sabato 28 febbraio 2015

And the Oscar goes to...Biutiful!

18:08
[COMUNICAZIONE DI SERVIZIO PER I GENTILI UTENTI. Ubuntu ha fatto qualcosa di strano alla mia fidata tastiera, per cui se vedete caratteri apparentemente grammaticalmente sbagliati e' solo perche' non ho ancora trovato quelli giusti. Problema che peraltro ho solo con Blogger e non con il programma di scrittura, per cui se avete consigli e barra o soluzioni, please HELP.]


Mai filati io, gli Oscar.
Tranne quest'anno, che quando ho sentito 'Redmayne!' volevo piangere, ma poi ho sentito 'Birdman' e il mio cuore ha ballato Conga.
Prima di qualche giorno fa, però, non mi sono mai interessati granché.

Quando però Alessandra di Director's Cult (trovate il link sotto) ha proposto di parlare dei perdenti delle scorse edizioni ho accettato di corsa perché i loser li amo. Tipo che guardo anche Glee.
E poi me la prendo sempre molto quando non vengono riconosciuti i meriti di qualcuno (sì, per questo ho pianto guardando The Imitation Game) e quindi questa iniziativa mi calzava giusta giusta.

Eccoci allora a rimembrare l'anno Domini 2011, quando Inarritu, a differenza di quest'anno [Conga n. 2], aveva si due candidature (miglior film in lingua straniera e miglior attore protagonista per Javie Bardem) ma se ne e' tornato a casa a naso asciutto.


MALE.
MOLTO MALE.

Perche' in Biutiful Bardem e' un uomo, un padre, con il cancro, e due mesi di vita di fronte. Contemporaneamente, lavora nel mercato nero, vede i morti e li aiuta ad 'andare verso la luce' (cit. Melinda Gordon).

E lo fa in un modo cosi' raffinato, garbato, ESEMPLARE, che l'Oscar non sarebbe dovuto andare altrove.
Perche' il cancro e' una brutta bestia.
E no, non parlo della malattia. Non la conosco e non voglio parlarne per non mancare di rispetto a chi invece l'ha incontrata sulla propria strada.
Parlo di cinema.
Il cancro al cinema e' difficile, e' indigesto, e in fondo non piace a nessuno.
Quei film cosi volutamente strappalacrime li guardiamo tutti ma non piacciono a nessuno.

Poi arriva Bardem, ovviamente guidato da un ottimo pilota, che ci porta un uomo comune. Perche' non c'e' niente di piu' democratico della malattia.
E allora ecco Uxbal, il personaggio intorno a cui questo film ruota. Uxbal, come noi, ha mille cazzi per la testa.
Vive un po' alla giornata, cerca il modo di essere un bravo genitore, fa qualche cazzata. Perche' il manuale della buona vita non ce l'ha nessuno, ce lo costruiamo strada facendo.
Ma quando di strada non ne hai piu' che fai?







E come ce lo porta bene, questo uomo comune. Ce lo ritrae, con tutta l'intensita' che metterebbe un artista nel suo quadro. E ci ferisce. Non nel modo semplice e superficiale del 'Oh poverino, muore, mi dispiace, poveri bambini!'.
No, Bardem ti spacca il cuore.
Dico 'spacca', non spezza. Non te lo apre in due, ti lascia un taglio profondo, di quelli che sanguinano copiosamente. Poi col tempo si ricuciono, ma lasciano i segni.
Regala dei sassi ai suoi bambini e pare una stupidata, ma tu lo guardi e senti il dolore assurdo che sente lui mentre abbraccia la sua bambina, e la implora di non dimenticarlo, e la stringe, e la stringe tanto che sembra che un abbraccio non basterebbe mai a dire quanto amore c'e'.

Ha un viso particolarissimo, il nostro vincitore di Oscar fittizio. A mio parere splendido, ma e' cosa nota che prediligo i fascini prepotenti alle bellezze convenzionali. Quanto ci gioca, con quello sguardo, che a vederlo superficialmente pare sempre uguale, invece no. Invece con gli occhi ci parla. Vorrei avere parole abbastanza profonde da rendere giustizia alla poesia che Javier Bardem scrive recitando. Ma non ce le ho, vi basti sapere che e' una performance che spacca i culi. E che l"Oscar se lo doveva portare a casa.



Per altri loser-omaggi, i link degli altri carissimi bloggerz:
Scrivenny
Cinquecento film insieme
Solaris
Director's cult
In Central Perk
Pensieri cannibali
Non c'è paragone
Bollalmanacco



lunedì 23 febbraio 2015

V/H/S 2

18:00
(2013, registi vari ed eventuali)

Pioveranno tanti spoiler su di noi quanti Oscar ieri sera a Birdman.

Per mesi, e mesi, e mesi, illustri blogger mi hanno fatto notare che sarebbe stata cosa buona e giusta guardare V/H/S 2 perché ci stava dentro un corto che era una BOMBA che io nemmeno me lo potevo immaginare.
Questo è il motivo per cui siamo qui oggi.

Non starò a ripetervi per la volta numero millemila che io ai mock ci voglio bene nonostante tutto. Però, insomma, è giusto sappiate che parto un pochino prevenuta da questo mio sconsiderato amore.

EPISODIO CORNICE
Un investigatore privato e quella che credo essere la sua ragazza stanno indagando sulla scomparsa di un ragazzo. Entrano in casa del giovane e mentre l'investigatore legge i diari per cercare indizi, la donna trova delle videocassette e decide di guardarle.
Pessima, pessima idea.
Episodio che francamente non mi ha colpito, piuttosto piatto e banalotto nella realizzazione, lascia il tempo che trova, ma tanto ce ne frega poco perché qua stiamo tutti aspettando l'episodio 3 che se a questo punto non dovesse piacermi sarebbe una bella delusione.
La parte conclusiva di questo episodio, e quindi del film, è la sola cosa che mi abbia suscitato un minimo di interesse.

PHASE I: CLINICAL TRIALS
In seguito ad un incidente un uomo perde la vista. Si reca in una clinica in cui gli impiantano in modo sperimentale un occhio bionico, con il quale registreranno tutto quello che vede.
Questa opzione casca proprio a fagiolo dal momento che con l'occhio bionico questo si mette a vedere dei fantasmi e a noi vedere i fantasmi ci aggrada.
N.C.S.
Non ci siamo.
Troppo spiccio, troppo sbrigativo.
Perché i fantasmi ti devono ammazzare se, come ti ha detto la tua amica, non è il fatto che tu li possa vedere a determinare la loro presenza lì? Loro ci sono a prescindere. Perchè ammazzarti adesso? E se proprio ti devono far fuori perché magari non gli piace esser visti, perché concludere la faccenda in modo così poco soddisfacente?
Due secondi e trac, morti tutti e corto finito.
Ah, va beh.


A RIDE IN THE PARK
Un giovane esce per farsi un tranquillo giro in bici nel bosco. Incontra una ragazza ferita, e scopre che a farle del male non sono stati degli animali, quanto piuttosto degli zombie.
Il mock è giustificato dal fatto che il ragazzo abbia una telecamerina installata sul casco che indossa, quindi anche in questo episodio la questione non rappresenta un problema. 
Niente di eccezionale nemmeno in questo caso. Se volessi fare la pignola direi: com'è che c'è un epidemia zombie e la cosa non si estende oltre al bosco? Cioè, nel 'mondo' del nostro investigatore e della sua ragazza sembrano non saperne niente. Non ti sconvolgi di fronte ad un video di zombie se sai che esistono, se la notizia è già trapelata.
Sottigliezze a parte, abbiamo una discreta dose di splatter che ogni tanto ci sta bene, per un corto che tutto sommato si porta a casa tranquillamente, senza eccellere ma insomma non siamo mica tutti Romero, e grazie tante.

SAFE HEAVEN
FINALMENTE.
Avevano ragione a dire che è bello?
Sì.
Fa paura?
Sì.
Una troupe di giovani decide di intervistare il capo di una comunità. Da subito sentono la puzza di setta, ma vogliono entrare nel loro 'Paradiso' e vedere da vicino di cosa si tratta.
Entrano e scoprono che è ancora peggio di quanto pensassero.
Non dura molto, questo corto (e graziearca', è un corto), ma ci concentra il concentrabile, riuscendo a inserire in un minuscolo spazio vitale (cit.) nell'ordine: un personaggio inquietante, apparenti violenze sui minori, tradimenti amorosi, comunità spaventose, suicidi di massa, uomini che camminano in mutande in tempi non sospetti e quando Birdman ancora non era uscito, sacrifici di feti se così si può dire, messe nere, una Bestia che esce come il buon Alien insegna, talmente tanto sangue che gronda dalle pareti e un finale tra il grottesco e il terrificante.
Una gran visione, anche se adesso mi scappa la pipì e non sono certa di sentirmela di andare in bagno da sola.


SLUMBER PARTY ALIEN ABDUCTION
Sono in una fase della mia crescita personale in cui mi ritrovo spesso a guardare i ragazzetti adolescenti come se avessero costantemente bisogno di una mazzata in testa.
Come se io fossi tanto più grande.
Per questo motivo, vedere una manica di giovini poco furbi venire rapiti ad uno ad uno dagli alieni, non lo so, mi ha arrecato una certa soddisfazione.
Credo sia stato anche merito del fatto che tutto sommato il corto non è affatto male, non siamo di fronte al più intelligente degli esemplari di pellicola horror, ma si guarda con un discreto piacere.

Si conclude il film con l'ultimo pezzo dell'episodio cornice, che secondo me è l'unico meritevole di attenzione.
L'investigatore, di fianco al corpo della sua ragazza (che nel frattempo, sì, è morta), trova una videocassetta con scritto 'Guarda' e lui PRONTI! guardiamolo.
Scopre che i video che ha visto la sua ragazza hanno una brutta influenza sul cervello di chi li vede. Il modo per liberarsi della 'maledizione' è girare a propria volta un video maledetto, a catena.
Ed è esattamente quello che sta facendo il ragazzo scomparso quando ammazza l'investigatore.
Molto, molto interessante.
Questo vuol dire che ora tocca a me far fuori qualcuno? E' questo che mi stai dicendo? Devo continuare la catena?
Perché se è questo che vuoi devo riconoscere che con tutti i film visti potrei avere maturato una discreta esperienza.



mercoledì 18 febbraio 2015

The loved ones

16:02
(2009, Sean Byrne)

Che. Fastidio.
AAAARGH.

Vorrei stare qua a elencarvi i motivi per cui questo film ha provocato, fotogramma dopo fotogramma, un senso di disagio, disgusto e FASTIDIO, ma davvero, non abbiamo tutta la giornata.

Brent viene invitato al ballo di fine anno dalla compagna Lola. Rifiuta l'invito, perché è fidanzato. 
Lola ci resta, giustamente, un po' male.
E di trama non vi dico altro perché questa perla australiana vale la visione 'a freddo'.


Per parlare di questo fortissimo film ho deciso di elencarvi tutti i film a cui mi ha fatto pensare durante la visione.

  • Carrie, lo sguardo di Satana. Parliamo di inviti ai balli scolastici, parliamo di ragazze 'problematiche' (in modo diverso, ok, ma entrambe hanno qualche problema), parliamo di sangue a secchiate. Ma parliamo anche di vittime, e delle loro vendette. Le similitudini sono diverse.
  • A l'interieur. Il villain è una donna psicopatica. E con psicopatica intendo che sta proprio completamente fuori di melone, roba da prenderla di peso, darle un paio di sganassoni e richiuderla con la cintura di forza vita natural durante. Violentissime, prive di ogni senso di umanità. Le distingue il fatto che Lola abbia ormai un certo bagaglio di esperienze alle spalle, mentre la donna misteriosa del film francese agisce guidata esclusivamente dalla follia e dall'istinto. Entrambe però si lasciano endare a sfoghi di frustrazione, sono arrabbiate, e addolorate (Lola prevalentemente sul finale).
  • Lasciami entrare. La figura che lega questi due film è quella del padre, chiaramente. Se nel film nordico il padre agiva nell'ombra e da solo, e con la necessità di nutrire la figlia, il padre di Lola è tanto folle quanto lei. Forse anche un po' di più. Entrambi, però, rischiano tutto per le figlie. In un modo molto più sano il padre di Eli, legato da una malatissima relazione con la prole il padre di Lola. 
  • The Babadook. Ve l'ho detto che The loved ones è una pellicola australiana? Come quel Babaducco che ha mandato in palla la blogosfera ad inizio anno. E con un'ottima motivazione: è un film della miseria. Ed è un gran film anche questo, sintomo chiaro che devo smettere di ignorare l'Australia e ricordarmi che ogni tanto fanno dei signori film.
  • La casa dei 1000 corpi. Sempre di psicopatici parliamo. Forse forse i Firefly sono ancora peggio, ma scegliere è dura. Il film di Zombie mi è venuto in mente per l'originalità delle torture. SPOILER   L'acqua bollente versata nel buco fatto in fronte con un trapano a mò di cottura cerebrale mi è rimasta abbastanza impressa, lo ammetto. E mi ha ricordato che quei cretini sopracitati han cercato di trasformare un ragazzo in una sirena, per dire. In comune hanno anche la bella colonna sonora, che è sempre cosa gradita.


Potrebbero anche essercene altri, perché quello che potrebbe essere scambiato per un semplice e già visto film infarcito di torture è una pellicola intensa, violenta, sentita.
Con personaggi interessanti, in particolare quella così tanto nominata Lola, protagonista indiscussa, grandiosamente interpretata. Mi dava un fastidio solo sentire la sua voce che mi sono spesso accorta durante la visione di avere i pugni stretti dal nervoso. 

Bello assai, e scema io che quando leggevo di voi che ne parlavate bene pensavo: 
'Sarà'.

sabato 14 febbraio 2015

Il demonio

14:46
(1963, Brunello Rondi)


Essendo oggi San Valentino ho deciso di onorare la celeberrima ricorrenza degli innamorati a modo mio.
Con un film che d'amore effettivamente ne parla, nel modo in cui può farlo un horror demoniaco  italiano che quast'anno spegne le 52 candeline.

Purificata (un nome un destino) vive in un piccolo paese del Meridione. Innamorata non corrisposta di Antonio, decide di punirlo lanciandogli il malocchio. Questo, e tutti i suoi bizzarri atteggiamenti, faranno pensare ai suoi compaesani e alla sua famiglia che un essere demoniaco abbia preso possesso del suo corpo.


Fotogramma dopo fotogramma pensavo che sarebbe stato difficilissimo. Immaginavo di dover cancellare completamente le mie attuali convinzioni principali: sono un'atea che stava per guardare un film trasudante religiosità, sono una giovane donna del 2015 che ha gli occhi viziati da effetti speciali all'avanguardia, che porta la propria mentalità aperta come una bandiera del proprio modo di pensare, che ha un modo preciso di intendere le relazioni di coppia, che posava il suddetto sguardo su un film che ritrae perfettamente il bigottismo, la vita rurale e la parola che non volevo pronunciare: l'IGNORANZA.
Ho realizzato poi durante la visione che tutto ciò non era necessario. L'ignoranza che traspare dai comportamenti dei personaggi non arreca disturbo perchè si giunge ad una conclusione che mi rendo conto equivalere alla scoperta dell'acqua calda (gran scoperta, quella): OGGI essere ignoranti è un difetto, e soprattutto è una scelta. Parlare di 50 anni fa e etichettare le persone come ignoranti è scorretto e superficiale.

Oggi la cultura è alla portata di tutti, è gratis e accessibile in qualunque momento. Una volta no. La conoscenza era un lusso. A popolare le menti delle persone stavano le tradizioni popolari, ed è una gran cultura anche quella. I consuoceri che preparano il letto ai neo sposi, i cittadini che si ritrovano in piazza a esporre al pubblico giudizio i propri peccati...
Così come è assurdo pensare di poter criticare oggi quella religiosità così frenetica, quasi ossessiva, che segnava in modo così radicato le vite.


La sua età la sente, il film, inutile negarlo. Ma è riuscito a regalarmi un senso di radicato disagio, dovuto non solo al tema a cui sono particolarmente sensibile, ma anche al clima così opprimente, così ottuso, così complesso, al senso di ingiustizia in entrambe le direzioni (Purificata è vittima dei soprusi dei suoi compaesani, ma non dimentichiamo che lei per prima non potendo accettare il rifiuto ha perseguitato Antonio fino alla fattura), al momento in cui la possessione vera e propria si palesa.
E' chiaro, in quanto non credente non credo allo spiritello inconsistente che entra nel corpo della ragazza e le fa parlare lingue a lei sconosciute. Ma i suoi compaesani lo credevano, la sua famiglia lo credeva, e tanto bastava.

Per una volta, poi, al momento della scritta 'tratto da vicende realmente accadute' non ho dubitato nemmeno per un istante che fosse vero. Almeno in parte, almeno tenendo conto della parte romanzata che di sicuro ci sarà stata, non ho messo in discussione nemmeno per un attimo che di Purificate ce ne siano state.
E chissà quante.



venerdì 6 febbraio 2015

Maripensiero: Ma ti piacciono i film horror??

18:17
Un giorno, parecchio tempo fa, stavo passeggiando per il mercato del paese con un'amica. Parlando, mi dice che le piacerebbe vedere Biancaneve e il cacciatore. Però, aggiunge di essere un po' intimorita dato che il trailer le pare un po' troppo forte.
Io, sinceramente, ho ridacchiato.
Conosco i suoi gusti molto bene, so che è amante delle commedie romantiche e che il cinema non rientra certo tra le sue passioni e so anche che è molto sensibile al sangue, ma insomma, che il trailer di Biancaneve e il cacciatore fosse 'forte' mi pareva un attimino esagerato.
Quindi, siccome la mia linguaccia al suo posto non ci sta mai, gliel'ho detto.
'Ma dai, forte, non esagerare, hai un livello di sopportazione un po' bassino!'
Sapete cosa mi ha risposto?

'Ma guarda che sei tu che hai dei gusti esagerati, eh!'

Da lì, l'inizio di una riflessione, che probabilmente non sarò in grado di riportare per iscritto senza ingarbugliarmi, spero capirete.
Ho fiducia nella vostra intelligenza.

Più volte quando ho detto di guardare 'filmacci schifosi in cui c'è tanto sangue ma nemmeno sempre' la gente mi ha guardata stranita.
'Eh ma che schifo!' eh.
'Come fa a piacerti?' domandona, mi piace e basta.
'Ma non hai paura?' ovvio che a volte ho paura, non sono mica sandokan. E per fortuna che a volte ho ancora paura, vuol dire che c'è speranza.

Di solito mi trovo di fronte a due tipologie di reazioni:
La prima è quella che vi ho raccontato sopra, stupore e sconcerto. Ma come, sono una femmina eterosessuale a cui piacciono i film di paura? Eh, vi dirò che è così. Il fatto che io sia femmina è fonte di incredibile sgomento. Lo so che sembra stia parlando di gente con mentalità anni '50, ma vi garantisco che sono reazioni reali. Nella mente della gente comune dotata di scarso intelletto vige questo ideale della lesbica con i capelli tagliati corti, il giubbotto da uomo, i tatuaggi e la passione per i film horror.
Oh, i tatuaggi ci sono, il giubbotto da uomo quasi, i film horror ci sono, il fatto che i miei capelli fino a due giorni fa mi arrivassero al sedere e che abbia gusti sessuali molto convenzionali è quasi un peccato.

Non è che vivo in un lontano pianeta rimasto al feudalesimo, almeno credo. E' solo che a parlare con gente non informata, non appassionata, che il massimo del drama che guarda è 'Il Segreto' questo si ottiene.

La seconda è: Nooooooooooooooooooooooooooooooooo I D O L A li guardo anche iooooooooooooooooooooo tutti li ho visti i paranormal stacippadiminchia, tutti! E anche Saw, ah sì, Saw è il mio preferito! Sì, La mosca l'ho visto, ma che cagata è, dai, NON FA PAURA!
(Quest'ultima categoria è presente e diffusa sul territorio anche nella variante vintage: Sul serio? Io ho visto tutti i film di Dario Argento, sai? Pronunciato anche un certo snobismo perché sai, io sono gggiovine, vuoi che abbia visto i film di una volta? Ma cosa ne so io del cinema vero dei vostri tempi?
- Ok, in parte è vero, ma sono permalosa per cui io me lo posso dire ma quando me lo dicono gli altri mi scoccia -)

Quindi la mia domanda è: da cosa sono causati questi cliché?
Certo, se stessimo qui a ricercare l'origine di ogni pregiudizio che gli umani fanno proprio ciao cari, ma insomma, in questo ambito mi interessa.

Siccome io devo sempre cercare un responsabile e mi serve un capro espiatorio, investo della prima e solenne responsabilità la signora distribuzione. Se il meglio che mi butti in sala è Ouija (che per ora non guardo perché non è che abbia tempo da perdere, abbiamo da lavorare qui) la gente che di un certo genere se ne frega per presa posizione pensa che quel dato film è tutto ciò che il mercato ha di meglio da offrire.
E siccome fa schifo allora tutto fa schifo.
E' superficiale, ma insomma, siamo la razza che quando ammazzano 2000 anime in Nigeria ne parla appena di sfuggita, non possiamo pretendere.
In alternativa, siccome a qualcuno può fare paura, allora vuol dire che la vera paura è quella, i salti sulla sedia.

E questa cosa delle donne, vi prego. Ragazze in linea ditemi la vostra.
A volte persino MIA MADRE mi guarda male per il film che sto vedendo.
E intendo, non è che davanti a lei guardo A serbian film.
Quello non lo guardo e basta.
La società ha ancora tanto da fare nella questione delle pari opportunità, la società italiana uber alles. Ma insomma, io ci spero sempre, che siamo arrivati al punto in cui giudichiamo una persona in base alla sua personalità tutta frizzantina e sbarazzina, in base al modo in cui pensa, e più ancora in cui agisce. E invece NO.
Se sei donna sei la principessa nel castello che l'idraulico Mario e suo cugino Luigi vengono a salvare combattendo i peggio draghi.
E se invece io volessi essere la guerriera che combatte al loro fianco?
'Sei una stramboide.'

Dichiaro in seconda istanza responsabile la Superficialità.
Voglio chiarire che non è sempre una colpa. La superficialità gira a passeggio con la pigrizia. Se non approfondisci una questione generalmente è perché sei pigro.
E va bene essere pigri, io ne ho fatto una bandiera del mio vivere felice. Quindi, se un argomento non ti interessa, va benissimo essere pigri e non volerlo conoscere.
MA POI NON MI VENIRE A ROMPERE LE PREZIOSE A ME.
Perché io me ne frego del calcio, quindi non vado in giro a dire un tifoso 'Eh ma che merda l'Inter però'. Sentitevi liberi di sostuire 'Inter' con qualsivoglia altra squadra a vostro piacimento nel caso l'affermazione vi offenda.
Perché se del cinema non te ne frega e vai solo ogni tanto in sala a vedere i cartoni animati o i film dei Vanzina, è chiaro che non guardi tanti film, non ti informi, non leggi, non ampli le tue conoscenze. Quindi, non sai. Quindi, taci.
Mi spiace essere scortese. Davvero. E non vorrei nemmeno passare per sbruffona, presuntuosa so-tutto-io. Non so, davvero. Non so quanto vorrei.
Ma quantomeno cerco di parlare di argomenti che conosco, e se non conosco mi faccio spiegare da chi ne sa più di me, mi piace imparare.
Per colpa di questa superficialità la gente non gratta mai sotto la superficie, e magari finisce per non scoprire mai film di uno splendore indicibile come Lasciami entrare. Non sa che sotto la definizione così sfruttata e ripetuta (in questo blog, poi, CIAONE) di 'film horror' non ci stanno solo gli assassini con le motoseghe.

Sia chiaro, in questo post sto volutamente esagerando.
So benissimo che ci sono persone là fuori dotate di una buona dose di intelligenza, di apertura mentale, di tutte quelle caratteristiche che tanto vorrei fossero chiamate 'normalità'.
Se così non fosse, non avrei aperto un blog in cui condividere e discutere, avrei tranquillamente continuato a parlare con lo specchio.
Esco con una bella compagnia di persone di cui nessuna manco una (manco mezza, manco un quarto, sob, ogni tanto mi intristisco) condivide gusti cinematografici con me, ma andiamo d'amore e d'accordo, nessuno rompe le pelotas a nessuno e quando parliamo di cinema parliamo di cinema che piace o può piacere a tutti.

E' solo che spesso mi ritrovo nella posizione di dovermi giustificare per quello che faccio, o meglio, per quello che guardo.
E, nel 2015, non sono certa di poterlo accettare.

giovedì 29 gennaio 2015

Dead snow

11:20
(2009, Tommy Wirkola)

Due giorni fa si celebrava la giornata della memoria.
Io, però, non me la cavo bene a gestire queste cose: non so mai cosa dire.
Io uso l'ironia, per demolire chi non reputo degno del mio rispetto.
E infatti.

Quando ho scoperto dell'esistenza di questo film ho pensato che l'idea degli nazizombie fosse assolutamente geniale. Rispecchia in modo abbastanza preciso l'immagine dei nazisti che ho creato nella mia poco seria e storicamente imprecisa mente.
Persone prive di anima e cervello che avanzano lentamente ammazzando quanti più esseri umani gli riesce.


Ecco, c'è da dire che questi, di zombie, corrono.
E corrono per ammazzare un gruppo di universitari che trascorreva le vacanze in una baita, in montagna, in mezzo alla neve.

Non c'è altro che serve sapere per godere di questa chicca che rasenta l'idiozia.

Se inizi un film con il grande classico gruppo di giovani-vacanza-niente linea telefonica-qualcosa va storto, hai più possibilità:
  • fare un Film Di Cacca scegliendo di portarti a casa solo tutti sti clichè comodamente in fila indiana e non portando niente di nuovo/interessante (scelta tutto somamto comoda, ma vigliacca)
  • puntare su un elemento in particolare, che sia la violenza, o la caratterizzazione dei personaggi (ciao Wolf Creek, tvb), o checcavoloneso
  • non prenderti sul serio.

La Norvegia ci soprende con mirabolanti effetti speciali scegliendo di percorrere l'ultima strada.
Il risultato è uno dei film più cazzari, sanguinolenti e hakuna matata che ho visto di recente.
E' una scelta rischiosa, i puristi degli zombie movie potrebbero non prenderla bene, ma che ridere che fa.
Sceglie di percorrere la strada dell'ironia e la conserva come luce ispiratrice come le madonnine sugli specchietti retrovisori delle auto. Si parte poco seri, si continua poco seri e finisce poco seri ma morti.
Morti peraltro nei modi più disparati, e se pensate che questo sia uno spoiler vuol dire che non avete mai visto un film di zombie, o che siete degli inguaribili speranzosi.

Teste mozzate che volano sui rami spogli degli alberi, dita negli occhi (con tanti cari saluti a Scotty e a Sam Raimi), motoseghe, mitragliatrici e soprattutto tanti, tantissimi zombie che spuntano dalla neve come tanti piccoli e forti fiorellini che sopravvivono alle intemperie nordiche.
Mescolate il tutto con amore e un po' di sadismo, incorporata lentamente una bella colonna sonora e quello che sfornerete sarà un filmaccio.

Un filmaccio, ma a cui si vuole un bene esagerato.


giovedì 22 gennaio 2015

Nightmare: Dal profondo della notte

17:24
(1984, Wes Craven)

Prestate attenzione al dialogo che segue:

'Ah, quindi sei appassionata di cinema, eh? E quali generi ti piacciono?'
'Gli horror'
'Eh??'
'HORROR, mi piacciono gli horror.'

A questa mia affermazione le reazioni sono le più diverse e spassose, ma ne riparleremo.
Oggi vi racconto di quando dico che mi piacciono gli horror e la gente risponde pressapoco così:
'Noooooo, grandissima, anche a me! Fia li ho visti tutti oh, Halloween, Non aprite quella porta, Venerdì 13, Nightmare, UN CASINO!'

L'avete notato per forza anche voi.
Gli slasher vanno via come il pane.
Amati da tutti, visti da tutti.
Se poi considerate il boom di remake degli anni 2000, la slashermania è ritornata alla grandissima. Anche quelle persone che ad un certo genere si avvicinano solo superficialmente, state certi che almeno un Nightmare l'hanno visto.
Ho visto un pupazzetto di Freddy Kruger persino vicino al pc del figlio di Selvaggia Lucarelli, per dire.


Ma cos'ha sto Freddy più degli altri?
Partendo dal presupposto che i miei incubi sono abitati solo ed esclusivamente da Michael Myers e nessuno l'ha ancora schiodato dal suo trono malefico da cui controlla subdolamente il mio sonno, Freddy Krueger è praticamente perfetto.
Costruito perfettamente per funzionare.
E' brutto, sembra umano ma non lo è (il solo fatto di comparire solo nei sogni lo smaterializza del tutto, eppure...), fa un uso strepitoso di humor nerissimo, ti colpisce lì dove pensi di essere impenetrabile, nel sonno.
Ma un burattino per quanto possa essere ben fatto, ha bisogno di un bravo burattinaio.
Ed ecco che il ruolo finisce in mano a Robert Englund, che più che interpretare Freddy Krueger E' Freddy Krueger. Che è naturalmente dotato di un fascino irresistibile che rende il suo personaggio il più carismatico e affascinante di tutti quei villain che tanto conosciamo e tanto amiamo.


In Dal profondo della notte, tanto per raccontare grossomodo cosa succede a quelle due anime che non l'hanno visto, Freddy visita le notti di un gruppo di quattro giovani amici, che finiscono per morire uno dopo l'altro. Nancy è l'unica in grado di affrontarlo.


Ecco, Nancy. Altro bel tipino. Impaurita sì, perchè non è mica scema, ma determinata. Avrà tempo dopo di piangere i suoi morti, adesso deve salvarsi la pelle, e riuscirci con un uomo che ti ammazza in sogno non è così scontato. Senza contare su nessuno, nemmeno rivelando i suoi piani al suo ragazzo.
Soprattutto se oltre a lui devi affrontare i tuoi genitori, che ti nascondono più di quanto tu creda.

E anche Craven ci nasconde qualcosa.
Ci fa credere di andare a vedere un semplice film in cui qualcuno ammazza un po' di gente e invece troviamo sì adolescenti in fuga dalla morte, ma anche adulti complessi, assenti (vedi la mamma di Tina), incapaci di gestire vecchie ferite (o vecchie colpe?) e soprattutto che considerano i figli ancora troppo piccoli per parlarne con loro.

Rivisto oggi porta ancora splendidamente la sua età non più freschissima di scuola materna, tanto da farmi pensare (ancora più del solito) a quanto inutile sia stato il remake del 2010 dato che ad effetti speciali da queste parti stiamo ancora abbastanza bene, grazie.

Nightmare, semplicemente.
Un incubo.
Un riuscitissimo incubo.
 

venerdì 16 gennaio 2015

Non solo horror: La città incantata

13:10
(2001, Hayao Miyazaki)

Può un film d'animazione giapponese farmi pensare allo zucchero a velo?
Può, se lo firma Hayao Miyazaki.

Ne La città incantata incontriamo Chihiro, che sta affrontando con la famiglia un trasloco.
Giunta nella nuova città, però, il papà intraprende quella che sembra essere una scorciatoia ma che si rivela invece essere una strada chiusa che dà su un tunnel.
Presa dalla curiosità, la famiglia lo attraversa nonostante le proteste di Chihiro, e quello che si troveranno di fronte è un luna park apparentemente abbandonato, in cui però è rimasto attivo un banchetto in cui i genitori di Chihiro si abbuffano.
Peccato che vengano poi trasformati in maiali, e toccherà alla figlia trovare una soluzione a questo incantesimo.

Zucchero a velo, dicevamo.
Io non sono proprio capace di fare da mangiare, sopravvivo a malapena.
I dolci però li so fare, quelli sì. (credo)
E so che lo zucchero a velo non fa altro che addolcire un po' di più, soprattutto se comprate quello vanigliato che è un piacere solo pensarci.
Però se volete che la torta sia più buona ne dovete mettere poco, così è dolcissimo ma non dà fastidio in bocca, non si esagera.


Questo ha fatto questo film.
Ha addolcito la bocca, ha fatto sentire la vaniglia sulle labbra, ha riscaldato il cuore.
Una splendida torta margherita altissima e morbidissima appena sfornata.
Il riferimento alla torta margherita non è certo casuale.

La più semplice in assoluto, la più povera di ingredienti, la più basica.
Ma quanto è buona.
E' strepitosa appena la tiri fuori dal forno, ancora tiepida.
Ma è buonissima anche la mattina dopo, fredda e intinta nel latte.
(Cioè, i normali esseri umani fanno così, io piuttosto che pucciare qualsiasi dolce in qualsiasi bevanda mi ammazzo dal disgusto)

E così La città incantata. Lo guardi una volta, e quanto è bello. Te ne innamori. Poi lo vedi la seconda, la terza, la ventesima. Ed è sempre così incredibilmente bello.



La torta margherita, però, sembra facile ma è infida.
Bisogna saperla fare.
Se non sei capace ti esce stopposa, con i grumi, oppure troppo pastosa che per mandarla giù ci vogliono due scodelle di latte.

Dove voglio arrivare?
Che Miyazaki è un pasticcere strepitoso.
Ha cucinato la migliore delle torte margherite.
Ha sfornato un'opera dalla dolcezza incredibile, ma che non è mai stucchevole. MAI. Ha preparato una torta talmente leggera che mentre la guardi ti sembra che non stia lì, ma che aleggi nell'aria, che il suo profumo riempia la stanza.
E ci ha messo l'AMORE, perché non c'è certo bisogno di guardare la Clerici per sapere che cucinare per qualcuno è una grande dimostrazione d'amore.

Quando i film diventano poesia in immagini c'è ben poco che si possa dire per recensirli.
Si prendono così come sono, con tutte le emozioni che l'Arte, quando è tale, regala a chi ha la fortuna di poterne fruire.





giovedì 15 gennaio 2015

Mike Nichols Day: Wolf

14:13
(1994, Mike Nichols, ovviamente)


La morte di un personaggio famoso è sempre un evento emblematico sull'internet.
Eppure, Mike Nichols non è che se lo siano filato granché.
Io per prima, dal momento che, ehm, non lo conoscevo.

Dopo la dipartita scopro che è il regista di Closer e del Laureato e quindi decido di unirmi alla comunità fighissima dei cinebloggerz nel ricordarlo oggi parlando dei suoi film. Mi sembra un buon modo per iniziare a colmare le mie lacune su questo signore.

Sempre indagando su chi fosse, scopro che TOH, un film con Jack Nicholson.
E siccome a Jack Nicholson da queste parti gli si vuole molto bene, eccoci che parliamo di Wolf.


Will Randall, mentre sta guidando, investe un lupo. Mentre cerca di soccorrerlo però viene morso, e da quel momento inizierà a sentirsi sempre più strano, fino a che non verrà chiarito che il suo stato è dovuto al fatto che si sta trasformando in un licantropo.
Potrebbe disperarsi, il nostro Will, potrebbe strapparsi i capelli dall'angoscia, ma partendo già da un'abbondante stempiatura decide di prendere bene la notizia e iniziare a prendere in mano la sua vita: lascia un posto di lavoro dove non era più apprezzato, si separa dalla moglie fedifraga, si trova una giovane e avvenente nuova amante, una vitona insomma.

Beh, di notte diventa lupo, ma a fronte di quello che ci ha guadagnato, cioè il coraggio di prendere finalmente decisioni risolutive, direi che non gli va male.
E' interessante, questo diverso modo di valutare i lupi mannari.
Soprattutto se considerate che il mio massimo esempio di simili è il professor Lupin.

Ecco, Lupin.
Lui se la cavava male, eh.
Questo suo essere licantropo non lo lasciava indifferente, non lo lasciava vivere serenamente.
Ha quasi messo a repentaglio la nascita di una delle mie coppie preferite di tutta la saga.
Will no, lui sta praticamente meglio dopo la trasformazione che non prima.
Un punto di vista interessante.


Peccato che questo punto di vista interessante sia stata l'unica cosa a interessarmi minimamente nel film.
Per carità, lungi da me giudicarlo un film di cacca o quant'altro, è solo che mi ha lasciata fredda. Lo so che è un cult del genere, che è uno di quei titoli che escono sempre quando si parla di licantropi.
Non saprei nemmeno dire cosa mi è piaciuto e cosa no, mi ha proprio lasciata un po' meh.

Il che è un peccato perché, insomma, c'è Jack Nicholson.
E Jack Nicholson non fa altro che confermarsi un folle squilibrato disagiatissimo, ma è il motivo per cui lo amo tanto, quindi a posto.

giovedì 8 gennaio 2015

Je Suis Charlie

10:43
Avrei potuto tacere, e magari avrei fatto anche più bella figura.
Riservare un silenzio rispettoso alle persone che ieri hanno perso un proprio caro.

Ma mi riesce difficile.

Ieri delle persone hanno perso la vita mentre svolgevano il loro lavoro, come ogni altro giorno. Ed è allucinante.
Delle persone hanno perso la vita mentre, lavorando, esprimevano se stesse.
E io, che nel mio piccolissimo spazio rosso ho trovato il mio principale spazio di espressione, in cui posso essere me stessa completamente e senza filtri, l'ho sentita forte come una pugnalata.

Ma non è di questo che mi interessa parlare. E' troppo più grande di me, di tutti. Il terrorismo fa paura, ci inchioda anche nei luoghi in cui ci sentiamo sicuri, ci priva completamente di quella libertà che tanto diamo per scontata.
Ma sono solo una bambina, non posso parlare troppo di queste cose, non ne so a sufficienza.
So solo che mi fa paura.

Ma più ancora, e qui arriviamo al punto che mi interessa toccare, mi fanno paura le reazioni a questo evento.
A fronte di tanti messaggi di cordoglio, di solidarietà, di pensiero per le vittime e le loro famiglie, questi eventi portano con sè l'inevitabile massa di decerebrati, che usa l'evento per parlare di sè, per portare acqua al proprio mulino, per insultare.










No, non entrerò nemmeno nel discorso politico. Non è il Salvini politico che mi preoccupa (sì, ovvio, ma non è questa la sede per parlarne), mi preoccupa l'UOMO. L'uomo adulto e vaccinato che non è ancora in grado di scindere l'individuo dalla comunità.

Perché non possiamo semplicemente unirci nel pensiero del dolore di queste persone?
Perché, per una cavolo di benedetta volta, non siamo in grado di smettere di parlare di noi stessi?
Perché il mio vicino di casa musulmano, che lavora regolarmente e paga le tasse, e non disturba e fa sempre le pulizie condominiali quando è il suo turno, deve sentirsi insultato?
Perché deve essere considerato LUI l'eccezione?
Perché i quotidiani internazionali usano la satira per combattere contro chi la satira l'ha ammazzata e invece quelli italiani mostrano le brutali scene dell'assalto, in modo così atrocemente irrispettoso?

Perché i personaggi famosi sfruttano questi eventi per mettersi, una volta di più, in mostra in tutto il loro splendore?









 Perché siamo così?
Cosa è successo all'etica, al rispetto, alla compassione intesa come semplice 'soffro con te' e non come 'oh, poverino, chissà come stai male'?
Sono io che ho sempre vissuto nell'utopia del bellissimo mondo fatato di quando ero più piccola?



Sono arrabbiata con voi, tutti, miserabili parassiti che non conoscete il dolore vero

E ricordatevi che se per la vostra linea di pensiero tutti i musulmani sono terroristi, allora voi cattolici siete tutti pedofili. Meno male che sono atea.


(Mi dispiace per il post sfuriata, se volete domani recensisco un Woody Allen che così ci calmiamo un po' tutti!:D)

mercoledì 7 gennaio 2015

Shaun of the dead

11:28
(2004, Edgar Wright)

Vi spiego cosa è successo.
Avevo deciso di guardare Il cameraman e l'assassino. 
L'avevo anche iniziato.

Ma sono malaticcia, disgustosamente malaticcia.
E siccome la mia testa al momento mi pare una gonfia ed informe massa vuota, a mezzoretta dall'inizio del film mi sono accorta che lo stavo vedendo ma non lo stavo guardando.
Ho quindi deciso di spostarmi su qualcosa di decisamente più leggero, perchè continuo a tossire e mi perdo metà delle battute, mi secca poi arrivare alla fine e scoprire di non avere capito niente.

Ecco perché Shaun of the dead.


Shaun è un grandissimo sfigato. Di quelli che vengono perculati anche dai ragazzini, per intenderci. Vive con l'amico di sempre Ed, e con un altro tizio poco importante bravo solo a rompere le scatole. Ha una storia travagliata con Liz e un lavoro in un negozio di elettronica.
Niente di elettrizzante, sembrerebbe, fino a che scoppia un'epidemia zombie.
E Shaun non se ne accorge.

Cammina per la strada, va nel negozietto di sempre a comprare le cose di sempre, e non si accorge, tanto vive nel suo pianeta sulle nuvole, che intorno a lui ci stanno chiazze di sangue e morti viventi. Se ne accorge quando la situazione è un attimino degenerata, ed elabora un piano per portare in salvo se stesso e i suoi cari. Lo stesso piano che potrebbe elaborare uno qualsiasi di noi in una situazione di pericolo: accertarsi che le persone a cui teniamo stiano bene e cerchiamo di rifugiarci in quello che abbiamo sempre considerato un luogo sicuro: il pub.


Shaun of the dead è uno di quei film curativi.
Giornata storta? Shaun of the dead.
Umore nero? Shaun of the dead.
Influenza e testa pesante come una palla da bowling?  Shaun of the dead.

Perchè è leggero, sì, ma mica troppo. Un paio di scenettine splatter potrebbero infastidire i neofiti.
Perché fa ridere di gusto senza essere affatto idiota. E' un film inglese, mica italiano.
Perché i personaggi siamo noi. Goffi, imbranati, divertenti, orgogliosi, innamorati, pigri, storditi, arrabbiati e poi improvvisamente non più, improvvisatori, litigiosi.
Li amo tutti, dal primo all'ultimo, per il loro essere così perfettamente umani.
Amo che Shaun sia uno sfigato e basta, non di quelli che alla fine si rivelano grandi eroi salvatori del mondo, il suo piano fa schifo e funziona quasi per miracolo. Amo che Ed rappresenti perfettamente la spalla divertente, non sia mai invadente del personaggio principale ma che lo accompagni degnamente fino a fine pellicola. E amo tutti gli altri, degna cornice di una coppia che non si dimentica facilmente.


E amo anche quel quasi happy ending, che scalda il cuore e fa sorridere, un'altra volta.
Anche se la prima volta che l'ho visto ammetto di avere temuto il finale alla Romero e già stavo per piangere.


giovedì 1 gennaio 2015

Honeymoon

17:28
Paul e Bea sono una coppia di splendidi neosposi in viaggio di nozze. Scelgono tanto una cerimonia frugale quanto un viaggio di nozze tranquillo e per niente mondano, nel cottage in cui Bea trascorreva le vacanze con i genitori da piccola.
E' tutto così bello, in quel modo così sincero e mai stucchevole che sanno raccontare solo le persone che innamorate ci sono state davvero e profondamente. Paul e Bea non hanno bisogno di ciccini e cipollini, e coccoline e patatini, si guardano, si toccano, si sorridono, e sono di un gran bello e basta.
Fino a quando Bea non si trova più.
In casa non c'è, in bagno neppure.
Il tempo di iniziare a preoccuparsi seriamente, e Paul la ritrova, nuda e confusa, nel bosco di fronte a casa.
E da questo momento lei non sarà più la stessa.


Parlare d'amore è una pigna nel sedere.
Si entra nella sfera più complessa e personale, e ci si autoeleva a profondi conoscitori del sentimento che in fondo nessuno può dire in tutta sincerità di avere capito.
Ma, cosa peggiore di tutte, si cammina traballando sulla sottilissima linea che divide l'emotività dal diabete. E, ve ne prego, se dovessi in questo post (o in quelli che seguiranno) scivolare nella stucchevolezza, non mancate di farmelo notare.


C'è da dire che Honeymoon rende questo equilibrio ancora più complesso da tenere.
Partendo dal presupposto che la regista () è stata grandiosa nel non cascare mai nella favoletta romantica, quello che traccia nella prima metà del film è uno splendido ritratto di coppia.
Il ritratto di una coppia giovane, bella, divertente e profondamente innamorata. Di quell'amore che non ha bisogno di cipollino e patatina e cucciolina del mio cuor, ma che si nutre dello sguardo, del sorriso, del sesso, del gioco. E noi, inerti spettatori, ci innamoriamo di loro, di Paul e Bea.

Fino a quando lei non scompare nel bosco.
Ogni dettaglio urla che qualcosa non va come dovrebbe, Paul lo nota subito, eppure.
Sarebbe così facile, parlarne subito, no?
Amore guarda sarebbe successa questa cosa, cosa facciamo? Affrontiamola insieme.
Invece no, Bea è cambiata ma lo nega fino allo sfinimento, e di fronte ad una tale chiusura Paul cosa può fare?


Può 'indagare', può cercare delle risposte, ma finchè non sarà lei a dargliele, non sarà mai lo stesso.
E quindi ci tocca guardare, impotenti, una comunicazione che sparisce, sangue che compare, silenzi, pane non imburrato.
Ma soprattutto, ci tocca subire un cambiamento di sguardi che devasta.
Così radiosi, così splendenti nella prima parte. E improvvisamente, così vuoti, così freddi, che ti lasciano di stucco. Certo, merito di una grandiosa Rose Leslie, che avevo così sottovalutato nel mio amato Game of Thrones e che invece è stata stupenda, nel trasformarsi così radicalmente da moglie complice e divertente a muro di ghiaccio. Un silenziosissimo muro che non vuole dire la verità, perché NON PUO'. Perché ha perso se stessa dentro ad un bosco, e sta provando in tutti in modi a conservare quanto può per proteggere lui da una realtà che lo annienterebbe.
Ma che ha già annientato lei.


Un inizio cinematografico immenso, sarà difficile nel corso dell'anno uguagliare questa bellezza.

giovedì 25 dicembre 2014

L'importanza di chiamarsi Jennifer

15:37
Ciao a tutti, mi chiamo Jennifer.
Mi trovo in una casa di riposo, in un paese del quale non ricordo il nome. Ormai gli anni che mi porto addosso non sono pochi, per cui ho deciso di raccontarvi la mia storia, prima di finire per dimenticarmela del tutto.
Non sono certo stata quella che si definirebbe una ragazza fortunata.
Nella vita ho avuto più eventi drammatici di chiunque altro, e la gente, credendolo divertente, ha deciso di ispirarsi a me per girare diversi film.
Non che io fossi d'accordo, sia chiaro, ma credete che siano venuti a chiedermi il permesso?
Certo che no, e nemmeno ho visto il becco di un quattrino.
Oltre i danni, le beffe.

Della mia infanzia non ricordo molto, diciamo che il primo evento molto traumatico è avvenuto nel 1978. La cosa peggiore che possa accadere ad una donna. Sognavo di diventare una scrittrice, così avevo pensato di rifugiarmi in una casetta in un bosco, per lavorare e restare concentrata.
Sono stata stuprata lungo la strada.
Ma, vedete, io non ero una principessina ingenua.
Se mi toccavi, io mi sentivo in diritto di toccare te, e sfido chiunque di voi alla lettura a contraddirmi.
Sono vecchia ma ancora in gamba.
Ognuno reagisce al dolore, all'enorme trauma, come può, io li ho fatti fuori tutti.

Nello stesso anno, tale Meir Zarchi viene a sapere la mia storia. La trova figa (perché quello stuprato non era lui) e decide di tirarci fuori una pellicola. Questa:


Ho trovato la forza di vederlo solo una volta, in compagnia della ragazza che gestisce questo posticino rosso.
Nemmeno lei ha retto a quell'infinito, disgustoso, atroce stupro.
Ma credo non avrebbe retto nemmeno se fosse stato rapido ed indolore (ma quando mai lo è?).

Il risultato di questa irrispettosa e antipatica mossa commerciale è un film di una durezza quasi insostenibile. Non credo sinceramente che il signor Zarchi avesse altri grandi intenti se non quello di sconvolgere, irritare, lasciare i suoi spettatori a fine visione atterriti sul letto con la sensazione di essere appena cascati da quattro o cinque rampe di scale.
Gli è riuscito.
Molto bene.

(Come se rivivere questa vicenda non fosse stato già straziante una volta, nel 2010 arriva Steven Monroe e gira un remake del film del 78. Non l'ho guardato, scusatemi, mi voglio ancora un po' bene.)


Insomma, dopo questa tortura non sono più stata la stessa.
Il male aveva preso possesso della mia anima, che avevo sempre creduto così buona.
Forse ero solo ingenua.
Sta di fatto che, da un certo momento in poi (non ricordo con precisione quando, ma mi pare c'entrasse un concerto rock!), ho sentito la necessità di ammazzare degli uomini.
Ero bella davvero, da giovane, tirarli a me era la cosa più semplice, quei poveri salami. gli mostravo un po' di scollatura poi TRAC, li facevo fuori. Niente di più semplice.
Il peggio era che dovevo mangiarli.
Ne avevo bisogno, capite?
Solo la mia amica Needy aveva capito che qualcosa non andava in me. Non le credevano, ovvio. Ero una bambolina sexy e popolare, non potevo certo essere un'assassina spietata e cannibale.
Eppure....

Insomma, volete sapere com'è finita la storia?
Ero POSSEDUTA da un demone.
Qualcuno voleva offrirmi a Satana, ma mi chiedo come abbiano potuto pensare che fossi vergine.
Era piuttosto palese che mi piaceva godermela.
E' stata Neeby a mettere fine a tutto. Mi ha uccisa.
Certo, poi è stata rinchiusa al manicomio perché andava a raccontare a tutti che razza di demone fossi.

Il risultato? Un ALTRO film, stavolta per mano di Karyn Kusama. E l'orrore che sta Kusama è riuscita a tirare fuori da una storia che già aveva poco del salubre è inenarrabile.
Quale persona con un minimo di senso estetico ha creduto che quella biondina sarebbe risultata credibile nei panni della sfigatella? Chi?
E insomma, quella mora è certamente di una bellezza rara, ma che mi abbia reso giustizia proprio no.
Un filmaccio che sono certa nessuno di voi persone dotate di razionalità vorrà vedere.
E pensare che di sta Diablo Cody alla sceneggiatura avevo sentito dire cose così belle.


(NdA: Seth Coen leader di una rock band NO)

La mia adorata Neeby è stata per anni rinchiusa in manicomio, con l'unica consolazione che almeno io avrei smesso di massacrare e mangiare adolescenti in piena tempesta ormonale.
Ebbene, io di certo non ero morta.
E nemmeno avevo smesso di nutrirmi di esseri umani.

Di certo, non ero più la bella e popolare Jennifer.
Quello che era rimasto di me era il mio corpo favoloso, ma il mio volto portava chiari impressi i segni della possessione prima e del tentativo di omicidio poi.
Mi ero trasformata in un mostro deforme, gli uomini non mi guardavano più.
Io loro però continuavo a guardarli, eccome.
E a mangiarli.

Mi sentivo sola, la gente mi odiava, cercavano (di nuovo, io proprio non me lo spiego) di farmi fuori, la mia vita era una fuga.
Fino a che non ho incontrato il detective Frank.
Ah, gran bell'uomo quello.
Me lo portavo a letto che era un piacere, dopo che mi aveva salvato la vita.
Gli ho anche ammazzato gatto e vicina di casa, ma lui continuava a portarmi a letto nonostante fossi un mostro, quindi non credo gli importasse poi molto.


Da questa nostra strana relazione Dario Argento ha voluto trarne un mediometraggio.
Secondo me non aveva idee per partecipare a quella cosa lì che avevano passato in tv (i Masters of Horror, ndA.) e ha pensato di prendere sta roba strana per riempire l'oretta che gli era stata destinata. L'ha chiamato Jenifer sbagliando pure il mio nome, ma tant'è.
Fosse l'errore nel titolo la cosa peggiore.
La cosa peggiore è che se avessi voluto che venisse realizzato un porno sulla mia vita mi sarei candidata io, tanto più che magari ci avrei fatto dei soldi.
Non mi scandalizza il sesso (come avete visto dai film, nella mia vita ne ho fatto molto) ma se tutto ciò che Argento aveva da infilare nella pellicola era quello, quanto può rivelarsi ineressante ad un pubblico che cerca horror?
Cosa altro gli diamo a sta gente, Dario?
Vuoi far passare il mio Frank per una specie di perverso a cui piacciono le relazioni con le stramboidi? Andatelo a dire a sua moglie, non credo la trovereste d'accordo.
Il risultato è un'accozzaglia di scene di sesso tenute insieme una all'altra da una pessima recitazione e dalla solita colonna sonora di Darione tanto carina ma che stavolta non è stata sufficiente.

E poi sì, son diventata brutta, ma non così tanto.

Insomma, in qualche modo mi sono ritrovata qua, al ricovero.
Tanto ci finiamo tutti, no?
Voi, ragazze giovani, prendetemi come esempio per i vostri propositi per l'anno nuovo.
Non siate sceme come me, e tenete a bada i vostri ormoni, che poi vi posseggono i demoni.
Buon anno.




sabato 20 dicembre 2014

Non solo cinema: La strada

10:04
Post con spoiler perché non ne facevo da un po'


Per il mio compleanno, R e un gruppo di pazze persone che immagino mi vogliano molto bene mi hanno regalato un ebook reader. Io leggo da che ho memoria, e so da fonti certe che quando ancora non potevo leggere per ovvia incapacità avevo persone che leggevano per me. Non sono certo una feticista della carta, però, benchè sia una di quelle strambe creature che annusano i libri. Desideravo un lettore da tempi immemori e ora il mio piccolino è il mio migliore amico e il principale compagno di merende.

Questa intro che avrà sicuramente rivoluzionato la vostra giornata serve a dirvi che grazie al mio trekstor riesco a leggere molto più di prima. Più libri = più libri horror.
E quindi eccoci qui, con un nuovo ingresso nel blog che non vuole diventare una rubrica fissa con cadenza regolare (come se poi io ne facessi), ma un modo in più per condividere con voi quello che mi piace.
Ma sempre di horror parliamo, perchè sono una persona molto originale.

Ho voluto iniziare con McCarthy perchè penso sia il modo migliore per ricordare a chi ha problemi di memoria o di comprensione dell'ovvio che l'horror non è solo sangue squartamenti fantasmi mostri killer orrore e sconvolgimento.
L'horror può penetrare più a fondo, può gettarti nello sconforto, nella perdita completa della speranza, nella desolazione di una condizione che non ha soluzione.
Vah che poetessa.

Può essere horror la storia di un padre ed un figlio, che vagano per la strada senza vita di un mondo distrutto. Non sappiamo cosa sia successo, cosa abbia ridotto il pianeta ad uno scheletro di se stesso, ma non è rimasto niente della società come la conosciamo.
Padre e bambino non hanno più una casa, non godono più della compagnia della mamma ma nemmeno di quella di nessun altro essere umano. Camminano in mezzo al gelo, senza una meta reale, senza un luogo sicuro, costretti ad accendersi il fuoco ogni sera per non morire assiderati, alla ricerca di cibo nei modi che possano.
Privati di tutto, non hanno nemmeno un nome.

E tanto è gelida l'aria che padre e figlio repirano, tanto è fredda la scrittura di McCarthy, che è ridotta all'osso e minimale.
Cerca ogni tanto di scaldarci cuore e pensieri con qualche momento di tenerezza padre e figlio, ma sono solo attimi sporadici che portano una consolazione momentanea.
Perché a questa condizione non esistono consolazioni, perchè non ci sarà un rimedio.

Ed è, questa, una consapevolezza che ti colpisce duramente a fine libro.
Ti affezioni a questi due signori, a questi due vagabondi per necessità, e quello che vorresti non è altro che vederli insieme ad altre persone, in un luogo caldo e sicuro, perchè quel freddo che ti è narrato cominci a sentirlo anche tu, che ti prende nelle ossa. Vorresti vederli tornare a fidarsi del prossimo, vorresti che fossero in tanti i 'buoni che portano il fuoco'.
Ma quando concludi la lettura capisci che la speranza lì non sta di casa. E ti atterrisce.

Perché è un inserimento graduale nelle loro vite quello che mi ha malridotta di più.
Nelle prime pagine nemmeno mi piaceva, sto La strada. Andando avanti, però, ti ritrovi a vedere con i tuoi occhi che proprio la strada è l'unica cosa che hanno, oltre l'un l'altro. E non esiste situazione più disperata di quella di una persona che deve vedere il proprio mondo scomparire. L'autore ci fa capire chiaramente quanto l'unico ad avere subito una gigantesca perdita sia il padre. Il bambino in questo rimasuglio di mondo ci è nato. E' la sua normalità.
Il padre aveva tutto e ora ha solo il suo bambino.

Ripenso quindi a tutte le volte che sono triste, o che semplicemente ho una giornata no.
Ascolto le mie canzoni preferite, scrivo sul blog, esco a comprarmi la mia focaccia preferita, faccio due passi fino alla piazza del paese e scorro le vetrine.
Non sono cose che fanno passare la ragione della mia tristezza nè rimediano alla mia giornata di merda, ma mi rimettono nel giusto ordine di cose, mi riportano con i piedi per terra, mi calmano. Sono piccole azioni apparentemente inutili ma di cui ho bisogno quando qualcosa non va.
E se nella mia vita improvvisamente qualcosa non andasse e io non avessi nemmeno una delle mie piccole coccole per stare meglio? E' un circolo vizioso di dolore, una sofferenza in tondo che non può avere fine.

E nonostante tutto, nonostante le volte in cui ha pensato che sua moglie avesse fatto la scelta migliore, il papà parla ancora a suo figlio del volo degli uccelli.
Una lezione di speranza che voglio fare mia, e regalare a voi.

Buon Natale a tutti!

domenica 14 dicembre 2014

The Poughkeepsie Tapes

12:20
Ogni tanto alla blogosfera prende un virus, particolarmente contagioso, per cui si guarda tutti in massa lo stesso film.
E meno male, penso io, altrimenti sto Poughkeepsie Tapes col piffero che lo vedevo.

Nella città di Poughkeepsie vengono ritrovati numerosi filmati che mostrano omicidi brutali e torture, ripresi live dal killer stesso.
L'FBI, i profiler, la polizia, raccontano le indagini che hanno seguito il ritrovamento.


Io parto chiaramente prevenuta dal fatto che amo i mockumentary.
Lo so che fanno schifo a tutti, che ne avete piene le scatole, che non portano più da nessuna parte.
Avete ragione, sono d'accordo.
Però io gli voglio bene, capite?
Sono come una donna che spera sempre che l'uomo amato cambi.
Sa che non è così, ma lo ama lo stesso.

Quindi, come sento che questo film è un finto documentario con video girati dall'assassino stesso APRITI CIELO CHE CANTO L'ALLELUIA.
(e ricordatevi che ho cantato in un coro, di alleluia ne so tanti)

E l'ho cantato davvero, l'alleluia, perchè a me The Poughkeepsie Tapes è piaciuto.
Ma pure parecchio.

Più di tutto ho amato l'infilarci costante di detective, profiler, psicologi, che per una mediocrissima amante di programmi per casalinghe come Criminal Minds come sono io è la morte proprio.
Motivo per cui guarderò anche The Gerber Syndrome, potete contarci.
E sì, guardo Criminal Minds. A mia discolpa posso dire che amo il dottor Reed. Mi motiva l'amore, come avrete capito.





 Detective, profiler e psicologi che non fanno altro che rimarcare la crudeltà, l'orrore, l'esagerazione delle torture perpetrate dal killer. Peccato che non se ne veda (quasi) nessuna.
Cosa che per me è un ulteriore valore aggiunto perchè la mente umana è portata a pensare sempre al peggio, la nostra immaginazione è malata (non negate, è ovvio che quando gli specialisti parlano di torture così tremende, tutti ci chiediamo di cosa cavolo si tratti e immaginiamo sempre il peggio, è nella nostra natura) ma il regista non ci sta.
Sceglie di far fare il grosso del lavoro sporco alla nostra mente, lui non mostra niente.
Un paio di calci, qualche disagio psicologico.
Per qualcuno questo potrebbe essere un difetto della pellicola, a me è piaciuto sul serio.

Il mock non è mai forzato o inspiegabile, c'è, ne prendiamo atto. Non fa nemmeno venire troppo il mal di testa. E credo che abbia dato una mano non indifferente a rendere quel senso di lercio e malsano del rifugio del killer.


E il finale, beh.
nonostante abbia trovato abbastanza prevedibile quel tentativo di plot twist, la scena finale, quel primo piano della vittima mi ha causato una sequela di brividi in serie, dalla nuca alla schiena.
Lo sguardo, le parole, l'insicurezza.
Una degna conclusione, davvero, me la sono fatta sotto.




lunedì 8 dicembre 2014

Non solo horror: Sugar Man

17:28
Un lato di me che credo non sia mai emerso da Mari's Red Room è la mia maniacale attrazione per la musica. Esattamente come per il cinema, il mio atteggiamento nei confronti di ciò che mi appassiona è una costante irrequietezza, un senso di insoddisfazione che mi porta alla continua ricerca di altro.

E' per questo che sono incappata nella visione di Searching for Sugar Man.
Io Rodriguez mica lo conoscevo, come non lo conosce la maggior parte delle persone.

Lo conoscevano però  Stephen "Sugar" Segerman e Craig Bartholomew-Strydom, decisi a svelare il grande mistero che ruotava intorno al loro cantante preferito, creduto morto in circostanze misteriose.

Sugar Man mostra quanto gli esseri umani possano dare agli altri. Mostra quanto certe persone siano semplicemente portatrici di poesia. I produttori, dopo anni ed anni ed anni, ancora si incantano ad ascoltare i brani di Rodriguez durante l'intervista. E ne parlano con gli occhi sbalorditi e incantati di chi ha avuto a che fare con la poesia, quella vera e disincantata, che non conosce il suo potere.


 Un uomo comunissimo, un muratore, che aveva la luce dentro, e l'ha donata al mondo.
Il mondo, quasi tutto, non l'ha saputa cogliere, l'ha lasciata assopire mattone dopo mattone, mentre in Sudafrica avevano chiaro in mente con chi avevano a che fare.
Sì, perchè mentre negli Stati Uniti Sixto Rodriguez era un comunissimo figlio di immigrati dal lavoro umile, una copia del suo album finiva nel Continente Nero, e lì esplodeva. L'umile figlio di immigrati dal lavoro umile diventa il mito, la leggenda, l'eroe che motiva con le sue (splendide) parole la lotta contro l'apartheid, la voce che dà alla gente in difficoltà la speranza, la voglia e la forza di cercare quella giustizia costantemente negata.
E lui non lo sapeva.
Continuava le sue giornate, il suo lavoro, la sua vita, completamente ignaro del successo incredibile che i suoi due album stavano incontrando in Sudafrica.
Ha messo su famiglia, sarà anche stato felice.
Ma il suo sogno si era realizzato, e lui non lo sapeva.

La musica non è mai solo tale.
Certo, non tutti potranno esserne appassionati, non tutti ne sono toccati.
Ma quando le consenti di entrarti dentro, si prende una fetta talmente ampia della tua emotività da non sapere più dove inizia e dove finisce.
Per questo se un autore diventa così grandioso in un certo paese, in un certo momento, in un certo periodo storico, è perché quello che ha da dire è oltre la mediocrità, è oltre la banale canzoncina che sicuramente vincerà X-Factor. E' Arte.
E' Magia.


E se già la storia di Rodriguez è incredibile, il documentario tratto è davvero all'altezza.
Rende giustizia ad un uomo che ha cambiato molte vite, ma che ha conservato l'umiltà della propria. Indaga in modo delicato e mai invadente su una vita così misteriosa e apparentemente banale. Un film dolcissimo, quasi pervaso di surrealità.
Certo, la soundtrack dà una buona mano.

Cosa può significare svegliarsi una mattina e realizzare che ci sono migliaia, milioni di persone che sono state illuminate dalla luce che tu hai messo nella tua arte? Che impatto può avere su un modesto carpentiere con un fallimentare e breve passato da cantante realizzare che di fallimentare non c'è stato proprio nulla? Quanto può essere emozionante trovarsi su un palcoscenico, in un età in cui il sogno di un tempo è ormai archiviato, e scoprire che così tante persone ti hanno amato per tutto questo tempo? Il solo vedere quelle immagini, la folla in delirio, e lui che non comincia a cantare perchè tutti loro continuano ad urlare la gioia di averlo finalmente lì, dal vivo, regalano un'emozione fortissima.
Mi auguro che sia stato per lui straordinario.

Come è stato per me incontrare la sua musica.


domenica 30 novembre 2014

No more excuses week: Outrage

13:27

Alle soglie del 2015, la violenza sulle donne è un tema fondamentale. Se ne parla in tv, ogni giorno. Se ne parla sui giornali, si sensibilizza, si informa. E finalmente, direi. Se ne parla anche sui blog di cinema, grazie all'iniziativa lanciata da Alessandra (Director's cult).

Ma nel MILLENOVECENTOCINQUANTA?
Oggi una vittima di violenza (di qualsiasi tipo) è considerata tale, dalla maggior parte delle persone è tutelata, difesa, aiutata. Oggi la violenza è un reato.
Sessant'anni fa se venivi violentata te ne vergognavi. Era colpa tua, eri sporca. E di certo non lo raccontavi. A nessuno.

Figuriamoci parlarne in un film.
Figuriamoci parlarne in un film diretto da una donna.
Eppure, Ida Lupino ha sfornato una pagnotta che ancora oggi risulta indigesta.

La vittima in questione si chiama Ann. Finito il lavoro torna a casa, e per strada viene struprata. Incapace di sopportare il trauma e la vergogna, scappa e cambia identità. Si rifugia in un ranch, e cerca di rimettere in piedi i pezzi della sua vita.


Il centro della questione non è tanto lo stupro in sè, che non è mostrato, cosa di cui sono molto grata alla vecchiaia del film e alla signora Lupino, quanto piuttosto il modo in cui Ann reagisce. Il dolore non cambia, sessant'anni dopo. Ann non sa gestire una cicatrice così grande, e fa la cosa che appare più semplice: scappa.
Si allontana dagli sguardi di compassione, dalla finta comprensione, da quella strada che sarebbe stata costretta a ripercorrere ogni giorno uscita dal lavoro, da quel fidanzato che la ama comunque. Cambia perfino nome, come se alla nuova se stessa quell'evento drammatico non fosse mai avvenuto.
Ma non è così semplice, quando fuggi porti tutto con te.
E infatti, non appena un uomo prova a baciarla, lei va molto vicina ad ammazzarlo.

Sessant'anni fa questa era la realtà. Il numero di donne stuprate non era certo minore di quello attuale, ma non se ne poteva parlare a voce alta, era un argomento tabù. Ida Lupino ha centrato il punto, girando un film che pur sentendo il peso della sua età è assolutamente attuale.
Gli sguardi di chi non capisce la violenza ci sono ancora, il dolore è sempre lo stesso, l'offesa recata non è mutata. E questo rende la sua iniziativa coraggiosa ed intelligente.


Ho scelto questo film non a caso.
Sì, è inerente al tema della giornata, ovviamente, ed è in bianco e nero per portare avanti la mia iniziativa per il mese di novembre, quindi era perfetto.
Il motivo principale è la speranza.
La violenza sulle donne è una realtà, non ce ne siamo ancora liberati, e probabilmente gli stupri continueranno a violare la serenità delle persone. Ma abbiamo fatto notevoli passi avanti a livello di civiltà.
Oggi sappiamo cosa implica la violenza, oggi al fenomeno è data importanza, non si ha più paura di parlarne.
Oggi, io so che se dovesse accadermi qualcosa non sarebbe in nessun caso colpa mia.
Non lo sanno ancora tutte le donne, purtroppo, ma ci arriveremo.
Oggi abbiamo esempi come Lucia Annibali che ci insegnano che se dovessimo avere l'immensa sfortuna di incappare in un elemento violento, potremmo uscirne, a testa alta.
Abbiamo ancora tanta strada da fare, questo è poco ma sicuro. Siamo circondati da uomini violenti che si nascondono dietro visi rassicuranti. Le notizie non diminuiscono. Le donne continuano a morire perché rifiutano i partner. Quello che si chiede la locandina che ho postato sopra è un quesito ancora terribilmente attuale.

Ma stiamo andando nella giusta direzione, io ci voglio credere.



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