mercoledì 16 maggio 2018

Consapevolezza alimentare: The China Study

16:29
Qualche mese fa ho pubblicato un post, che trovate qua, nel quale parlavo di alcuni documentari a tema alimentare che mi ero sparata in un tentativo di convincermi a mettere giù le patatine fritte ora e per sempre.
La ricerca di motivazione continua, questa volta con un libro: il tanto famigerato The China Study.



Premessa obbligatissima: la comunità scientifica non dà alcun valore allo Studio Cina. Non è riconosciuto, non viene preso in considerazione come riferimento.
Insomma, è fuffa.
La cosa mi dà immensa gioia perché io, sto libro, l'ho odiato.

Partiamo dalle cose positive, perché non sembra che io stia scrivendo un post avvelenato per pura antipatia personale.
Il volume è bellissimo. Lo so, non conta niente ed è un discorso da feticisti della carta stampata che non ha alcun valore, ma lo amo. La dimensione, la copertina flessibile, la carta riciclata, i grafichetti. Sembra un libro scolastico e io i libri scolastici li venero come divinità della conoscenza.
La seconda cosa positiva è che offre sinceramente molti stimoli. Io mi nutro da cani. Mangio malissimo. Mi sforzo, ci provo, ma sono un disastro. La verdura mi fa quasi tutta schifo e la frutta è la mia nemesi. Non ci capiamo, non ci siamo mai avvicinate, è un rapporto che non è mai nato e finora era sempre andata bene così.
Risultato: sono ciccia, quindi forse così bene non è andata.
The China Study, oltre ai disastri di cui parleremo dopo, parla talmente tanto e talmente bene di queste meraviglie che la natura ci offre che io questo mese ho iniziato a mangiare i pomodori.
Non tutti, solo quelli oblunghi croccantini, ma è qualcosa.


Per quanto riguarda i disastri, invece, mettetevi comodi, sarà un lungo post.

Partiamo dalla presentazione che il libro dà di sè e del suo contenuto:
Lo studio più completo sull'alimentazione mai condotto finora
Un testo monumentale che sta sollevando un vero polverone intorno alla medicina convenzionale di tutto il mondo.
Il più importante testo epidemiologico mai realizzato
Wow.

Non è come quando l'editore decide di mettere sul retro o sulla copertina frasi da recensioni di scrittori famosi o di grandi testate. Qua è tutta materia del gentile professor Campbell. Al massimo del suo editore.
Leggendo però il tono tronfio, egoriferito e pomposo con cui il galantuomo parla di sè, non mi stupirei se tutte queste lodi fossero già scritte nella bozza mandata all'editor.
Si tratta nientemeno di 400 pagine di autoelezione di sé come il più grande, il migliore, l'unico che dice la verità, il Solo Portatore di Autorevolezza e Realtà nel marcio ed evidentemente volto all'estinzione della specie mondo della medicina convenzionale.

Migliaia di medici in tutto il mondo, ricercatori sottopagati, infermieri dispettosi, smascherati da Lui: T. Colin Campbell.
Inchiniamoci alla sua volontà.

Ci prova spesso, in mezzo alle pagine, a dire che bisogna eliminare tutto ma non farsene ossessionare, che è un percorso, che ci si arriva, ma la sua arroganza è snervante. Quello che più di tutto ho trovato snervante è il tono con cui apre il volume: l'adolescenza in fattoria, con gli animali, tutta la carne mangiata da tutti. Per tutto il romanzo, poi, si porta appresso questo tono da 'io ci sono passato, vi capisco, è dura', che gioca su una faciloneria insostenibile.

Si arriva a fare dichiarazioni che sono di una pericolosità gravissima.
Parliamo di malattie, e Campbell dice che i tumori possono avere origine genetica ma che possono anche essere 'stimolati', passatemi il termine per nulla scientifico, dal modo in cui ci nutriamo.
Io non ho competenze mediche, leggo e cerco di imparare qualcosa, quindi questa nozione la prendo e la metto nel bagaglio che sto cercando di costruire.
Dopo, però, si dice che l'alimentazione ha un ruolo fondamentale nella cura della malattia.
Questo non va bene.
Se scrivi un libro che chiaramente nasce per essere popolare e diffuso tra tutti, perché non si tratta di un articolo di settore pubblicato in riviste specializzate, gli dai quel tono familiare per avvicinare il lettore a te e alla tua storia e al tuo immenso lavoro, non lo freghi così. Non lo metti in un angolo con affermazioni micidiali e pericolosissime.
Se io fossi malata sarei disperata. Qualcuno riesce a mantenere lucidità e consapevolezza, io no. Io agonizzo a letto per qualche linea di febbre, con un tumore sarei annientata. Leggere una frase del genere mi farebbe campare di insalata mangiata direttamente dalla busta. Non va affatto bene, pare del miserabile complottismo antifarmaceutico che non fa il bene di chi dell'industria farmaceutica ha bisogno per vivere.

Esempio molto meno grave di un tumore: mia madre ha il diabete.
Segue una dieta e una cura farmacologica, che le permettono, insieme, di non sentire il calo di zuccheri, di andare in bicicletta senza essere affaticata, e di vivere una vita normale.
Dirle, domani: mamma, non prendere più le pastiglie di potassio che ti aiutano a stare in piedi, mangia come ti dice questo libro e passerà tutto da sè, significa innanzitutto che mia madre mi lancerebbe una seggiola e anche il libro, e poi che il giorno dopo la troverei sul divano incapace di muoversi perché le sue gambe non la sostengono.
Non. Va. Bene.

Ci mettiamo anche la fettina animalista?
Mettiamocela.
Uno studio intero, durato 30 anni, per giungere alla conclusione che gli animali non vadano mangiati condotto come? Sui topi.
Sembra Deodato che dice che facciamo schifo perché pur della fama (concedetemi la semplificazione) siamo disposti a tutto poi macella animali per un film.
Non fraintendetemi: io credo di essere a favore della sperimentazione animale in ambito medico.
Però puzza un po'.

Non ho competenze medico-scientifiche nemmeno per errore. So alcune cose sul mio corpo e basta, giusto perché ci devo abitare dentro. Non mi permetto, quindi, di dare giudizi sulle conclusioni a cui giunge, ma da cittadino comune mi devo fidare della comunità scientifica.
Qualcosa non va in questo studio, e su questo paiono essere tutti concordi.

Bisogna mangiare più frutta e verdura?
Siamo tutti d'accordo, soprattutto Studio Aperto nei mesi tra maggio e settembre.
Bisogna leggere questo libro per farlo?
Anche no.

Se però voleste approfondire l'aspetto scientifico dello Studio Cina e delle sue criticità, vi linko un blog, che ne parla in diversi post molto interessanti: https://deniseminger.com/the-china-study/


 
 

giovedì 10 maggio 2018

The Hitchbook: Vertigo

12:48
Ricominciare a parlare di cinema con un Capolavoro Di Quelli Grandi® è forse una mossa suicida.
Ma ieri Vertigo ha compiuto sessant'anni, e anche se può sembrare assurdo sia così vecchio, va celebrato.


Io penso che il pericolo spoiler possa considerarsi annullato dopo sessant'anni.

Hitch è in un periodo d'oro: è iniziata la serie Alfred Hitchcock presenta per la tv, che gli ha portato (ancora più) successo e soldi, e nel decennio dal '55 al '65 butta fuori film immensi uno dopo l'altro come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Nel '58 è la volta della storia di Scottie e Madeleine.
Il personaggio di Stewart inizia come uno di quegli uomini buoni e bravissimi che interpretava di solito. Ex poliziotto traumatizzato dalla perdita di un collega in circostanze traumatiche, eccetera eccetera. Viene assoldato da un vecchio amico come investigatore privato, nella speranza che si possa far luce sul comportamento misterioso della moglie Madeleine.
Siccome Hitch, però, detestava che la gente sapesse cosa aspettarsi, ecco che Stewart resta l'uomo virtuoso che conosciamo e aspettiamo solo per metà film.
Questo perché Vertigo è la storia di una discesa verso l'inferno, verso l'ossessione e la pazzia. E Stewart incarnerà tutte queste caratteristiche deliziose in un modo indimenticabile.

Mai, nella storia del cinema, titolo fu più azzeccato. Vertigo è davvero un vorticoso viaggio verso il peggio della mente umana, declinato in sfumature diverse in ogni personaggio.
Il povero Scottie, per cominciare. Incanto d'uomo nella prima parte di film, viene talmente colpito dalla morte dell'amata da trasformarsi in un ossessionato necrofilo privo di ogni forma di rispetto verso le donne e colmo di un egoismo esplosivo. Esiste immagine più agghiacciante di quella di un uomo che concia la nuova compagna per farla somigliare a quella precedente, morta? No, e infatti la scena di Judy che lentamente torna ad essere Madeleine era quella che più mi aveva colpito alla prima visione, anni fa. Tatuata in fronte, fastidiosa come una zanzara di notte in estate, disturbante (hhhh, ho usato la parola proibita con la D!) e inquietante.
Judy, dal canto suo, talmente colma di questo amore malato da farsi fare qualunque cosa, invece che dire semplicemente la verità sulla sua identità.
Infine, Galvin Ester, l'assassino. L'omicida della moglie che intavola un piano perfetto e riesce a farla franca, rovinando la vita di Scottie e godendosi la propria, in Europa.

Vertigo è un thriller in cui niente va come dovrebbe andare in un thriller: l'omicidio riesce alla perfezione, l'assassino resta impunito e fugge lontano, la storia d'amore tra il detective e la sua bella finisce per essere un amore malato e disposto a tutto, il protagonista non solo esce sconfitto ma distrutto (non una, due volte, una beffa enorme dopo il danno).

Non ha mai avuto paura di scombinare le carte in tavola, Hitch. Confondere i generi, riscriverli, adattare le storie a suo piacimento e, nel mentre, fare la Storia.
Che dono immenso, il coraggio.

giovedì 3 maggio 2018

Sto per tornare

17:33
'E sticazzi?' vi chiederete, giustamente.
Ho imparato però nel corso del tempo che quando perdo il blog è perché sto perdendo tutto il resto, quindi per ricominciare ricomincio da qui.


A quanto pare l'ho detto fin troppo, ma questo 2018 è iniziato per me malissimissimo.
Conseguenza di questo su e giù emotivo è che ho perso il controllo delle cose.
Ho sempre bisogno di controllare tutto in modo ossessivo altrimenti non so gestire la vita e mi perdo per la strada.
Tra le cose perse in questo periodo ci sono state i contenuti, la voglia di trovarli, e le cose da dire.
Quindi, zittito tutto, con qualche ricomparsa qua e là per convincermi che non stavo davvero lasciando tutto andare.
Ma devo riprendere in mano le cose, e la Redrumia è il posto da cui ricominciare.
Non voglio darmi programmazioni o piani che tanto so non rispetterò, voglio solo riprovare a scrivere qualcosa e vedere se sono ancora capace. Ammesso poi che lo sia mai stata, ma tant'è.

Sarà anche solo un blog, ma è il mio blog, è la mia cosa preferita e per ripartire devo ripartire da lui.
E che sia la volta buona.

sabato 21 aprile 2018

La bussola d'oro, Philip Pullman

19:38
Continua il mio periodo di 'crisi creativa': scrivo poco e niente (più niente che poco) e leggo relativamente poco.
Nel mio recente viaggio in biblioteca terapeutico, però, ho recuperato La bussola d'oro, primo volume della mitologica saga Queste oscure materie. 
Nominato da mille milioni di persone, diventato ormai leggendario, ha fatto su di me un effetto completamente inaspettato: non mi è piaciuto.


Una trama velocissimissima per chi non sapesse di cosa sto per parlare: la storia è quella di Lyra, una bambina orfana ma appartenente all'aristocrazia inglese, che viene allevata nel prestigioso Jordan College. Lyra vive in un mondo in cui ad ogni persona è assegnato un daimon, creatura mutaforma da cui è impossibile separarsi, e in cui ad un certo punto iniziano a sparire i bambini. Insieme a queste sparizioni, fa la sua comparsa nella vita di Lyra la signora Coulter, che la porta con sè per trasformarla nella sua assistente.
Da questa partenza, per Lyra inizierà un'avventura che la condurrà fino ai ghiacci del Nord, tra orsi, streghe e Polveri.

Io lo so che le aspettative fanno male. Lo so, le ho sperimentate sulla mia pelle più volte, eppure davanti alla grande fama di libri o film è difficile restare neutrali. Io l'ho letto in edizione Salani, e dietro riportava queste recensioni:

Capito? Restateci voi, neutrali.

Ho un grande amore per le saghe fantastiche per ragazzi, immagino sia piuttosto palese. 
Provo a scrivere cose per ragazzi anche io, da tanto che le amo. 
Mi aspettavo quindi l'ennesimo colpo di fulmine, una breccia nel mio cuore così provato dalla crisi del momento, una folgorazione.
Niente, zero, nulla.

A me la scrittura di Pullman è piaciuta, ho trascritto alcune frasi nel mio quadernetto delle citazioni, le ho fotografate, le ho adorate. La delusione arriva proprio dalla storia, dalla sua costruzione, dai suoi personaggi.
Lyra, la protagonista, è la classica bambina ribelle. Non che ci sia niente di male in questo, sappiamo che è un personaggio che funziona e va sempre bene ricordare alle bambine che non devono per forza essere signorine per bene. A volte, però, ho trovato qualcosa che sembrava buttato lì tanto per darle una tridimensionalità che puzzava di forzato. Ribelle e caotica, sicura di sè e determinata, o timidina e pronta a tirarsi indietro? Spesso è stata una, spesso l'altra. Non le riconoscevo alcuni atteggiamenti che le sono stati attribuiti soprattutto nella seconda parte del romanzo, mi sembrava appartenessero ad un personaggio che non era lei. Alcuni atteggiamenti o pensieri sono stati buttati nel discorso magari solo con una frase, che sarebbe bastato evitare e non si sarebbe tolto nulla alla narrazione, anzi.
A proposito della narrazione, mi permetto un giudizio di una negatività che non uso mai perché di solito mi puzza di presunzione: a me non pare costruito benissimissimo.
Ci sono concetti che vengono buttati lì, invenzioni dell'autore che sono interessantissime ma che finiscono nel nulla, o limitate ad un breve spiegone finale. Ma sto aletiometro, come funziona esattamente? La teologia sperimentale, che mi aveva incuriosita da matti, viene lasciata scivolare via nel nulla. Sti orsi, chi sono, che vogliono, che fanno? E le streghe?
Vengono introdotte migliaia di invenzioni che mi stavano davvero intrigando e mi pare che a nessuna sia lasciato lo spazio che meritava.
Ho avuto la sensazione che ci fosse una storia da portare a casa e che andava finita, punto. L'avventura doveva concludersi per riaprire alla successiva e di tutto quello che intorno all'avventura è cresciuto si poteva fare a meno.
Mi sa che con un po' più di approfondimento qui uscivano almeno altri due libri, a star stretti.

Sono dispiaciutissima che non mi sia piaciuto. Ci speravo tanto perché quando ho questi momenti di crisi piuttosto intensa la narrativa fantastica per ragazzi mi aiuta sempre a rimettermi in pace col mondo.
Mi sa che ci vogliono le armi pesanti.
Prendo Neil Gaiman.

mercoledì 11 aprile 2018

This is us

19:04
Io quest'anno compio 28 anni. Sono 28 anni che guardo serie.
Non sono certo campionessa di competenza, preferisco sempre i film, ma di serie tv qualcuna l'ho vista.
E lo so, lo so, che il binge watching non è mai una buona idea.
Ci si affeziona, poi si resta senza subito e si rimpiangono i bei vecchi tempi andati passati sul divano a guardare le vite di qualcun'altro.
Ce l'ho fatta, questa volta, a centellinare?
Ma manco per idea.


NON ASSICURO L'ASSENZA DI SPOILER. RACCOMANDO CAUTELA.

La storia è quella della famiglia Pearson: mamma Rebecca, papà Jack, i gemelli Kate e Kevin e il fratello adottivo Randall. Seguiamo la loro storia dal momento della nascita dei bambini fino alla loro età adulta, e incontriamo tutte le persone che entreranno a fare parte delle loro vite.

Come cominciare?
Ho detestato Mandy Moore. Non mi piace come recita, anche se in alcuni momenti l'ho rivalutata, e non mi è piaciuto il personaggio di Rebecca, che a volte avrei preso a schiaffoni.
Non me ne fregava niente della storia di Kevin. Con l'eccezione della parentesi rehab, avrebbe potuto non esserci e l'avrei notato poco.
Toby interessantissimo, voce possentona e tutto il resto, ma a volte davvero, davvero inopportuno.

Potrei elencare migliaia di altre piccole cose che non mi sono piaciute (la sposa che affida il something old allo sposo? Lo sposo che se lo dimentica??) e potremmo stare qui a parlarne in eterno.
Il punto, però, è che mi sono innamorata di una storia di vita normale.
Senza pretesa di straordinarietà, mostrandoci anzi i mille lati negativi di un'esistenza intera, This is us ci mostra, come un magnifico album di ricordi, la storia di una famiglia come mille.
Esempio, ché senza esempi non so spiegarmi: l'adozione è una cosa grande ma la fanno in molti. Fare figli è una cosa grande ma la fanno in molti. Noi che non la stiamo facendo in quel preciso momento non la conosciamo quell'emozione lì. Anche chi l'ha già vissuta, magari, non la rivive in ogni istante.
This is us fa un po' questo: prende le emozioni comuni, condivise, e le porta sullo schermo con una semplicità che le avvicina talmente tanto allo spettatore da rendere inevitabile il coinvolgimento più totale. Si tratta spesso di emozioni felici. Molto spesso no, e sono lacrime a fiumi. Ingestibili.
Mostra persone normali che però sono eccezionali agli occhi di chi le ama, e ci ricorda quindi che l'amore non è altro che questo: vedere l'altro con occhi diversi da tutti gli altri, riconoscendo meriti anche laddove gli altri non lo notano, scovando talenti nascosti sotto l'insicurezza, trovando bontà anche dietro lo sguardo più rigido.
La mia non è una famiglia affettuosa, e vedere i Pearson scalda il cuore come poche altre cose al mondo. Vestiti sistemati, visi presi tra le mani, lacrime asciugate, mani strette.
Ma soprattutto, abbracci. Tantissimi, lunghissimi.

E, ovviamente, c'è Jack, l'immenso presente - assente.
Ho pensato spesso che un personaggio così perfetto non potesse essere vero, che la sua magnificenza imperfetta non potesse essere altro che il ricordo edulcorato dalla morte. In effetti, però, forse questo lo renderebbe ancora migliore: se il ricordo che lasci di te a chi ti ha amato è così potente da risuonare in ogni stanza dopo vent'anni, allora dovevi essere straordinario davvero.
Ho pensato, in tutta la mia stravolgente ingenuità nell'ambito della genitorialità, che vorrei tanto diventare un genitore come lui, che non si prendeva mai troppo sul serio ma che prendeva sempre sul serio gli altri. Che non ha mai buttato le proprie emozioni sugli altri ma che si è sempre fatto carico di quelle altrui, che sarà anche un personaggio esagerato dalla finzione, ma che è un personaggio meraviglioso di cui ci si innamora al minuto due.
E no, non parlo del fatto che a farlo sia Milo Ventimiglia.

Sono preoccupata di come potrà essere la terza stagione ora che la fine di Jack l'abbiamo proprio vista sullo schermo (non fatemene neanche parlare), soprattutto perché quello che abbiamo visto dai flash forward non è per niente rassicurante.
Nel dubbio, preparo i fazzoletti.

domenica 8 aprile 2018

A quiet place - Un posto tranquillo

14:26
Mi ero un po' stancata (lo dico nel caso non si fosse capito) delle semplici recensioni cinematografiche. Ho in mente post di tipo diverso, sempre sul cinema.
Ieri sera, però, sono stata al cinema a vedere A quiet place.
Sciagura a voi se lo cercate in streaming.


In un futuro vicinissimo, la società è stata distrutta dall'arrivo di creature mostruose. Queste creature sono cieche ma dotate di un udito finissimo, e si prendono chiunque produca il minimo suono.
In questo scenario vivono mamma Emily Blunt, papà John Krasinski e tre figli.

La figlia maggiore è sorda. Il primo merito del film è proprio il trattare la disabilità con la naturalezza che ci vuole. Non è messa lì per includere le diversità, non è trattata con commiserazione. Piuttosto, è facile intuire come proprio la famiglia con un sordo sia sopravvissuta fino a quel punto: conoscono tutti il linguaggio dei segni, con quello comunicano e restano zitti.
La sordità scatena anche la dinamica del pericolo: difficile non produrre un suono se tu i suoni non li senti. La ragazzina è in costante pericolo, pur essendo sveglia. Da qui, però, nasce anche la sottotrama della figlia adolescente che si sente poco amata e poco considerata perché fraintende i tentativi di tutela del padre.
Se parliamo del padre, poi, ecco che spunta il problema di due genitori che si trovano a dover proteggere dei figli da una condizione estrema, tra enormi difficoltà e tentativi di riportare almeno qualche stralcio di normalità in una situazione che normale non lo sarà mai più.
Insieme al padre ci sta la madre, ritratta nel momento, quello della gravidanza e del travaglio, di maggiore fragilità, costretta a sfoderare una forza inumana e un coraggio quasi divino per proteggere la cosina piccina che sta nella sua pancia e che di mostri e brutture non ne sa niente.
E che piange.

Mille temi diversi, mille aspetti di un mondo in rovina raccontati attraverso la storia di una famiglia normale, costretta dalle circostanza all'anormalità e ad un eroismo mai esercitato prima. Il film di Krasinski è pieno di cose di cui parlare, e lui non ne trascura una. Niente che sia solo accennato o buttato lì con noncuranza.
Il tutto in un film che conterà un centinaio di parole al massimo.
La tensione del silenzio non l'avevo mai provata prima. Ogni passo più rumoroso, ogni respiro più pesante, ogni movimento azzardato, mi hanno fatta sobbalzare sulla poltroncina del cinema.
La sala era nel silenzio più totale, così silenziosa non l'avevo mai trovata. Si tagliava l'aria con il coltello. Non era solo preoccupazione sincera per una famiglia a cui ci si affeziona al minuto due, ma la più grande tensione degli ultimi mesi.

Cose così si vedono in sala, non solo per contribuire al successo di un film frutto del lavoro di centinaia di persone, ma perché l'esperienza di una sala intera soggiogata ad un film e in cui non vola una mosca è impareggiabile.
Non mi ricapita mai più.

mercoledì 28 marzo 2018

Saggiumia: Saper vedere il cinema, Antonio Costa

13:57
So che queste introduzioni servono più a noi stessi per autogiustificarci che non a chi legge: non siamo tutti youtuber con migliaia di follower e fan devoti, e meno male.
Dall'inizio di questo anno un po' impegnativo, però, ho, nell'ordine: iniziato una programmazione che non sono riuscita a seguire, lanciato uno 'speciale' che non sono riuscita a fare e, addirittura, smesso direttamente di scrivere post.
Sono solo presissima da novità sul lavoro che mi tolgono moltissimo tempo ed energia, e quando sono a casa e potrei lavorare al blog e ai due libri con i quali sarei in ballo preferisco cazzeggiare e guardare Storie Maledette.
Cercherò di ridarmi un equilibrio nella gestione delle cose, per ora, però, mi limito a dirvi due paroline su un saggio che ho da poco finito di leggere.


Sapevo che prima o poi mi sarei dovuta mettere a leggere dei saggi sul cinema. Nella mia biblioteca giravo loro intorno da un po' per un motivo o per un altro li lasciavo sempre lì. Principalmente perché finora non ho mai letto molti saggi, ma l'ingresso nella mia vita del magnifico Yuval Noah Harari ha messo in me la voglia di non leggere altro che divulgazione, informazione, educazione.
Eccoci qui, quindi, a fare due chiacchiere sul libro di Costa.

Saper vedere il cinema si pone l'obiettivo di rendere la visione dei film un po' più consapevole. Non vuole essere un omnibus, non vuole rispondere ad ogni domanda possibile nè tantomeno ricostruire nel dettaglio la storia del cinema. Cerca di fare di tutto un po', dando un'infarinatura generale che è un ottimo punto di partenza.
Costa stesso, infatti, conclude ogni capitolo con un elenco di libri da consultare per chi fosse interessato ad approfondire ogni argomento. La lista è infinita e io non gli starò mai dietro, ma è interessante avere qualche titolo di riferimento.

Si parte, nella prima metà del testo, con la storia.
Dai primissimi esperimenti di quei fratelli francesi laggiù fino ai giorni nostri, si ripercorrono velocemente le tappe principali della storia più appassionante di sempre, con particolare attenzione a sottolineare cosa di un certo periodo o movimento abbia portato a quello successivo e così via. Si parla di esperimenti, delle major, dei registi più noti e dei loro lavori principali.
Come vi dicevo, non può e non vuole essere completissimo, ma è un modo secondo me perfetto per capire su cosa ci può interessare concentrarci.
Ci va di conoscere meglio la Nouvelle Vague? Bene, Costa ce la contestualizza un pochino, ci dà qualche nome, qualche film imperdibile e, alla fine, qualche suggerimento per informarci ancora di più. Forse se siete già buoni conoscitori, almeno un minimo più della zappa che sono io, un testo di questo tipo può risultare solo un evidenziare cose già note.
Al contrario, l'ho trovato un modo perfetto per iniziare. Ho annotato (sì, perché quando leggo i saggi prendo appunti, mi aiuta a tenere le cose più a mente) nomi, titoli, cose da leggere, persone da conoscere. Riesce nell'intento (che non è forse quello di tutti i saggi?) di portare a desiderare di più, altra conoscenza, altre informazioni, altro cinema.

La seconda metà, infine, è quella più interessante, quella 'tecnica'.
Anche qui, se il cinema già lo conoscete, non fa per voi, alcune cose le sapevo pure io ed è tutto un dire.
Costa, però, è stato bravissimo nel concentrare i concetti principali, dando loro un minimo di storia, di definizione e riempiendo il tutto con i soliti, utilissimi, esempi, che rendono il tutto più stimolante.
Si parla di make up, di effetti speciali, di montaggio e fotografia, e di che come un film si scrive. A parte una parte infinita in cui si sottolinea in modi estremamente dettagliati la differenza tra trucchi ed effetti speciali, che mi avrebbe spinto a spararmi in un piede, il resto è rapido e scorre preciso e scorrevole, senza l'effetto 'lezione scolastica', che è ciò che fino ad ora mi aveva allontanato dalla saggistica scritta per avvicinarmi, invece, al linguaggio ben più discorsivo e gradevole dei documentari che popolano non solo il mio cuore, ma anche Netflix.

Costa non si è solo conquistato le mie simpatie, ma anche un posto speciale nel mio quaderno degli appunti, che ora per colpa sua è pieno di freccine, post it e titoloni evidenziati.
Ché io avrò pure quasi 30 anni, ma niente mi rende felice come la cancelleria usata.

giovedì 15 marzo 2018

The book of life

14:29
Quando Coco ha fatto la sua comparsa in tutto il mondo, qualcosina mi si era acceso nel retro della mente.
Siccome, però, la mia memoria fatica a mettere a fuoco anche cosa ho mangiato ieri, ho lasciato perdere la faccenda e me ne sono dimenticata.
Qualcuno, poi, mi ha ricordato The book of life.
Anno 2014, ambientazione messicana, ma soprattutto: prodotto da Guillermo del Toro.
Era giunta l'ora di vederlo, superando la mia naturale lontananza dall'animazione.


Un gruppo di ragazzini scalmanati va in gita al museo. La classica e noiosa guida del museo, però, viene sostituita da una collega ben più simpatica, che accompagna i ragazzi in un lato nascosto del museo, tutto dedicato al Messico. Qui racconta loro la storia di Joaquin e Manolo, due amici che si contendono il cuore della bella Maria. Il loro destino viene manomesso da una scommessa tra La Muerte e Xibalba.

Non posso fare paragoni con il film Pixar, che non ho visto.
The book of life, però, è un tripudio di gioia.

In mezzo ai colori del Giorno dei Morti, alla colonna sonora travolgente fatta solo di cover adattate (c'è I will wait dei Mumford e non ho pianto solo per non perdere alcun fotogramma), all'avventura che supera la vita e la morte, ci sta la più semplice e genuina delle storie d'amore.
Maria da bambina viene allontanata dalla città di San Angel per colpa della sua condotta ribelle, ed è costretta a salutare i suoi amici. L'amore che loro provano per lei, però, supera il tempo e la distanza, e si fa trovare immutato quando, anni dopo, i tre vengono finalmente riuniti, ormai adulti.

Maria, dal canto suo, non li delude: è cresciuta per diventare una donna fortissima. Colta, appassionata di sport, brillante, senza paura, con il carattere frizzante che la caratterizzava da bambina. Non accetta consigli 'da signorina', non si piega a quello che la città si aspetta da lei, non sente nemmeno le chiacchiere gelose. Trascina da un lato all'altro la sua coda di capelli immensa (lo capisco bene baby, ti ammiro tantissimo per l'assenza di emicrania) e il suo maiale priva di vanità ed estri da donnina per bene. Questa usa la spada meglio di suo padre, il generale.
Joaquin e Manolo, chiaramente, sono inebetiti dall'amore.
Uno con la sua forza imbattibile e il suo curriculum da combattente feroce, l'altro con un talento di cui gli importa poco, quello da torero, e con una passione enorme per la musica.
Li unisce un'amicizia che non si è mai scalfita nonostante la rivalità, un'amicizia così forte e sentita da portare al sacrificio più grande, o al presunto tale.
Famiglie intere vengono coinvolte nella conquista di Maria, vive o morte che esse siano, presenti davvero o solo nel ricordo.

La forza del film sta tutta qua: si parla di sentimenti in un modo così genuino, fresco, quasi d'altri tempi, da lasciare inevitabilmente una piccola traccia sul cuore. L'amicizia fraterna, l'amore di famiglie che devono lasciar andare le proprie aspettative per il bene dei propri cari, l'amore come sogno, immaginazione, ricordo, e soprattutto come lotta insieme contro le cose brutte del mondo.

Un tesorino di film, colorato e rumoroso, pieno di sentimenti magnifici che non si prendono mai troppo sul serio, lotta armata e candele volanti, labirinti in movimento e maialini in fuga.
Una coccola per le giornate no, e una certezze per quelle sì.
Chi se lo aspettava?
Ah, sì.
Del Toro.

giovedì 8 marzo 2018

#leimeritaspazio: Kathryn Bigelow

16:02
Stavo guardando Zero Dark Thirty quando ho deciso che avrei provato a scrivere uno dei #leimeritaspazio su Kathryn Bigelow. A pochi minuti dall'inizio ho pensato che davvero non poteva stare mostrando quello che stava mostrando.
Lei, invece, che non si caca sotto come me, lo stava mostrando eccome.


C'è una precisa categoria di uomini che vi vado a descrivere. So che a metà descrizione avrete presente nomi, facce, partiti votati, vestiti. Sono una categoria molto ben definita.
Non si sentono affatto maschilisti, anzi in giornate come quella di oggi ci tengono sempre a dire che senza le donne il mondo farebbe schifo. (Poi un giorno gli spieghiamo che senza donne l'umanità non esisterebbe nemmeno, ma con calma.) Ci amano tanto che ci vogliono proteggere, siamo le loro donne e siamo tutte bellissimee!!1! Le amano proprio le donne, loro, non resistono a guardare il culo perché siamo troppo belle, non resistono alla battuta, siamo davvero irresistibili.
Sono stata abbastanza descrittiva?

Ecco, mettiamo un paio di quegli uomini lì di fronte alla Bigelow.
Noterebbero in primo luogo che è gnocca. Come dargli torto? Splendida.
Poi dovremmo dire loro che la signora fa la regista, e già noteremo sui loro volti un mezzo sorrisino. Che brava donnina, con le sue passioni, nel tempo libero tra una stirata e l'altra si diverte così, facciamoglielo fare.
Infine, poi, dovremmo anche raccontare loro che la signora fa film d'azione, thriller, horror, di guerra.
E loro inizierebbero a ridere, tenersi la pancia! Ma come di guerra? Ahahahahahah, dai quelle robe qua lasciale fare a noi che non sai neanche cosa sia un fucile, dai, bellezza.

Allora, la dea Bigelow scenderà su di loro con la crudeltà propria delle divinità e imporrà loro la visione di Zero Dark Thirty. Loro, se non saranno caduti sotto il peso dell'umiliazione, dovranno cadere sotto la violenza di quello che stanno vedendo.
Lei sorriderà, mormorando tra sè e sè:
'Bambini miei, non avete ancora visto niente.'

Se Point break non fosse stato sufficiente a convincermi che la tizia in foto era Grandissima, negli scorsi tre giorni mi sono sottoposta ad una specie di cura Ludovico, guardandomi in fila i suoi ultimi tre film più Il mistero dell'acqua. Non mi sento benissimo, oggi.
La Bigelow ha un coraggio immenso nel portare sullo schermo realtà che conosciamo bene ma che ci rifiutiamo di guardare, perché voltare la testa dall'altra parte non solo ci fa vivere meglio, ma ci consente di guardarci allo specchio la mattina. Nelle cose brutte e difficili del mondo, invece, lei ci si è buttata di testa, ignorando volutamente chiunque ci voglia dolci, tenere e delicate.
Fa i cinemi brutti e cattivi, la Bigelow.
Ci sono le torture le botte le umiliazioni il sangue i poliziotti infami i vandali gli scandali i fucili le bombe i criminali i vampiri.
Tutto da leggersi così, di fila, senza fiato.
Questo è l'effetto di un suo film. Una battaglia generalmente lunghissima da cui si esce annientati, ma mai stanchi. L'adrenalina è sempre tanta e tale da bloccare il tempo. E siccome per me non esiste arte senza cuore, è giusto ricordare quanto il cuore sia onnipresente nei suoi film, mascherato da legami di famiglie surrogate (tanto i surfisti quanto l'esercito, per non parlare della sua squadra di vampiri), da dettagli di trama, da scene improvvisamente rallentate che colpiscono come mine dritte sull'anima.

In un mondo in cui dietro la camera ci possono stare solo gli uomini perché solo loro hanno speranza di essere presi sul serio, la Bigelow ha combattuto una vita intera contro il pregiudizio verso le registe donne. Ha girato scene d'azione dal paracadute, scene di devastante tortura, scene di navi in tempesta, scene di bombe disinnescate, fino a che anche la critica più ottusa si è accorta che davanti aveva una disposta a tutto. Una con il coraggio di fare solo e sempre ciò che le pare, una con tante cose da dire e un cervello incredibile per dirle magnificamente.
Ci hanno messo intorno ai 25 anni a capire chi avevano davanti e quell'Oscar che finalmente si è portata a casa nel 2010, prima donna nella storia del premio, non le è stato concesso.
Se lo è andata a prendere.


lunedì 5 marzo 2018

#leimeritaspazio: Mary Shelley

17:59
Singularly bold, somewhat imperious and active of mind.

L'11 marzo Frankenstein compirà 200 anni. Non potevo che iniziare questa settimana femminista parlando di lei, la donna che ha portato la Creatura nel mondo e ci ha regalato una delle icone più popolari di sempre.


Mary nasce Wollstonecraft Godwin.
Se conoscete un nome più figo di così fatevi pure avanti.
Wollstonecraft era il cognome della madre, una donna che ebbe un ruolo storico da nulla: fu una delle femministe più importanti della storia di Londra, con diversi saggi pubblicati e un ruolo fondamentale nella determinazione dell'uguaglianza tra uomini e donne. Uno, in particolare, sull'educazione delle figlie femmine. Siamo nel millesettecento.
Donne così è difficile sposino dei minorati, infatti il padre di Mary era un filosofo dalle idee piuttosto avanguardistiche.
La vita di Mary fu scandalosa già prima di iniziare: la madre rimase incinta fuori dal matrimonio. Lei e Godwin si sposarono giusto per tutelare la figlia dalla società malpensante. Fu cresciuta dal padre e dalla seconda moglie, insieme ad una serie di fratelli dai genitori variabili. Una famiglia allargata nel senso più classico del termine, solo duecento anni prima del previsto.

Mary, quindi, non è certo cresciuta in un ambiente bigotto e conservatore.
Non sorprende, quindi, che abbia continuato sulla stessa strada. Come si dice, la mela non cade mai lontano dalla sua pianta. A sedici anni, infatti, si innamora di un uomo sposato. Non abbiamo comprensione (io per prima, chi è senza peccato, eccetera eccetera) di una cosa simile ora, figuriamoci duecento anni fa.
Nella sua vita arriva Percy Bysshe Shelley, poeta.
L'amore tra i due viene contrastato dal padre di lei, e gli amanti ne sono talmente scossi, talmente provati...che caricano due stracci e se ne vanno in Italia. Nel dubbio, si portano pure la sorella di lei, con tanti cari saluti all'opposizione paterna.
Senza Shelley, forse non avremmo Frankenstein oggi, perché è l'incontro con lui che conduce Mary alla celeberrima e celebratissima sera di Ginevra.
Celeberrima e celebratissima ma ne parliamo comunque, perché magari esiste ancora qualcuno sulla faccia della Terra che non conosce le origini di Frankenstein.

Siamo in Svizzera, sul lago Lemano, in una casa affittata dal mad, bad and dangerous to know Lord Byron. Quella del 1816 è un'estataccia: allora non lo sapevano ancora, ma un'eruzione sull'Oceano Indiano aveva scombussolato tutto il clima dell'anno e faceva un freddo cane. Morale della favola: quattro penne brillantissime sono chiuse in una casa tutte insieme e devono ammazzare il tempo.
Scelta terminologica non casuale, perché i quattro si accordano e decidono di scrivere storie di fantasmi.
Mary prende la faccenda sul serio: ci mette due anni, ma quando finisce sbaraglia la concorrenza.
Bello eh, Il vampiro di Polidori, caposaldo della narrativa dell'orrore. Ma la signorina, all'epoca appena diciottenne, ha cambiato direttamente la storia, della narrativa dell'orrore. Siamo nel 2018 e in lavorazione c'è un nuovo Bride of Frankenstein.
L'unica donna 'in gara', quindi, anzichè ricamare sottane e merletti, ha cucito braccia e gambe di cadaveri insieme, per ricostruire, da lì in avanti, un genere intero. Avrebbe potuto lasciar giocare gli uomini con l'orrore, che non è certo faccenda da signorine, ma lei ha usato il carico da mille, e li ha annientati: cadaveri dissotterrati e fatti a pezzi, creature nate dalla follia umana e, infine, una tragedia immensa.
Quella del mostro di Frankenstein è, infatti, una storia straziante, una tragedia dolorosissima in cui il solo ego umano è stato in grado di causare non altro che sofferenza. Io ogni volta ci lascio anche le lacrime che non ho, di fronte a questo gigante che non ha chiesto altro che amore. E, a dirla tutta, anche di fronte al suo creatore, che si è lasciato scappare di mano una situazione più grande di lui. Sarebbe stato facile puntarla solo sull'estremismo del gesto, ma Mary ha scelto la strada più difficile e ha creato un romanzo con un sottotesto immenso, con infiniti piani di lettura e altrettanti punti che varrebbe la pena approfondire.

Ma quindi, perché #leimeritaspazio? L'autrice del più grande gotico di sempre non è certo sconosciuta, verrebbe da pensare.
Non è andato tutto sempre bene, alla vecchia Mary, però.
Il romanzo è stato pubblicato per la prima volta anonimo, si dice che Mary temesse addirittura che per colpa della sua creazione le potessero venire tolti i figli. Per un po' si è vociferato che il romanzo fosse del marito, che ne aveva scritto una prefazione, e lei non ha fatto nulla, almeno all'inizio, per smentire questa voce. Il merito se lo è preso solo con l'edizione del '22. Nella versione pubblicata nel 1831, poi, ha dovuto scrivere una prefazione in cui giustificarsi. Ma come, una donnina così giovane che fa pensieri così osceni? Così indicibili? le chiedevano.
E lei, allora, privandosi di ogni merito, scriveva che non aveva colpe, la storia le era venuta in sogno così e lei l'aveva solo trascritta.
Oggi, allora, in questo spaziettino sull'internet, le lascio tutto lo spazio del mondo, a lei che, del mondo, è stata una delle più grandi.

mercoledì 28 febbraio 2018

#leimeritaspazio: un'introduzione

15:44
All'inizio dell'anno Bossy, il sito sulla parità di cui vi parlo molto spesso, ha lanciato l'hashtag #leimeritaspazio.
A questo link l'articolo nel quale spiegano l'iniziativa.
Non potevo tirarmi indietro.

L'immagine, ovviamente, è di Bossy
La prossima settimana, quindi, qui nella Repubblica di Redrumia parliamo di donne.
A modo mio, ovviamente, quindi ci saranno donne del cinema e della letteratura, mentre su facebook, nella rubrica #unacanzonealgiorno ci mettiamo anche le cantanti, per non fare torto a nessuno.
Il mondo è pieno di storie di donne straordinarie, che magari hanno anche fatto cose di ben altra rilevanza rispetto magari ad un film o ad un libro.
Ma questo è quello di cui ci occupiamo qui, quindi nella settimana della Giornata Internazionale della Donna parliamo di donne dell'arte, in una specie di Storie della buonanotte per bambine ribelli in pieno stile Redrumiano.
Sangue, maciullamenti e orrore sono in arrivo.
Prendete i popcorn.

martedì 27 febbraio 2018

Oscar 2018: le speranze di un cuore agitato

14:19
Una volta UNA che la mia persona preferita del cinema è candidata a qualcosa di superciccione, ecco che l'annata si rivela una delle migliori delle ultime edizioni, presentando in gara una serie di titoli davvero enormi.
Apriamo quindi questo film con una premessa: sono priva di ogni oggettività, per quanto mi riguarda va tutto a del Toro. Anche quello a cui non è candidato. Anche il corto d'animazione. Anche il documentario.
Un solo, enorme, Oscar in groppa a Guillermo del Toro e tutti a casa, ciao. Al posto dello show, una proiezione speciale di The Shape of Water.



Siccome però ci sono stati davvero tantissimi bei film, mi piacerebbe parlarne un po' di più, imponendo come sempre la mia non richiesta opinione. Non su tutte le categorie, ma quasi.
Questo post finirà per essere la mia ennesima sviolinata su The Shape of Water?
Può essere.
Mi tratterrò per questa consapevolezza?
Mmmh.


Miglior Film


Che annata magnifica.
Di questa sfilza gli unici a non avermi soddisfatto sono stati Call me by your name e Lady Bird. (miglior film? Lady Bird? Ma seri?). Ho amato moltissimo tutti gli altri, e se ci sono state annate in cui per me è stato più facile prevedere la scelta dell'Academy, quest anno davvero non lo so.
So solo che Spielberg mi ha commosso più di (quasi) tutti gli altri e che Darkest hour mi ha rapita e che Three Billboards è stato peggio di una palata sul muso.
Lo sapete, però, a chi vorrei andasse il premio.

Miglior Regia



Mi piacerebbe poterla argomentare, questa.
Potremmo dire che Phantom Thread è magnifico, e che Dunkirk per me altrettanto.
Ma è l'anno di Del Toro. Potrebbe perdere tutti gli altri dodici, e ne soffrirei un pochino, ma questa è la volta buona. Questo è l'anno della consacrazione, dello spettacolo, dell'innalzamento del mio cuorone al registro dei Grandi.
Non sono nemmeno aperta a discussioni.

Miglior Attore Protagonista



Io sono qui che penso a come Daniel Day-Lewis se lo sia chiamato dichiarando che Phantom Thread è il suo ultimo lavoro, e non riesco a smettere di pensare che, per quanto sia davvero bravissimo, a me quella nomination a Gary Oldman fa battere il cuore.
Vi ricordo che il mio mondo e la mia immaginazione ruotano intorno ad Harry Potter. Quando ho visto, mesi fa, il primo trailer, e ho visto il mio Sirius (uno dei casi di casting migliori della saga) trasformarsi nell'amato Winston Churchill, avrei suonato la vuvuzela in sala. Lui non mi ha delusa, è stato immenso. Tifo per te, vecchio mio, per i tuoi occhi brillanti e per il tuo lavoro perfetto.

Miglior Attrice Protagonista



Quando sono uscita dalla sala dopo avere visto Tre manifesti ho pensato che Sally Hawkins avrebbe dovuto fare qualcosa di gigante per strappare l'Oscar alla McDormand.
Ora, io amo la McDormand, è na matta che non si riesce a contenerla, è stata gigantesca e se lo merita come poche altre persone nella storia del mondo.
Ma Sally Hawkins....quanto può essere stata brava?
Il momento in cui parlando con i suoi gesti manda a fare in culo Michael Meraviglia Shannon è bel lis si mo, perché lo sguardo della Hawkins, lì in particolare ma in realtà per tutto il film, è micidiale. Non ha la parola, ma usa tutto il resto di sè per regalarci una Elisa di una dolcezza senza precedenti ma mai naive. Il momento in cui, altro esempio, usa tutto il corpo per convincere l'amico Giles che salvare la creatura è fondamentale e potente, e mai per un secondo si avverte in lei come personaggio e nella Hawkins come attrice la mancanza della comunicazione verbale.
Sono solo molto dispiaciuta che in mezzo a queste due interpretazioni leggendarie si sia piazzata Margot Robbie. Se fosse capitata in un altro anno sarebbe stata sicuramente una potenziale vincitrice, perché in I, Tonya è stata davvero eccellente. Il film è molto, molto carino in generale, peccato sia finito in un'annata senza pietà.

Miglior Attore Non Protagonista



Scrivo prima di avere visto All the money in the world, e anche se ho letto dell'interpretazione di Plummer come di un qualcosa di surreale, io voto Sam Rockwell. Bravissimo Harrelson, adorabile Jenkins, Dafoe è una certezza che non devo certo celebrare io, ma non posso non tifare Rockwell, sto esaurendo gli aggettivi ma anche di lui direi immenso, magistrale, eccellente, bravissimo.

Miglior Attrice Non Protagonista



Se in una qualsiasi nomination a qualsiasi cosa uno dei nomi è Octavia Spencer io voto Octavia Spencer. Punto.
Menzione d'onore, però, per Mary J. Blige, che in Mudbound è stata magnifica, inserita in un film pesante come una sassata e davvero, davvero memorabile. Ho pensato a Mudbound per molto tempo dopo averlo visto e una delle scene che più mi è tornata in mente è uno specifico sguardo che il personaggio della Blige rivolge al figlio Ronsel. Inaspettatamente bravissima.

Miglior Sceneggiatura Originale



Confermo la mia perplessità su Lady Bird. A parte ciò, che sia la categoria in cui Get Out si porterà a casa qualcosa? Tiferei per lui, se in alto a destra non ci fosse quel signore lì. Certo, mi mette in crisi anche Tre manifesti.
Faccio schifo a fare ste cose, perché mai mi ci sono messa?
Non so prendere decisioni.

Migliori Costumi



Phantom Thread, non c'è gara.
Se vince Beauty and the beast sarò molto, molto delusa. Molto. Delusa.
Minaccia a vuoto perché non farò altro che guardare lo schermo con il broncio, ma tant'è.

Miglior Scenografia



Miseria che lotta.
Lo voglio dare a tutti quanti, uno a testa per non scontentare nessuno.
Ne dico uno? Ne dico uno.
Blade Runner 2049.

Migliori Effetti Speciali



Eccolo qua, un altro di quelli facili.
Posso tifare per Star Wars che vi ricordo ho amato molto e che spero si porti a casa una cosina in nome del bene che gli voglio? Con il mostro di Villeneuve in gara è impegnativo, ma lasciate che il mio cuore speri.
I pronostici ragionati e consapevoli non fanno per me a quanto pare.

Miglior Fotografia



Questa selezione è la prova provata che questa annata per GDT sia sfortunata. Guarda che magnificenza.
Però continuo a tifare per lui, non sono capace di alcuna obiettività. Sono disposta però ad accettare Blade Runner e ad ogni premio che vincerà farò una violenta e crudele spernacchiata a chi 'Non sarà mai come il primo!'.
Lancerò spernacchiando un segnale forte.

Miglior Montaggio



Io qua, oltre ad ogni mia aspettativa, voto Baby Driver.
Non so che dire, mi è piaciuto in una maniera esagerata, al minuto tre ero rapita e Baby ancora non mi ha lasciata. Che figata immensa. Che tripudio. Edgar Wright, ti mando baci appassionati a distanza.


Edit
Di questi giorni la polemica su un presunto plagio di cui si sarebbe macchiato GDT nei confronti di una storia scritta negli anni '60 e poi trasformata in un paio di trasposizioni.
Ora, GDT e la Fox negano il plagio, e puzza un po' di marcio l'accusa lanciata giusto prima degli Oscar quando il film gira da un po'. Questo articolo de Il Post riassume bene (come sempre) la vicenda e giunge alle mie stesse conclusioni.
Il film, tra l'altro, è talmente tanto del Toro che trasuda la sua poetica in ogni singola inquadratura. Io sono chiaramente di parte, è diventato prepotentemente uno dei miei film preferiti, ma qualunque sia la sua posizione e la sua parte di colpa, questo non gli toglie un minimo di magnificenza.
La qualità del film è oggettiva e talmente grande che se cortesemente il signor Zindel (figlio dell'autore della storia 'originale') vuole spostarsi un attimo a destra, grazie, che qui noi abbiamo un paio di Oscar da ritirare.

giovedì 22 febbraio 2018

Il morso della reclusa, Fred Vargas

10:20
Si intonino cori di angeli, si sventolino le bandiere della pace, si innalzino i cuori al cielo: HABEMUS NUOVO VARGAS!
Uscito in Francia a maggio dell'anno scorso e piovutoci addosso solo il mese scorso, è finalmente giunto tra le mie tremanti mani Il morso della reclusa, l'ultima indagine del venerato commissario Adamsberg.

L'ho detto una quantità di volte infinita: per me Vargas è praticamente la sola giallista che valga la pena leggere. Se siete amanti del genere gli autori interessanti sono un po' di più, ma se come me ne foste un po' pieni lei è la regina indiscussa, la sola che valga ancora la pena aspettare come un bambino aspetta il Natale.


Ne Il morso della reclusa Adamsberg, che si era rintanato in Islanda insieme al figlio, viene richiamato a Parigi per un caso un po' complicato. Con i suoi metodi poco convenzionali lo risolve rapidamente per poi inciampare, però, nel caso delle recluse.
Le recluse sono ragni non particolarmente pericolosi diffusi in Nord America. Pare piuttosto strano, quindi, che si siano registrate in pochi mesi diverse morti per morso di reclusa in Francia.
Adamsberg ha un prurito sulla faccenda e, come Lucio insegna, i pruriti vanno grattati fino in fondo o faranno prurito per sempre.
Lucio, per intenderci, è il vicino di casa di Adamsberg. Gli manca un braccio ma gli prude sempre, non aveva finito di grattarlo.

Siccome Il morso della reclusa è un perfetto romanzo di Vargas, che raccoglie tutti i motivi per cui le voglio un bene dell'anima, provo a dirvi in qualche punto perché per me lei è la numero uno.
Lista a punti perché sono pazza e mi piacciono le cosine ordinate fatte bene.

1. I casi
Sono generalmente, i suoi, casi piuttosto classici. Omicidi, violenze, vendette. Quello che li rende molto più interessanti dei classici Mary Higgins Clark o Patricia Cornwell, però, è che manca del tutto la banalità. Non sono mai casi folli, sono anzi tutti molto credibili. Quello che Vargas aggiunge è sempre un elemento che se vogliamo possiamo chiamare di 'disturbo'.
Piedi mozzati, fantasmi, cerchi disegnati per terra, tridenti come armi del delitto, il ritorno della peste...
Insomma, tutto normale, verosimile, quotidiano.
O forse no.

2. Lo stile
Il modo in cui scrive Vargas è tutto suo.
Non ha alcun bisogno di usare uno stile pomposo o un vocabolario ricercatissimo, ma è di un bravo...
Riesce ad essere semplicissima e accattivante, posarla è impossibile. Spesso rido a voce alta, spesso mi commuove per una frase soltanto. Il suo modo di comunicare è immediato, la storia si costruisce tutta intorno a te come un disegno e quando sollevi lo sguardo dalle pagine è come buttar giù un muro di nuvole, e tutto torna opaco e reale intorno.
Persino i titoli dei suoi romanzi sono stupendi.
Magnifica, magnifica, magnifica.

3. Jean-Baptiste Adamsberg
Il cuore pulsante delle storie, il commissario, il protagonista indiscusso di una saga magnifica.
Adamsberg è lo spalatore di nuvole che ha rubato il cuore a chiunque l'abbia incrociato nella propria vita da lettore. Affascinante, caotico, confuso e confusionario, ha picchi di dolcezza immensi e non si fa alcun problema a prendere a pugni il suo più caro collaboratore (di lui parliamo dopo).
Il suo nome fa tremare i telefoni di tutta la polizia di Parigi, non si scappa di fronte ad una chiamata di Adamsberg, e palpitare i cuori. Parla fin troppo per metafore e fuma solo se le sigarette sono rubate. Indimenticabile.

4. Il XIII arrondissement
Il commissariato di cui Adamsberg è a capo diventa presto casa. Popolato di strane abitudini, bizzarri personaggi e un gatto che non deambula in autonomia, è un magnifico luogo in cui tornare.
I casi sono sempre presi sul serio, ma le persone no. Il rapporto che lega i poliziotti tra loro è pieno di schiettezza e qualche botta ogni tanto. La stima è indiscussa e la premura con cui ognuno si prende cura dell'altro è dolcissima.
E poi c'è la divina Retancourt, che è la regina del commissariato, dei lavori duri e del gatto.

5. Adrien Danglard
Se domani per qualche trauma cranico subito dall'autrice i libri della saga di Adamsberg cominciassero a fare schifo io continuerei a leggerli in nome dell'amore che mi lega a Danglard. Il vice, il più vecchio collaboratore di Adamsberg, il mio personaggio del cuore.
Danglard è un uomo magnifico, che commuove immensamente.
Ha una cultura sconfinata che coltiva grazie alla sua memoria incredibile, parla spesso per citazioni e maschera il suo non essere bellissimo con l'eleganza. Ha cinque figli ed è stato abbandonato dalla moglie. Beve un po' troppo. Il suo pessimismo è inimitabile, la sua mancanza di fiducia nel mondo e nelle persone è ineguagliabile. Vive nell'eterna convinzione di non essere mai amato, di non essere mai abbastanza, fa degli errori e magari se ne accorge pure, ma a volte è troppo tardi e perde il controllo della situazione. Mi ricorda così tanto me, a volte, che leggerlo è quasi difficile.
Mi commuove come nessun altro, e per me è ancora meglio del suo capo.
Il paladino dei pessimisti, degli sbagliati, degli imperfetti e degli insicuri, dei fragilissimi e di chi si tutela dietro i libri letti e le nozioni imparate.
Quanto vorrei esistessi, Danglard.

Leggere Vargas è il modo migliore per regalarsi un momento fuori dal mondo.

Piccola postilla sull'edizione Einaudi.
Il volume costa VENTI EURO. Copertina flessibile, impaginazione quasi illegale. Il volume è lungo più di 400 pagine con un'impaginazione da telefono Amico Brondi per gli anziani.
Per carità, l'esperienza di lettura ne esce senz'altro semplicissima e per nulla affaticante, ma sono sempre venti benedetti euro (tre ore di lavoro per me che sono una barista) per una copertina flessibile di un libro in b/n lungo 400 pagine che sarebbe potuto esserne cento di meno.
Ci penso su bene prima di acquistare.
Poi acquista il mio moroso, che non fa il barista.
Io, però, rimango perplessa.

sabato 17 febbraio 2018

Indiscrete domande cinematografiche

17:27
Qualche giorno fa Giulia aka La collezionista di biglietti mi ha taggato in uno di quei tag che circolano sul webbe e che a me piacciono sempre assai. Grazie, Giuly!
Potevo quindi non ammorbarvi con 25 risposte sui gusti miei?
Potevo, ma vi è andata male.


1) Il personaggio cinematografico che vorresti essere.
Questa domanda esce ad ogni tag di ogni tipo, ma ogni volta non ho la risposta. Una roba che mi tortura.

2) Genere che ami e genere che odi.
Amo con tutto il cuore di cui dispongo ogni cosa che rientra nel fantastico. Mi sono anche lasciata abbindolare dalla fantascienza, da tanto che il mio amore è in espansione. Mi trovo meno a mio agio invece con le commedie in generale e in particolare con quelle romantiche. Non fanno per me, con le dovute eccezioni.

3) Preferisci i film in lingua originale o doppiati?
Dipende. Se sono in inglese li preferisco in lingua originale, ma siccome dalle mie parti l'offerta in sala è quasi solo in italiano mi divido tra le due opzioni. Potessi scegliere, però, solo in originale.

4) L'ultimo film che hai comprato?
Non compro film! Evito l'accumulazione, quindi zero dvd (ne posseggo letteralmente 5) e meno libri in copia fisica possibile.

5) Sei mai andato al cinema da solo?
Non mi è mai capitato. Abito in campagna, il cinema più vicino è a 30 km e andarci è sempre un qualcosa che faccio accompagnata.

6) Cosa ne pensi dei Blu-Ray?
Che non acquistando film non considero nemmeno loro! Ben venga, però, la miglior qualità possibile.

7) Che rapporto hai col 3D?
Nessuno, lo evitavo volentieri quando era una moda e l'ho dimenticato facilmente ora che non lo è più. Trovo che non abbia portato migliorie nell'esperienza in sala, quindi per quanto mi riguarda va bene così, a mai più risentirci.

8) Cosa rende un film uno dei tuoi preferiti?
Il cuore, solo lui. Tanto per ora di tecnica non so moltissimo, cerco di imparare e interessarmi ma non è necessariamente la cosa che valuto di più. Trova l'equilibrio giusto per scombussolarmi le viscere senza scadere nel miele che non mi appartiene e sono tua tua tua.

9) Preferisci vedere i film da solo o in compagnia?
In compagnia selezionatissima, sono una rompimaroni che lo so solo io.
E poi quasi nessuno dei miei amici vuole vedere i film che voglio vedere io.

10) Ultimo film visto (al cinema oppure no):
The Shape of Water 💓💓💓💓💓💓💓💓 Sono passati giorni, ancora non me lo sciaquo via. Vi prego, date i vostri soldi a GDT, che è la mente più bella del mondo.

11) Un film che fa riflettere
In un modo o nell'altro se sono bei film fanno riflettere tutti quanti. Qualche giorno ci spariamo un listone tematico.

12) Un film che fa ridere
A me pochi, perché faccio schifo, ma sul finale dei Blues Brothers credo di essermi dovuta tenere la pancia perchè mi stavo facendo venire i crampi dal ridere. Banale? Forse, ma ci sarà un perché. Perché fa spaccare. Di recente, invece, Smetto quando voglio. 

13) Un film che fa piangere.
Nel senso bello del termine vedi risposta 10. Nel senso di pianto brutto e isterico, Manchester by the sea. Lo stavo guardando in casa e mia madre è dovuta venirmi a chiedere cosa stesse succedendo. Usate con me l'arma del senso di colpa se volete annientarmi una volta per tutte.

14) Un film orribile
La parola orribile si definisce da sola, bruttina bruttina. Ultimamente ho affinato i miei gusti al punto da vedere difficilmente cose che finiscono per farmi proprio schifo. Sono spesso delusa, ma di recente non ho visto cose oscene, In generale, però, evito e malsopporto i film che si prendono troppo sul serio (spesso nell'horror) e quelli che fanno i furbetti.

15) Un film che non hai visto perché ti sei addormentato:
Ma un milione! Ho la sveglia ogni giorno alle 4 e mezza, mi addormento senza preavviso nel bel mezzo di qualunque cosa. Un esempio su un milione: Monuments Men. Addormentata in tempo record e risvegliata dal riaccendersi delle luci in sala.

16) Un film che non hai visto perché stavi facendo le 'cosacce':
Non scherziamo. I film e le cosacce sono cose serissime da tenere ben distanti. Giù le mani e occhi sullo schermo. Al massimo si mette in pausa.

17) Il film più lungo che hai visto:
Via col vento mi sa!

18) Un film che ti ha deluso
Giusto gli unici due di questa stagione di Oscar: Lady Bird e Call me by your name.

19) Un film che sai a memoria:
Dirty Dancing!

20) Un film che hai visto al cinema perché ti hanno trascinato:
Ogni cinecomic insieme al moroso, ma memorabile la visione di 50 sfumature di nero con le colleghe, in cui l'attrattiva maggiore era la mia collega cubana dal tono di voce incompatibile con la sala cinematografica e con un po' troppe domande sul sesso da fare.
I ragazzi seduti di fianco a me hanno smesso di commentare le auto per spaccarsi dalle risate.

21) Il film più bello tratto da un libro.
Io lo so che starò qui ore a torturarmi su questa domanda.
Di getto devo dire la saga de Il signore degli anelli. Un lavoro magistrale, insuperato.

22) Il film più datato che hai visto:
Freaks?

23) Miglior colonna sonora:
Only lovers left alive, Pride and Prejudice, Hair, e se come canzone singola ne trovate una più eccezionale di I see fire di Ed Sheeran per non ricordo più quale Lo Hobbit fate un fischio.

24) Miglior saga:
Star Wars
Sottolineo per la millesima volta che non avrei mai creduto potesse arrivare un giorno in cui io avrei dato questa risposta eppure eccoci qua, penso ancora a C3PO.

25) Miglior remake:
Aiuuuto.
La cosa?
Banale anche questa?

Io con queste cose vado nel pallone perché mi conosco e so che una volta pubblicato il post mi verranno in mente mille altre risposte migliori di queste.
Pubblico, va là, o finisco per passare il pomeriggio davanti allo schermo del pc, pensando a cosa mi sto dimenticando.
 Per quanto mi riguarda, come sempre, siete tutti taggati principalmente perchè sono curiosa come una scimmia e voglio sapere le risposte di tutti!

giovedì 15 febbraio 2018

La forma dell'acqua

08:59
Mi sono chiesta a lungo se alla fine un post su La forma dell'acqua l'avrei scritto o meno.
Ma tale e tanta è stata l'attesa, e tanto vi ho rotto l'anima ultimamente, che mi sembrava giusto mettere un punto a questa attesa che è sembrata infinita.
Ma soprattutto, voglio con tutto il mio cuore unirmi al coro quasi unanime di voci che ha parlato del miracolo firmato Del Toro.
Perché La forma dell'acqua è un miracolo, di quelli potentissimi e talmente evidenti da regalare la fede anche a chi non l'ha mai avuta.


Saltiamo la noiosissima parte della trama, questa volta, il trailer è sufficiente.
Che Guillermo del Toro sia il mio regista preferito non è certo un mistero. Lo considero proprio il mio regista, quello che parla direttamente a me e al mio cuore, e spesso me lo sono custodita gelosamente.
Che sofferenza, però, vedere un talento che ai miei occhi è sempre stato così ovvio e immenso, così snobbato. Lui, che ha sempre fatto film dalla dolcezza potentissima, venire trattato così male, dalla gente che non lo guardava in sala, penalizzandone gli incassi, e dalla critica.
Lo stavamo per perdere, mi sa.
Il cinema sarà anche arte, ma è arte costosissima e se non ci sono i soldi, amici miei, arrivederci e grazie.
Allora lui si è rimboccato le maniche. Ha deciso che era ora di mostrare di cosa è capace, e ha buttato il carico da mille. Mi ha aperta in due, esattamente come sapevo che avrebbe fatto, con un baule carico di un'emotività così strabordante che avrò bisogno di giorni, settimane per smaltirla.
Anche se quello che sento adesso, quella magnifica patina che i film incantati lasciano sulla pelle, non vorrei sciacquarla via mai.

I titoli di testa del film sono un'ovattata ripresa della casa di Elisa sott'acqua. Sotto l'acqua è tutto morbido, sinuoso, leggero. Non dirò che è l'atmosfera di tutto il film, perché sapete bene che quando GDT mette i cattivi li mette cattivissimi.
Ma quella cosa lì, quell'aria lì, è Elisa.
Una donna delicatissima, minuta come un giunco, silenziosa e con un viso dolcissimo. Si è circondata di personaggi adorabili che compensano facilmente la sua mancanza di parole, ma è tutto intorno a lei.
Fino a ieri sera ero certa che la McDormand si sarebbe portata a casa l'Oscar. Ci avrei scommesso tutti i soldi che non ho. Ma Sally Hawkins è stata un incanto, con la sua gestualità e il suo viso così fine e così magnificamente comunicativo, un corpo intero al servizio di un film in cui la comunicazione verbale non serve a niente.
Perché, ve lo ricordo, questa si innamora di una creatura marina che per ovvi motivi non parla.
E quindi si incontrano questi due, con nient'altro che occhi e mani con cui parlarsi, a cui però non manca nulla. Basta una mano appoggiata piano piano su un vetro, e si dice già tutto.
Io ogni tanto me lo dimentico, che basta così poco.
Ma come sempre, del Toro mi ricorda che spesso il 'così poco' è invece un tantissimo, un tutto.
Tutto quello che serve.

Non avrete da me la solita scheda tecnica che vi racconta di colori, regia, musica, il lavoro strepitoso di un Doug Jones che merita molta più attenzione di quella che ha. E nemmeno un'apologia del diverso e dell'apertura all'altro. Se avete mai visto un film di del Toro lo sapete già, che è un maestro. Il più grande di tutti, per quel che mi riguarda.
Avrebbe potuto rassegnarsi ad una vita di Pacific Rim e sequel di zarrate sui vampiri, e avrebbe fatto forse più soldi.
Questa volta, invece, ha deciso che era ora di mostrare anche a tutti quelli che lo ignoravano, a tutti quelli che non lo prendevano sul serio, che ha sempre avuto ragione lui. Che il Cinema è questo, è tutto il cuore del mondo preso e messo in un mare d'acqua, insieme a due amanti che ballano, ignari delle differenze, del dolore, delle gocce d'acqua che cadono nel cinema di sotto, colmi solo di quella cosa grande e indefinita che lui nemmeno ci prova, a definire.
Aveva ragione lui, e ora non possiamo che chinare il capo e scusarci, per non averlo mai ascoltato abbastanza.

mercoledì 14 febbraio 2018

L'amore bugiardo, Gillian Flynn

16:35
Io mi rendo conto che parlare di questo film nel giorno di San Valentino possa suonare quantomeno cinico, ma non posso farci molto: pur amando moltissimo il 14 febbraio non sono una di quelle che impazzisce per le cose che parlano d'amore.
Oggi, quindi, niente storie romantiche nè dolcissime, per quello ci penserà stasera Del Toro quando sarò a vedere il film più atteso di tutta la mia vita.
Oggi, qui, parliamo di amori fedifraghi, vendicativi, cattivi, malati.
E buon San Valentino a tutti!🎔


Amy e Nick sembrano la coppia perfetta: bellissimi, intelligenti e dalla vita brillante e piena di interessi. Stanno benissimo e sono l'ideale della coppia libera e senza vincoli da scimmie ammaestrate, come si divertono a dire dei loro amici più gelosi.
Peccato che non sia proprio così, e alla prima difficoltà esca tutto il marcio di chi vuole mantenere una facciata di perfezione e un sottosuolo di menzogne, crudeltà e violenza.
Tutto questo ben di dio esce allo scoperto quando Amy scompare.

POST CON ANTICIPAZIONI, MA DEL TIPO CHE PROPRIO VI ROVINO TUTTO.

Arrivavo al romanzo avendo già visto il film, quindi conoscevo bene la storia e il finale.
Eppure, mi ha fregata.
Amy Dunne, la Mitica Amy, mi ha fregata come la peggiore delle bambocce.
Andiamo con ordine.
Il romanzo è narrato in prima persona da entrambi i punti di vista.
Di Amy leggiamo il diario, mentre Nick racconta la vicenda dal suo punto di vista.
Sapendo chi sia davvero Amy e cosa abbia davvero fatto, mi sarei aspettata di arrivare alla lettura un po' più sgamata. Niente da fare, a pagina 100 ero talmente affranta per lei, talmente sofferente che ero piena di comprensione.
Dopo, solo dopo, quando la Flynn ci ha ricordato che anche il diario era fasullo, sono rinsavita. La Flynn per me è stata bravissima.
Sarebbe stato facilissimo fare di Nick un uomo terrificante. Poteva essere un violento, farci passare tutte dalla sua parte e meritarsi ogni singolo secondo della sua vendetta. Invece no, Nick è solo un povero coglione. Irrispettoso e detestabile, ma non una cattiva persona. Ben Affleck per questo ruolo è stato perfetto, poco da dire, proprio in virtù del suo non essere un attore eccezionale. Un tonto con piena coscienza dei suoi difetti, però. Ogni mossa falsa di Nick (e dio solo sa quante ne fa, roba da ceffoni), è preceduta o seguita dal momento in cui si realizza l'errore, e ogni azione più o meno giusta necessita di troppo, troppo lavoro dietro per poter essere considerata 'naturale'.
Per questo motivo, per me, la Flynn è stata bravissima. Io ho provato per la trascurata Amy delle prime pagine un'empatia fortissima. Il dispiacere che provavo per lei era serissimo.
Mi capita spesso, con il mio ragazzo ma anche nelle altre relazioni con le persone, di non sapere cosa fare. Parlo? Sto zitta? La paleso questa mia perplessità o la tengo per me? Mi lamento o mando giù per passare da brava personcina che non si lamenta mai? Qual'è la cosa giusta? Cosa è meglio fare? Dove sta l'equilibrio?
Ho dovuto fotografare pagine intere nelle quali mi sentivo rappresentata come poche altre volte mi era successo.
Poi Amy è sparita.
Non ero shockata dagli eventi, ovviamente, ma ho provato un sincerissimo dispiacere che Amy non fosse quella che io avrei voluto fosse. Il che forse fa di me una seconda Nick.

Ormai lo sapete, non amo i gialli.
Ma la Flynn esplora le relazioni con profondità e sincerità, non ha paura di farci vedere i lati peggiori dello stare insieme, sia che si tratti di donne folli che vogliono incastrare il marito sia che si tratti di cose più semplici ma non meno dolorose, come un tradimento. Lo fa con una storia tesa, dolorosa e sfaccettatissima, impossibile da posare anche se non si ha la curiosità della fine.
Che comunque, quando arriva, un po' di male lo fa lo stesso.

lunedì 12 febbraio 2018

Aspettando The Shape Of Water: Il mostro della laguna nera

14:22
Ci siamo quasi.
Sono andata contro le promesse che mi ero fatta e ho resistito: non ho guardato in modo illegale La forma dell'acqua. 
Non è la prima volta che aspetto un film di Del Toro in sala, ma l'attesa di Crimson Peak è stata niente di fronte al travaglio che è stato attendere questo film.
Ogni premio, ogni recensione estasiata, sono stati pugnali nel cuore. Questi ultimi giorni saranno interminabili e non riesco a dirvi quanto entrerò in sala gonfia di tutta l'emozione di vedere il mio regista del cuore, quello ignorato, quello snobbato, quello che non fa soldi manco a chiederglielo per cortesia, finalmente trionfare come merita e ha sempre meritato.
Vorrei davvero che provaste l'emozione che ho provato io ascoltandolo a Venezia, che provaste tutti un'emozione gigante come quella che ho provato ascoltandolo nominato per tutto il possibile ai prossimi Oscar.
Se una passione non vi rende felici così, non è quella giusta.


Per celebrare la settimana di La forma dell'acqua, allora, torniamo insieme alle origini del Gill-Man.
Lo so che tutti avremmo voluto la storiellina d'amore per Abe Sapien, ma non è così, mettiamocela via.

Il mostro della laguna nera è una creatura marina, il Gill-Man, appunto, che vive in Amazzonia. Nuota felice nella sua laguna, indisturbato fino all'arrivo di un gruppo di scienziati.
Esattamente come il mio gatto Elia, non si infastidiscono le creature selvagge.
Mai.

Sono passati più di 60 anni dalla comparsa sul grande schermo del Gill-Man.
Sarà anche invecchiato, ma è uno di quegli anziani che sembrano vecchiotti appena li conosci poi quando inizi a farci due chiacchiere li scopri più attivi e arzilli di te che a 27 anni hai la cervicale e le ossa rotta e le mani spaccate.
L'uso della seconda persona singolare a sottolineare che non stavo assolutamente parlando di me.

In questi giorni ho visto molti film, perché sto preparando il post sulle speranze per questi Oscar in arrivo. Ho visto film splendidi e un paio un po' meno.
La conclusione a cui sono giunta è che se mi ha commosso di più la storia di un anfibio che ama da sott'acqua una splendida scienziata in costumino bianco rispetto ad una (dolcissima, lo riconosco) storia d'amore estivo tra due bellissimi giovani, o io sono una creatura di ghiaccio che si scongela solo con i mostri oppure Il mostro della laguna nera è un film capace di parlare di mostri umanizzandolo come ormai nemmeno più gli umani veri.

Il povero, tragico, Gill-Man, che vuole sfiorare Julie Adams e invece si trattiene, che osserva da lontano, che nuota sinuoso sotto di lei, mi ha emozionato più dei due ragazzi di Guadagnino.
Non sappiamo nemmeno chi sia, da dove venga, se sia l'unico della sua specie. Sappiamo solo che vive nella laguna nera da cui nessuno sembra mai avere fatto ritorno e che, in quella laguna, ci muore.

Non è che non li capisca, sti umani. Al loro posto sarei semplicemente morta dallo spavento lasciandogli modo di mangiarmi e tanti cari saluti. Ma da spettatori non amarlo è impossibile, e non soffrire per la sua morte altrettanto.

Non lo so se Del Toro gli renderà la giustizia che merita o se, per la prima volta in vita sua, prenderà una sola. Non ve lo dico nemmeno cosa credo succederà, ma sto provando ad essere oggettiva.
Dovesse anche, questa Forma dell'acqua essere un film deprecabile, avremo almeno l'occasione di vedere per la creatura un minimo di riscatto, e ne sarà comunque valsa la pena.

Non crederei comunque ad un brutto film di Del Toro nemmeno se ce lo avessi davanti agli occhi, tanto per mettere le cose in chiaro.

sabato 10 febbraio 2018

Tutto il blu di Thomas Danthony

18:28
Io e la mia ignoranza in fatto di illustratori passeggiamo spesso su Pinterest.
Un giorno scorro la bacheca e incontro un'immagine tutta blu. Un po' noir, un po' misteriosa.
Mi innamoro.
Esploro il suo creatore e scopro che non fa una e una sola immagine che non sia così bella.
Le mie preferite qui di seguito.










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