martedì 31 ottobre 2017

Halloween Watchlist 2017

09:03
La cosa veramente importante è che stasera si sia tutti al cinema a vedere Shining, giusto?
Giusto.
Mettiamo però che ci sia un nebbione del dodici (espressione mantovana o si dice in tutto il paese?). Che vi si sia bucata una gomma (vi auguro comunque di no). Che vi sia venuta la diarrea, che con sto clima un attimo di freddo al pancino ed è fatta.
Insomma, non potete andare in sala. Siete bloccati a casa. Non guardare un horror per Halloween, però, mi perdonerete, ma è uno spreco terrificante. Ecco, quindi, un'umilissima guida su cosa potreste guardare in base alla vostra compagnia per la serata. Tisana caldissima che fa già un freddo detestabile, coperta con le maniche, popcorn fatti al microonde, che sono anche più sani di quelli del cinema. Preferibile aggiunta felina sulle gambe che permette di risparmiare sulla borsa dell'acqua calda.


Con il fanatico di Netflix
Il vostro amico ha appena fatto l'abbonamento ed è in quella fase in cui snobba la pirateria? Intanto state sereni: passerà. Nel frattempo non temete, Netflix non ha il catalogo horror migliore in circolazione ma ci sono alcune cosine che danno grandi soddisfazioni. Siccome ho già consigliato Crimson Peak nel mio post dell'anno scorso, che trovate qui, quest anno ci buttiamo su Scream. Non è l'unico titolo di valore del catalogo, ma potendo scegliere non c'è altro dio all'infuori di lui. Se vi butta bene, poi, maratona: ci sono anche il due e il tre. Serata risolta. Mi ringrazierete dopo.

Con il moroso geek
Ah, qua potete fare i grossi. Trovate la chicca con cui vantarvi per il resto dei vostri giorni. The Wicker Man. Sir Christopher Lee, paladino della United Nerds, sovrano della cultura geek, signore e padrone dei cuori impavidi dei giovani ingegneri, in un gioiello dimenticato che quando viene rispolverato poi non si dimentica più.
Preparate il cellulare per riprendere i volti dei poveri alla prima visione, il finale è memorabile.

Con il moroso della vostra amica, quello che fa il grosso e che voi detestate
Ci piacciono gli sboroncelli, in Redrumia? No che non ci piacciono. Costoro vanno puniti e ridimensionati. Ora, non dico di usare I spit on your grave, che suona minaccioso e noi siamo più eleganti di così. Sarebbe anche troppo facile usare i filmacci supergore, ma lui continuerebbe a fare il grosso e dire che non gli dà fastidio nulla. Noi, invece, lo vogliamo in lacrime angosciate sul divano questo qua. È per questo che il signorino si coccherà il film di fantasmi su cui ho versato più lacrime in assoluto: The orphanage.

Con l'appassionata di serie tv
Il panorama seriale ci offre diverse possibilità per la sera di Halloween. La scelta più ovvia sarebbe la seconda stagione di Stranger Things, ma confido che una buona fetta di voi se la sia guardata nel weekend. Potremmo buttarci su una cosina come Santa Clarita Diet, sul classico American Horror Story o su quelle serie che riprendono i grandi film tipo Bates Motel o Scream.
Non guardare Ash vs Evil Dead, però, è uno spreco imperdonabile.

Con l'amica femminista
Bisogna ogni tanto trovare il modo di riflettere sulla violenza e di parlare della stessa con qualcosa di diverso. I documentari, i film tematici, i saggi, sono fondamentali e sacrosanti. Quando una persona è intelligente, però, i principi base del rispetto della donna li infila anche in un filmaccio dell'orrore. Sapete chi è molto intelligente? Due nomi, un solo prodotto: Stephen King e Mike Adorato Flanagan, uniti nella creazione di quello che ad oggi è uno dei miei prodotti Netflix preferiti: Gerald's Game. Un film intelligentissimo, un'attrice protagonista portentosa, una scena tremendamente dolorosa e un finale indimenticabile.
Nessuno che avesse letto il romanzo credeva ne avrebbero mai fatto un film. Flanagan ci ha riso in faccia e infatti non ha fatto un film, ha fatto un filmone alla faccia nostra.

Con il gruppo di amici che guarda sempre CSI
Agli appassionati di crime verrebbe semplice suggerire Session 9, che oltre alla sempre appassionante presenza di Horatio Caine è anche un bellissimo film. Se però vogliamo andare più a fondo nella scala del disturbo, proviamo con The Poughkeepsie Tapes. Per una volta che vediamo la faccenda dal punto di vista del serial killer.

Con l'amica gelosa
Ce l'abbiamo tutte: quella che guai a guardare il suo moroso, quella gelosa anche dell'aria che lui respira. Ecco, secondo me se le fate vedere Nina Forever o le piglia l'angoscia e le passa oppure ci ride su, che è sempre un gran bene.

Con quello che 'guardo solo cinema d'autore'
Ah, sì? Con lo snobbetto di sta cippa lippa c'è solo una soluzione: Salò o le 120 giornate di Sodoma. 
Autoriale è autoriale.

Con la cugina animalista
Cannibal Holocaust.
Film di denuncia, un'importante analisi dei media e della loro influenza anni luce prima dei social e della rivoluzione digitale.

Per l'amore di dio scherzo, non fate vedere Cannibal Holocaust ad un animalista qualsiasi che non voglio omicidi sulla coscienza.

mercoledì 25 ottobre 2017

A new Whovian

18:05
AVVISO AI NAVIGANTI
Il post che segue parla nello specifico della stagione 5 della nuova serie di Doctor Who e di conseguenza ha qualche spoiler. Ammesso e non concesso che gli spoiler non vadano in prescrizione dopo tutti sti anni.


Se è vero che c'è un momento giusto per ogni cosa, oggi ringrazio di avere snobbato così a lungo Doctor Who. Una delle serie preferite di sempre del mio ragazzo, me lo sono lasciata scorrere di fianco per anni, ignorando il suo entusiasmo. È arrivato a me nel momento giusto, e mi è entrato dritto nel cuore.
Oggi ho finito di vedere A Christmas Carol, lo speciale di Natale della quinta stagione, e tra le tonnellate di lacrime che ho versato in questi giorni di binge watching, cerco di scriverci su due paroline sensate. Non sullo speciale di Natale, sulla serie.
Parole da neofita quale sono, perché lungi da me voler fare la grande esperta di un universo così vasto che io ho solo da poco iniziato ad esplorare, e soprattutto parole che niente hanno a che vedere con la fantascienza di cui il telefilm, come immaginerete, è pieno. Insomma, chiamiamolo un post di prime impressioni. Ne prevedo molti altri.

Mi ritrovo di nuovo a difendere la fantascienza da me stessa e da quelli come me. La mia innata ostilità verso tutto ciò che è alieno, spaziale (ma solo nella fiction, nella realtà bingwatcho Cosmos su Netflix), laser o androide non è riuscita a tenermi distante a lungo dal fenomeno Doctor.
Come mi ritrovo a dire in ogni caso, quindi, ho avuto la netta sensazione che anche negli episodi del Dottore la fantascienza fosse solo un espediente. C'è tanto, tanto altro di cui parlare, e per farlo in un modo che lasci scorrere episodi da un'ora come fossero sorsi di acqua fresca c'è solo una cosa da fare: metterci l'avventura.
Ho iniziato ad emozionarmi al primo episodio. (Parliamo, ve lo ricordo, della stagione 5, quella da cui, senza alcuna logica spiegabile, Netflix ha deciso di partire.)
La piccola, incantevole, Amelia Pond incontra il Dottore. Cioè, questo squilibrato con il papillon le atterra in giardino, le mangia fuori la dispensa nemmeno fosse uno dei Nani in casa Baggins (sì, mangia davvero fish fingers and custard, causando grossi problemi a me, che vi ricordo lavoro in pasticceria) e la convince di essere pronto a portarla con sè per mille mirabolanti avventure. Lei prepara di corsa la valigetta e aspetta, aspetta, aspetta. The girl who waited.
Se ve lo steste chiedendo, sì, io stavo già frignando.
Alla fine il Dottore torna, diversi anni dopo. Quando viaggi nel tempo a volte perdi un po' il senso della misura.
Inizia così la più felice delle relazioni, tra un alieno che controlla il tempo e la donna che lo accompagna, cresciuta aspettandolo e mai perdendo una goccia sola della grande, dolcissima fede in lui. Separati sono interessanti, insieme fanno scintille. Il loro dialogo è spumeggiante, stuzzicante, irresistibile. Li amo come fossero amici miei. Amy Pond è sensazionale. Curiosa, nel senso di Davvero Molto Curiosa, incurante dell'opinione degli altri, intraprendente, determinata, forte, adorabile. In alcuni momenti ho pensato fosse pazza e in altri ancora che fosse scorretta, brusca, antipatica. Accettarla in ogni suo aspetto, però, significa diventare come lei: coraggiosi e pronti a lanciarsi in un viaggio all'interno del tempo e dello spazio.

E poi Lui, chiaramente, il Dottore.
Mi ha fatto proprio qualcosa dentro, in mezzo allo costole, perché quando guardo un episodio (o due, o tre, o quattro per volta) mi sento contenta. Mi rende contenta. Con il suo sorriso, il suo papillon e la sua enorme sicurezza in sè mi appiccica in basso sulla faccia un sorriso enorme. Sì, ha un cacciavite sonico, una cabina della polizia che viaggia nel tempo e altre cose di cui mi importa poco e niente, più poco che niente, ma vale la pena 'sopportarle'. In realtà ho adorato quel dispositivo indossato come un bambino in fasce che gli permetteva di vedere il Krafyis, con lo specchiettino retrovisore. Ma è stata una felice eccezione.

Il Dottore ha un amore per gli uomini che nemmeno gli uomini hanno per se stessi. Proprio lui, che umano non è. Il suo range di sentimenti è sconfinato, spesso gli basta un gesto con le braccia per esprimere quell'universo intero in cui viaggia.
Esempio? Esempio.
Il mio episodio preferito, quello che ho già rivisto un paio di volte senza mai interrompere il flusso del pianto, è Vincent and the Doctor, il decimo. Il Vincent in questione è Van Gogh, che il Dottore e Amy hanno conosciuto al suo peggio. Pochi mesi prima del suo suicidio, solo, alcolista e profondamente sofferente. Dopo avere combattuto insieme il mostro di circostanza, il Dottore decide dimostrare a Vincent che non tutto è perduto. Lo porta al Musée d'Orsay, nella sala a lui dedicata. Entra, si mette in mezzo alle opere che hanno segnato la storia dell'arte e si limita ad aprire le braccia. Con un gesto gli dice solo 'Guarda, guarda quanto vali davvero.'
Davvero, come avete fatto, voi che non avete pianto? Tutta una vita ridiscussa, un talento rimesso al suo posto, una vita aiutata, in un gesto delle braccia. È stato poetico e meraviglioso e ho pianto tanto. Quando il curatore del museo ha iniziato a parlare pensavo sarei soffocanta nelle mie lacrime.

Non ci sono solo lacrime, però.
Il Dottore è la persona giusta da far conoscere ai bambini, perché è la migliore avventura che gli si possa regalare. E con bambini non intendo solo quelli che avete creato, ma parlo soprattutto di quelli che custodite dentro e che ogni tanto vi dimenticate di far emergere.
Si ride tanto, si viaggia per i secoli e per i pianeti, si salvano donzelle in difficoltà ma anche giovanotti sprovveduti, si combattono robottoni e si uccidono mostri, anche se la violenza è ciò che il Dottore più detesta. Ha la forza fisica del sollevatore di topi, un fisico esilissimo e nessuna arma che non sia il suo cervello. È frequentissimo vederlo bloccarsi proprio nel vivo nell'azione, quando tutto è in pericolo e rischia di perdersi, perché deve pensare. Sono le idee a farlo sopravvivere attraverso il tempo, non le botte. Parla, parla un sacco e implora gli altri di tacere. Zittisce, mette mani sulla bocca e si sfrega la testa, e alla fine l'idea geniale arriva.
Spesso arriva anche il colpo di culo, ma è per questo che ci piace. Se non è sicuro, di certo ci prova. Non smette mai di provare, in realtà. Ogni episodio ha un momento in cui riconosce di avere sbagliato, di essersi confuso, di avere sottovalutato la situazione. Ad un certo punto, però, gli si accende la lampadina del genio, e finiamo per vivere momenti come questo, indimenticabile:


Se non l'avete ancora fatto, lasciatevi trascinare in un'avventura indimenticabile. Ci sono i Dalek, i quadri famosi, i fidanzati goffi e gli Antichi Romani.
Riuscite a pensare a qualcosa di meglio?



Post dedicato a Erre, ovviamente. 
Possa io continuare ad essere la Pond che ti accompagna nelle tue avventure, senz'altro più terresti, ma non per questo meno entusiasmanti.

sabato 21 ottobre 2017

Mindhunter

20:58
Sto malissimo in sti giorni. Vado a lavorare la mattina, all'una sono a casa e passo il resto del pomeriggio febbricitante e pronta a scrivere le mie ultime volontà dal letto in cui ormai ho lasciato la forma.
Netflix ha capito. Spiandomi dalla webcam del mio pc come tutti i veri e grandi poteri forti ha captato la mia necessità: un binge watching serratissimo.
Ha voluto però anche punire la mia pigrizia, infliggendomi una serie da scombussolamento cerebrale.
Parliamo di Mindhunter.


L'agente Ford lavora per l'FBI. Si occupa di gestire gli uomini che prendono ostaggi e rischiano stragi, quindi è solito avere a che fare con un lato più psicologico che con le armi, ma desidera fare di più, allargare le sue conoscenze, ampliare il suo ambito di competenza. In particolare, è affascinato dalle menti dei grandi criminali, quelli celebri, colpevoli di omicidi plurimi efferatissimi. Il suo interesse e la sua lingua lunga porteranno quello che era solo un esperimento condotto di nascosto da lui e il suo partner a diventare un ramo innovativo del Bureau.

Messa così potremmo confonderla con un procedural qualsiasi. Netflix, invece, si diverte tantissimo a prendere le cose e renderle il meno ovvie possibile. Mindhunter non è solo il racconto della risoluzione di alcuni casi. È la storia di una rivoluzione.

Siamo nel 77. Le parolacce sono sconvolgenti fonti di scandalo, l'apparenza nei confronti della propria comunità era fondamentale, e soprattutto, i criminali erano pezzenti sacchi di merda da umiliare e punire, fine della storia.
40 anni dopo (QUARANTA): le persone vengono squalificate dal Grande Fratello perché bestemmiano (in uno stato che dovrebbe essere laico), dell'apparenza non voglio nemmeno iniziare a parlare, e per quanto riguarda i criminali vi invito a fare un giro tra i commenti su fb ad ogni link condiviso da La Repubblica.
Lo vedete, vero, cosa fa Netflix? Ci prende tutti quanti per i fondelli, e fa di un bene che non riesco neanche a dirlo.

In questo momento in cui ancora urliamo alla giustizia privata, agli squadrismi, alla tortura, una serie come Mindhunter è fondamentale. Riporta all'attenzione il fatto che ogni persona, anche una che commetta atti terrificanti, abbia bisogno prima di tutto di comprensione. Senza quella abbiamo perso ogni scopo.
Non sono pazza, quando sento di certi crimini il mio primo istinto è sempre una rabbia cieca. Stasera la tv mi ha quasi fatto sputare sangue. Però prima di uscire per la strada e massacrare di mazzate chiunque rubi una mela al mercato, mi fermo a pensare. E Ford applica questo concetto, che dovrebbe essere basilare, a fenomeni ben più ampi della mia povera mela del mercato. Affronta assassini e stupratori con calmissima lucidità, quasi dimentico del reato di fronte alla sua spiccata curiosità per quello che al reato sta dietro.
La mente.
In mezzo a colleghi che vedono la risoluzione del caso come una realizzazione personale, lui vede oltre e deve combattere contro i mulini a vento per impedire che l'efferatezza di quello che viene sollevato oscuri l'altezza del suo ideale. Chissà se questa frase è comprensibile. Il punto è che tutti gli altri coinvolti, nella serie, non vedono l'ora di sbattere il mostro in cella. Non che a lui questo non importi, tutt'altro, ma non si può fermare lì. Una mente in grado di rapire e uccidere molte donne deve avere qualcosa che vale la pena comprendere. Chi comprende può affrontare, chi si limita al giudizio finisce per non risolvere nemmeno il caso.
Entrare nel vivo di menti così deviate, però, non può essere senza conseguenze. Le vite di tutti i coinvolti non possono scorrere come se fosse la normalità. Questo aspetto, in Mindhunter, arriva con un moto lentissimo ma costante, ed è doloroso. Non si può toccare il male senza sporcarsi.

Mindhunter mi è sembrata coraggiosissima nel tirare in ballo criminali ancora in vita, riportando in discussione i loro terrificanti omicidi e spiattellandoli sulla piattaforma più vista del mondo, come se niente fosse. Il rispetto per le vittime, però, considerato che alcuni familiari potrebbero essere ancora in vita, non è mai mancato. Sembrava facilissimo commettere un passo falso.

Un lavoro consì intenso e importante ci arriva con una confezione deliziosa. Questi anni 70 sono pieni di colori grigi e abiti da uomo mai della misura perfetta, sigarette continue e cabine del telefono, grandissime scritte bianche riempischermo e una colonna sonora strepitosa.
Tiè, siccome è sabato sera e non tutti starete in casa come me, una canzone che vi carichi per la serata:



giovedì 19 ottobre 2017

It

08:33
Avevo accolto la notizia di un nuovo It quasi tiepidamente. Non che fossi scettica, solo che non ero partita a mille, ecco.
Poi il film è uscito all'estero, con un anticipo ridicolo rispetto all'Italia, ed è uscito con il B O T T O.
Cifre astronomiche. Per un horror, quasi fantascienza.
Dopo lacrime di commozione e sempre crescente frustrazione legata all'attesa, il mio spirito, che nell'intimo è ancora un pochino cinico, ha immaginato che almeno il 60% del pubblico fosse composto da haters preimpostati pronti ad assaltare lo schermo con le balestre al grido di 'Tim, this is for you', citando la Donatella Versace nell'omaggio al fratello.
Invece anche questa volta la soluzione era la più facile: sono andati a vederlo tutti perché It è bellissimo.

Quando ho visto il titolo uscito così volevo piangere di bellezza


Dando per ovvio che conosciate almeno a grandi tratti la storia, passerei direttamente oltre. Se per caso invece non la conosceste, per favore, non cercatela. Lasciate che l'esperienza vi entri sotto la pelle perché vi garantisco che una volta sguinzagliato il pagliaccio, non ve ne libererete mai più.
It rappresenta un rito di passaggio nella vita dei lettori. Letto da giovanissimi, poi, è proprio un momento di separazione, perché dopo il romanzo di King la vita da lettori non è più la stessa. Chi l'ha letto da giovane ricorda distintamente il prima It e il dopo It. Io ricordo il primo giorno che ho visto il volumone in biblioteca, l'ho guardato per mesi prima di trovare il coraggio. Il punto veramente eccezionale, però, è che quando lo si rilegge (perché lo si rilegge...) magari si presta più attenzione ai dettagli, si va più in profondità, si analizza di più, ma delle cose importanti non cambia niente. E con cose importanti del mattone da combattimento kinghiano intendo la paura e l'amore.
Fingendo che la serie 1990 non esista, il film aveva tre possibilità: topparle entrambe, perché il rischio c'era, prenderne una e mollare l'altra, oppure, in una sorta di miracolo mariano, azzeccarle entrambe regalando un'esperienza impareggiabile.

Muschietti è al suo secondo film. Potevamo tutti tremare all'idea che toppasse, l'esperienza non era dalla sua. Invece Andy ci insegna che a volte non sono l'età o il curriculum a fare la differenza, ma l'intelligenza. Se già con Mama (fatta eccezione per la fine) a me aveva intrigata molto, adesso sono alla sua mercè. Fai di me quello che vuoi Andy, perché io ti amo. Ha ballato alla perfezione nell'equilibrio perfetto di un romanzo magistrale, che non solo faceva paura, ma che dava un calore impareggiabile. Il gruppo dei Perdenti è il vero punto di forza del romanzo. Bambini e basta, di un realismo che solo King, nel suo sempre splendido modo di parlare dell'infanzia, avrebbe potuto creare.

Nel film di Muschietti i Perdenti sono eccezionali. Oltre ad essere dei faccini da tenere sotto controllo singolarmente, perché sono stati tutti davvero bravi, sono stati un gruppo eccezionale. Bambini senza alcuna pretesa di eroismo, che hanno sincera paura e motivazioni non sempre altissime (la vendetta è molto presente), che vengono feriti, malmenati, sconquassati, sottomessi. Ma che si rialzano sempre, benda a coprire la faccia masticata e si torna a combattere. Sono bambini imperfetti, pieni di ansie e prese in giro sulla mamma, ma si vogliono un bene grande, tanto grande da superare l'istinto di sopravvivenza base. E il fatto che siano così cristallini dentro non era affatto scontato, perché come King fa sempre, e come Muschietti ha rispettato, tutti loro hanno alle spalle adulti di riferimento ben poco funzionali al loro ruolo di educatori. Gli adulti di It sono inesistenti, inutili, oppure dannosi. Non servono a niente nel caso, a cui comunque non crederebbero, e non sono di alcun supporto a dei bambini che stanno vivendo un'esperienza tremenda.

Ecco, l'esperienza tremenda. Quella, non preoccupatevi, la vivrete anche voi. Peché Muschietti non ha alcuna intenzione di farvi uscire sereni dalla sala: It fa una paura del demonio. Se già avevamo capito che Skarsgard era bello bello in modo assurdo dalle foto promozionali, qualcuno si era scordato di dirci che è anche mostruosamente bravo. Il suo Pennywise ha una mobilità eccezionale, un volto indimenticabile e, nel complesso, tende a farti salire una pellicina d'oca che te la levi forse forse la mattina dopo. Se dormi bene.
Siccome sappiamo da esperienze precedenti che una buona performance da sè non conta troppo se la sporchi di cacca tutto intorno, qui Pennywise viene quasi lodato. Il film ruota intorno a lui, viene valorizzato ogni suo piccolo sguardo, ogni suo movimento è sacrosanto. Intorno a lui è ricamata un'atmosfera spaventosa, che non fa niente per portare sollievo, neanche durante i momenti leggeri tra i ragazzi. Pennywise è sempre sullo sfondo e si fa proprio in modo di non farcelo dimenticare mai.
La scena del primo ingresso dei Perdenti nella casa di Neibolt Street è una scena lunghetta e piena, PIENA, di tensione. Non si molla un colpo, le sequenze spaventose sono una successione infinita che non dà un istante di tregua. È perfetta.

Si ride tanto, con questi Perdenti, e se non gli si voleva bene prima si esce dalla sala col cuore colmo di affetto. Poi, però, quando ti avvicini al corridoio luminoso del multisala è inevitabile voltarsi indietro preoccupati, It ha fatto il suo lavoro e ha fatto paura.
Tutto quello che gli serve per sopravvivere.

lunedì 16 ottobre 2017

La libreria di una persona che non compra libri

16:48
Ne abbiamo già parlato: io non compro libri.
Costano una sassata, pesano altrettanto e occupano ettari di casa. Il mio lettore ebook mi rende la lettrice più soddisfatta e meno in bancarotta di sempre.


Le persone che mi circondano sanno che i libri per me >>>>>>> tutto il resto, però, quindi in ogni occasione possibile si prodigano in regali generosissimi. Praticamente la mia libreria si divide tra libri regalati e libri usati. Parlare dei libri che si posseggono mi sembra un modo anche per parlare un po' della persona che sta dentro la Redrumia, in un viaggio attraverso i romanzi che hanno accompagnato la mia vita. Mi piacerebbe un sacco sapere se anche voi avete uno o più scaffali per i libri più speciali! Facciamo come gli iutiubers e facciamo i tag? Mi rispondete con un post o nei commenti?
Qui sotto, quindi, una carrellata dei miei bambini, quelli che tengo esposti e mostro a tutti come una nonna con le foto del nipotino ciccione.

la narrativa generica
1. Le edizioni lusso (così le chiama Amazon e chi sono io per cambiargli nome?) di Mondadori della saga delle Cronache del ghiaccio e del fuoco. Regà, Il trono di spade. Sono edizioni molto belle, amo tenerle esposte come aprifila. Il contenuto mi ha appassionata fino ad un certo punto, poi la noia ha vinto e sono passata alla serie tv. Ovviamente mi sono stati regalati.
2. Guerra e pace. Ricordo ai naviganti quanto per me Newton Compton sia la sola casa editrice ad aver capito come secondo me vadano trattati i classici oggi. Questo l'ho acquistato in combo con un volume che vi mostro dopo, entrambi 9.90€. Ripeto, ENTRAMBI NOVE E NOVANTA. Sto aspettando di prendere la prossima influenza potente per iniziarlo, ma se è bello anche solo un quarto di Anna Karenina posso dirmi felice. Credo comunque che all'influenza manchi poco.
3. Lo sfolgorante esordio di Zadie Smith, Denti bianchi. Acquistato usato, tornerà presto nel posto in cui l'ho comprato, perché sfolgorante non è la definizione che gli darei io. Forse l'ho letto nel momento sbagliato, ma questo romanzo pieno di temi importantissimi e davvero interessanti mi ha Annoiata. A. Morte.
4. Il mio primo volume di poesie. Sempre trattato dagli amici di Newton Compton e acquistato giusto ieri ad un mercatino dell'usato, I fiori del male di Baudelaire hanno fatto il loro fiero ingresso nella nostra famigliola intima ma felicissima.
5. Tutti amano Zafon per la saga del Cimitero dei libri dimenticati, che a me ha detto pressapoco nulla. Marina, però, è un romanzo cupo e pieno di suggestioni, che più di una volta mi ha fatto chiudere la copertina di scatto per controllare che la mia camera fosse in sicurezza. Un'atmosfera che quella saga là se la sogna, una descrizione dei legami umani unica, un romanzo bellissimo.
6. Non conoscevo nulla della Allende, fino a Ines dell'anima mia. Innamorata del titolo, l'ho preso e mi sono innamorata ancora di più del contenuto. È la storia di Inès de Suàrez, una delle combattenti più famose della storia del Cile. A me queste donne controverse piacciono da matti. Ines non era una santa, era umana. E la sua storia di umana 'qualsiasi' è intrigante e avventurosa.
7. È davvero necessario che dica qualcosa su Il signore degli anelli? Sta qui perché mi immagino nel mio futuro seduta su una sedia a dondolo a leggerlo al mio primogenito. Sogni irrealistici? Se sì, non ditemelo.
8. La raccolta di romanzi di Jane Austen. Adoratissimo regalo di compleanno, questa bellissima edizione Bur raccoglie le meraviglie del mio grande amore adolescenziale. Se non avete letto Ragione e Sentimento non credo possiamo essere amici.
9. La mia utilissima guida di Praga made in Famiglia Cristiana e acquistata al mio solito mercatino dell'usato (qualche giorno ve lo mostro perché ha l'aspetto del Paradiso) ha riempito di nozioni il mio primo viaggio nella mia città preferita d'Europa, ma ora ricopre il nobile ruolo del separatore di argomenti. Dietro di lei la narrativa generica, davanti a lei l'orrore.

la narrativa de paura
10. Mia zia collezionava i romanzi che uscivano con la Famiglia Cristiana (a dispetto di quante volte la FC viene nominata in questo post, vi ricordo il mio ateismo). In occasione di un suo trasloco se ne è disfatta. Ho salvato Le avventure di Gordon Pym, perché non ci si disfa mai di Edgar.
11. La mia copia de Le notti di Salem è un disastro. Acquistato usato in condizioni pietose, ora conserva la sua forma vagamente a libro perché lo tengo insieme con un bel po' di grosso scotch trasparente da imballaggio. Non me ne libererò mai.
12. I racconti di Edgar Allan Poe li ho trovati in questa elegantissima edizione in due volumi, più vecchi della Creazione stessa, al mio mercatino. Sono giustamente divisi in racconti del mistero e racconti del terrore, e sono la compagnia migliore per una signorina a modo come me.
13. I racconti di Lovecraft, invece, comprati in quel solito posto, usati ma praticamente mai sfiorati dal precedente proprietario, sono divisi in modo assolutamente casuale. È forse un problema per me? Neanche per idea.
14. I primi due volumi della saga di Mr. Mercedes sono stati due graditissimi regali. Di tasca mia non avrei dato manco un centesimo a Sperling&Kupfer, la cui qualità non mi entusiasma per niente, soprattutto se paragonata a QUANTO CIUMBIA COSTANO I LIBRI DI SK.
15. Questo volumone, pagato, me la tiro, UN EURO VIRGOLA CINQUANTA, è la prima versione dei Mammut di casa Newton Compton. Questo, in particolare, è un gioiello, è una raccolta di romanzi gotici in cui ci sono tutti i grandissimi. Manca solo la Radcliffe, ma già così è un portento. Se non avete mai letto Il Monaco siete sul blog sbagliato.
16/17. Di fianco al nonnino Mammut, i due giovini. Uno è quello acquistato in combo con Guerra e pace, e raccoglie tutti i racconti sui vampiri da Polidori in poi. È una chicca meravigliosa che quando sono triste accarezzo con affetto. Il suo vicino, invece, regalo amato con tutto il cuore, è una raccolta dei più grandi romanzi dell'orrore. Senza Dracula la vita non ha senso.
18. C'è poco da dire su di lui, il mio King preferito di sempre: Dolores Claiborne.

le cose coi disegnetti

19. L'unico, amato immensamente, regalo di compleanno che mio fratello mi abbia mai fatto. L'Omnibus della fine di RatMan. Leo Ortolani è una delle mie dieci persone preferite al mondo. A pagina 3 avevo le lacrime dal ridere.
20. Sandman, per me, è il fumetto più straordinario della storia del mondo. Ne ho solo due volumi perché lo sto comprando 'a rate'. Cambia l'esistenza. Fatevi sto regalo.
21. I tre maestosi e magnifici volumi di Harry Potter illustrati da quel maestro di Jim Kay. Se come me avete trovato in Hogwarts la vostra vera Casa, questi libri ve li meritate. Sono di una bellezza che a parole non si riesce ad esprimere. Sono tra i miei beni più preziosi.
22. I fumetti di Alan Moore di casa Panini: Providence e il Neonomicon. Ne parliamo presto.
23. Queste sono tutte le riviste in cui è uscito qualcosa firmato da Zerocalcare. Per favore, vogliate bene a voi e alla vostra intelligenza, leggete Kobane Calling.

le cose per ragazzi e il mio bellissimo Buddha


24. Quando Newton Compton (sì, ancora lei) ha buttato fuori i libercoli a 99 cents, mi sono fiondata in libreria con la valigia. Dietro al mio adoratissimo Buddha (mia grande passione estetica since 1990), stanno cose come Gatsby, Sherlock Holmes, La casa stregata...ci sono molto affezionata.
25. Questo splendido cofanetto mi è appena stato regalato per il compleanno. Sono tre tra i più bei volumi del mio Signore e Padrone Neil Gaiman e sono illustrati dal portento di Chris Riddell. Sono Coraline, The Graveyard Book e Fortunately the milk. Per l'amore diddio leggete Neil Gaiman.
26. Alice nel paese delle meraviglie, tema della mia tesina di maturità, è qui per ricordo.
27. Una sezione ragazzi senza The princess bride è un insulto. È il libro per ragazzi perfetto e voglio proprio vedere a contraddirmi. Questa edizione è in inglese e si rovina solo a guardarla, ma ha la copertina bellissima.
28. Gli unici Harry Potter non illustrati che posseggo. Storia strappalacrime: i miei non è che potessero permettersi di comprarmi granché quindi appena ho iniziato a lavorare ho speso i miei primi guadagni per una delle cose che amo di più al mondo, Harry. Ho comprato solo i miei preferiti, il 3 e il 7. Il resto sempre letto in biblioteca, con code infinite e unghie divorate nell'attesa. Non avrò pace fino a che non mi sarò comprata il 5.
29. Le cronache di Narnia cfr Il signore degli anelli.
30. Il mio primo Neil, un'edizione marcia di Coraline comprata ad una fiera dell'usato. Non si hanno mai troppe Coraline.
31. Il mio Piccole donne, regalo di compleanno dell'infanzia, è stato letto talmente tante volte che tante pagine si sono staccate. Gli voglio un bene dell'anima.

i libri sul cinema

32. Ho sgolosiato questo libro su Amazon per secoli e per il mio compleanno mi è finito tra le braccia. La collana Big Ideas Simply Explained è portentosa, e The Movie Book parla di tutti i grandissimi classici con fare appassionato e appassionante, ha un sacco di foto e curiosità divertenti e poi parla anche de Il labirinto del fauno, il che purtroppo non è così scontato.
33. Speciale della solita Famiglia Cristiana per i 100 anni del cinema. Trovato in mezzo al marasma delle riviste usate del mio mercatino, è meno famigliacristianoso di quanto sembri. È pieno di schede interessanti e consigli non scontati. 1,50€ di potenza.
34. Sempre mercatino, sempre zona riviste: lo speciale di Ciak sul cinema fantastico non poteva che essere mio.
35. Unico libro venuto a casa con me dal mio viaggio a Londra. Il negozietto, dell'usato chiaramente, in cui l'ho preso era a Notting Hill e chiariva con più cartelli di non essere il negozio di quel shitty movie. Ho riso abbastanza e poi ci ho comprato un volumone su Hitchcock: The art of Alfred Hitchcock, di Donald Spoto. È gigante e più Hitchcock c'è, più siamo contenti tutti.
36. Un altro coso che una volta era un libro e che ora sta in piedi con lo scotch: Il film di Bela Balasz. Una specie di bibbia che ho pagato molto, ma molto più di quello che meritava viste le sue condizioni scandalose. Non sono riuscita a rinunciarvi, sono una debole.
37. Angolo dei libri minuscoli sul cinema: Il cinema secondo Hitchcock di Truffaut, Il cinema di Hitchcock di Brunetta e due specialini de L'Unità, uno su Hitchcock (non sono errori di battitura, ho davvero diversi libri tutti su di lui) e uno su Kubrick. Prezzo totale euri 3. Mi sono quasi commossa dalla gioia.
38. Angolo degli unici dvd che tengo esposti: Shining, edizione in due dischi con i documentari e gli speciali e le cose che fanno gongolare noi isterici, Evil Dead, e che ve lo dico a fare, e Carrie. Non li guardo quasi mai in dvd, ma non li toglierei mai da lì.
39. Un volumone su cinema e colonne sonore, regalone di compleanno, con tanto di cd che vi assicuro sono un portento di background per chi scrive, si chiama Movies!
40. Il Guillermo Del Toro's Cabinet of Curiosities. Non è un libro, è un'opera d'arte. Una delle cose più belle che mi siano mai state regalate.

Se vi girate di 180 gradi rispetto alle mie mensoline trovate le mensolacce di un 18enne, con tanti manga, gadget delle notti rosa di Rimini e della recente coscrizione e i giochi dell'Xbox. O lmeno, credo che sotto la polvere ci sia ancora sta roba. Ve la risparmio in nome dell'affetto che ci lega.

Se vi va, curioserei volentierissimo nelle vostre librerie e nei vostri ricordi!

martedì 10 ottobre 2017

Una cosa divertente che non farò mai più, David Foster Wallace

16:00
Nei giorni scorsi ho riflettuto, grazie a Ridley Scott e Denis Villeneuve sull'umanità.
(Nota a margine: andate a vedere al cinema Blade Runner 2049 che è una perla)
L'ho fatto grazie ad un'analisi intensa, piena di cuore e intelligenza sopraffina.
Poi è arrivato DFW, che in nemmeno un centinaio di pagine quella stessa umanità l'ha vivisezionata, scoprendola proprio nel momento in cui questa è meno controllata (in vacanza), e l'ha presa violentemente, ferocemente, brillantemente, per il culo.


Nel 1996 Harper's Magazine ha chiesto ad una delle menti più brillanti di questi tempi di andare in crociera, godersi la vacanza e poi scriverci un articolo.

Mandare una persona con depressione conclamata in mezzo all'oceano circondato dalla bizzarra selezione di umani che frequentano il mondo delle crociere è una scelta quantomeno azzardata. Questo poteva togliersi la vita prima del tempo (sob) o fare una strage. Per nostra grande fortuna, però, il modo di DFW di sfogarsi era la scrittura. Era in una situazione per lui probabilmente fonte di disagio, e quindi ha trovato il modo di prendersene gioco, trascinando giù con essa i piccoli vizi degli uomini.

Si poteva cadere miseramente nel rischio di uno sguardo cinico e infarcito di superiorità, con un mix del genere. Prendere David Foster Wallace e buttarlo in uno spazio chiuso in mezzo a migliaia di persone, non son cose che si fanno. Wallace, però, era partito pronto. Mai per un istante il suo tono brutalmente ironico è scambiabile per superiore perchè la prima vittima della sua ironia è lui stesso. Lui che si è messo alla prova e si è lanciato in iniziative a dir poco distanti dalla sua quotidianità (il tiro al piattello, per dirne una sola, in cui si è rivelato pessimo), che si è nascosto nei corridoi per vedere quanto velocemente intervenisse il servizio di pulizia delle camere, lui che ha conosciuto il suo lato viziato e invidioso e ce l'ha raccontato senza pudore alcuno.
Ha spalancato i suoi occhi svegli su quello che lo circondava e ce lo ha trasmesso con la semplicità del primo sguardo ma la profondità di chi come primo sguardo ha quello attentissimo di chi scrive per vivere. I dettagli più piccoli, a partire dalla descrizione della nave fino ad arrivare ai costumi dei bagnanti, sono riportati fedelmente per portarci all'interno dell'esperienza. Un'esperienza all'insegna del vizio, della coccola, dell'ozio.
Un sogno incantato, o un incubo terrificante.

L'ennesima conferma di come DFW sia fatto su misura per me, con il suo sentirsi così distante da tutti noi e allo stesso tempo così uguale a tutti gli altri.
Come scriveva lui, però, pochi altri.
Basta guardare cosa è in grado di fare con un water.

giovedì 5 ottobre 2017

Blade Runner - The Final Cut

11:29
DISCLAIMER
Questo post non vuole essere un esaustivo articolo su uno dei film più importanti di sempre perché sapete che a me quelle cose lì mettono soggezione, ma solo una sputacchiata incoerente di opinioni, emozioni e pensieri derivanti dalla visione del suddetto maestoso film.
Insomma, per l'ennesima volta è un post per rassicurare quelle persone magari indirizzate verso un certo film dal partner che hanno paura di morire di noia e di detestare qualcosa che, invece, vi posso garantire è grande davvero.



Ho guardato il vecchio BR perché se un film ha qualcosa a che fare con Villeneuve io lo voglio vedere e quindi domenica pomeriggio sarò in sala a vedere quello nuovo senza se e senza ma. Volevo arrivare preparata primo per dovere di completezza e secondo per non tartassare di domande il povero R che del vecchio BR è un amante.
A lui basta che dare qualcosa che ricordi anche solo alla lontana la fantascienza e gongola come un gatto quando gli gratti il collo, io vedo la fantascienza e volo via sulle ali del vento.
Ero pronta ad un film lungo ventisei ore, noioso come la Via Crucis e pesante come quei biscotti al burro che ho assaggiato ieri e che ancora sono piantati sullo stomaco. Il Final Cut del 2007 è tutto tranne che questo. Non arriva alle due ore e le fa scorrere con una dinamicità e una fluidità che sono un sogno per noi che questo genere lo tolleriamo a piccole dosi.

Un accenno di trama per chi come me abbia vissuto sulla Luna fino a ieri sera.

Siamo nella Los Angeles del 2019. Il mondo non ha più quasi niente di come lo conosciamo, l'inquinamento lo ha reso un pianeta inabitabile e i pochi che sono costretti a restare lo fanno per malattia o povertà. In mezzo a questo panorama desolato, i replicanti. Sono androidi dall'aspetto e dalle caratteristiche quasi identiche a quelli umani, usati per i lavori più beceri. Quando hanno iniziato a sviluppare anche emozioni umane, però, si è deciso di sopprimerli in massa o rinchiuderli in colonie. Sei di loro sono riusciti a tornare sulla Terra e il compito di Harrison Ford sarà quello di cercarli e farli fuori uno per uno alla Dieci Piccoli Indiani.

C'erano tutte le premesse perché me ne fregasse meno di niente. Le scritte iniziali, con cui si viene introdotti alla storia, mi avevano lasciato presagi di morte e sonnolenza. Invece, prima inquadratura.

'sticazzi

Io fulminata. Ragazzi, ragazze costretti a ciò dal moroso o dalla morosa o da un'amica o da un papà appassionato: ne vale la pena.
Ne vale la pena di uscire dalla comfort zone e lasciarsi andare, perché in mezzo al marasma di film di fantascienza di cui onestamente capisco possiate essere pieni, Blade Runner è un sogno. Un sogno fatto di disperazione e desolazione, un sogno fatto di profondissimi dilemmi etici che vanno ben al di là del solito cosa è giusto/cosa è sbagliato. È un'analisi della vita e dei suoi componenti, dell'umanità in ogni sua sfaccettatura, di una società spaccata in due (letteralmente) in cui solo il più debole è costretto a vivere nel marcio, dell'amore impossibile nel suo aspetto più estremo.
È un film che rimette al suo posto (l'angolino della vergogna) chi ancora crede in qualche supremazia, chi ancora cerchi differenze tra le persone, chi dimentica cosa ci rende umani e, quindi, uguali.
Come lo fa? Con immagini indimenticabili.
Se la storia in sè continua a non convincervi, lasciate che le immagini parlino da sè. Se quella prima vista sulla città non vi ha fatto cadere vittime di un amore inesorabile, lasciate che tutto il resto del film, con la sua pioggia incessante e il suo maestoso azzurro onnipresente, vi trascini laddove nessuno vi aveva mai trascinato prima. Nell'Olimpo dei Grandi, dove basta una figura che cammina in controluce per ricordarvi chi comanda.
E vi dico la verità, a me basterebbe un'estetica così strepitosa a farmi innamorare. Tutto è così incredibilmente bello anche quando ritrae il brutto da farmi credere che non possa esistere niente di altrettanto appagante.
(MA non lo farò. Non sarò di quelli che andranno a vedere il nuovo Blade Runner solo per dire che il primo è più bello. Se lo fate state a casa e lasciatemi i posti migliori in sala, grazie.)

Avevo contemplato la possibilità che mi piacesse, ma neanche per un istante ho pensato che mi sarei Innamorata.
E invece il Cinema mi ha fregata ancora una volta.

mercoledì 4 ottobre 2017

Madre!

14:36
Ho pensato per giorni se fosse il caso o meno di parlare di Madre!.
Poiché, però, dalla sera della visione non riesco a pensare ad altro, mi ritrovo a dover almeno provare a buttare giù qualche riga, nella vaga speranza mi esca qualcosa di sensato.


Per quanto mi riguarda un film di Aronofsky al giorno potrebbe essere la ricetta della felicità. Mi piace tanto, tantissimo, rappresenta in pieno quello che cerco quando inizio un film. Alle prime notizie dei fischi a Venezia mi sono tappata le orecchie e ho indossato il velo del negazionismo.
Ebbene, entro in sala.
A metà film voglio uscire.

La coppia composta da Jennifer Lawrence e Javier Bardem (caposquadra dei Brutti Che Piacciono Alla Mari®) vive in una casa in mezzo al nulla. Sembrano felici anche se l'ispirazione di lui, poeta, sembra tardare ad arrivare. La loro solitudine viene interrotta dall'arrivo di un ospite, convinto che la loro casa fosse un b&b, che viene invitato a restare da Bardem.
Per me, da questo momento, ha inizio un incubo.
Mano a mano che l'ospite diventava invadente, io diventavo nervosa. Se ognuno di noi è più o meno sensibile a cose diverse, io impazzisco quando mi sento invasa. La mia casa è la mia casa e tu ti prendi la confidenza che io ti dò, punto. Ho persone a me vicine che invece sono meno inflessibili di me e che toccano la casa altrui come se fosse propria e le condannerei a morte con tortura. Nel senso che mi dà fastidio anche se lo fanno a casa d'altri, mi sembra proprio di impazzire.
Tutta la prima metà del film è un home invasion di portata psicologica terrificante. Con l'arrivo della moglie la visione è diventata per me faticosa come un allenamento di Kayla Itsines e per la prima volta nella mia vita, sono disposta a giurarlo, mi è balenata in testa l'ipotesi di lasciare la sala.
Sono abituata al cinema che lascia sensazioni negative. Spesso mi piace. Mi piace l'arte che scombussola, che rimette in discussione, che frantuma e ricostruisce. La fruizione, però, deve essere gradevole. Mi piace guardare i peggio film horror anche quando sono beceri oppure spaventosissimi perché per qualche motivo mi divertono, quindi anche qualora la sensazione non sia quella di cavalcare un unicorno io ne traggo comunque qualcosa di positivo. Quando ho visto Martyrs ho faticato come un anziano che salta i fossi per il lungo, ma alla fine per tutta la durata ho avuto la netta sensazione di stare guardando qualcosa di Grande. L'esperienza finisce sempre e comunque per essere gratificante.
In Mother! mi sono spesso ritrovata a pensare che non ne valesse la pena. Ogni sgarbo, ogni imposizione, ogni intrusione mi sono pesati come macigni e non voglio sentirmi così quando guardo un film. Ero arrabbiata furiosamente con Darren Aronofsky che non mi stava dando quello che volevo e che mi disturbava così (avanti, anticinefili dell'internet, perculatemi pure, ho intenzione di usare tantissimo la parola disturbante in questo post).
Ma soprattutto, levatemi di torno la faccia della Pfeiffer perché com'è vero Iddio io la detesto.
Mi passerà, quando mi dimenticherò il film, ma è stata talmente brava che io adesso vorrei procurarle dolore fisico con le mie stesse mani.

Poi, però, succede qualcosa.
Il film entra in una seconda fase in cui, sia lodato Djesoocreesto, la Pfeiffer scompare dalla scena per lasciare spazio ad un'infinità di cose in più. Tutto quello che abbiamo visto fino a quel momento prende un aspetto nuovo, interessante. Una nuova lettura ci viene sottoposta e noi finiremo per rileggere tutto il film in luuunghe sedute di discussione con chi abbia avuto la sfortuna di finire in sala con noi.
Bisogna riconoscere che DA sembra credere molto in se stesso, ho avuto la sensazione che in ogni fotogramma gridasse allo spettatore 'Mi vedi quanto sono controverso? Guarda fin dove oso!'. Si sarà fatto le carezzine sulla testa di fronte al grande coraggio di portare un'allegoria della bibbia in un film così tanto particolare, fuori dal convenzionale. Ci crede un sacco, è bravo e lo sa e non vede l'ora che tutti glielo ricordino.
Avrei potuto facilmente detestarlo, per una cosa del genere.
Invece mi è piaciuto tanto. Non l'ho capito subito, che mi era piaciuto, però. Sono uscita dalla sala confusa e disturbata, quasi quanto l'imbecille seduta davanti a me che una volta in bagno si è lamentata con la sua amica di non avere capito il film. Fosse stata su Instagram almeno 5 minuti in meno magari le sarebbe rimasto qualcosa in più che non la sola domanda 'Ma perché adoravano un poeta?'.
Ne ho parlato a lungo con R, ho parlato con persone che ne sanno di religione ben più di me, ci pensato un sacco, per giungere alla conclusione che con me anche questa volta Darren aveva fatto centro. La mia testa è sempre lì, dopo giorni, e questo, nonostante l'indubbia fatica e il disturbo quasi mortale che mi ha causato, è il motivo per cui guardo i film.
Per accenderlo, il cervello, non per spegnerlo.

sabato 30 settembre 2017

...e ora parliamo de L'Esorcista

09:38
Questa, lo giuro, sarà l'ultima volta in cui racconterò del mio primo incontro con il film di Friedkin. Sul blog questa storia è uscita mille volte, ora che ho ripreso in mano la faccenda gli dedico un post e che non se ne parli più.


Anno del Signore 2003.
Anni della Mari: 13.
Situazione: vivevo lontana da casa, in un contesto gestito da suore e coabitato da una mandria di adolescenti, tutte femmine. Un pomeriggio, per qualche infelice decisione presa da chissà chi, si decide di vedere L'Esorcista. Suor Colomba compresa.
Risultato: nonostante un sincero disinteresse durante la visione, che sembrava lasciarmi freddina, ho passato i successivi QUATTORDICI ANNI ad avere una paura maledetta. Tra me e il film nasce un rapporto malato, in cui la mia infinita paura, che si palesava anche solo a fronte di una singola foto di Reagan, si contrapponeva ad un'attrazione sempre viva. Lo detestavo, sto film, ma ci pensavo sempre.

Anno del Signore 2017.
Anni della Mari: quasi 27.
Situazione: sono nel mio rivenditore di libri usati di fiducia. Trovo nascosta tra le altre cose una vecchiotta edizione de L'Esorcista e ne leggo le prime righe. Non quelle del primo capitolo in Iraq, direttamente quelle in America.

Come l'effimera e fulminea fiamma di un'esplosione di soli lascia soltanto bagliori indistinti sulla retina di un cieco, così il momento in cui l'orrore ebbe inizio passò quasi inosservato.
Per poco non mi sono dovuta sedere di fronte alla bellezza della frase che avevo appena letto. Decido comunque di non comprare il libro, convinta che non avrei mai avuto il coraggio di finirlo. Arrivata a casa, però, continuo a pensarci e mi decido. È ora di riprendere il controllo sulla situazione: si legge L'Esorcista. Divorato in pochissimo, letto la mattina prima dell'alba mentre mi trovavo a Londra e rapidamente sostituito con roba ben più divertente (aka Una cosa divertente che non farò mai più di Nostro Signore David Foster Wallace) quando la situazione si faceva insostenibile, poi finito in una grigia domenica mattina di pioggia ascoltando Ludovico Einaudi.
Sono rimasta folgorata.
È una frase che ultimamente mi sentite dire spesso, ma questa volta con ancora più forza del solito: contro ogni mia più rosea aspettativa il romanzo di Blatty si è rivelato una delle letture più belle e potenti mai fatte. Quella domenica sera, comunque, salendo da sola le buie scale del mio palazzo, ho avuto una paura ri di co la.


questo sguardo e io già con le mani sugli occhi

Dopo un inizio così folgorante, tenere alto il livello non era scontato. Il romanzo, però, fa una cosa che sembra impossibile: migliora. Riga dopo riga trascina in un vortice da cui è impossibile separarsi. Si è soliti chiamare i romanzi di questo tipo page turner. Sono quelle storie da cui staccarsi è impossibile, quelle che tengono svegli la notte pur di sapere cosa accade nella pagina dopo. Sempre di solito, però, ad una caratteristica simile si associano romanzi di natura ben più semplice di quello di Blatty: romanzi rosa, gialli, thriller non troppo speciali...romanzi, insomma, in cui lo stile semplice di scrittura si abbina ad una storia che sia niente più che catchy, accattivante, e che tengano così lo scrittore legato alle pagine, senza richiedergli troppo impegno. Per me, per esempio, l'ultimo era stato La ragazza del treno, nonostante non mi fosse piaciuto.
L'Esorcista conserva questa caratteristica di irresistibilità portandola però a ben altro livello. L'aria del romanzo è soffocante, malsana, il male è insito tra le righe ben prima del palesarsi del Maligno e nonostante ciò ci attira a sè con il fascino che solo il Male è in grado di esercitare.
A creare questo fenomeno di romanzo non è solo la scrittura di Blatty (che ad un certo punto parla della fisicità di Reagan definendola esile come una flebile speranza, annientandomi), è un complesso di tematiche, costruzione dei personaggi e messaggio che non potrebbero lasciare indifferente nemmeno il peggiore degli scettici, insieme a dialoghi che hanno dello straordinario. Ho letto poche cose belle come il primo incontro tra Karras e il demonio.
L'autore era cattolico. Ma tanto, anche. Nel senso che non andava in chiesa solo a Natale e Pasqua, per intenderci. Alla sua fede ha dedicato un romanzo monumentale, che traspira Dio da ogni riga pur non nominandolo praticamente mai. La fede del grande protagonista del romanzo, che secondo me è Padre Karras, è messa alla prova sia dal suo generico scetticismo che dalla scomparsa della madre, Chris e Reagan non sono credenti e in tutto il romanzo non si fanno che vedere gli effetti di Satana sul mondo. In una sola, potente frase messa nel punto giusto, però, ecco che tutta la storia prende una piega ben diversa e che Dio si riprende tutto il potere che sembrava perduto nelle pagine precedenti. Sintetizzando la questione, ci troviamo di fronte ad una Chris sconvolta dagli eventi, che non crede in Dio ma che, grazie alla situazione della figlia, crede moltissimo nel Male, che le sta dando prove tangibili della sua esistenza. Non ricordo chi, ma credo lo stesso Karras, le chiede, allora, come si spieghi tutto il Bene del mondo. In una sola domanda Blatty ci ricorda che per lui Dio non ha bisogno di fare il grosso. È nelle piccole cose che ci circondano.
Poi accade che ogni tanto anche alla Santissima Trinità vengano fatte girare le Santissime, quindi servono le maniere forti: Padre Merrin. Zarrogante come solo alcuni vecchi preti sanno essere, Merrin entra in casa, si sistema un attimino poi entra cattivo come l'aglio, con lo sguardo di chi non ha paura neanche del Diavolo in pesona (sguardo molto appropriato al momento) e ribalta Reagan come un calzino per levarle l'invasore.
Peccato che poi il vero esorcismo arrivi proprio per mano dello scettico, del debole, del combattuto Karras, che ricordando vagamente il Figlio del sopracitato Nostro Signore si sacrifica per la salvezza degli altri.
Nello specifico, dell'altra, che come viene spesso sottolineato nel romanzo, lui nemmeno aveva mai conosciuto veramente.
È una storia che parla di dolore, di fede, di scienza (non è un caso che Karras sia uno psichiatra, e che lo sia proprio per volere dei gesuiti), di grande amore per il prossimo.
È un capolavoro.

Il film riesce in un'impresa impossibile: non solo rende giustizia ad un romanzo complesso e straordinario, ma diventa un capolavoro a sua volta.
Rivedendolo, mi sono accorta di come certe immagini fossero rimaste tatuate nella mia mente per tutti questi 14 anni di lontananza, e non parlo di quelle iconiche scene di Reagan posseduta. Parlo di cose ben più sottili: i cani che lottano in Iraq, la testa della bambina ancora sana appoggiata sul cuscino, il momento di gioco tra lei e la madre, l'adorata, da me, figura di Karl. Dopo anni, la colonna sonora si conferma contorcibudella ed elemento fondamentale per la riuscita della creazione di un'atmosfera che non ti lascia nemmeno quando, come ho dovuto fare io, si interrompe la visione per un momento e si cerca di respirare aria fresca. È un'aria che riempie la stanza di marciume nelle scene di Reagan e di desolazione in quelle di Karras.
Tutto, nel film, è perfetto nel ricreare quell'aria che a Londra non mi faceva riprendere sonno, quando mi svegliavo prima dell'alba e leggevo Blatty. Anche solo i colori sono eccezionali: quel blu che riempie le scene sulle scale, in cui la luce non viene mai accesa come se fosse un modo per prepararci all'oscurità che sta dietro la porta, è indimenticabile. È quasi rumoroso da tanto che è d'impatto. In mezzo alla bellezza che solo i Film Grandi portano con sè, ci sono attori straordinari. Oltre alla piccola Blair, è Jason Miller ad essermi rimasto nel cuore. Il suo Damien Karras ha occhi grandi e pieni di cose non dette, è fragile e dolorante come un cucciolo abbandonato di fianco alla strada, intenso come pochi altri.
In più, ho guardato il film in italiano. Per me è insolito, li preferisco in inglese e il primo che mi rompe i maroni per snobismo lo sottopongo ad una Cura Ludovico di soli film di Muccino. Li guardo in inglese perché mi va punto e basta. Ciò ribadito, il doppiaggio de L'Esorcista è esemplare. La sceneggiatura (che a volte riprende paro paro parti del libro, ché Blatty mica c'aveva sbatta di rifare il lavoro due volte, giustamente) è splendida e noi ci abbiamo messo del nostro facendo un lavoro che a me è sembrato ottimo. Ciao Giannini, quando ti sento mi emoziono.

Concludendo, però, non credo rivedrò L'Esorcista a breve. Questa seconda visione non ha fatto che confermare quanto quello di Friedkin sia il mio grande tallone d'Achille, niente mi ha mai terrorizzato altrettanto. Stasera ho una cena con le colleghe e non so come sarò quando tornerò a casa. Sia il libro che il film sono due lavori giganteschi, ma se ognuno di noi ha una fragilità, questa è la mia. È IL film dell'orrore, l'inarrivabile, la Storia.
Ma io mi caco, quindi non lo guardo più.



Vampires! - What we do in the shadows

09:28


Finisce oggi la Rassegna Succhiasangue.
Dopo morsi, morte, combattimenti e castelli polverosi, però, serve qualcosa per staccare la spina, e se Fright night, l'altro giorno, non è stato sufficiente, ci vuole il carico da mille: What we do in the shadows.




Prendete quattro dei vampiri canonici: il mostro simil-Nosferatu, il dandy elegante e garbato, il bad boy anni 80 e il cavaliere innamorato con una vaga somiglianza garyoldmaniana. Presi?
Metteteli a vivere insieme e ad entrare in contatto con il nostro tempo. La tecnologia, i locali, la musica...
Risultato: What we do in the shadows, uno dei pochi film che mi hanno fatto ridere fino alle lacrime.

Il film si apre con una rassicurazione: stiamo per vedere un mockumentary, che narri la vita di quatto vampiri ai giorni nostri, ma non dobbiamo preoccuparci per la crew che lavora al film. Ognuno è protetto da una croce. Siccome appunto il film è un mock, il primo dei vampiri parla direttamente con noi. L'adorato Viago, il vampiro elegante e curato, ci presenta i suoi coinquilini, andandoli a svegliare nelle loro camere, in un escalation di divertimento che per me è esplosa nel momento della discesa in cantina, luogo nel quale si cela la cripta del riposo di Petyr, l'anzianissimo Nosferatu di casa.
Viago li sta convocando per una riunione tra coinquilini, per parlare dei problemi della casa. Uno su tutti, la totale anarchia nei confronti dei turni delle pulizie. Tutto ciò è inaccettabile per lui, che mette per terra le traversine per non sporcare quando ammazza qualcuno.
La vita dei quattro è abitudinaria, e la loro routine viene spezzata dall'arrivo di Nick, trasformato in vampiro per errore. Nick è giovane e inesperto, e le sue bravate influiranno su tutti gli abitanti della casa.

Io lo dico sempre che a me i film del ridere non piacciono. Non mi piacciono le stand up comedy, non mi piacciono le trasmissioni comiche e per l'amor di dio tenetemi lontana dai buddy movies. Ogni tanto, però, soprattutto quando si gioca così piacevolmente con l'orrore, spuntano queste cosine qui adorabili (il mitologico Shaun of the dead, ma anche il più recente Deathgasm, per dirne solo due) che a me spaccano. Hanno in comune il grande affetto per la materia che trapela da ogni scelta, l'ironia che sì può essere anche scoreggiona quanto volete ma spesso pende più dal lato intelligente della comicità, e spesso il fatto di essere australiani.
Se il mio problema con la comicità è che quando si esagera io inizio a sbuffare, qua il problema non si pone proprio, perché il 90% del tempo più che farmi ridere mi ha lasciato uno stupefatto sorriso divertito, che riesco ancora a sopportare, che è esploso in risata sguaiata giusto con qualche gag che però mi ha messa ko dal ridere. Tutta la forza, per me, sta nei tre assurdi personaggi principali, con la loro ironia disagiatissima ('Look, a ghost cup!'), i loro vestiti inadeguati e il loro legame fraterno.
Ma secondo me basta guardare che due scemi sono questi e la voglia di vedere il film si fionda tra le vostre braccia.


giovedì 28 settembre 2017

Vampires! - Gli anni 80

16:42
Abbiamo capito nel corso di questa rassegna che a me piacciono i polpettoni lenti violenti (ho messo Gigi Dag in un post sugli anni '80, what else?), i vampiri subdoli e sensuali, I film combattuti, in cui il senso di colpa legato ad una condizione mostruosa fosse il vero punto forte, il vero fulcro dell'orrore, oppure quelli in cui l'atmosfera gotica era talmente pesante da farmi sentire le ragnatele sulla faccia come quando ci passi in mezzo senza accorgertene.
Poi sono arrivati gli anni '80, vestiti da bulletti di quartiere, hanno preso il baule carico di angosce, hanno preso la lentezza, il silenzio e i castelli in Transilvania, e li hanno lanciati giù dal balcone facendogli neanche troppo velatamente il gesto dell'ombrello.
Al loro posto, ragazzacci bellissimi, gang di piccoli criminali, sale giochi, fumetti, botte, sigarette, motorini e belle ragazze.


Il buio si avvicina - Kathryn Bigelow
Presenti spoiler!

Ho conosciuto la Bigelow, molto banalmente, con Point Break. Ho adorato il modo in cui parlava di amici che diventano famiglia senza giudicare mai le azioni illegali del gruppo. Quelle, giustamente, non c'entrano con il legame tra le persone. Near dark si spinge ancora un po' più in là, le azioni illegali diventano proprio natura mostruosa soprannaturale, ma rimane l'unità di un gruppo che proprio da questa natura è così fortemente legato.
Quando sei l'ultimo arrivato in un gruppo, però, tendi ad osservarne le dinamiche da fuori, e per quanto l'idea di farne parte ti possa attrarre, è più difficile che a te i difettucci (tipo il cibarsi di umani, per dirne uno superabile) passino inosservati. Quando Caleb conosce, attraverso Mae, il gruppo di vampiri a cui lei appartiene, cerca di entrare a farne parte, farsi apprezzare diventa uno scopo fondamentale, anche solo per amore di Mae. Peccato che Caleb abbia appena finito di essere un umano, e che la crudeltà dei vampiri non gli appartenga ancora.
Ecco allora il punto in cui Il buio si avvicina diventa più intelligente di tutti i film successivi in cui un umano si innamora di un vampiro: essere vampiri non è cool, non è qualcosa a cui ambire. Una volta ritrovato il padre, quindi, Caleb torna umano, e riporta con sè all'umanità anche Mae.
Alla faccia di tutte le povere donzelle anni 2000 trasformate in vampire dai loro amori.
Tenetevi stretta la vostra mortalità, amiche mie, e gli uomini che da voi tirano fuori il meglio, non il mostro assetato di sangue.

Ragazzi perduti - Joel Schumacher




Eccoli qua, i ragazzacci.
Bulletti, sbruffoni, semivandali.
E vampiri.
Anche loro Famiglia, come quelli della Bigelow, quelli di Schumacher sembrano provocare anche solo con la loro esistenza. Ti guardano negli occhi e sembrano dirti: 'Hai il coraggio di unirti a noi?', e tu vai, contro ogni logica e contro ogni buonsenso, e finisci, anche in questo caso, per trovare una Famiglia. Sempre colpa delle ragazze, comunque, i ragazzini anni 80 (come conferma il film sotto) devono essere stati gli iniziatori del pregiudizio sencondo cui gli uomini ragionano con le mutande, altrimenti non si spiega.
Per i giovani del decennio d'oro questo film deve essere stato una perla, ho la sensazione che sarebbe stato il film del tumblr anni 80, non so se riesco ad esprimere questo bizzarro concetto. Il culto adolescenziale. Toh, pareva tanto difficile trovare una definizione.
A me, che negli anni 80 ero solo un desiderio, non ha lasciato segni indelebili sul cuore, se non fosse per la figura di Sam, fratello minore di quel Michael diventato vampiro. Oh, Sam, che risate a bocca aperta mi hai fatto fare! ♡

Fright night - Tom Holland



Tra tutti, il mio preferito.
Charlie e la sua passione per i film e i programmi dell'orrore sono dei discreti guardoni. Vedono un paio di tette e prendono un cannocchiale.
Risultato: trovano un vampiro.
Segue un film divertentissimo e rapidissimo, che scorre come un corto. Fright Night conosce bene la materia di cui si prende gioco e le vuole anche un gran bene, e ingredienti fondamentali se si vuole una horror comedy ben assestata. Intrattiene tanto e gode moltissimo nel farlo, per me irresistibile.

Miriam si sveglia a mezzanotte - Tony Scott



Dopo i tre titoli sopra, ci voleva qualcosa per cambiare aria.
Il film di Scott è ben diverso rispetto ai suoi contemporanei: niente ragazzini cazzoni, solo la coppia mozzafiato composta da Catherine Denevue e David Bowie.
Bellissimi, sensualissimi, vampiri.
Il film di Tony Scott ha un'estetica curatissima e patinata, per me davvero piacevole. Peccato davvero che tutto ciò che mi attrae nel film sia nel suo aspetto. Come sappiamo però dai molti articoli sul tema letti su Cioè, però, l'aspetto non è tutto quello che conta, e infatti la scintilla tra me e Miriam non è scattata. Ho avuto spesso la sensazione di non sapere bene dove volesse andare a parare, e le figure della Deneuve e della Sarandon (comunque sempre molto amata), non mi hanno comunicato alcunchè.
Peccato.

lunedì 25 settembre 2017

Vampires! - I vampiri visti dalla Gente Intelligente

09:45
I registi brillanti sono parecchi, checchè se ne dica sulla crisi del cinema e cose del genere. Di fronte a queste menti illuminate io mi sento sempre una bambina alle prime armi, ma non mi sarei mai perdonata un mese di post senza nominare i Signori del Cinema.




JOHN CARPENTER - Vampires



Non potevo che iniziare dal titolo che dà il nome a questa rassegna. Carpenter è uno di quei registi di cui non parlo mai per soggezione, ho il sospetto servano titoli di studio che non ho conseguito. Vampires è ovviamente lontano dai titoli che mi mettono così in castigo, e se dicessi che mi è piaciuto userei una delle mie solite iperbole. È uno di quei film in cui i vampiri non hanno niente di sessuale nè tantomeno sensuale, non sono eleganti, non sono bellissimi. Sono mostri. In quanto tali, vengono cacciati da alcuni acchiappamostri (tra cui uno dei quindici fratelli Baldwin, tutti identici). Not my cup of tea, decisamente, ma andava visto perché JC vuole così, e noi gli si obbedisce.

NEIL JORDAN (che nel mio cuore sta al pari degli altri Grandi di questo post, insindacabile)

Byzantium



Facciamo che ignorate la scritta dell'immagine qui su? Twilight for grown-ups anche no. È una definizione limitante e anche scorretta. Non che io voglia rientrare nelle categorie di chi urla allo scandalo con Twilight, non cadiamo in facilonerie inutili, è solo che Byzantium è proprio un'altra cosa. Jordan è tornato ai vampiri raccontandoci di due donne, opposte e legatissime. Non sappiamo da subito che rapporto le leghi, sappiamo solo che sono le due perfette facce della stessa medaglia. Clara, il vampiro interpretato da Gemma Arterton, è spudorata e senza paura, vende il suo corpo per mantenersi e sta proteggendo Eleanor da qualcosa che non ci è chiaro fino alla fine.
La Ronan è Eleanor, l'esatto opposto. Tormentata dal segreto della sua condizione, scrive in continuazione la sua storia e la dona al vento, quasi sperando di essere scoperta e forse punita. Vivono insieme in un mondo che non le conosce e sarà proprio l'ingresso di una terza figura tra di loro a far crollare il loro debole castello di carte.
Il film di Jordan parla di sangue, morte, violenza e prostituzione, non ha paura di niente e nessuno come Clara, eppure è allo stesso tempo etereo, sensibile, profondissimo, proprio come la sua Eleanor. Un regista che mangia senza problemi in testa ai suoi contemporanei e due prime donne spettacolari, non ci servebbe altro.
Jordan, però, ha deciso di chiamare a sè anche Caleb Landry Jones e niente, puntando sul fattore Brutti che Piacciono alla Mari mi ha legata a sè per sempre.

Intervista col vampiro


Prima di quella meraviglia di Byzantium, però, Jordan ha preso un libro di Anne Rice e ne ha fatto un film. Uscito un anno dopo il Dracula di Bram Stoker di Coppola, al suo confronto pare un film minimalista. Laddove uno è talmente pieno da essere quasi ridondante, l'altro è leeeeeeento e delicato. Sono stati scelti due attori dal viso finissimo (e che infatti a me non piacciono), che incarnano alla perfezione l'ideale del vampiro che spicca per eleganza e fascino, pieno di attrattiva per le donne. Punto di forza per me una baby Dunst adorabile e brillante, che mangia spudoratamente in testa ai suoi due comprimari dal basso del suo metro e venti scarso.
Film così sono soggettivi, riconosco che la mia opinione possa essere del tutto detestata, ma per me sto film è più bello che bravo. Estetica notevolissima, nel pieno dei miei gusti, ma il contenuto mi ha appasionata molto meno, mi sono annoiata. Byzantium ha una profondità tutta diversa, potendo scegliere prendete lui e godetene.

GEORGE ROMERO - Martin




Giù i cappelli.
Salutate George.
Martin è un giovane disturbato. È un vampiro? Chi può dirlo. Di certo lui è convinto di esserlo e si comporta di conseguenza, pur non avendo alcuna caratteristica dei vampiri convenzionali oltre alla sete di sangue.
Ve lo ricordate, vero, cosa fa Romero quando gira un film?
(L'uso del tempo presente è voluto.)
Prende i mostri e li usa per criticare con violenza chi mostro non è. Sì, stupidi umani, parlo di voi. Martin sfrutta i vampiri - reali o creati da una mente malsana - per mostrarci il bigottismo, la chiusura, il fanatismo della religiosità quando si fa estrema. Le tradizioni familiari folkloristiche, le figure mitologiche, unite ad una grande fragilità, creano il Nosferatu Martin, creduto tale anche dal cugino Cuda (sì, ho dovuto googlare come si scrivesse il nome di questo). Come è spesso accaduto, in film in cui le creature mostruose sono state usate come mezzo per lanciare un messaggio, finisce che i mostri siamo noi.
Martin porta i vampiri qui, ai giorni nostri, nella nostra desolazione, ma è anche uno di quelli che ci mostra come le superstizioni e la fragilità siano gli stessi di un centinaio di anni fa, quando i vampiri sono 'nati'.
È per questo che è così angosciante.

(Da vedere rigorosamente in inglese e da cercarsi col titolo di Martin. Se trovate Wampyr, cercate meglio. Quella versione lì la lasciamo stare).

FRANCIS FORD COPPOLA - Dracula di Bram Stoker



Con questo film nella maniera più assoluta non esistono mezze misure: o si ama appassionatamente, o lo si detesta con forza. Io, contro ogni previsione, lo amo.
A me piacciono i film dalle immagini minimal e le inquadrature giganti ma quasi vuote, con giusto un paesaggio notevole e solo pochi elementi in scena.
Dracula di Bram Stoker è lontano anni luce da tutto ciò, è quasi arrogantemente barocco, ridondante, ampolloso, e tutti quegli aggettivi simili per dire che qualcosa è tanto.
Insieme agli altri tanto, però, bisogna anche metterci il tanto bello. In mezzo alla montagna di immagini di cui ci bombarda, riesce quasi a rallentare quando si tratta dell'amore tra il Conte e Mina. È Cinema completamente fuori dai miei gusti che per qualche motivo mi ha presa e cullata con il suo vorticare frenetico e irresistibile, e mi ha ricordato che la comfort zone è inutile, un concetto ormai superato. Godiamo di quello che ci piace a prescindere da quello che sentiamo più o meno nostro.

venerdì 22 settembre 2017

Vampires! - Blade Trilogy

15:03


Presente gli inside jokes che si creano con le persone con cui si passa molto tempo? Io e Riccardo, tra i milioni di altri, abbiamo la pronuncia del menga del nome del povero Wesley Snipes.
Per anni l'ho preso in giro senza avere mai visto Blade, e quale occasione migliore della rassegna sui vampiri?

La faccia di Blade quando realizza che i suoi nemici sono pieni di cacca fino al collo

Snipes qui è il Diurno, una creatura che è riuscita a prendere i pregi di entrambe le razze a cui appartiene, quella umana e quella vampira. I vampiri hanno ucciso sua madre e ora il suo scopo è sterminarli, uno dopo l'altro.


Ah, Blade è uno di quelli lì, ce li avrete ben presenti: fortissimo, che non parla mai e non si lascia andare ad affermazioni emotive, ammazza mille nemici in cinque minuti netti e senza stropicciare il cappotto. È anche uno di quelli da cui ti aspetti il passato problematico (✓), un animo tormentato (✓), un punto debole affettivo (✓). Non è una sorpresa praticamente da nessun punto di vista. Nonostante questo, però, ecco che Blade ci fa innamorare. Si prende sul serio in un modo quasi patologico, come film, ed è zarro come poche altre cose viste, ma alla fine distogliere lo sguardo è impossibile. Annoiarsi, non diciamolo nemmeno. È adrenalinico, divertente, violento. Quel genere di film che un tempo avrei detestato e che oggi invece ho umilmente rivalutato.
E poi ha una colonna sonora pazzesca, di cosa stiamo parlando?


Presente l'intro di questo post?
Cancellatela.
Non che non sia vera, perché lo è, ma bisogna essere onesti con i propri lettori e riconoscere che se mi sono vista il primo Blade (che ho apprezzato sinceramente, non fraintendetemi), perché il vero motivo era che volevo vedere il sequel di Del Toro, Blade II. Eh, oh, già lo sapete come funziona.
GDT, uomo della mia vita, voleva fare i firns belli ma i potenti dell'industria non gli davano un centesimo, allora lui ha deciso di fare un film commerciale a caso e farci qualche soldo nella speranza che poi gli lasciassero portare a casa il suo vero progetto: Hellboy. 
Con nostra straordinaria fortuna, il film su Red è stato portato a termine.
Quindi sia lode al film commerciale, soprattutto se si pensa a quanto del mio amato messicanone ci sia dentro. Se nel primo film Blade era una macchina da guerra, qua è comunque un'arma letale, ma ben più umana di prima. Con dimestichezza lo si è reso più avvicinabile senza privarlo troppo di quell'aura da Vero Duro© che aveva nel primo film. Si è esplorato l'affetto con quell'Abraham (nome a caso, vè?) che nel primo film era quasi solo accennato, si è parlato della madre...Del Toro non accetta di fare cose se non può metterci la lacrimella, proprio non ce la fa, capito? Gli prudono i baffi, non riesce più a mangiare, si chiude nel silenzio.
Ah, e poi ci sono i vampiri, che sarebbero il centro del nostro disquisire.
GDT non vuole fare le cose come le fanno tutti, deve metterci del suo. Nel sequel di un film sui vampiri, allora, lui ci mette i vampiri che vampirizzano i vampiri, in un'elevazione a potenza dei succhiasangue, che diventano creature mostruose prive di ogni parvenza di umanità. Laddove è proprio l'umanità il grande cambiamento che DT regala al personaggio di Blade, i vampiri ne vengono del tutto privati, rimanendo poco più che mostri assetati di sangue. A fianco di queste creature mostruose rimangono i vampiri convenzionali, che però come capirete bene spariscono completamente di fronte a quei cosi là con la bocca che gli apre la mandibola in due.
Ho patito un po' la lunghezza di certi combattimenti, ma a parte quello Blade II è decisamente il migliore della trilogia.
Come se fosse possibile avere dubbi a riguardo.


Se il confronto con il primo film era quantomeno dignitoso per entrambe le parti in esame, capirete da voi che cercare di paragonare un film di Del Toro a quella roba qua, Blade Trinity, puzzi un po' di blasfemia.
Il terzo film della trilogia è quasi vergognoso. Poteva essere una baracconata divertente e caciarona, mandare in vacca i precedenti e diventare un film da ruttosuldivano con grattatadichiappa. Invece fa l'errore mortale di prendersi sul serio e far cascare le nostre braccia lontano lontano, rotolanti come balle di fieno nelle città deserte del far west.
E ne ho anche le cosiddette piene di Ryan Reynolds che fa la parte del coglioncello. Basta, abbiate pietà.

Blade, terzo film a parte, è un personaggio di quelli a cui si finisce inevitabilmente per voler bene. Se la crede un sacco, ma siccome ti fa il culo solo guardandoti direi che ne ha anche ragione lui.


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