbaglio?"
"Sempre la solita, coi tuoi film dell'orrore! Però hai ragione, ci sono diversi giovani che si stanno buttando a cercar di smuovere un po' queste mie ossa arrugginite!"
"E funziona?"
"Come in tutte le cose, dipende. C'era stato quell'Evil Things, hai presente? Non era andato troppo bene."
"Ho sentito belle notizie sul tale di youtube che ha fatto un film su Dylan Dog, però, che mi dici? Merita una visione?"
"Intanto merita una visione perché te lo trovi gratis sul tubo, e lo so che sei tirchia, tutto ciò che è gratis va bene. Poi, credo potrebbe piacerti, sul serio."
"Tu dici?"
"Credo di sì, la storia è molto semplice: ragazza con visioni che si rivolge all'indagatore dell'incubo per risolvere il suo problema."
"Beh, basica."
"Sì, quello sì. Ma a fronte di un progetto così ambizioso, non è nemmeno un male. Storia semplice ma niente lasciato al caso. C'è tanta attenzione ai dettagli. E poi, lo dirige quello youtuber che tanto ti piace, Claudio Di Biagio!"
"Ah, è vero! Io Claudio lo adoro. Mi fa molto ridere quando vuole far ridere e lo trovo appassionato ed appassionante quando parla di cinema. Un talento vero."
"Si vede, si vede, questa passione che ha. E non è nemmeno un pirletto che si è messo dietro la camera dal nulla. Ha studiato, ha fatto le sue esperienze . . ."
"E la fotografia? Cosa mi dici della fotografia?"
"Ahhhhh, hai centrato subito il mio punto preferito. Bella, bellabella. Opera di un altro youtuber, Matteo Bruno."
"Ma chi, Cane Secco? MAVVA'!"
"Sì, proprio quello lì. Ha fatto davvero un bel lavoro."
"Mi fa piacere, davvero. Mi sta molto simpatico anche lui."
"Certo, non era semplice toccare Dylan Dog, eh. Potevano o essere accusati di estremo coraggio o di estrema coglioneria. Ma tutto sommato l'aria del fumetto si respira abbastanza. Forse la casa me la immaginavo più 'chiara', ma tant'è. E' il rischio che si corre con un fumetto in bianco e nero che diventa un film a colori."
"Direi che mi hai convinta a vederlo. Ma ce l'avrà un difetto, sto film?"
"Dylan Dog."
"Eh?"
"Il difetto di Dylan Dog è Dylan Dog, l'attore. Troppo serioso, quasi appesantito da se stesso."
"Peccato! Ma Groucho? Dimmi di Groucho?"
"Ecco, lui invece ha completamente vinto la sfida! Credibile, naturale, divertente. Non era semplice, eh, eppure se l'è portato a casa con una gran dignità."
"Caro il mio cinema, mi hai convinto! Vado a casa a vederlo."
"E tu, Marikì? Quando ce lo sforni un cortino, magari di tensione. . ."
"Si vede che sei invecchiato, bello, straparli! Ti tengo un posto al ricovero per quando Di Biagio & co. si ritirano!"


domenica 19 aprile 2015

The Wicker Man

16:30
(1973, Robin Hardy)

Vi ricordate che vi avevo detto che quando sono tanto contenta guardo un film che so che sarà bello perché mi voglio auto-premiare?
Ecco, lo faccio anche quando mi succede qualcosa di brutto.
Quindi, direi che siamo nelle condizioni perfette per vedere una pellicola come The Wicker Man di cui le persone che si intendono per davvero di cinema parlano sempre con voce gloriosa e occhi innamorati.

Un poliziotto viene mandato a indagare in una bizzarra località a proposito di un caso riguardante una ragazzina.
Twin Peaks?
No, no, garantisco che era The Wicker Man.


Un film che o lo conosci, l'hai visto, lo ami, oppure non avevi mai sentito nominare neanche per sbaglio. Io ero, con mia suprema umiliazione, parte della seconda categoria.
Mai doppiato in italiano, non che la cosa mi urbi più di tanto, mai distribuito in Italia e lasciato lì a cadere nell'oblio. Se ne è salvata una copia per il rotto della cuffia. Con nostra immensa fortuna.

Fortuna perché questo film (uscito in un'epoca in cui era difficile non passare in sordina, visti gli altri piccoli e insignificanti filmetti dei primi anni 70), visto oggi, conserva un fascino ineguagliabile.
E' affascinante la piccola isola in cui il sergente arriva, richiamato da una lettera anonima per indagare sulla scomparsa di una bambina di nome Rowan. E' affascinante l'aria che inizialmente su quest'isola si respira: libertà assoluta, sessuale e non solo, il rapporto tra i concittadini, le canzoni, il localino in cui vanno tutti a bere e incontrarsi.
E' affascinante questo Christopher Lee.
Miseria, questo Christopher Lee. C'è stata anche un'epoca in cui non ha avuto 750 anni, pensate un po'. Il 'santone' dell'isola, vogliamo chiamarlo così? Un ruolo che in tanti hanno interpretato nel corso della storia, perché le comuni vanno via come il pane. Eppure, lui è diverso da tutti quelli che ho visto fino ad ora. Non impone un proprio supposto carisma, che servirebbe a giustificare il suo ruolo lì. Non urla, non strepita frasi metaforiche finto profonde, lui è il super boss perché l'isola gli appartiene, l'ha comprata suo nonno.

- Per inciso, avendo recitato solo per la gloria dato che non ha visto un centesimo manco per piacere, avrebbe potuto andare lì tanto per, far due cagatine e andar via. E INVECE. Non solo è stato incredibile, ma ancora oggi gli piace dire che questo è uno dei suoi film più riusciti. Bella zio, c'hai ragione. -


E poi, arriviamo a parlare della questione fanatismo, perché non se ne scappa.
Da un lato abbiamo il sergente Howie, cristiano devoto, illibato in attesa delle nozze, che nella sua fede trova la forza e la speranza, e che alla sua fede si affida fino alla fine. Dall'altro, la comunità di Summerisle, così gioviale, e cortese, e divertente, che però...
Questo mi terrorizza. Sul serio. Il momento in cui il credere in una qualsiasi religione o fede prende il sopravvento sulla ragione in modo cieco e 'sparato', mi spaventa. Per questo, ho molto amato il momento della fine che posso rivelarvi senza spoiler: Howie che, in una situazione che definirei di emergenza, invita tutti ad una cosa sola. PENSARE. E lo continua a ribadire, a sottolineare. Pensate, pensateci, pensateci davvero.
Se poi collochiamo questi atteggiamenti in una pellicola che si sfoglia come un libro, è tutto un crescendo di tensione, e confusione, che non può finire bene.
Il riferimento allo sfogliare non è casuale. E nemmeno quello precedente a Twin Peaks. E siccome sono una vera ribelle, ci metto anche un libro: Abbiamo sempre vissuto nel castello.
In tutti questi casi, niente è come sempre. Ci viene inculcata un'idea, o ci viene comunicata in modi meno diretti durante il percorso. Poi, arriviamo alla fine, e tutte le nostre idee sono ribaltate.
Non si tratta più solo di plot twist, non sono semplici colpi di scena.
Sono eventi che cambiano completamente il senso della storia, che mettono tutti sotto una luce diversa, che ribaltano la pellicola.
In un modo che ti fa capire che quella che hai appena visto è una perla con una marcia in più.

Era da tanto che un film non mi disturbava così sul finale.
Un tramonto che credo non scorderò facilmente.
Soprattutto se penso che con i soldi che loro hanno speso per fare sto film io più o meno ci faccio shopping da H&M, Zara no che già costa troppo.




sabato 11 aprile 2015

Il fenomeno Amityville: parte III

15:03
Miseria che pagliaccia.
Settordici rubriche iniziate sul mio spazio preferito del webbe e manco UNA DICO UNA conclusa.
Ottimo lavoro.
Siccome però non voglio che la redroom prenda polvere e ragnatele più di quante già non ne abbia per sua stessa natura di posticino cupo e gotico (ssssse), riprendiamo in mano qualcosa qua e ricominciamo a parlare di Amityville.
Se pensavate che il mio essere intrigata dalla vicenda sia esaurito solo perché ho messo in pausa l'argomento, beh, vi sbagliavate.

Ci siamo lasciati parlando di Amityville Possession, secondo film uscito, che come gadget di fine visione ci aveva lasciato la cagarella. Dopo di lui sono arrivati altri 6 (SEI, SEI!) film, di cui la maggior parte destinati alla tv.
Per questo ho deciso di trasformarmi in una specie di Marty McFly e volare dritta dritta al 2005, quando tale Andrew Douglas ha detto:
'Oh ma nessuno si caga Ocean Avenue da un po', che dite, ci torniamo?'

Ci sono tornati.

The Amityville Horror - 2005 - Andrew Douglas

Ormai ne abbiamo parlato tempo fa: ad inizio anni 2000 era tutto un riportare in sala film anni 70-80 come se fosse l'unica cosa possibile. Ovviamente il 112 di Ocean Avenue non poteva essere immune da tale invasione, per cui siam qui.


Stavolta George Lutz è Ryan Reynolds.
Trattenete lo sguardo sgomento, ci torneremo.
La storia è sempre la stessa: Robert DeFeo Jr uccide la sua famiglia nella loro casa. Casa che verrà poi acquistata dai Lutz: mamma, papà e tre bambini.
La permanenza non sarà esattamente gradevole, ma già lo sapete.

Sono passati quasi 30 anni dall'originale, ma è davvero cambiato qualcosa?
Temo di no.
Il primo Amityville era abbastanza mediocre, non certo un film che colpisce. Questo è mediocre pure.

Il cast è molto MEH.
Io non è che abbia qualcosa contro Ryan Reynolds o Melissa George, i genitori. Davvero.
Ma cosa avranno avuto, 25 anni?
Con un figlio di almeno 10/12?
Mah.
Certo, c'era pure una piccola e ttttenera Chloe Grace Moretz, che nell'horror a continuato a bazzicarci per un po'. Ecco, lei era tanto bellina.

I bus ci sono, alcuni anche abbastanza efficaci, effettivamente. I mostri brutti e putridi qui vanno via come il pane.
Ma l'atmosfera è del tutto assente, SPOILER l'happy ending era cristallino dal principio, cosa che non dovrebbe essere perché mica tutti gli spettatori sanno com'è andata la vicenda 'realmente'. Non c'è tensione, non c'è ansia crescente. Anche perché nel giro di 20 minuti si è passati da Raianreinolds adorabile bellissimo desnudo paparino tenero e marito meraviglioso a brutti infame maleducato. Non c'è una discesa nel vortice, non c'è una caratterizzazione tale che ti permette di cogliere i cambiamenti in modo radicato e terribile. 5 minuti e prima abbraccia la bimba e poi quasi prende ad accettate la mano del bambino.


Certo, qualcosa di buono c'è: ho amato l'attenzione ai dettagli della casa. Rubinetti, finestre, grate, tegole. Sono presenti, messi in evidenza. E in una saga in cui la casa fa tipo il 50% del fascino, direi che è sempre gradevole darle l'importanza che merita.
Certo, una bella casa non basta.
Ma poteva andarci peggio.

Ad oggi, almeno, ho la mia precisa opinione sulla vicenda.
I Lutz sono stati subdoli. Hanno sfruttato una tragedia reale e ci hanno lavorato su fino a sanare i debiti della loro famiglia.
E questo potrebbe anche essere eticamente scorretto, se vogliamo. Anzi, dai, è ovvio che lo è.
Ma qua non si fanno certo lezioni di morale, non è quello che mi interessa.
Il risultato di tale operazione è un fenomeno davvero intrigante. Serie (lunghissima) di film, libri (di cui parleremo), documentari. Tanti di questi sono prodotti davvero poco potenti, eppure la saga non ha mai subito una battuta d'arresto, anche questo è interessante. Tutto nato da una bugia ben raccontata. E a cui tutti (o quasi) hanno creduto fino al momento della 'smentita' ufficiale.
Io ci ho creduto.
Mi spiego meglio: non credo alle mosche che escono in massa ad aggredire il prete, non credo ai cimiteri indiani che fanno resuscitare le altre persone.
Credo nel potere della suggestione.
Ci credo sinceramente che una persona, magari stressata dalla vita (ma non lo siamo poi tutti?), magari piena di debiti che ha fatto per comprare quella stessa casa, magari angosciata da pensieri di natura varia, e magari un po' credulona o ignorante, possa farsi condizionare da un'abitazione misteriosa.
Ci credo che uno possa auto inquietarsi, auto convincersi che qualcosa non va, fino al punto in cui i suoi timori si rivelano fondati.
Ma tant'è, era una bufala.




domenica 5 aprile 2015

Il signore del male

18:46
(1987, John Carpenter)

Signori, ho trovato un lavoro.
Stare a casa disoccupata mi stava logorando su tanti di quei piani che fatico anche solo a spiegarlo.
Mi meritavo un premio.
Ed esiste un premio migliore di un bel film?
Spoiler: no.

E poiché non parlerò de Il seme della follia nemmeno sotto tortura almeno fino a quando non avrò 15 lauree in cinemaregiasceneggiatura, direi che è giunto il momento per me di mettere da parte il mio terrore per i film demoniaci e vedere, in vergognoso ritardo, Prince of Darkness. 


[Ve lo dico subito che così ci leviamo un bel pensiero. Se pensate che io sappia anche solo cosa vuol dire fisica quantistica avete proprio capito Roma per Toma. Io amo la storia, la letteratura, tutto ciò che è astratto. Le materie scientifiche mi annoiano solo se ci penso. Mi dispiace. So che questo potrebbe essere una limitazione nella visione del film, lo riconosco. Terrò Wikipedia aperta, che volete che vi dica. Ma tanto con ogni probabilità non capirò nemmeno cosa dice Wiki.]

In un'antica chiesa di Los Angeles viene ritrovata la sede di una segreta setta religiosa, che custodiva un misterioso liquido verde, che pare essere l'essenza del Maligno. Il sacerdote responsabile del ritrovamento si rivolge ad un professore di fisica e ai suoi studenti per risolvere il mistero.

Oh, eccoci qua.
Sediamoci e parliamo di fede/scienza. Ce l'avete un tè? Io ho fatto la torta al cioccolato, così intanto facciamo merenda.

Io sono atea, ma non sono una di quelle atee ostili nei confronti dei credenti. Io ho molto rispetto delle persone con una sincera religiosità, sono sempre contenta di ascoltare il loro punto di vista e condividere con loro il mio.
Per questo motivo, la prima cosa che mi ha tanto colpito de Il signore del male è che vediamo i due mondi apparentemente 'antagonisti' incontrarsi per loro stessa volontà. E' il sacerdote che sceglie di comunicare le proprie perplessità al professore anzichè al proprio superiore. Qualcosa nel suo mondo lo sta mettendo in difficoltà, per cui sceglie di aprire la sua mente - che rimane comunque ferma nel proprio credo - alla scienza. Così come il professore e gli studenti sono costretti ad un certo punto a riconoscere che l'entità dei fenomeni che stanno colpendo la chiesa esula dal loro campo di competenza.
Questo mi affascina molto, e non fa altro che aumentare la mia già presentissima stima nei confronti di Big J.
Ogni personaggio è interessante, intelligente, aperto all'altro ma non incoerente.
Persone che vorrei incontrare nella vita reale.


Chiaro, parliamo di un film.
Un film girato con qualcosa come i 5€ della paghetta.
Un pochino si vede, dai. Un pochino.
Ma, francamente, ce ne frega?
No che non ce ne frega, perché con 5€ noi ci compriamo un pacchetto di sigarette (voi, perché io non sono scema e non fumo), lui, che c'è un motivo se è una specie di divinità greca, ci ha girato un film che inizia sottovoce, e poi esplode.
La sensazione è quella di una tavola preparata: si inizia a cucinare pian piano, poi si apparecchia, con calma e in ordine. Poi si inizia a sentire il profumo del cibo che è quasi pronto e infine sbam! Piatti in tavola, portata dopo portata, rumore di posate, l'acqua versata, e infine, gran finale per cui c'è sempre spazio anche nello stomaco più pieno, il dolce.
E così Il signore del male. Inizia con 10 minuti di titoli di testa, angoscianti e infiniti, nei quali assistiamo alla preparazione della mattanza. Quello che dovrebbe essere il momento in cui sentiamo il profumino del cibo è quello in cui il demonio si libera, prende possesso della prima vittima, ed entriamo nel vivo del film.

A questo punto affrontiamo la questione paura. Perché si parla di un film demoniaco. Di un film demoniaco della miseria. Quindi, come ha potuto una persona terrorizzata dal suddetto filone averlo visto?
Paura me ne ha sinceramente fatta. Mi ha lasciato quella patina di angoscia sulla pelle, quella che potrai anche farti mille docce (se hai il coraggio di andare in bagno da sola) ma la senti ancora lì. Per tutta la durata sono stata incollata allo schermo, ma questo era prevedibile.
Certo, quel finale lì mica me lo aspettavo.
Infatti ho fatto un triplo carpiato rovesciato imbalsamato che credo di avere tolto un paio di doghe al letto.
Eppure, dopo lo spavento iniziale, era l'unico finale possibile. Io non ci sarei mai arrivata di testa mia, ma una volta che il sior Genio me lo ha presentato, era in effetti l'unica cosa da fare. Che è il motivo per cui lui è, appunto, il sior Genio e io la siora Cretina.


Mi pare di avere capito che lo si ama o lo si odia, sto principe delle tenebre.
Io, personalmente, l'ho amato.

(Certo, se ne volete un'opinione più seria e molto meglio argomentata, vi rimando alla recensione di Obsidian Mirror)

mercoledì 25 marzo 2015

La piramide

13:41
(2014, Gregory Levasseur)

Avevo promesso a me stessa che non avrei piu' perso tempo con dei filmacci.
Ma siccome sono coerente e decisa, quando la mia cara Beatrix del blog Cinquecentofilminsieme mi ha provocata su Twitter con questa pellicola, non ho saputo resistere.
Ogni tanto il mio corpo necessita fisiologicamente della sua dose di spazzatura, motivo per cui siamo qui felicemente riuniti oggi.
Per fare la differenziata.

Siamo in Egitto, nel bel mezzo del deserto, dove un gruppo di scienziati ha fatto una scoperta che ha dell'incredibile. Sotto metri di sabbia stava una piramide, una quarta piramide, che si differenzia dalle altre per la forma: ha soli tre lati. Hanno poco tempo per darle un'occhiata, perche' i finanziamenti per la loro ricerca sono appena stati sospesi e devono tornare a casa il piu' velocemente possibile.
Ci torneranno?
Ovvio che no.

Io ve lo dico, ci saranno tanti spoiler ammazzafilm e anche tanti francesismi. Piu' francesismi che spoiler.


Ero stata preventivamente avvisata dalla sopracitata Beatrix che mi sarei trovata di fronte alla merda, ma ci sono casi in cui nemmeno un'opportuna preparazione ti salva dal vaffanculo.
Siamo, signori e signore, di fronte alla piu' superba stronzata su cui abbia posato lo sguardo di recente.

Ultimamente, grazie al fatto che leggo molti blog e recensioni, difficilmente incappo in brutti film, e quando lo faccio e' quasi sempre di proposito. Come in questo caso. Quindi non posso lamentarmi, direte.
Vero, ma insomma, un minimo di dignita', un limite.
Oltretutto, c'è brutto e brutto. 
C'è il brutto volontario, il trash, quello ci piace molto, ci fa ridere. Gli squali cadono dal cielo e i pagliacci alieni uccidono le persone, va bene. Anche Birdemic va bene, ridiamo che e' sempre bello.
Poi arriva il brutto che ci crede.
Il brutto che si crede bello.
Il brutto che vorrebbe fare il tronista da Queen Maria.
E quello non ci sta.
Quello ci imbarazza, ci fa cambiare canale, ci fa girare vorticosamente i coglioni.

La Piramide e' un informe ammasso di tutto cio' che non va.
Ci sono problemi di sceneggiatura talmente magistrali che li ho notati persino IO.
(es. tutti vogliono entrare in sta piramide. Tutti, eccetto Holden. Lui no, perché con la sua esperienza sa che non sarebbe una buona idea. Entrano lo stesso, iniziano a morire come zanzare dentro gli scatolotti elettrici e allora il genio, la mente sopraffina del gruppo, ovvero la giornalista o qualunque sia il suo lavoro, si scaglia contro di lui. E urla, e strepita, e fa versi insignificanti, e si incazza pure, questa brutta cretina. CON LUI. Nel didietro te lo meriteresti, l'Emmy, deficiente.
Scusate sempre il francese)


Ah, e lo volete uno spoiler bello bello?
Dai che ridiamo insieme.
Entrano nella piramide, non sono soli e lo capiscono subito. Ci sono degli animali e non sembrano buoni. Ma...di cosa si tratta?
Di gatti.
Malvagissimi e crudelissimi gatti cannibali.

AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAARGH!!!!!

Scusate, m'e' presa paura.

E se pensate che i gatti siano la cosa più sconvolgente del film, aspettate a sorprendervi: arriva il Dio Anubi.
Quello li', meta' sciacallo meta' uomo.
Lui.
Arriva, ed e' veramente realizzato col culo.
L'ultima volta che ho guardato un film in cui una creatura meta' uomo meta' animale faceva la sua comparsa me la sono fatta addosso. Tipo che tenevo la schiena incollata al divano perche' se mi giravo ero CERTA che quel mostro stava li'.
(Spoiler: era V/H/S 2)

Quindi, ricapitoliamo.
Abbiamo una buona vicenda?
Mah, non e' malaccio, poteva essere intrigante, e poi gli antichi egizi piacciono a TUTTI.
Abbiamo buoni attori?
Nope.
Abbiamo una sfolgorante regia che ci fa scoprire un nuovo talento della cinematografia mondiale?
C'e' un regista?
Abbiamo effetti speciali che almeno rendano la visione non del tutto vana?
AHAHAHAHAHAHAHAHA.
Abbiamo qualcosa?
Non lo so, io vedo solo del gran pattume.

In compenso, aveva ragione Beatrix.
Ho riso molto.
Era piu' un risolino isterico post traumatico che di gioia, ma ho riso.


lunedì 16 marzo 2015

The taking of Deborah Logan

14:02
(2014, Adam Robitel)

Ho letto per la prima volta di questo film qui, da Malpertuis, il blog a cui guardo con ammirazione sconfinata e rassegnazione mista invidia perche', andiamo, le avete lette le sue recensioni?
Questa sara' decisamente piu' terra terra e banalotta.

Mi ha affascinata da subito, per qualche strambo motivo irrazionale, ma siccome parliamo di taking capite anche voi che non potevo guardarlo con leggerezza, vista la mia relazione di amore/odio col tema. Quindi ho aspettato di non essere a casa a sola, ed eccoci qui.


La Deborah Logan del titolo e' un'elegante signora a cui e' stato diagnosticato il morbo di Alzheimer. Le spese mediche sono costose, pertanto la figlia sceglie di accogliere in casa un gruppo di studenti che realizzera' un documentario/studio sull'avanzamento della malattia.
Non passera' molto tempo prima che si accorgano che forse Deborah non e' solo malata.

L'ultima volta che qualcuno aveva avuto l'ideona di fare un mock a tema demoniaco il risultato era stato L'ultimo esorcismo, che insomma non era proprio un risultatone.
Stavolta ci e' andata decisamente meglio.

Cosi' elegante, discreta e raffinata la madre, Deborah, appunto, tanto ansiosa, apparentemente trasandata e' la figlia, Sarah. Si trovano ad affrontare uno di quei dolori che ti restano appiccicati alla nuca.
Puoi non pensarci, puoi distrarti bevendoti una birra in veranda, ma sta li', sempre pronto a colpirti quando non ci stai pensando.
Sarah da figlia comunissima di madre comunissima e' costretta a trasformarsi in caregiver, a dedicare ogni istante della sua giornata alla madre malata che sta peggiorando molto piu' velocemente del previsto.


E non c'e' certo bisogno di avere lavorato a contatto con le famiglie di anziani malati per comprendere quanto questo ruolo investa completamente la vita di chi ci si ritrova invischiato.
Da un lato hai il grande dolore di vedere tua madre soffrire cosi', con una malattia cosi' infame. Dall'altro la tua inividualita' viene messa da parte, a tempo indeterminato.

Anche per questo l'arrivo della troupe che realizzera' un video su Deborah e il suo male si rivela salvifico. Sarah non si ritrova sola a gestire questa enorme responsabilita', ha compagnia e sostegno, ha una studentessa di medicina che, visto il peggioramento di Deborah, e' fondamentale.

Peggioramento che e' rapido e inaspettato, ma non violento o mal presentato nel film. I fenomeni inspiegabili partono in sordina, la sua crescente aggressivita' potrebbe essere spiegata con motivazioni mediche.
Potrebbe, ma non e'.
I medici non sanno che fare.
Ma rimangono, continuano, visitano, ricoverano.
Mica come ne L'Esorcista che hanno guardato intensamente Reagan negli occhi e dicono "Signora io non so lei ma vedrei un prete".
Qui siamo nel 2014, la ragione e la scienza prevalgono, questa donna DEVE essere malata.
Lo e', per carita', ma non solo.

Il che rende la questione due volte piu' interessante, perche' ogni azione (a parte ovviamente quelle piu' estreme, fisicamente impossibili e finali - io terrei d'occhio le mascelle. C'e' una scenona) potrebbe essere guidata da una o dall'altra variabile. Per buona parte della pellicola Deborah potrebbe essere tranquillamente un caso clinico molto particolare e grave. 

Hai davanti agli occhi il corpo di una persona che ami. E' proprio li', il suo volto, i suoi occhi, le sue labbra.
Ma non e' piu' se stessa.
Alzheimer o possessione, cosa importa?


Ho iniziato l'anno con certe pellicole che raggiungerle in scaletta di gradimento e' tostissima, e purtroppo The taking of Deborah Logan non tocca certe vette di radioso splendore.
Pero' vi sconvolgero' rivelandovi che a me ha inquietato in quel modo che ti mette a disagio sulla seggiola, che ti fa controllare ogni tanto dietro le spalle di non avere un'anziana pazza che cammina in camicia da notte e spunta dalle porte.
E si', ho fatto un paio i saltini non indifferenti sul ivano che meno male che ho un bel sederotto che ha attutito i colpi.


mercoledì 11 marzo 2015

Mercy

11:16
(2014, Peter Cornwell)

Ve lo ricordate questo post?
In cui vi dicevo che sarebbe uscito un film tratto dal mio racconto preferito di Sephen King intitolato Gramma?
(info tecniche: sta nella raccolta Scheletri e in Italia lo chiamiamo La nonna, chiaramente)
Ecco, e' uscito.
Ed era meglio che se ne stesse dove stava, in mezzo alla collezione di dvd del regista, in modo che tutti ci dimenticassimo della sua esistenza e archiviassimo questa brutta brutta esperienza negli angoli piu' nascosti e bui della nostra memoria.

Mercy e' una nonna, con figli e nipoti adorati. Si sente male durante una cena e da quel momento la sua salute sara' irrimediabilmente compromessa, tanto da portare figlia e nipoti a trasferirsi da lei per prendersene cura.

Non credo ci saranno troppi paragoni con il racconto, in questo post. Quello era uno dei piu' belli del Re, sicuramente uno dei piu' agghiaccianti, decisamente il mio preferito. Questo film e' una MERDA, pertanto i paragoni finiranno qui.


Sono francamente incazzata.
Qualcuno di voi si ricordera' che ho lavorato in una casa di riposo per un anno. Ho fatto il Servizio Civile Nazionale. Non mi posso certo dire un'esperta nazionale in geriatria, ma qualche cosa l'ho vista, qualche cosa l'ho imparata.

Ora, io mi rendo conto di ogni cosa, davvero. E' un film, non e' la realta', usate tutte le argomentazioni che volete.
Ma non e' concepibile, in nessun modo, che una donna stia male, molto, torni a casa in uno stato irriconoscibile e nessuno NESSUNO della sua famiglia mostri un accenno di sofferenza. Capisco il figlio che crede nei poteri malefici della madre, capisco il nipote lontano che non e' molto legato, capisco tutto il cavolo che volete, ma quella e' tua MADRE, o tua nonna, e nessuno versa una lacrima.  Tranne il nostro protagonista George, ovviamente, lui la nonna la amava molto.
Lo so, lo so che a volte nel mondo reale succede. Sempre per il fatto che ho lavorato in mezzo agli anziani.
Ma nel mondo reale la protagonista della storia non passa tutto il film a lodare le qualita' della madre forte che ha cresciuto da sola tre gemelli per poi vederla in determinate condizioni e prenderla con una leggerezza che avrei preso a schiaffoni.
Gia' questo dovrebbe dirci quale grande esplorazione emotiva, caratteriale o psicologica ci stia dietro a questo imponente lavoro.
E la grandissima e poraccissima fiera della banalita' per cui la casa di riposo e' un luogo inquietantissimo, e gli occhi degli anziani fanno tanta paura ai regazzini, e poi l'anziano matto che prende la mano del giovine e allora ARGH mamma ho paura?
Ma dai, ma fatemi il favore.

Potrei passarci sopra, volendo. Se solo capissi da che parte stiamo andando a parare, perche' non mi e' chiaro.
Mi vuoi ammaliare con il mistero del passato e dei poteri della nonna?
Bene, fallo.
Non lo fai pero' limitando la questione ad un'inquietantissima ('na roba del genere) conversazione tra zio alcolista e nipote legatissimo alla nonna. Vai piu' a fondo, porca miseria, ammaliami, incantami, inquietami.
Un cavolo di niente, OREZ.
Allora cosa facciamo, la mettiamo sul comico?
Facciamo una buffa scena in cui i due fratelli cercano di aprire il libro malefico con i caschetti in testa nascosti dietro al fieno?
Non mi basta.


Quindi, cosa vuoi da me, Cornwell?
Perché se volevi spaventarmi a morte facendo uscire dalla bocca della donna versi incomprensibili in lingua satanica diciamo che farla barrire come un elefante non e' stata una gran mossa. Lo sappiamo tutti che ai simil-posseduti sono molto sensibile, non e' possibile non riuscire a far paura nemmeno a me, non e' possibile.
E il libro? Buttato li' come un fondamentale elemento della vicenda e poi dimenticato? E quella specie di Gramo?

Quando leggevo il racconto, di sera, a volte mi fermavo e mi chiedevo se era il caso di proseguire perché avrei preferito evitare di non dormire dato che la mattina c'era scuola. Potente come pochi. Quando guardavo il film, a volte mi fermavo e mi chiedevo se era il caso di proseguire perche' mi stava facendo schifo.

E poi, davvero.
Dylan McDermott?



giovedì 5 marzo 2015

1921: Il mistero di Rookford

13:52
(2011, Nick Murphy)

Ancora presentissimo il problema con la punteggiatura, spero di venirne a capo.

RICETTA PER FARE UN FILM CHE POTREBBE PIACERE ALLA MARI.

INGREDIENTI.
Fantasmi, fondamentali per la buona riuscita.
Un grande, bellissimo, edificio sperduto nel nulla. Possibilmente un edificio che ospiti orfanotrofi o manicomi.
Persone tormentate. La causa del tormento e' a libera scelta, costituiranno titolo preferenziale le sofferenze da lutto, il cinismo congenito e la presenza di eventuali poteri soprannaturali, oppure le capacita' sensitive.
Il GRIGIO. Tanto, tanto, grigio. Ci piace il grigio.
L'ambientazione in Gran Bretagna puo' aiutare per la buona riuscita. Mi calma, mi sento rilassata solo se ci penso, e mi trasformo in un personaggio della Austen.
Qualche jumpscare. Non troppi, che il troppo stroppia e poi non e' piu' jump, ne' scare. Solo qualcuno qua e la', per tenermi alta la voglia e la tensione.
Attori capaci. (Preferibilmente che non abbiano presenziato in alcun film di Harry Potter, grazie. Mi arreca parecchio disturbo.)
Una regia che non mi faccia sbadigliare, per il resto tecnicamente fate quello che vi pare, tanto io ci capisco ancora troppo poco.
Un FINALE degno. Guardate che ci vuole un attimo a rovinare tutto il vostro lavoro se lo fate finire nel fosso.


PROCEDIMENTO.
Buttate tutto nel robot da cucina. E' l'unico modo di cucinare che conosco, scusate.

Quello che sfornerete sara' la storia di Florence, cinica autrice di libri sui fantasmi e boicottatrice ufficiale delle riunioni di medium fasulli. Lei nei fantasmi non crede. Per questo, quando le chiederanno di indagare su una presenza che disturba un collegio, lei non sprizza proprio gioia da tutti i pori. Ma tant'e', parte comunque. E sara' costretta a rivedere le sue certezze.


Splendidi abiti (ho una passione incredibile per il periodo fine Ottocento inizio Novecento, datemi una gonna lunga e io sono a posto), musica cosi' calmante, colori molto tenui. L'effetto e' quello di una camomilla bollente, e io la camomilla bollente la adoro.
Quindi si', mi e' piaciuto anche il film. Non tantissimo, non e' una di quelle pellicole che mi hanno rapito il cuore e tutto quanto, ma mi e' piaciuto.
Avrebbe potuto giocare molto di piu' su certi elementi e vincere facile con la commozione obbligatoria, ma cosi' non e' stato, cosa che per me gli fa guadagnare millemila punti. Invece resta sempre equilibrato nel raccontarci una storia si' gia' vista e rivista poi vista di nuovo, ma narrata in modo cosi' pacato e delicato che rimane un piacere per la vista.


Ma NO.
La Umbridge NO.

sabato 28 febbraio 2015

And the Oscar goes to...Biutiful!

18:08
[COMUNICAZIONE DI SERVIZIO PER I GENTILI UTENTI. Ubuntu ha fatto qualcosa di strano alla mia fidata tastiera, per cui se vedete caratteri apparentemente grammaticalmente sbagliati e' solo perche' non ho ancora trovato quelli giusti. Problema che peraltro ho solo con Blogger e non con il programma di scrittura, per cui se avete consigli e barra o soluzioni, please HELP.]


Mai filati io, gli Oscar.
Tranne quest'anno, che quando ho sentito 'Redmayne!' volevo piangere, ma poi ho sentito 'Birdman' e il mio cuore ha ballato Conga.
Prima di qualche giorno fa, però, non mi sono mai interessati granché.

Quando però Alessandra di Director's Cult (trovate il link sotto) ha proposto di parlare dei perdenti delle scorse edizioni ho accettato di corsa perché i loser li amo. Tipo che guardo anche Glee.
E poi me la prendo sempre molto quando non vengono riconosciuti i meriti di qualcuno (sì, per questo ho pianto guardando The Imitation Game) e quindi questa iniziativa mi calzava giusta giusta.

Eccoci allora a rimembrare l'anno Domini 2011, quando Inarritu, a differenza di quest'anno [Conga n. 2], aveva si due candidature (miglior film in lingua straniera e miglior attore protagonista per Javie Bardem) ma se ne e' tornato a casa a naso asciutto.


MALE.
MOLTO MALE.

Perche' in Biutiful Bardem e' un uomo, un padre, con il cancro, e due mesi di vita di fronte. Contemporaneamente, lavora nel mercato nero, vede i morti e li aiuta ad 'andare verso la luce' (cit. Melinda Gordon).

E lo fa in un modo cosi' raffinato, garbato, ESEMPLARE, che l'Oscar non sarebbe dovuto andare altrove.
Perche' il cancro e' una brutta bestia.
E no, non parlo della malattia. Non la conosco e non voglio parlarne per non mancare di rispetto a chi invece l'ha incontrata sulla propria strada.
Parlo di cinema.
Il cancro al cinema e' difficile, e' indigesto, e in fondo non piace a nessuno.
Quei film cosi volutamente strappalacrime li guardiamo tutti ma non piacciono a nessuno.

Poi arriva Bardem, ovviamente guidato da un ottimo pilota, che ci porta un uomo comune. Perche' non c'e' niente di piu' democratico della malattia.
E allora ecco Uxbal, il personaggio intorno a cui questo film ruota. Uxbal, come noi, ha mille cazzi per la testa.
Vive un po' alla giornata, cerca il modo di essere un bravo genitore, fa qualche cazzata. Perche' il manuale della buona vita non ce l'ha nessuno, ce lo costruiamo strada facendo.
Ma quando di strada non ne hai piu' che fai?







E come ce lo porta bene, questo uomo comune. Ce lo ritrae, con tutta l'intensita' che metterebbe un artista nel suo quadro. E ci ferisce. Non nel modo semplice e superficiale del 'Oh poverino, muore, mi dispiace, poveri bambini!'.
No, Bardem ti spacca il cuore.
Dico 'spacca', non spezza. Non te lo apre in due, ti lascia un taglio profondo, di quelli che sanguinano copiosamente. Poi col tempo si ricuciono, ma lasciano i segni.
Regala dei sassi ai suoi bambini e pare una stupidata, ma tu lo guardi e senti il dolore assurdo che sente lui mentre abbraccia la sua bambina, e la implora di non dimenticarlo, e la stringe, e la stringe tanto che sembra che un abbraccio non basterebbe mai a dire quanto amore c'e'.

Ha un viso particolarissimo, il nostro vincitore di Oscar fittizio. A mio parere splendido, ma e' cosa nota che prediligo i fascini prepotenti alle bellezze convenzionali. Quanto ci gioca, con quello sguardo, che a vederlo superficialmente pare sempre uguale, invece no. Invece con gli occhi ci parla. Vorrei avere parole abbastanza profonde da rendere giustizia alla poesia che Javier Bardem scrive recitando. Ma non ce le ho, vi basti sapere che e' una performance che spacca i culi. E che l"Oscar se lo doveva portare a casa.



Per altri loser-omaggi, i link degli altri carissimi bloggerz:
Scrivenny
Cinquecento film insieme
Solaris
Director's cult
In Central Perk
Pensieri cannibali
Non c'è paragone
Bollalmanacco



mercoledì 18 febbraio 2015

The loved ones

16:02
(2009, Sean Byrne)

Che. Fastidio.
AAAARGH.

Vorrei stare qua a elencarvi i motivi per cui questo film ha provocato, fotogramma dopo fotogramma, un senso di disagio, disgusto e FASTIDIO, ma davvero, non abbiamo tutta la giornata.

Brent viene invitato al ballo di fine anno dalla compagna Lola. Rifiuta l'invito, perché è fidanzato. 
Lola ci resta, giustamente, un po' male.
E di trama non vi dico altro perché questa perla australiana vale la visione 'a freddo'.


Per parlare di questo fortissimo film ho deciso di elencarvi tutti i film a cui mi ha fatto pensare durante la visione.

  • Carrie, lo sguardo di Satana. Parliamo di inviti ai balli scolastici, parliamo di ragazze 'problematiche' (in modo diverso, ok, ma entrambe hanno qualche problema), parliamo di sangue a secchiate. Ma parliamo anche di vittime, e delle loro vendette. Le similitudini sono diverse.
  • A l'interieur. Il villain è una donna psicopatica. E con psicopatica intendo che sta proprio completamente fuori di melone, roba da prenderla di peso, darle un paio di sganassoni e richiuderla con la cintura di forza vita natural durante. Violentissime, prive di ogni senso di umanità. Le distingue il fatto che Lola abbia ormai un certo bagaglio di esperienze alle spalle, mentre la donna misteriosa del film francese agisce guidata esclusivamente dalla follia e dall'istinto. Entrambe però si lasciano endare a sfoghi di frustrazione, sono arrabbiate, e addolorate (Lola prevalentemente sul finale).
  • Lasciami entrare. La figura che lega questi due film è quella del padre, chiaramente. Se nel film nordico il padre agiva nell'ombra e da solo, e con la necessità di nutrire la figlia, il padre di Lola è tanto folle quanto lei. Forse anche un po' di più. Entrambi, però, rischiano tutto per le figlie. In un modo molto più sano il padre di Eli, legato da una malatissima relazione con la prole il padre di Lola. 
  • The Babadook. Ve l'ho detto che The loved ones è una pellicola australiana? Come quel Babaducco che ha mandato in palla la blogosfera ad inizio anno. E con un'ottima motivazione: è un film della miseria. Ed è un gran film anche questo, sintomo chiaro che devo smettere di ignorare l'Australia e ricordarmi che ogni tanto fanno dei signori film.
  • La casa dei 1000 corpi. Sempre di psicopatici parliamo. Forse forse i Firefly sono ancora peggio, ma scegliere è dura. Il film di Zombie mi è venuto in mente per l'originalità delle torture. SPOILER   L'acqua bollente versata nel buco fatto in fronte con un trapano a mò di cottura cerebrale mi è rimasta abbastanza impressa, lo ammetto. E mi ha ricordato che quei cretini sopracitati han cercato di trasformare un ragazzo in una sirena, per dire. In comune hanno anche la bella colonna sonora, che è sempre cosa gradita.


Potrebbero anche essercene altri, perché quello che potrebbe essere scambiato per un semplice e già visto film infarcito di torture è una pellicola intensa, violenta, sentita.
Con personaggi interessanti, in particolare quella così tanto nominata Lola, protagonista indiscussa, grandiosamente interpretata. Mi dava un fastidio solo sentire la sua voce che mi sono spesso accorta durante la visione di avere i pugni stretti dal nervoso. 

Bello assai, e scema io che quando leggevo di voi che ne parlavate bene pensavo: 
'Sarà'.

giovedì 29 gennaio 2015

Dead snow

11:20
(2009, Tommy Wirkola)

Due giorni fa si celebrava la giornata della memoria.
Io, però, non me la cavo bene a gestire queste cose: non so mai cosa dire.
Io uso l'ironia, per demolire chi non reputo degno del mio rispetto.
E infatti.

Quando ho scoperto dell'esistenza di questo film ho pensato che l'idea degli nazizombie fosse assolutamente geniale. Rispecchia in modo abbastanza preciso l'immagine dei nazisti che ho creato nella mia poco seria e storicamente imprecisa mente.
Persone prive di anima e cervello che avanzano lentamente ammazzando quanti più esseri umani gli riesce.


Ecco, c'è da dire che questi, di zombie, corrono.
E corrono per ammazzare un gruppo di universitari che trascorreva le vacanze in una baita, in montagna, in mezzo alla neve.

Non c'è altro che serve sapere per godere di questa chicca che rasenta l'idiozia.

Se inizi un film con il grande classico gruppo di giovani-vacanza-niente linea telefonica-qualcosa va storto, hai più possibilità:
  • fare un Film Di Cacca scegliendo di portarti a casa solo tutti sti clichè comodamente in fila indiana e non portando niente di nuovo/interessante (scelta tutto somamto comoda, ma vigliacca)
  • puntare su un elemento in particolare, che sia la violenza, o la caratterizzazione dei personaggi (ciao Wolf Creek, tvb), o checcavoloneso
  • non prenderti sul serio.

La Norvegia ci soprende con mirabolanti effetti speciali scegliendo di percorrere l'ultima strada.
Il risultato è uno dei film più cazzari, sanguinolenti e hakuna matata che ho visto di recente.
E' una scelta rischiosa, i puristi degli zombie movie potrebbero non prenderla bene, ma che ridere che fa.
Sceglie di percorrere la strada dell'ironia e la conserva come luce ispiratrice come le madonnine sugli specchietti retrovisori delle auto. Si parte poco seri, si continua poco seri e finisce poco seri ma morti.
Morti peraltro nei modi più disparati, e se pensate che questo sia uno spoiler vuol dire che non avete mai visto un film di zombie, o che siete degli inguaribili speranzosi.

Teste mozzate che volano sui rami spogli degli alberi, dita negli occhi (con tanti cari saluti a Scotty e a Sam Raimi), motoseghe, mitragliatrici e soprattutto tanti, tantissimi zombie che spuntano dalla neve come tanti piccoli e forti fiorellini che sopravvivono alle intemperie nordiche.
Mescolate il tutto con amore e un po' di sadismo, incorporata lentamente una bella colonna sonora e quello che sfornerete sarà un filmaccio.

Un filmaccio, ma a cui si vuole un bene esagerato.


mercoledì 7 gennaio 2015

Shaun of the dead

11:28
(2004, Edgar Wright)

Vi spiego cosa è successo.
Avevo deciso di guardare Il cameraman e l'assassino. 
L'avevo anche iniziato.

Ma sono malaticcia, disgustosamente malaticcia.
E siccome la mia testa al momento mi pare una gonfia ed informe massa vuota, a mezzoretta dall'inizio del film mi sono accorta che lo stavo vedendo ma non lo stavo guardando.
Ho quindi deciso di spostarmi su qualcosa di decisamente più leggero, perchè continuo a tossire e mi perdo metà delle battute, mi secca poi arrivare alla fine e scoprire di non avere capito niente.

Ecco perché Shaun of the dead.


Shaun è un grandissimo sfigato. Di quelli che vengono perculati anche dai ragazzini, per intenderci. Vive con l'amico di sempre Ed, e con un altro tizio poco importante bravo solo a rompere le scatole. Ha una storia travagliata con Liz e un lavoro in un negozio di elettronica.
Niente di elettrizzante, sembrerebbe, fino a che scoppia un'epidemia zombie.
E Shaun non se ne accorge.

Cammina per la strada, va nel negozietto di sempre a comprare le cose di sempre, e non si accorge, tanto vive nel suo pianeta sulle nuvole, che intorno a lui ci stanno chiazze di sangue e morti viventi. Se ne accorge quando la situazione è un attimino degenerata, ed elabora un piano per portare in salvo se stesso e i suoi cari. Lo stesso piano che potrebbe elaborare uno qualsiasi di noi in una situazione di pericolo: accertarsi che le persone a cui teniamo stiano bene e cerchiamo di rifugiarci in quello che abbiamo sempre considerato un luogo sicuro: il pub.


Shaun of the dead è uno di quei film curativi.
Giornata storta? Shaun of the dead.
Umore nero? Shaun of the dead.
Influenza e testa pesante come una palla da bowling?  Shaun of the dead.

Perchè è leggero, sì, ma mica troppo. Un paio di scenettine splatter potrebbero infastidire i neofiti.
Perché fa ridere di gusto senza essere affatto idiota. E' un film inglese, mica italiano.
Perché i personaggi siamo noi. Goffi, imbranati, divertenti, orgogliosi, innamorati, pigri, storditi, arrabbiati e poi improvvisamente non più, improvvisatori, litigiosi.
Li amo tutti, dal primo all'ultimo, per il loro essere così perfettamente umani.
Amo che Shaun sia uno sfigato e basta, non di quelli che alla fine si rivelano grandi eroi salvatori del mondo, il suo piano fa schifo e funziona quasi per miracolo. Amo che Ed rappresenti perfettamente la spalla divertente, non sia mai invadente del personaggio principale ma che lo accompagni degnamente fino a fine pellicola. E amo tutti gli altri, degna cornice di una coppia che non si dimentica facilmente.


E amo anche quel quasi happy ending, che scalda il cuore e fa sorridere, un'altra volta.
Anche se la prima volta che l'ho visto ammetto di avere temuto il finale alla Romero e già stavo per piangere.


giovedì 1 gennaio 2015

Honeymoon

17:28
Paul e Bea sono una coppia di splendidi neosposi in viaggio di nozze. Scelgono tanto una cerimonia frugale quanto un viaggio di nozze tranquillo e per niente mondano, nel cottage in cui Bea trascorreva le vacanze con i genitori da piccola.
E' tutto così bello, in quel modo così sincero e mai stucchevole che sanno raccontare solo le persone che innamorate ci sono state davvero e profondamente. Paul e Bea non hanno bisogno di ciccini e cipollini, e coccoline e patatini, si guardano, si toccano, si sorridono, e sono di un gran bello e basta.
Fino a quando Bea non si trova più.
In casa non c'è, in bagno neppure.
Il tempo di iniziare a preoccuparsi seriamente, e Paul la ritrova, nuda e confusa, nel bosco di fronte a casa.
E da questo momento lei non sarà più la stessa.


Parlare d'amore è una pigna nel sedere.
Si entra nella sfera più complessa e personale, e ci si autoeleva a profondi conoscitori del sentimento che in fondo nessuno può dire in tutta sincerità di avere capito.
Ma, cosa peggiore di tutte, si cammina traballando sulla sottilissima linea che divide l'emotività dal diabete. E, ve ne prego, se dovessi in questo post (o in quelli che seguiranno) scivolare nella stucchevolezza, non mancate di farmelo notare.


C'è da dire che Honeymoon rende questo equilibrio ancora più complesso da tenere.
Partendo dal presupposto che la regista () è stata grandiosa nel non cascare mai nella favoletta romantica, quello che traccia nella prima metà del film è uno splendido ritratto di coppia.
Il ritratto di una coppia giovane, bella, divertente e profondamente innamorata. Di quell'amore che non ha bisogno di cipollino e patatina e cucciolina del mio cuor, ma che si nutre dello sguardo, del sorriso, del sesso, del gioco. E noi, inerti spettatori, ci innamoriamo di loro, di Paul e Bea.

Fino a quando lei non scompare nel bosco.
Ogni dettaglio urla che qualcosa non va come dovrebbe, Paul lo nota subito, eppure.
Sarebbe così facile, parlarne subito, no?
Amore guarda sarebbe successa questa cosa, cosa facciamo? Affrontiamola insieme.
Invece no, Bea è cambiata ma lo nega fino allo sfinimento, e di fronte ad una tale chiusura Paul cosa può fare?


Può 'indagare', può cercare delle risposte, ma finchè non sarà lei a dargliele, non sarà mai lo stesso.
E quindi ci tocca guardare, impotenti, una comunicazione che sparisce, sangue che compare, silenzi, pane non imburrato.
Ma soprattutto, ci tocca subire un cambiamento di sguardi che devasta.
Così radiosi, così splendenti nella prima parte. E improvvisamente, così vuoti, così freddi, che ti lasciano di stucco. Certo, merito di una grandiosa Rose Leslie, che avevo così sottovalutato nel mio amato Game of Thrones e che invece è stata stupenda, nel trasformarsi così radicalmente da moglie complice e divertente a muro di ghiaccio. Un silenziosissimo muro che non vuole dire la verità, perché NON PUO'. Perché ha perso se stessa dentro ad un bosco, e sta provando in tutti in modi a conservare quanto può per proteggere lui da una realtà che lo annienterebbe.
Ma che ha già annientato lei.


Un inizio cinematografico immenso, sarà difficile nel corso dell'anno uguagliare questa bellezza.

domenica 14 dicembre 2014

The Poughkeepsie Tapes

12:20
Ogni tanto alla blogosfera prende un virus, particolarmente contagioso, per cui si guarda tutti in massa lo stesso film.
E meno male, penso io, altrimenti sto Poughkeepsie Tapes col piffero che lo vedevo.

Nella città di Poughkeepsie vengono ritrovati numerosi filmati che mostrano omicidi brutali e torture, ripresi live dal killer stesso.
L'FBI, i profiler, la polizia, raccontano le indagini che hanno seguito il ritrovamento.


Io parto chiaramente prevenuta dal fatto che amo i mockumentary.
Lo so che fanno schifo a tutti, che ne avete piene le scatole, che non portano più da nessuna parte.
Avete ragione, sono d'accordo.
Però io gli voglio bene, capite?
Sono come una donna che spera sempre che l'uomo amato cambi.
Sa che non è così, ma lo ama lo stesso.

Quindi, come sento che questo film è un finto documentario con video girati dall'assassino stesso APRITI CIELO CHE CANTO L'ALLELUIA.
(e ricordatevi che ho cantato in un coro, di alleluia ne so tanti)

E l'ho cantato davvero, l'alleluia, perchè a me The Poughkeepsie Tapes è piaciuto.
Ma pure parecchio.

Più di tutto ho amato l'infilarci costante di detective, profiler, psicologi, che per una mediocrissima amante di programmi per casalinghe come Criminal Minds come sono io è la morte proprio.
Motivo per cui guarderò anche The Gerber Syndrome, potete contarci.
E sì, guardo Criminal Minds. A mia discolpa posso dire che amo il dottor Reed. Mi motiva l'amore, come avrete capito.





 Detective, profiler e psicologi che non fanno altro che rimarcare la crudeltà, l'orrore, l'esagerazione delle torture perpetrate dal killer. Peccato che non se ne veda (quasi) nessuna.
Cosa che per me è un ulteriore valore aggiunto perchè la mente umana è portata a pensare sempre al peggio, la nostra immaginazione è malata (non negate, è ovvio che quando gli specialisti parlano di torture così tremende, tutti ci chiediamo di cosa cavolo si tratti e immaginiamo sempre il peggio, è nella nostra natura) ma il regista non ci sta.
Sceglie di far fare il grosso del lavoro sporco alla nostra mente, lui non mostra niente.
Un paio di calci, qualche disagio psicologico.
Per qualcuno questo potrebbe essere un difetto della pellicola, a me è piaciuto sul serio.

Il mock non è mai forzato o inspiegabile, c'è, ne prendiamo atto. Non fa nemmeno venire troppo il mal di testa. E credo che abbia dato una mano non indifferente a rendere quel senso di lercio e malsano del rifugio del killer.


E il finale, beh.
nonostante abbia trovato abbastanza prevedibile quel tentativo di plot twist, la scena finale, quel primo piano della vittima mi ha causato una sequela di brividi in serie, dalla nuca alla schiena.
Lo sguardo, le parole, l'insicurezza.
Una degna conclusione, davvero, me la sono fatta sotto.




lunedì 29 settembre 2014

Aspettando AHS Freak Show: Freaks

16:58
(1932, Tod Browning)


Il 7 ottobre è il mio compleanno.
Il giorno dopo c'è la premiere di American Horror Story: Freak Show.

E da queste parti non crediamo alle coincidenze.

Io non ve lo dico nemmeno quanto sto in fissa per questa nuova stagione.
'Na malattia.

Il C I R C O.
Se non facessero un buon lavoro non li perdonerei mai. (Anche se, sinceramente, non mi hanno mai completamente delusa)
Mi hanno già conquistata.
Sono bastati 20 teaser trailer.
Che trovate qui.

Siccome bisogna arrivare preparati, tutti i miei post fino a quel giorno felice saranno sul circo.
O meglio, sugli horror che ruotano intorno al circo.
Il che rappresenta la fusione tra due delle cose che mi affascinano di più al mondo.
Quando si tratta di circo io non capisco più niente. Ritorno bambina in un secondo. Mi attrae in maniera assoluta, dai costumi, ai talenti, agli animali (discorso controverso, lo so), ogni cosa. Un mondo così lontano dal mio, che sono così sedentaria e tradizionalista e assolutamente imbranatissima a fare qualsiasi cosa comprenda l'agilità del corpo, che non può che esercitare su di me un fascino magnetico.
E chiaramente sì, il Circo de los horrores me lo sono persa.

Da quale film potevo iniziare, se non dal re magno, dal capostipite, dal dio incontrastato, dal sovrano amatissimo di tutti gli horror circensi?

Protagonista di Freaks è Hans, persona affetta da nanismo che si innamora perdutamente della trapezista Cleopatra, la quale invece è intenzionata a sfruttarlo solo per il patrimonio da lui ereditato.

Una volta terminato il film, la prima cosa che mi è venuto spontaneo fare è stata cercare delle informazioni sugli attori. Ho letto che Hans e Frida erano fratelli, che Josephine Joseph (la persona per metà di genere femminile e metà maschile) si è sempre dichiarata (dichiaratA in quanto personA, non saprei che genere attribuirgli per parlarne) ermafrodita, ma che non esistono prove a conferma di questa affermazione, ho letto che l'uomo bruco era molto colto.
Ma tra tutte queste informazioni francamente poco importanti, quella che più mi ha colpito è una, ed è in comune per tutti i freak. 
Quelli del film sono i loro veri nomi.
Le gemelle siamesi si chiamano davvero Daisy e Violet. Josephine Joseph è il nome con cui l'ermafrodita si faceva chiamare abitualmente. Il ragazzo senza gambe era davvero Johnny e
Schlitzie interpretava se stesso.
E tutti loro, tutti, lavoravano realmente nei freakshow.

E la consapevolezza di quello che avevo appena visto mi ha preso come uno schiaffo in viso.
Non abbiamo visto un film.
Per quanto si parli di finzione, per quanto la trama sia stata inventata per crearci una storia, noi abbiamo visto persone REALI riportare su uno schermo quella che davvero era la loro vita.
Perché DAVVERO queste persone venivano guardate nei circhi, puntate a dito, davvero suscitavano reazioni di orrore e disgusto.
Perché DAVVERO esistevano i freakshow.


Sapete, è facile parlarne oggi.
Abbiamo una consapevolezza diversa, una cultura diversa, una società diversa.
Ci piace definirci evoluti, saggi, aperti.
Oggi la chiameremmo disabilità.
Ma comunque continuiamo ad utilizzare un termine che rende automaticamente queste persone diverse. Ancora oggi le mamme che scelgono di portare avanti una gravidanza una volta conosciuta una disabilità nel feto vengono guardate dalle altre come 'Che brava donna, ma come farà? Ma che vita gli darà?'.
Hans e Frida erano fratelli. Figli di una stessa madre che ha dovuto crescere più figli disabili nello stesso momento. Figli di un tempo in cui l'aborto non era possibile, e avere figli con dei problemi non era una scelta.
Oggi lo è, eccome.
E sia chiaro che con questo non mi dichiaro antiabortista, anzi.
Sto solo riflettendo a 'voce alta' su quello che siamo oggi rispetto a quello che eravamo 80 anni fa.

Mi fermo poi a pensare ad un altro aspetto.
Io ho la fortuna di essere nata in salute, senza malattie che mi deformassero.
E già così il pensiero di espormi in un film, o anche solo il pensiero di partecipare ad una trasmissione televisiva, o anche solo di parlare a voce troppo alta in un locale e far girare le persone, mi angoscia.
Questione di carattere, certo.
Ma, proprio per il mio carattere, mi chiedo: cosa ha spinto queste persone a partecipare ad un progetto come quello di Freaks?
Ok, erano tutti abituati per via delle loro partecipazioni ai vari circhi, ma cosa ti porta a esporti così?
Erano consapevoli della volontà di critica sociale del regista?
Volevano mandare un messaggio?
O, semplicemente, sognavano una carriera come attori?
Alcuni di loro, il già citato Schlitzie, per esempio, pare avessero anche un grave ritardo mentale.
Quindi mi chiedo: com'è successo? Come si sono trovati tutti lì?
Perché una persona con una problematica tanto grave è stata sottoposta a questo?
Ho mille domande, davvero.
Magari sono stati tutti trattati con i guanti, badate bene che la mia non vuole essere un'accusa.


Ma la cosa che rende questo film GRANDE, lo sapete qual'è?
Che i freaks possono essere cattivi.
Browning non si nasconde dietro un misero velo di compassione, e soprattutto non nasconde loro. (Ma nemmeno li espone come fenomeni da baraccone, appunto, ci sono e basta)
Gli esseri umani, di qualsiasi colore, forma, genere, possono essere persone meravigliose, generose, pure di cuore.
Oppure possono essere crudeli, vendicative, opportuniste.
Oppure, cosa molto più probabile, possono essere piene di sfumature appartenenti all'una o all'altra caratteristica.
Perché siamo PERSONE.
E quando questo termine diventerà l'unica etichetta di cui ci vestiremo, allora avremo raggiunto l'apertura mentale di cui già ora ci stiamo facendo vanto.
Tod Browning, invece, l'aveva capito 80 anni fa.

E ci ha sbattuto in faccia un film fortissimo (e chissà quanto lo era prima dei tagli violenti della censura) per farcelo capire, senza paura delle conseguenze.
Se ancora oggi il personaggio di colore è sempre il primo a morire nei film, pensate a quanto ha scioccato il mondo quest'uomo più o meno quando sono nati i nostri nonni.

Infine, tornando ad American Horror Story, ho capito finalmente dove hanno preso l'ispirazione per Pepper, che, guarda caso, ritroveremo in Freak Show.






Disclaimer

La cameretta non rappresenta testata giornalistica in quanto viene aggiornata senza nessuna periodicità. La padrona di casa non è responsabile di quanto pubblicato dai lettori nei commenti ma si impegna a cancellare tutti i commenti che verranno ritenuti offensivi o lesivi dell'immagine di terzi. (spam e commenti di natura razzista o omofoba) Tutte le immagini presenti nel blog provengono dal Web, sono quindi considerate pubblico dominio, ma se una o più delle immagini fossero legate a diritti d'autore, contattatemi e provvederò a rimuoverle, anche se sono molto carine.

Twitter

Facebook