lunedì 10 giugno 2019

Chernobyl

09:51
Il web è forse saturo di persone che esaltano la nuova miniserie HBO?
Sì.
Questo mi esimerà dal parlarne anche qua?
Assolutamente no.


Non credo serva la trama, vero?
Raccontiamo solo che la serie inizia al momento dell'esplosione del reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl e si conclude con il processo.
Vorrei dire che in casi come questi è scongiurato il pericolo spoiler, ma in realtà la vicenda è così complessa e piena di risvolti che io non conoscevo che alcuni dettagli che mi hanno comunque sorpresa e lasciata senza parole.

Di Chernobyl non si parla mai. Io sono del 90, quindi non l'ho vissuta, ma la conoscevo di fama come tutti. Eppure, fino a poco fa, mancavano documentari, libri, approfondimenti. HBO è arrivata come una ruspa (in un momento in cui l'attenzione sul tema era stata riaccesa, da un libro uscito qualche anno fa) e ha non solo raccontato una storia che va conosciuta e non dimenticata, ma anche alzato l'asticella degli standard delle miniserie, perché è un lavoro incredibile che merita tutta l'attenzione che sta ricevendo e anche di più.

(Edit: scopro da Wikipedia che in realtà sono sempre esistiti prodotti che raccontano la vicenda di Chernobyl, tra corti, documentari e film, ma io non li conoscevo, a parte quell'horrorino di qualche anno fa - Chernobyl Diaries - ma in ogni caso nessuno sembra avere avuto i fari puntati addosso quanto questa serie, che sembra essere arrivata a dare piuttosto fastidio alla Russia.)

Quando si parla di argomenti così delicati e con l'aggravante di essere vicini a noi nel tempo, si cammina sulle uova. Sarebbe stato facilissimo lasciarsi andare a commozione facile o a voyeuristici racconti macabri.
Sebbene non ci si possa esimere dal raccontare storie strazianti e dal mostrare immagini raccapriccianti, queste sono nulla in confronto al vero punto della serie: la vera colpa del disastro è di una nazione chiusa e orgogliosa, per la quale la tutela della propria immagine viene prima della protezione dei propri cittadini. Un disastro in cui ogni aspetto è peggiore del precedente, in cui ogni singolo dettaglio non fa che peggiorare l'opinione che lo spettatore ha delle persone e delle loro decisioni.

Si è scelto di raccontare storie singole perché sono più efficaci. Muoiono ogni anno centinaia di bambini sulle navi, per esempio, ma i numeri sono freddi, non ci colpiscono. Pare assurdo a dirsi, ma è vero, a fronte di centinaia di bambini noi ci ricordiamo solo di quello in spiaggia, o di quello con la pagella cucita. Siamo così, e la serie per raccontarci le migliaia di vite compromesse dal disastro sceglie di mostrarcene una, reale e non creata per la serie, quella del pompiere Vasily Ignatenko. Vasily ha un nome, una faccia e una storia, ma li rappresenta tutti: pompieri, ingegneri, minatori, liquidatori. Conoscere lui è stato un modo per colpirci più forte ma allo stesso tempo farceli conoscere tutti, e con me è stato efficacissimo. Non ho mai pensato: "Povero Ignatenko" ho sempre pensato "Povera gente".
(Non con commiserazione, la serie non lascia spazio alle lacrimucce alla John Green.)

Allo stesso tempo, si è data attenzione enorme alle persone che dovevano trovare una soluzione. La squadra capitanata dal vicepresidente del consiglio dei ministri Shcherbina e il vicedirettore dell'istituto di energia atomica Legasov.
Non erano robot a risolvere un guaio con un algoritmo o so ben io cosa. Erano persone, che si sono trovate di punto in bianco con un problema all'apparenza impossibile e con milioni di vite da tutelare. Non riesco ad immaginare ad una situazione più stressante di così. Il problema era così impossibile che non esistevano piani B. Non c'era una procedura standard da seguire, perché il problema non sarebbe mai dovuto esistere.
Queste persone le vediamo da vicinissimo. Non sappiamo nemmeno se abbiano o meno famiglia, siamo troppo concentrati su quanto loro siano concentrati sulla faccenda. Ci sono verità da conoscere, scomodissime e pericolose, un governo da soddisfare, milioni di vite da salvare e qualcuna da sacrificare. Un lavoro tremendo ma che qualcuno doveva pur fare. Shcherbina e Legasov non sono solo stati scritti magnificamente, sono anche stati dati in gestione a due attori che lasciano senza fiato. Stellan Skasgard e Jared Harris riempiono lo schermo con la loro rabbia, la frustrazione, la necessità di restare concentrati anche quando si vorrebbe mandare tutto all'aria e lasciare che di questo problema se ne occupasse chi ne era responsabile.
Poi ci si accorge che un solo vero responsabile non c'è mai stato, ma non è questo il punto.
Hanno dato vita a due personaggi che lasciano senza fiato, le cui vite sono cambiate per sempre dopo Chernobyl e che non si sono mai staccate dall'accaduto. Due attori che da soli sarebbero bastati a fare della serie il prodotto migliore dell'anno ma che non rubano lo schermo al resto. Si mischiano alla perfezione con l'altissima qualità di tutto quello che li circonda.

Se vogliamo parlare della vicenda, ci dobbiamo arrabbiare. Frustante, dolorosa, scandalosa. Non riesco dopo giorni a capacitarmi di come una cosa del genere sia potuta accadere, di come questa sia la prova tangibile che non esistono buoni e cattivi e che il potere è da sempre il vero grande cattivo della Storia. Ci si arrabbia e si soffre.
Ma siccome su questo blog non parliamo di Storia ma di serie tv, quello che posso dire su Chernobyl è che ha l'eleganza di chi non ha bisogno di mostrare troppo. Si vedono scene forti ma non sono il punto perché la storia ha così tanto altro da dare che soffermarsi sui dettagli macabri non serve. Si mostra per far conoscere. Io banalmente gli effetti delle radiazioni sul corpo non le conoscevo, ora sì. Ma non ci si sofferma su quello, perché tutto il resto è anche peggio.
Chirurgicamente la serie ricostruisce alla perfezione gli eventi e li riporta quasi come un approfondimento giornalistico. Ricostruisce così bene gli anni che ogni dettaglio sembra uscito direttamente dall'86, come se fosse tutto originale dell'epoca. Gli ambienti, i vestiti, i capelli, l'arredamento, la luce...emergere da un episodio è come fare un viaggio nel tempo.
Ogni singola scelta fatta per la realizzazione di questa serie è splendida: le luci, l'eleganza della narrazione, la sceneggiatura, le immagini. Mi è piaciuto tutto quanto.

Eppure, quando si emerge dall'apnea che sono le 5 ore di serie, c'è quell'inquietudine che non si scolla di dosso.
La storia è finita, Chernobyl è stata messa in sicurezza e i reattori difettosi sono stati sistemati, si volta pagina.
Eppure, quella sensazione lì che regalavano certi sguardi del KGB, l'essere seguiti e osservati da lontano dal potere, la certezza di non poter fare quello che si vuole e che si crede giusto, entrano sotto la pelle, e anche se non credo sarò mai un'anarchica, quella sensazione lì fa più paura di ogni singola scena di pelle divorata dalle radiazioni.
E non finisce con la visione della serie.



venerdì 31 maggio 2019

The Hitchbook: La finestra sul cortile

09:32
Da cosa nasce, qualcuno si chiederà (oppure no) questa mania per Hitch?
Perché è uno dei più grandi registi di ogni tempo, penserete. Possibile che sia anche quello, sì, ma per me è tutto riconducibile qui, a La finestra sul cortile.
L'ho visto quando ero più piccina e ancora più inconsapevole di adesso, e tutti quei riferimenti a voyeurismo, perfino alla caverna di Platone, mica li avevo colti. Ero solo rimasta in estasi. Alla scena dell'avvicinarsi di qualcuno dietro la porta, avete capito quale, sono quasi morta dalla tensione. Sono tutti dettagli così che col tempo mi hanno fatto capire che ci sono poche cose al mondo che amo quanto amo il cinema.
Quindi, oggi, per riprendere in mano la rubrica dedicata ad Hitchcock, ricominciamo con quello che è ancora il suo film a cui sono più affezionata.


Siamo nel 1954.
Hitch sta girando Il delitto perfetto quando arriva l'idea di trarre un film da un racconto, It had to be murder, di Cornell Woolrich. Non è che il povero Delitto perfetto sia da dimenticarsi, parleremo presto anche di lui, ma con Rear Window Hitch tira fuori l'artiglieria pesante, e crea uno di quei film che guardiamo con la soggezione che spetta ai grandi.
Questo, però, è un film facilissimo da guardare: la storia è semplice e accattivante, la tensione crescente e i toni spesso leggeri. Come un giallo da spiaggia, ma intelligentissimo, il più brillante della classe.
Sarebbe stato uno splendido film muto, come piaceva tanto al regista, ma ormai doveva stare al passo con i tempi e metterci colori sgargianti e parole per riempire la musica del dirimpettaio pianista.

Siccome è così intelligente, può permettersi di essere anche un po' antipatico. Non starò qui a parlare della misoginia sottile che pervade il film e il personaggio di Jeff, perché non ha senso farlo su un film che ha più di 60 anni, ma c'è, vista oggi si sente e ci si infastidisce un pochino, e poi si va avanti. Jeff, che è il protagonista, è un uomo detestabile. Se ne sta appollaiato alla finestra perché una gamba rotta è la fine del mondo e guarda le vite degli altri, in quel microcosmo che è il suo cortile, legato al mondo esterno solo da una stradina insignificante. Incatenato alle sue idee e al modello di vita che si è creato, osserva quella degli altri, dalla finestra (orizzontale, come lo schermo di un cinema) di casa sua. E guarda famiglie più o meno felici, donne e uomini soli, ragazze spigliate e anziane simpatiche. Fino a che non vede un omicidio, e allora sono cazzi per tutti.

L'internet è pieno di articoli su questo film e non ripetersi è difficile, ma l'aspetto più noto e banale del film, il voyeurismo, è proprio uno di quelli che mi ha sconquassato di più. Da un lato Jeff fa sfacciatamente, con binocoli e tutto, quello che alcuni (tutti, secondo Hitch) fanno di nascosto. Un'occhiata un po' più lunga dietro le tende, orecchie tese per capire di chi stanno parlando i vicini, guardare, spiare, scrutare...lo facciamo tutti più o meno consapevolmente. Dall'altro lato, c'è il punto di vista dell'osservato, che il film si guarda bene dal mostrare ma che io non posso ignorare. Quando sono a casa io mi sento a mio agio al mille per cento, come chiunque. Faccio cose, parlo da sola, canto, ballo. Sapere di essere osservata nei momenti di estrema intimità mi mette profondamente a disagio e mi urta. A Hitchcock frega niente. Noi vediamo solo il punto di vista di Jeff, per tutto il tempo, se agli altri dà fastidio essere osservati che chiudano le tende. Siamo fissi nell'appartamento di Jimmy Stewart (Jeff) e da lì il punto di vista non si schioda se non in un paio di momenti.
Se non possiamo parlare di un punto di vista differente, però, di qualcosa dovremo pur parlare, ed ecco che arriva il tema della responsabilità. Jeff mica dovrebbe fare quello che sta facendo. Sta spiando dentro casa della gente, è sbagliato. Lui non lo mette proprio mai in discussione, ma noi sì. Eppure, vede qualcosa di ancora di più grave, e ha la responsabilità di fare qualcosa. Bene, ti sei fatto i cazzi degli altri? Hai preso in giro la vita di persone sole e disperate? Adesso devi farti un bel mazzo, perché sei certo di aver assistito ad un omicidio ma le persone che ti circondano non ti danno corda. E per forza, sei tutto il giorno incollato alla finestra, sarai diventato matto.

Consideriamo poi che una delle persone che hai più bisogno ti creda in questo momento ha in testa tutt'altro: Lisa (Grace Kelly) si vuole sistemare, vuole sposarsi, mettere su famiglia. Pare una presa in giro: da quella finestra Jeff vede quasi solo persone che per colpa dell'amore sono infelici. Matrimoni disastrati, persone sole depresse, donne circondate da uomini molesti. C'è solo una coppia che è molto felice, e infatti non la vediamo mai, le finestre sono sempre abbassate per tutelare l'intimità di chi qualcosa da proteggere in effetti ce l'ha. Quello che vede potrebbero essere loro, e lui quella roba lì mica la vuole. Quel catalogo lì di comportamenti umani non gli piace. Lo diverte, lo intrattiene, ma non gli appartiene. Lui è destinato a girare il mondo per servizi fotografici pericolosissimi e a mangiare gli insetti, quello stallo lì è momentaneo e lui non fa che ricordarlo, a Lisa. Lei, che è una splendida e raffinatissima modella, non può certo fare la vita che fa lui.
E siccome Hitchcock era in fissa con gli oggetti, questa carriera di Jeff ci viene costantemente sbattuta in faccia: foto, macchine, obiettivi, flash...niente è lasciato cadere nel dimenticatoio, niente è superficiale, serve tutto alla storia.
Così come serviamo noi spettatori, no? Che osservando l'osservatore ci facciamo voyeur a nostra volta e siamo, per l'ennesima volta, spernacchiati da Alfred Hitchcock.

Ma tutto questo chiacchierare di teorie, significati, analisi, passa in secondo piano quando si arriva a quella sequenza sul finale. Se Nodo alla gola è pieno di tensione dal primo istante all'ultimo, in La finestra sul cortile tutta quella tensione lì si accumula e si sfoga nei momenti finali del film. Siamo nell'appartamento di Jeff, al buio. Qualcuno si sta avvicinando. Sappiamo benissimo chi è, eppure il cuore si ferma. Il modo in cui arriviamo a quella scena e il modo in cui quella scena ci è presentata fanno sì che nonostante sappiamo cosa stia per succedere ce la facciamo sotto. Non è come in Rope. In quel caso noi e i protagonisti siamo a conoscenza di qualcosa che gli ospiti non sanno e moriamo dalla paura che lo scoprano. In questo caso viviamo la tensione insieme al protagonista, che è in una situazione di fragilità estrema.
Conta poco che lui ci stia antipatico o meno, ha spiato dalla finestra e ora ne paga le conseguenze.
Il problema è che dalla finestra ci abbiamo spiato pure noi.

lunedì 27 maggio 2019

Un post fuori tema

19:27
Niente cinema, né libri, né serie tv, oggi.
Ci sono solo tante cose che mi affollano la mente dopo questo weekend di elezioni e questo è l'unico spazio in cui mi sento di poter parlare liberamente. Mi sento me stessa solo qui (e su twitter, ma è diverso). A me sono andate malissimo (ma non inaspettate) le Europee, e anche le comunali. Diciamo che negli ultimi anni, tra Brexit, l'attuale governo, Donald Trump, e altre delizie, ne abbiamo avute abbastanza, e io sono un po' satura.


Io sono stata razzista, omofoba, intollerante verso il diverso. Fino a qualche anno fa se una persona nera o, peggio ancora, rom mi passava vicino stringevo la borsa un po' più forte a me. Ricordo una conversazione con un'amica (ricordo anche dove eravamo) nella quale mi professavo poco ''moderna'' perché io quei gay lì non li capivo mica. Era tutto irrazionale, se mi chiedevano il perché delle mie idee non lo sapevo argomentare, era così e basta.

Perché dire queste cose di me, delle quali, peraltro, potrebbe fregarvene il giusto, cioè nulla?
Perché io spesso me lo dimentico. Io, fiera come sono dei miei ideali, a volte mi scordo che non sono sempre stata la persona che sono ora. Mica mi elogio, per carità, sono la prima hater di me stessa, ma la sola cosa che amo di me sono i miei ideali, e fino a qualche tempo fa non avevo manco quelli.
E invece oggi più che mai è importante che io mi ricordi da dove arrivo. Perché la persona che sono oggi vorrebbe uscire di casa e mettere le mani in faccia a chi entra in cabina elettorale e danneggia il paese con una croce nel posto sbagliato. Perché l'odio che suscita in me il nostro ministro dell'interno a volte è quasi spaventoso. Non posso ascoltare le sue interviste, tanta è la repulsione che mi suscita, è quasi fisica. Perché se una persona mi dice che vota lega o movimento 5 stelle - minuscoli volontari - o la Meloni (la Meloni raga, la Meloni) o Silvio Berlusconi (anno del Signore duemiladiciannove) ai miei occhi quella persona perde valore. Ho fatto eccezioni molto sporadiche per persone alle quali voglio molto bene, ma ho dovuto smettere di parlare con queste persone di temi per me fondamentali per non rovinare rapporti importanti.
(Non il mio compagno, però. Non potrei, oggi, stare con qualcuno che non la pensa come me, non potrei mai.)
Devo ricordarmi che io sono arrivata dove sono con un percorso, che mi ha cambiato le idee e i desideri, e che come l'ho fatto io lo possono fare molti. Non lo faranno se li mando in ospedale perché li investo con la macchina, però, questo è poco ma sicuro.

Io oggi ho avuto bisogno di sedermi e mettere alcune cose per iscritto per calmare quello che penso, perché io non sono e non voglio essere come loro. Io quell'odio qua non lo voglio. Più loro scalpitano gridando e incitando a quella stessa rabbia qui, quella che viene dalla pancia, più io mi voglio calmare. Proprio adesso, forse, che dovrei essere più incazzata, io devo darmi una calmata. Il gigantesco Gipi, su twitter, è stato per me un esempio fondamentale. Lui viene criticato, spessissimo, perché si espone molto. All'ennesimo ''Ma perché gli rispondi? Non dargli attenzioni!" ricevuto da qualche fan nei commenti, Gipi ha risposto di avere il difetto di considerare tutti persone, anche quelli diversi da lui.
E io ci devo provare, a essere migliore non solo di loro, ma anche di me stessa, di quella che ero e di quella che sono adesso, che vorrebbe uscire a dare fuoco alle bandierine di forza nuova e che vorrebbe appendere a testa in giù i gentiluomini di casapound.
Io oggi parteciperò a più manifestazioni, leggerò più libri e più giornali, starò più attenta, farò sentire la mia piccola voce ogni volta che ne sentirò la necessità, cercherò di portare avanti i miei valori nella mia vita di tutti i giorni e cercherò di essere ogni giorno migliore del precedente.

Oggi sono furiosa, con questo Paese che non riconosco e che sento così lontano da me. Sono sbalordita di fronte a persone a cui non manca nulla ma che riescono a covare così tanto rancore verso il prossimo e che ogni domenica sono in prima fila in chiesa a cantare le canzoncine dei Gen Rosso. Chissà se se lo ricordano, poi, che quel Gesù lì che pregano tanto era di pelle scura. Io ora sono atea, ma sono andata a catechismo fino a vent'anni. Se non mi ricordo male le cose che diceva il loro Gesù erano altre, ma può essere pure che mi ricordi male io. Sono imbufalita con chi sfrutta le donne e la loro immagine per della miserabile propaganda utile solo a guardare la pagliuzza negli occhi degli altri e ad evitare accuratamente la trave del proprio, di occhio. Sono amareggiata dalle persone che non hanno nemmeno provato, a farsi una propria idea, e che si sono fermate a quello che ha detto il vicino, il cugino, la cognata. Sono allibita di fronte alla giustificazione e alla valorizzazione della mediocrità, della mancanza di competenza, di fronte alla critica a chi studia e si prepara. Sarò furiosa anche la prossima volta che sentirò un cafone intimare a due adolescenti di origini magrebine di tornare a casa loro se in coda alla mia cassa ci mettono due minuti di più a pagare (true story), e di sicuro non guarderò al nuovo sindaco del mio paese con un sorriso di incoraggiamento.
E non garantisco nemmeno che risponderei di me se incontrassi per la strada quel ministro lì che ha sempre il rosario in mano, e sinceramente nemmeno se beccassi il suo inetto smm.
Oggi devo impormi di essere migliore.
Perché l'ondata di merda l'abbiamo seppellita una volta e lo faremo di nuovo.
Nel frattempo, (r)esistiamo.

martedì 21 maggio 2019

Un post su Game of Thrones

13:59
Ogni parola di questo post sarà uno spoiler.
Uomo avvisato...



Ci ho pensato tanto prima di parlare di GoT anche sul blog. Su Twitter ho reso ben chiaro che mi ha fatto schifo ogni singola cosa di questa stagione, in compenso.
Però D&D sono riusciti a:

  • ignorare la faccenda del corvo a tre occhi completamente, mandando in rovina l'unica scena che aveva l'aria di essere un pochino interessante ovvero il confronto tra Bran e il Night King
  • far fare sesso a Brienne e Jaime
  • rispedire Jon Snow nella Night's Watch
  • far fare sesso ad Arya
  • fare re Brandon Stark. Proprio Brandon Stark. Davvero Brandon Stark.
  • bruciare la più importante delle battaglie in una pugnalata
  • ignorare Cersei Lannister se non regalandole una stupidissima scena a base di elefanti e Euron Greyjoy
  • trasformare Tyrion Lannister (Tyrion Lannister) in una rammollita pappamolla vuota e sgonfia
  • perso un drago (dov'è andato? a fa che? torna? chi può dirlo)
  • dire in un'intervista ufficiale che la protagonista regina si è dimenticata di una flotta
  • dire che uno stupro rende una donna più forte (davvero, eh, davvero davvero)
Ora, potrei andare avanti all'infinito. Mi pare chiaro che il post polemico scritto a caldo non solo se lo meritano, se lo sono proprio chiamati a gran voce. 
Perché, lo chiarisco una volta per tutte: questa stagione è stata terrificante in ogni suo aspetto e il finale di stagione è offensivo verso chi ha speso 8 anni a cercare di capire come sarebbe finita la guerra di Westeros.
Sia chiaro, si parla di serie tv e non di problemi veri, quindi va tutto messo in proporzione, ma a me Game of Thrones piaceva da morire. E questo finale non ha reso giustizia a nulla e a nessuno. Ma non nel senso buono, quello crudele ma reale che gli avrebbe dato Martin, nono. Nel senso che ha fatto tutto schifo e basta.

Diciamo le sole cose quasi positive per me: Danaerys che da fuoco a King's Landing ha molto senso, sia per la sua natura folle che per il giga pessimismo che ha sempre fatto parte del Trono di Spade, e Sansa che sceglie di restare indipendente con Winterfell, perché lei è l'unica ragionevole e almeno resta col suo regno lontana da questo branco di scemi. Basta così, il resto orrore e raccapriccio.

Partiamo dal sesso, vi va? 
Dall'episodio 1 siamo abituati a scene esplicite e frequenti, ma con una caratteristica principale: mai belle. Incesto, bordelli, violenza, prostituzione...non era mica una cosa piacevole, il sesso a Westeros, almeno per le donne (Cersei a parte suppongo, ma ci siamo intesi). Nessun interesse a mostrare romanticismo e tenerezza, non era il punto. 
A me vedere due delle donne più forti della serie fare sesso ha dato noia. Arya nelle stagioni precedenti si era annullata completamente (a che pro tutta quella formazione, poi? una coltellata? ok), accecata dal desiderio di vendetta. Aveva una missione che veniva prima di tutto il resto. Siamo alla vigilia di quella che avrebbe dovuto essere la battaglia più dura di tutta la sua esistenza e lei ha pensato che era il momento buono per perdere la verginità con Gendry. 
Obiezioni: quella che doveva essere la battaglia più dura e importante della storia di Westeros è stata una truffa (per quel poco che si è visto) che non manderò mai giù, Gendry è un personaggio loffio e insignificante e lei in quel momento non doveva avere quello per la testa. La Arya che ci era stata presentata non avrebbe mai nemmeno dubitato di morire in battaglia, figuriamoci se si fosse fermata a fare sesso per 'provare tutto prima della fine'. Ma che buffonata insignificante, priva di pathos e anche brutta da vedere. Della proposta di matrimonio che ha seguito il romanticissimo amplesso non posso nemmeno parlare.
Ma Brienne. Ah, non potrò mai perdonare quello che hanno fatto a Brienne di Tarth.
Non è concepibile nel 2019 avere la storia di una donna forte e potente, sicura e combattente e basta, vero? Non siete nemmeno capaci di immaginare che una donna possa vivere la sua esistenza senza che coltivi l'interesse per un uomo, vi prudono le mani. Dovete metterla con qualcuno, prima o poi, o non è completa, vero? Non ci serviva la ship, non serviva a lei, è stata una scena frustrante e imbarazzante e ha rovinato del tutto un personaggio grosso come un grattacielo che a tutto pensava tranne che a scoparsi Jaime Lannister. Stronzi.
Continuiamo sul filone 'Certe cose le deve scrivere una femmina' perché arriva la scena peggiore della stagione, poi. Il confronto Sansa - Hound. 
Erano anche partiti benino. Lui poi è uno dei miei personaggi del cuore, lo amo sempre. 
Ma ad un certo punto viene detto esplicitamente e senza nessuna vergogna che lo stupro che Sansa ha subito è servito a renderla la donna forte che è diventata e secondo me questa cosa qua è passata troppo inosservata. Facciamo che queste cose qua le lasciamo dire a qualcun altro? Facciamo che non esiste al mondo che si faccia passare il messaggio che lo stupro fortifica le donne? Facciamo che quella scena là era sbagliata dal principio? Che bisogna smettere di usare un reato immondo per modificare la storia delle protagoniste femminili? O semplicemente che fate un pochino schifo?

Tutte le priorità di questa stagione sono sbagliate. Davvero si combatte prima un esercito di morti che potrebbero distruggere tutti i regni e solo dopo una regina in decadenza che ha perso quasi tutti i suoi alleati compresi i suoi stessi fratelli? Non c'è qualcosina di sbagliato nell'ordine in cui sono state gestite le cose? Non c'è stato nulla, è questa la cosa imperdonabile. Anni a gonfiare situazioni che si sono ammosciate come palloncini, svuotate di ogni significato e di ogni conseguenza interessante. Mi fa quasi ridere, adesso, vedere quanto il web si era impegnato in teorie folli (e tutta la gente che voleva Bran viaggiatore nel tempo e Night King nel futuro? che ridere) per poi vedersi risolvere tutti in niente, zero, orez, vuoto cosmico. Non è successo niente. La battaglia sconvolgente contro un esercito di morti che ci portavamo sul groppone come una grossa spada di Damocle è finita con una coltellata, un incontro tra due personaggi che non si sono detti una parola una e tre morti del cavolo delle quali francamente non importava niente a nessuno. 
Ma vi ricordate come ci siamo svegliati la mattina dopo il Red Wedding? Il mondo era sotto shock. Qua sono morti Jorah, Theon e Lyanna Mormont. Ma mi state prendendo in giro, dai. La ricomparsa di Melisandre, l'inutilità di Jon e una coltellata hanno posto fine alla più brutta (esteticamente e non solo) battaglia della serie intera. Con tutti i soldi di cui disponete, maledetti e basta, non potevate chiamare Neil Marshall, ricreare una Blackwater e cercare di tirare fuori qualcosa di buono da questa stagione? 
Magari gli ha detto di no lui, vai a capire.

In generale le morti della stagione sono state ridicole. Missandei chi? Prive di sentimento, prive di coinvolgimento, nessun dispiacere. 
E il dispiacere c'è, potrei stare qui ad elencarvi centinaia di morti televisive che ci hanno distrutto le esistenze, e GoT non ha mai avuto paura di perdere i suoi fan, quindi ha ucciso uno dei protagonisti alla puntata nove della stagione uno. 
Ma no, Tyrion, Jon, Sansa e Arya dovevano arrivare sani e salvi fino alla fine, non sia mai che uno muore in una delle due battaglie della stagione, non ce lo si poteva proprio permettere. Jaime e Cersei lo sapevamo dalla prima stagione che sarebbero morti, non fregava più niente a nessuno, non dopo le loro azioni degli ultimi episodi. Nemmeno le morti dei draghi sono state interessanti, e sappiamo tutti che uccidere gli animali è più rischioso che uccidere le persone.
Ora, non è che le morti siano essenziali. Ma parte del nostro coinvolgimento come spettatori era dato anche dalla paura di perdere qualcuno di importante in ogni momento. Era una serie senza paura. Adesso è una sit com romantica. Ed è per questo che sono favorevole all'eutanasia. Morte prima delle atrocità.

Tyrion, il personaggio che mi ha legato alla serie più di ogni altro, avrei voluto vederlo morto piuttosto che vederlo finire così. Un rammollito ignorante senza spirito critico e senza la furbizia e la saggezza che lo avevano contraddistinto, privo di spina dorsale e soprattutto che ritiene che Brandon Stark possa essere il nuovo re di Westeros. Io davvero non capisco. Ma Peter Dinklage non si è ribellato alla violenza che hanno fatto al suo personaggio? 
Ma soprattutto, un'ovvietà ma alla quale evidentemente non è stato pensato: il punto della monarchia è l'ereditarietà. Se fai re qualcuno che non può avere figli e poi dici 'Ogni re verrà scelto da noi' stai facendo un'altra cosa, che non è né democrazia né dittatura, ma che di certo non è una monarchia.

Ma soprattutto: in queste due ultime stagioni zia e nipote hanno intrapreso una relazione sentimentale. Zia e nipote. Uscita allo scoperto la notizia, la zia si inalbera perché lui diventa un potenziale ostacolo alla sua corsa al trono ma non perché è suo nipote. Mai, non un accenno, un briciolo di stupore, un po' di disgusto, niente, come per tutto il resto delle storie della stagione il tutto si è concluso in nullanullanullanulla. Nessun accenno a niente. Questa si fa suo nipote e la cosa non la tocca minimamente. Neanche una frasettina buttata lì. Zero.

Elenchiamo brevemente le scene senza importanza alcuna ma che hanno fatto sì che ogni episodio di questa tortura durasse un'ora ad episodio? Facciamolo, tanto sto post è scritto a caldo e senza un briciolo di organizzazione.
  • lo scontro tra Euron e Jaime a cosa è servito? A chi? Ma a qualcuno interessava la storyline tra Euron e Cersei? Mi azzardo a parlare per tutti e dico di no.
  • restando su Euron, la storia con Cersei. Davvero, D&D? Davvero.
  • raga Tyrion dice a Jon, parlando di Danaerys: 'I loved her too, not as successfully as you'. Ora, io voglio essere ottimista, ma se quello che intendevate era amore nel senso romantico vi meritate di fare la fine della figlia di Stannis. Ah, vi ricordate quando in GoT si bruciavano vivi i bambini per sacrificio? Pare un'altra vita.
  • la gravidanza di Cersei a cosa è servita esattamente?
  • il maestoso momento cringe del limone tra Jon e sua zia davanti allo sguardo di disapprovazione di un paio di draghi.
  • i bigliettini di Varys. Ah, Varys, quanto eri viscido e subdolo, un tempo. Adesso manda bigliettini misteriosi ai quali non si fa mai più alcun accenno. Che piacevolezza.
Potrei scrivere un post ancora più lungo di così, e di sicuro ho lasciato fuori qualcosa, ma per me la cosa veramente grave è che da parte mia non c'è stato nemmeno un briciolino di coinvolgimento emotivo. Era la fine di tutto, volevo emozionarmi, perché stiamo a Westeros da 8 anni e volevo salutarla per bene.
Non con un dito medio contro lo schermo del pc.

martedì 7 maggio 2019

Un post di podcast

13:41
Ultimamente ho poche ore per vivere. Lavoro, poche ore ma pur sempre spese a guadagnarmi la pagnotta, scrivo libri per ragazzi, do ripetizioni, ho un blog (questo, per chi fosse confuso), guardo film, leggo libri, devo fare un minimo di movimento perché sono ciccia, ho una casa da tenere abitabile, eccetera eccetera.
Mica solo io, eh, tutti.
Proprio perché il tempo è maledetto e ci frega tutti, io faccio un post sui podcast. Per me, in queste giornate folli, sono diventati vitali: li uso per informarmi, per studiare, per comprendere, per conoscere cose nuove e approfondire cose vecchie, per tenermi compagnia, per divertirmi, per imparare. Sono perfetti per me perché mi permettono di continuare a fare cose utili mentre faccio quello che mi piace, ovvero informarmi, studiare, comprendere, e tutti gli altri. Mentre guido, mentre faccio i mestieri, quando esco a fare due passi. Per me hanno quasi completamente sostituito la musica.
Li amo appassionatamente, se non si fosse capito.
Quindi, oggi, condivido con voi quelli che amo di più, divisi tutti ordinatini per argomento e con le letterine ad indicare se si parla in inglese (E) o in italiano (I).



I classici


  • Lore. (E) Credo che Lore e il suo host siano la storia del mondo dei podcast. Ne parliamo comunque per non dare nulla per scontato: si tratta di brevi episodi (non fatevi spaventare dal numero, si divorano come ciliegine!) in cui il narratore racconta leggende, storie del folklore, miti, vicende storiche...è inquietante e divertente, un passatempo golosissimo. Ha una newsletter a cui iscriversi se si desiderano approfondimenti sull'argomento di ogni episodio, che si chiama The Epitaph, e di recente ne è stata tratta una serie tv che però la sottoscritta ancora non ha visto, sempre per quella questione del tempo di cui sopra.
  • Welcome to Night Vale. (E) Una finta trasmissione radio che racconta gli strani eventi che accadono nella cittadina di Night Vale. Per qualcuno è trash, per me goduriosissima.
  • Serial (E). La storia del true crime in forma podcast, Serial ha tre stagioni e in ognuna si racconta di un caso controverso degli Stati Uniti. Solo per veri appassionati del genere, cosa che per esempio io non sono, perché alla lunga l'ascolto è pesante. Consiglio cautela anche a chi non si sente sicurissimo con la lingua perché spesso ci sono parti al telefono o di interrogatori che risultano poco chiare, e se si ascolta mentre si guida non è che si può star lì col ditino a fare avanti e indietro. 
Parlare di cinema

  • Ricciotto. (I) Querty è un raccoglitore di podcast tutti italiani che valgono la pena di essere scoperti. Con Ricciotto parlano di cinema, ogni episodio sviscera un film quasi sempre tra le nuove uscite, e i ragazzi sono sempre piacevoli, anche quando non si è d'accordo con loro. Una bella chiacchierata che ha il sapore di una serata tra amici, e siccome io di amici cinefili non ne ho ascolto loro e commento a voce alta come se fossimo insieme.
  • You must remember this. (E) Ah, questo magnifico. Un racconto ad episodi del primo secolo di Hollywood: dive, scandali, curiosità, passioni, relazioni ritratti. Una meraviglia interessantissima, perché il cinema non sono solo i film (paradossalmente) ma un gigantesco carrozzone fatto di persone, e questo podcast cerca di raccontarcele tutte. Raccomando il ciclo di episodi sulla morte di Sharon Tate in previsione del nuovo Tarantino.
  • The rants macabre. (E) Un podcast dei ragazzi di Fangoria sui cinemacci dell'orrore. Gli episodi sono lunghi e non parlano di un solo film per volta, ma affrontano generi, autori, correnti...Anche in questo caso, non sono sempre d'accordo con quello che si dice, ma è molto piacevole da seguire e i titoli affrontati sono tantissimi.
  • Switchblade Sisters. (E) Questo è uno dei miei preferiti. Donne che parlano di cinema di quello che si crede sia da uomini: thriller, horror, fantascienza...La host ospita ogni settimana una donna del settore (attrici, sceneggiatrici, registe, ma non solo) e le chiede di portare un film che sia per lei di ispirazione. Imperdibile l'episodio in cui Barbara Crampton parla di Raw. Sulla stessa linea (donne che parlano di orrore e ospiti d'eccezione) c'è anche She kills che anzichè chiacchierare di singoli film affronta alcuni temi caldi del cinema e delle donne al cinema. Nel dubbio, la Crampton è pure lì.
  • Kiss the goat. (E) Sempre cinema di paura. Anche in questo caso ogni episodio è dedicato ad un solo film per volta, e ci si prende tutto il tempo (gli episodi durano un'oretta) per approfondire e discuterne a fondo.
  • Horror vanguard. (E) Segnalazione solo veloce per questo, che parla ancora di orrore ma che non ho ancora ascoltato. Se lo conoscete e consigliate fatemi sapere!
  • The retro cinema podcast. (E) Niente orrore stavolta, ma anni '80. Quindi insomma, un pochino di orrore sta anche qua, in questa bella carrellata di film cult di una generazione.
Chissà, magari il mio podcast sull'orrore prima o poi lo faccio pure io, invito voi altri blogger, parliamo di sangue...viaggio troppo con la fantasia, vè?

Informarsi

  • Weekly post. (I) Io non leggo quotidiani, mi informo con un'app che si chiama Feedly e soprattutto con Il Post, per il quale provo adorazione e fede simil religiosa. La mia home del browser è Il Post. Sempre sia lodato. Hanno due podcast per il momento: uno è Konrad, che esce una volta al mese dopo le plenarie al Parlamento Europeo, e l'altro è il Weekly. Una volta alla settimana selezionano una notizia e la approfondiscono con l'aiuto dei membri della redazione più adatti per ogni singolo settore. Ovviamente si parla di politica, economia, attualità, e lo si fa con lo stile che contraddistingue la testata: semplicità ed immediatezza. Li amo pazzamente e trovo facciano un lavoro perfetto, almeno per quello che cerco io quando cerco informazione.
  • Breaking Italy. (I) Alessandro Masala commenta le notizie della giornata su Youtube da molti anni e io lo seguo con enorme piacere perché condividiamo molti ideali, perché lo trovo ragionevole e intelligente. Ora i suoi contenuti si trovano anche come podcast e preferisco fruirne così. In più, di recente ha affiancato ai suoi video un prodotto in forma esclusivamente di podcast, con ospiti e interviste, che non ho avuto ancora modo di ascoltare.
  • La Moka. (I) Scoperta recente, LaMoka è l'ennesimo commento alle notizie del momento. A me piacciono, che devo fare. I due host sono molto simpatici, un'ora scorre via velocissima.
  • Quasidì. (I) Pur nutrendo una discreta antipatia per una delle due host, il lavoro che fanno con Quasidì mi piace tanto: due ragazze che parlano di attivismo, femminismo, ambiente, e tanto altro, con dati e informazioni importanti. A volte un pochino meccaniche, forse leggono? Ma davvero vuol dire cercare a tutti i costi un difetto in quello che è un bel progetto, fresco e giovane. Piacevolissimo.
Varie ed eventuali

  • Morgana. (I) Abbiamo già parlato del podcast della Murgia, alla quale mando tutto il mio amore virtuale. Ogni episodio è il racconto di una donna fuori dagli schemi (quali schemi, dite? ne avrei in mente un paio), della sua vita e della sua carriera. Vivienne Westwood, Cher, Moana, Shirley Temple, Santa Caterina...la selezione è davvero interessante. 
  • Ordinary girls. (I) Anche di lui abbiamo già parlato. Lui non è un podcast ma un vero e proprio programma radiofonico, con le canzoni e tutto il resto, da far ascoltare a chi del femminismo non conosca nemmeno i concetti base e abbia bisogno di una mano divertente (Elena Mariani ti amo nessuno mi fa ridere come te su instagram).
  • Esordienti. (I) UN podcast per chi vuole diventare scrittore, semplicemente. Matteo B. Bianchi è un'autorità del settore e si vede. Di suo segnalo anche Copertina dove invece dà consigli di lettura. Entrambi i suoi podcast, insieme a quello della Murgia e a quello di cui vi parlo dopo, escono dalla storielibere.fm. Da tenere d'occhio, ha prodotti interessantissimi.
  • Tizzoni d'inferno. (I) Chi in Italia può parlare di fumetti? Tito Faraci, dite? Appunto.
  • Ad alta voce. (I) Il programma di Rai Radio 3 in cui si leggono audiolibri. Semplice e bellissimo.
  • Veleno. (I) Dolorosissimo ma straordinariamente ben fatto podcast true crime tutto italiano su uno dei casi di cronaca più sconvolgenti del Nord Italia. Ne è appena uscito il libro.
  • Il gorilla ce l'ha piccolo. (I) Le cose sugli animali mi mettono di buonumore. Vincenzo Venuto è un biologo con il dono della narrazione, che ci ha regalato, sempre grazie a storielibere, qualche episodio sulla riproduzione animale. Divertentissimo, durato solo troppo poco per i miei gusti. Signor Vincenzo Venuto ci pensi perché guardi che lei è proprio bravo.
  • The minimalist podcast. (E) Il podcast dei due fondatori del minimalismo che ogni tanto mi costringo ad ascoltare prima di riempire il carrello di Asos di cose che so che non mi servono. 
La mia carrellatona finisce qua. Sono aperta ad ogni consiglio perché il mondo dei podcast è in costante espansione e io li voglio ascoltare tutti quanti!
Il mio prossimo ascolto saranno gli interventi di Alessandro Barbero al Festival della Mente, e poi ancora #100cosebelle e Soli.
Mi sa che ci riaggiorniamo tra un po'.

lunedì 29 aprile 2019

Maripensiero: La stand up comedy al femminile su Netflix

12:24
Sono anni che dico su questo blog che non amo le cose che fanno ridere. Mi dispiace di essere così, non sono nemmeno una persona simpatica. Solo che le persone che a tutti i costi vogliono strappare la risata a me strappano la carezza di compassione e quindi ho evitato la stand up comedy per anni.
Poi ho capito che sbagliavo approccio.
Sono gli uomini che non mi fanno ridere. Quasi mai.
Cioè, il mio moroso mi fa spaccare dalle risate. Ad un amico bastava aprire bocca per farmi piangere dal ridere. Ma quando si mettono davanti ad un microfono è difficile che mi divertano. Tenetemi lontano quel Kevin Hart lì e le sue faccette, poi, o qualcuno si farà del male. Ci ho provato anche con i grandissimi famosissimi, Luis CK e Ricky Gervais. Nulla, mollati a metà.
Insomma, ho aperto Netflix e iniziato a guardare tutte le comedy al femminile che ci sono sulla piattaforma.
Non mi sono mai divertita così tanto.


Certo, nella prima che ho visto non c'era proprio niente da ridere. Ho iniziato con Hannah Gadsby e il suo magnifico Nanette, che dopo una prima parte deliziosamente autoironica è diventato un racconto durissimo e difficile e alla fine ero un ammasso di lacrime. Però ne è valsa la pena, perché è uno spettacolo da imparare tutto a memoria e imprimersi sulla pelle. Magnifico.
Poi, ovviamente, Ellen.
Ellen DeGeneres è la regina dell'internet, lo sappiamo tutti quanti. Ma mettetela davanti ad un microfono e puf, altro che regina. Ritornata alla stand up dopo anni di assenza con uno speciale, Relatable, mi ha fatto capire subito chi comanda, e chi comanda è lei. Date un'ora del vostro tempo alla Nostra Signora DeGeneres perché sì, lei è indiscutibile.

A questo punto nella mia vita è arrivata Midge Maisel, che è sì un personaggio di fantasia ma che soprattutto è una grande ispiratrice di creatività e grazie a lei ho ricominciato a guardare le comedian dopo una bella pausa.
Sono partita dalla più famosa, forse: Amy Schumer. Ora, leggo in giro che è detestatissima. Non mi ci metto neanche a discutere sulla faccenda, forse è un mostro e io non lo so, ma a me fa ridere da matti. Che ci devo fare, forse in fondo sono una sempliciotta. Ci sono due suoi spettacoli su Netflix, Growing e il Leather Special. Consiglio il secondo con tutto il cuore, mi ha divertita da matti. Consigliata se non vi infastidisce il parlare sboccato di sesso.

Alle madri in gravidanza invece farei vedere i due spettacoli di Ali Wong. Non è la mia preferita, ha uno stile più aggressivo che non sempre mi fa ridere, ma ho visto donne incinte piangere dalle risate con lei, non so se siano gli ormoni oppure qualcosa che io da non madre non posso ancora capire.

Tig Notaro, invece, merita che la vedano tutti, sempre. Perché Tig scherza sul cancro e con scherza intendo che lo fa pesantemente e lei lo può fare perché il cancro ce l'ha avuto. Bisogna mettersi zitti in un angolino a ridere e poi farsi rimproverare perché si è riso e poi ridere ancora. Tig è naturalissima, un suo spettacolo somiglia ad una chiacchierata tra amici al bar. Non fa faccette, versi, smorfie, non è di quelle consapevoli della propria simpatia che fanno un po' le star. Sembra appena uscita dalla partitella di pallone all'oratorio. La sua semplicità e la sua intelligenza bastano e avanzano a creare spettacoli indimenticabili. Prima, però, bisogna guardare il documentario. Sta su Netflix anche lui, ovviamente, si chiama Tig. Secondo me è importante guardarlo perché pare che la signora qui abbia fatto la storia della stand up comedy nel momento più tragico della sua esistenza e quando la si guarda in faccia sembra che quasi non l'abbia mica capita, la grandezza di quello che ha fatto. Per me il black humor è spazzatura quasi sempre. I battutisti di sta cippa dovrebbero sedersi in un angolino e imparare da Tig come si scherza sulle cose serie. Perché si può, ma bisogna essere intelligenti e forse il problema è tutto qui.

In questo periodo mi sono vista Anjelah Johnson, Aditi Mittal, Jen Kirkman, Katherine Ryan, Sarah Silverman. Tutte ugualmente interessanti, ai miei occhi, e il motivo è semplice. Sono, per citare lo spettacolo di Ellen, relatable. Forse il punto di tutta la questione 'non mi piacciono i maschi che fanno comedy' è tutto qui: non ho quasi niente in cui rispecchiarmi. Con queste signore, che parlano sì di sesso e corteggiamento e relazioni ma anche di diversità (molte sono immigrate, o lesbiche, o ebree, tutte in qualche modo minoranze), di difficoltà e di sessismo, ho molto in comune. E ne rido con loro. Ne rido perché prendo tutto sul serio e capisco quando chi sta davanti a me fa altrettanto, anche se in uno spettacolo di stand up comedy.

Per ultima mi sono tenuta la mia preferita: Iliza Shlesinger.
Iliza è la classica bionda magnifica californiana. Quella che gli uomini vedono da lontano nei bar. Poi apre bocca. Tempo due secondi mi lascia boccheggiante sul divano. Questa è proprio una cosa irrazionale: nessuna delle sopra citate mi ha fatto ridere quanto lei. Eppure fa spettacoli più leggeri (con qualche puntina di femminismo perché sì), parla delle sacrosante differenze tra uomini e donne, di come siamo realmente e di come ci mostriamo agli uomini perché crediamo di piacere di più.
Nella vita reale tollero poco i versetti. Come li fa lei mi fanno piangere dal ridere. Nel senso che proprio mando indietro e li riascolto. Di Iliza mi fa ridere anche solo il modo in cui si muove, e mi diverte talmente tanto che se anche a volte esce qualche frase con cui non sono d'accordissimo mi sta bene così. Mi fa solo troppo ridere. Consiglio di guardare i suoi spettacoli in ordine e di lasciarsi per ultimo Elder Millennial perché è uno di quelli che alla fine lasciano con le guance doloranti. Uomini e donne sono diversi. Non è sbagliato riderne. Dovrebbero avere ugual rispetto e opportunità, ma quello è un altro discorso. Lo sapete quanto ci tengo. Il punto però è che ridere di queste diversità non è sbagliato. Ma, e torno a ripetermi, bisogna saperlo fare. Iliza in questo è una maestra.

Se qualche omuncolo è ancora convinto che le donne non facciano ridere, per l'amor di dio, va bene così.
Teniamoci stretto questo tesoro.

venerdì 26 aprile 2019

Avengers Endgame: un post PIENO di spoiler

13:55
Io vi ho avvisato nel titolo.
Proseguite a vostro rischio e pericolo perché dirò tutto quanto e se proseguite nonostante tutto gli spoiler ve li meritate.


Fatta la simpatica premessa (doverosa, perché la gente è matta), ne devo fare una seconda, la solita: non conosco i fumetti, quello che so lo devo a Erre, il moroso, che mi spiega tutto quanto. Non posso e non voglio fare confronti.

Ok, possiamo cominciare.
I bastian contrari a me fanno un'antipatia che non la contengo. Nel senso che proprio mi si vede sulla faccia. Per cui quando qualcosa è amatissima e a me per varie ragioni non piace quasi me ne vergogno. Quindi, via il dente via il dolore: Endgame ha avuto finora recensioni molto entusiaste (entusiastiche? chissà), ma fino agli ultimi 40 minuti a me non è piaciuto. Alcune cose mi hanno proprio fatto arrabbiare. Ed è stata una discreta palla per tutta la prima ora e mezza. Perché sì, dura tre ore e finora non ho trovato un motivo ragionevole per questa lunghezza.
Ok, ci siamo levati le cose sgradevoli. Ora argomentiamole.

Siamo arrivati a questo punto dopo il finale di Infinity War che aveva tanto colpito tutti quanti. A me un pochino meno, perché sì, ci hai dato il finale negativo che non abbiamo mai avuto ma i protagonisti sono tutti salvi e allora per me sei stato un pochino paraculetto. Ma ci poteva stare.
Dopo il finale tremendo uno spiraglio di luce: Nick Fury ha chiamato Captain Marvel e adesso non ci sono più cazzi per nessuno.
Arriva quindi il film, su di lei, e si conferma che una volta che quando lei arriverà in soccorso agli Avengers di sicuro andrà tutto bene, perché il film ci mostra un'eroina forte come non se ne erano mai viste prima (tranne il Dottor Manhattan. Lui è fortiiiissimo. Ma non è qui quindi a posto). Ci sentiamo al sicuro. Carol Danvers è venuta a salvarci.
E invece no, ma proprio manco per niente.
Carol Danvers, l'eroina più forte del mondo, di una potenza che spaventa i passeri, compare il tempo necessario di riportarci Iron Man sano e salvo sulla Terra, poi fa ciao con la manina perché lei ha di meglio da fare, e se ne va. Ricompare alla fine durante la battaglia di cui parliamo dopo per cinque minuti per poi fallire miseramente e tornare nel nulla da cui è venuta. Non solo fallisce, ma fallisce dopo avere fatto la sbruffona arrogante su quanto gli Avengers abbiamo perso perché erano senza di lei. Spoiler: vincono senza di lei.
Perché?
Siamo partiti con i quattro Avengers principali, lo sapevamo che era con loro che sarebbe finita. E va bene così, pur con tutte le aggiunte era bello chiudere il cerchio con loro. Ma perché questa triste, tristissima, parentesi Capitan Marvel? Sono certa che un modo per riportare Tony Stark sulla Terra lo avremmo trovato comunque.
Avevamo tra le mani il personaggio Vedova Nera. Natasha Romanoff è un personaggio chiave di Endgame come non lo era stata per nessun film precedente e non solo per il suo sacrificio: è quella la cui sofferenza ci è mostrata più a fondo di tutti, quella che rimane ancorata alla sede degli Avengers a coordinare il lavoro di tutti. Eppure, di lei non sappiamo niente. Oltretutto i miei fumettari di fiducia dicono che la sua storia sia una delle più interessanti. Che peccato vederla sprecata così.
Ormai l'MCU non è più un fenomeno della comunità geek. Non si può dare niente per scontato, perché è talmente vasto che deve raggiungere tutti, e ignorando così parte della storia non lo fa.

Ci sono altri personaggi inseriti in Endgame. Se da un lato l'inserimento di Ant Man mi va benissimo per modi e tempi, il ritorno di quello che io pensavo essere Occhio di Falco e che invece adesso è Clint Barton proprio non mi è piaciuto. L'hanno fatto sparire per anni, per poi tornare rivoluzionato con la storia commovente sperando di farci emozionare. Con me non ha funzionato. E pensare che quando Cap ha rivisto la sua Peggy è bastato uno sguardo per sciogliermi. Con Ronin zero emotività.

Giuro che poi passiamo ai lati positivi, che ci sono e sono tanti, ma prima finiamo con i negativi: troppa comicità. Io un altro Thor 3 non lo volevo.
O meglio: volevo solo Thor. Il dio del tuono appesantito e stupido mi stava benissimo. Chris Hemsworth funziona sempre, mi diverte molto.
Poi però ci sono anche Ant Man, Rocket Racoon, le chiappe di Capitan America, War Machine che dà dell'idiota a Star Lord, Iron Man con il suo sarcasmo. Per me troppo, troppissimo. Sono qui a vedere un film in cui dovrebbe esserci disperazione sopra ad ogni cosa, non volevo vedere questo. Forse questa critica è legata al mio gusto personale e basta, ma siccome è il mio blog questo vi tocca.
Ma soprattutto, la cosa peggiore di tutte, è Hulk. No, questo proprio no. Mi pare quasi un torto personale. L'aspetto migliore di Hulk (ricordate, detto sempre da una che ha visto solo qualche film) era lo stesso del mio grande amore Remus Lupin: il tormento per la sua condizione. Era così bello, nel primo Avengers, il suo personaggio, che mi stringeva il cuore. Sto scemo che dabba e si fa i selfie con i bambini a me non sta bene. Uno dei geni della sua generazione, un grande scienziato, ora un buffone.
Perché?
Perché farmi soffrire così?
Erre è imbufalito, perché Planet Hulk è uno dei suoi volumi preferiti, e lui è da Thor Ragnarok che si è legato al dito sto cambiamento inspiegabile. Ce l'avevamo già il comic relief, non lo volevamo anche da lui. Questa è la guardianidellagalassite, eh. Io volevo il drammone e la battagliona, mi sono trovata dei pagliacci.

Certo è che questi pagliacci umani così non li avevamo mai visti. Il dolore è palpabile ed è un po' nostro. Tony che scende dalla nave e dice al Cap 'Ho perso il ragazzo' è uno dei momenti più dolorosi di tutto il film ed è proprio all'inizio. Vedere lo sbruffone così ferito è un bel colpo.
Ci sono parti degli altri film e se per qualcuno questo sarà fan service a me è piaciuto, perché da qualche parte siamo pur arrivati, e se questo film, oggi, sta facendo i miliardi in giro per il mondo è perché siamo partiti da lì. Il primo Avengers per me è ancora superiore a questi nuovi.
Di certo, è magnifico rivedere tutti.
Combattere insieme al momento della battaglia più grande di sempre è commovente e un degno saluto a queste prime fasi MCU. Si è dato un tempo giusto ad ognuno, agli sguardi di chi si rivedeva dopo tanto tempo, ai saluti, alla gioia di sapersi ancora vivi, pur non togliendo nulla alla battaglia. Non avevamo alcun dubbio che sarebbero tornati, ma è stato molto bello vederlo. E sì, la sala mi ha dimostrato quello che sospettavo: potevano restare morti tutti, ma l'importante era che tornasse SpiderMan. Si è proprio sentito il sospiro di sollievo. L'arrivo dei wakandiani e del loro esercito è stato notevole, il momento in cui gli stregoni (sarà la parola giusta? Erre non arrabbiarti) di Dr Strange hanno protetto tutti dal fuoco che arrivava dal cielo è stato commovente, Benedict Cumberbatch sempre bello come un tramonto sulla spiaggia con i delfini e le nuvolette rosa, e soprattutto il momento in cui si sono viste insieme tutte le donne mi ha stretto il cuore di orgoglio. Che fighe incredibili.
Quindi sì, la battaglia che sta alla fine per me ha reso valido tutto il resto, perché è stata bellissima.
Sacrificio di Tony Stark compreso. Tutti quanti avevano indovinato che sarebbe stato lui a sacrificarsi e secondo me è stata una bella scelta. Per quel poco che ho visto, è stato l'unico personaggio con una bella storia, che nel corso del tempo è diventato sempre una versione migliore di sé, e quindi mi stava benissimo che il sacrificio fosse il suo, ma uccidere quello con la bambina piccola signori è violenza. Una crudeltà. Pepper, passi. Ma la bambina? Perché sottoporci allo strazio di vedere una piccina perdere il papà? Cattivissimo.

In qualche modo il bene ha vinto di nuovo, e l'ha fatto in grande stile, salutandoci con un grande affetto che è passato e arrivato tutto, e che alla fine, nonostante le perplessità, è arrivato fino al mio cuore arido. E forse alla fine quello che conta è questo.
Che piaccia o meno questa è la mitologia moderna, e la portata di persone accorse a vederla finire, almeno in parte, lo dimostra. Ieri al cinema i bambini erano silenziosissimi e commossi, e io il cinema che fa questo effetto lo difenderò per sempre.

mercoledì 24 aprile 2019

Due figlie e altri animali feroci, Leo Ortolani

10:40
Due cose mi facevano desiderare ardentemente questo libro. Numero uno: sono molto affascinata dalle storie di adozione e quando il Dottore morirà e diventerò finalmente il Presidente del Mondo la prima cosa che farò sarà far adottare quasi chiunque. Numero due: esistono al mondo persone di un candore inspiegabile. Non sprovvedute, non ingenue, di certo non sceme. Solo, dotate di purezza e genuinità. Per qualche ragione, ho da sempre la sensazione che Leonardo Ortolani, detto Leo, sia una di queste persone. (E mi fa anche ridere fortissimo, ma quello è un altro discorso.)
Due figlie e altri animali feroci ne è la conferma.
Per leggerlo ho fatto una cosa da veri ricchi: ho comprato un libro nuovo in copia fisica. Non lo facevo da anni.
Era uscito per Sperling&Kupfer qualche anno fa, sparito dal catalogo e introvabile. Bao Publishing lo ha ripreso, rispolverato e ributtato fuori in una belle veste grande e cartonata, è uscito il 18 aprile se non sbaglio.
Santa Bao, prega per noi.


Leonardo e la moglie Caterina si sono lanciati in un percorso di adozione durato dieci anni. La chiamata è arrivata dalla Colombia, dove due sorelline di 3 e 4 anni erano pronte per mamma e papà: Johanna e Lucy Maria. Pregasi notare che Ortolani è parmense, quindi mio vicino di casa, quindi le bambine sono LA Johanna e LA Lucy e la cosa mi fa sorridere tanto. Il libro non è un racconto diretto della storia, ma è la raccolta delle mail che Leo mandava a familiari e amici dalla Colombia. Si tratta di un racconto intimo e sincero, di una cosa immensa come diventare genitori.
Ed è bellissimo.

Ci sono mille complicazioni legate all'adozione, e si vedono tutte. Non è un racconto che fa sembrare tutto in discesa, con la saccenza di chi "ce l'ha fatta" e ora sminuisce le difficoltà altrui. Tutt'altro. Le difficoltà si vedono e si leggono e non se ne fa mistero alcuno. Quello che passa, però, è il messaggio successivo: tieni duro, perché ne vale la pena.
Ortolani non si mette nemmeno nella posizione di dare consigli ai futuri genitori, ma ci mostra come si sguazza in un mare di novità senza che venga insegnato a nessuno come nuotare. E quello immagino sia spaventoso per tutti i genitori, non solo per quelli adottivi. Mentre quelli biologici però si portano a casa dall'ospedale un frugolino che non ha ancora capito di essere al mondo e finiscono per crescerci insieme giorno dopo giorno, quelli adottivi si trovano davanti umani in miniatura già composti. Hanno gusti, abitudini, un linguaggio, una vita prima di te. E tu devi sgomitare per entrarci dentro senza fare grossi danni.
Si percepisce, la delicatezza, in ogni lettera. Ma soprattutto si percepisce l'amore, che trasuda da ogni vezzeggiativo, da ogni lamentela, da ogni aneddoto. E soprattutto, il messaggio che sta nelle ultime lettere è un incanto: quando si adotta si fanno corsi, ci si prepara, si ascoltano i cosiddetti "teorici dell'adozione". Eppure ci sono cose che non si possono insegnare, e l'amore è la prima di queste. Sentirsi famiglia, un nucleo intero stretto che diventa rifugio contro tutto quello che sta fuori, e per creare una cosa così non ci sono teorici che reggano.
Il modo in cui Ortolani racconta il formarsi di questa fortezza è divertente (se avete mai letto qualcosa di suo lo sapete com'è, fa spaccare dal ridere, come dicono i critici seri), tenero e sincero.
Un regalo magnifico per chiunque stia per diventare genitore, biologico o meno, che non è mai troppo presto per iniziare a parlare di cacca.

lunedì 15 aprile 2019

Fiori per Algernon, Daniel Keyes

16:23
Quando ho iniziato a leggere Fiori per Algernon l'avevo detto: ero a pagine 5 e avevo twittato che sapevo avrei pianto.
Ho pianto ogni pagina. Tutte, tutte quante. Non mi era mai successo prima.


Charlie Gordon ha un severo ritardo mentale. La famiglia e la società lo hanno rifiutato, ma lui questo rifiuto mica lo ha capito, e continua a vivere la sua vita con curiosità ed entusiasmo. Per questo quando si presenta la possibilità di sottoporsi ad un intervento chirurgico sperimentale che potrebbe aumentare l'intelligenza di chi vi si sottopone, Charlie è il candidato perfetto.
Lo conosciamo attraverso i suoi racconti, quando il processo per arrivare all'intervento è ormai avviato, lo vediamo operarsi e diventare intelligente, intelligentissimo.
Il resto è da leggere.

Io mi sono sempre sentita stupida. Non ho ritardi diagnosticati, non ho difficoltà a leggere e scrivere, niente del genere. Ma ho sempre sofferto molto il sentirmi meno degli altri, la mia mancanza di competenze specifiche (non ho fatto l'Università), cose del genere. Si tratta di un tema a cui sono sensibile, tutto qua.
Ve lo chiedo per favore: se anche voi siete sensibili a queste tematiche, per qualunque motivo, giù le mani da Algernon.
Senza ombra di dubbio è un libro magnifico. Ma non si può mica piangere così. La lenta presa di coscienza di Charlie verso tutta quella che è stata la sua vita pre-intervento è di un doloroso che non si riesce a dirlo. Una vita intera di vessazioni e angherie, di vigliacchi umani pronti a prendersi gioco del prossimo più fragile, dell'amore di una madre rifiutato perché non si sono rispettate le aspettative, di famiglie distrutte. Mai prima di questa lettura mi era capitato di confondere così tanto vita reale e finzione letteraria. Ho dovuto ricordare a me stessa più volte che Charlie non esiste. Anche se esiste, magari non si chiama Charlie ma Mario, Paolo, Silvia, Giordana...esiste ogni giorno perché viviamo in un mondo di persone cattive e vili e disposte a tutto per la facilità di una risata, anche al sacrificare la dignità altrui. La propria mai, quella è sacra. Ma quella degli altri, avanti, prego, prendetene e mangiatene tutti.
Ecco, capito? A me Daniel Keyes ha sta rendendo una di quelle che 'i kani sono meglio dll personeeee' e dio me ne scampi. Però le persone di quel libro qui, tutte quante, sono reali al punto che nemmeno i buoni sono buoni. Al punto che nemmeno chi voleva aiutarlo, sto Charlie, in fondo lo considerava un umano come gli altri.
Quando Charlie diventa intelligente, però, ecco che non lo vuole più nessuno. Ma bestie immonde che non siete altro, ma ringraziate che questo non ha costruito una bomba e vi ha fatti tutti saltare in aria!
Scusate, mi faccio trascinare. Ve l'avevo detto che mi aveva preso sul personale.

In un romanzo classificato come fantascientifico c'è un'immagine delle persone dura e analitica, di come cambiano in base alla percezione che abbiamo di loro, di come loro cambiano in base alla percezione che hanno di noi. Di cosa ci serva davvero per essere amati (colpo durissimo per la sinceramente vostra) e di cosa la gente si aspetti dagli altri.
Il tutto con uno stile di scrittura che cambia in base alla fase in cui si trova il suo protagonista e che leggiamo con un affetto sconfinato.
Dolce Charlie, che male al cuore mi hai fatto.

sabato 6 aprile 2019

Noi

12:29
 Perciò, così parla l’Eterno: Ecco, io faccio venir su loro una calamità, alla quale non potranno sfuggire. Essi grideranno a me, ma io non li ascolterò. (Geremia, 11:11) 

Non ero sicura di scrivere un post sul nuovo film di Jordan Peele, perché ormai le recensioni singole su questo blog scarseggiano, ma mi sono innamorata, e questo posto qua è nato proprio per celebrare un amore grande, quindi eccoci qua.

Saltiamo la parte in cui vi dico la trama per passare al sodo.
Facciamo che sei un giovane regista. Facciamo che il tuo primo lavoro non è solo un esordio travolgente ma in generale un film che sarebbe incredibile anche in mani esperte. Facciamo che riesci a portarti a casa pure un Oscar alla sceneggiatura originale (che per un horror non è un buon risultato, è un miracolo) che guarda caso è pure il primo per un regista afroamericano.
Altro, Jordan?
Altro, perché quelli come te, se ho capito che tipo sei, non si accontentano. Quelli come te hanno milioni di cose da dire e nessuna paura di farlo.
Allora arriva Us, Noi, che ci è stato presentato con un titolo intrigante, una serie di poster da bava alla bocca e un trailer gustosissimo. Ti abbiamo aspettato come si aspetta l'arrivo del messia.
E tu, che sei un uomo di parola, non hai tradito né noi né le nostre aspettative, perché Noi è uno di quei film che si imprimono negli occhi e non se ne vanno più.


Potremmo stare qui ore a disquisire del vero significato del film, del suo finale e del suo sottotesto. Di cose da dire ce ne sarebbero. Il web è pieno raso di post, podcast, articoli di gente illustrissima che titola 'Us: Ending Explained', ma a me così sembra di fare un torto al film e al suo regista.
Non c'è proprio un bel niente da spiegare, c'è da sedersi sulle poltroncine di un cinema (disonore su di voi, sulla vostra famiglia e sulla vostra mucca se non andate al cinema per Jordan) e lasciarsi trasportare in un racconto magnifico.
Jordan Peele tutto quello che serve sapere l'ha messo nel film. Teorie, congetture, analisi, non fanno altro che sporcare l'esperienza, che invece è così genuinamente spaventosa che è un peccato incrinarla. Perché Us fa anche paura. Dando in mano le parti ad attori capaci e con un po' di luci sistemate a modino, ce la si fa discretamente sotto, per via di quell'inquietudine viscerale che solo occhi convincenti sanno trasmettere.
Non sono certo io a dovervelo dire, ma nel film ci sono Lupita Nyong'O ed Elizabeth Moss. Capirete da voi che a due come loro basta dare il la e queste diventano belve. Bastano gli occhi. La Moss ha poco tempo in scena ma le basta perché lei è una bomba e tutto quello che tocca diventa oro, come una specie di re Mida delle scene cinematografiche. Davanti allo specchio è spaventosa. Lupita è tutto il film. Pur essendo circondata di comprimari altrettanto brillanti, tra cui due ragazzini spaziali da tenere d'occhio, lei proprio viene da un altro pianeta. Eccezionale. Il suo viso fa mille minuscoli movimenti che la rendono enigmatica e complessa, basta un piccolo accenno di cambiamento e non si sa più chi è cosa. Nessuna parola le renderà giustizia.
Intorno a lei, i colori. Il film è molto, molto rosso, ovviamente. Poi però a volte è blu, e bianco, e beige e ogni singola inquadratura è stoppabile per diventare un quadro. Il paesaggio della spiaggia, la casa in penombra, quella sequenza finale...ha un gusto estetico il regista che incontra così tanto il mio da aver reso la visione del film simile ad un giro in un museo.
Alcune sequenze di Noi sono da esporre nelle pubbliche piazze. La scena di Fuck the police è da annali, ho dovuto combattere contro l'istinto di battere le mani. Il finale è da alzarsi in sala con la mano sul cuore.


Stateci voi a farvi domande sul Vero e Profondo Significato del Film, io sono impegnata a goderne.

mercoledì 3 aprile 2019

Cose di Marzo

14:27
Mi stavo scordando!
Confermandomi la professionalissima blogger che sono, arrivo ad aprile iniziato per raccontarvi le cose belle di marzo.


Il fil rouge del mio mese è stato il femminismo.
Sia chiaro, io sono femminista ogni giorno di ogni mese che passa, ma in particolare a marzo ho avuto visioni e letture orientate verso un tema piuttosto che un altro.

Per esempio, è stato il mese in cui ho scoperto Alice Munro.
Lo so che tutti i lettori veri e seri la conoscono da sempre, soprattutto per i suoi racconti. Io la conoscevo solo di fama, e solo a marzo ho letto per la prima volta qualcosa di suo. Ho cominciato proprio dai racconti, da Chi ti credi di essere? che è un insieme di racconti con la stessa protagonista, che a spizzichi e bocconi finiscono per raccontarne la vita intera in una sorta di formato ibrido tra il racconto e il romanzo.
Rose è prima bambina, poi adolescente e infine donna, e noi attraversiamo ogni fase con lei, vedendola crescere e affrontare problemi diversi per ogni età, e la vediamo attraverso il racconto onesto e privo di fronzoli della sua scrittrice, che esplora difficoltà e problemi di una vita comune, che in quanto tale sentiamo vicinissima. Un racconto di donna completo e sincero, che non addolcisce né indurisce quello che significa essere una donna alla ricerca di sé e della propria indipendenza oggi, ieri e sempre.

Al cinema è stato il mese di Captain Marvel, che non mi ha detto niente né lasciato niente, ma che ha avuto ovviamente un ruolo nel ricordare alla maschilistissima community geek che non solo le donne esistono, ma che vogliono essere protagoniste. Anche di film mediocri con poco da aggiungere alla mitologia MCU. La sola cosa che mi ha urtato di questo film è che lo sappiamo tutti che Brie Larson è molto, molto più brava di così. Mi è sembrata sottotono e mi dispiace molto.

La grande novità del mio mese, però, è stata la stand up comedy, il che è già una barzelletta così perché io ho sto blog da mille anni e da mille anni dico che non mi piace la roba che fa ridere. Invece, complici la nostalgia per Mrs Maisel e Ellen Nostra Signora DeGeneres, mi sono messa a guardare le comedian su Netflix. E da lì, la rivelazione: non è che non mi piace la comedy, è che non mi piace quasi mai quando a farla sono gli uomini. Ne parleremo in un post a parte, perché me le sto sciroppando tutte quante come una pazza.

Per quanto riguarda le serie tv, a marzo è stata la volta di The Umbrella Academy. Anche di quella parleremo in un post a parte perché voglio leggere il fumetto prima di scriverne, ma voglio dire solo una cosa. Se avete visto la serie, venite qui. Abbracciamoci. Lo so. Klaus manca a me.

Infine, già che si parla di femminismo: potrebbe essere interessante un post su tutti gli account a tema che seguo sui social? Esula un pochino dagli argomenti principali del blog, ma insomma, io chiedo.


martedì 26 marzo 2019

I parassiti, Daphne du Maurier

11:08
Mi sa che è da un po' che non scrivo di libri qua su, vediamo se mi riesce ancora.
(Su Instagram però ne parlo sempre e da brava egoriferita vi ricordo che se mi seguite lì mi fate tanto contenta.)
Questa volta tocca alla dea Daphne, ispiratrice dei Grandi.


I Delaney sono un incubo.
Sono tre fratellastri, Niall, Maria e Celia, nati da due geniali artisti di metà del '900. Padre cantante, madre ballerina, figli demoniaci. Viziatissimi, selvaggi, indisciplinati.
Li incontriamo in una noiosa domenica pomeriggio, ormai adulti, quando vengono chiamati 'parassiti'. Non importa chi li chiami così, tanto nulla esiste al mondo tranne loro. La cosa li porta a viaggiare in una giornata di ricordi e ricostruzione del loro passato, dove ci accompagnano fino alla fine del romanzo.

I parassiti è un romanzo che profuma di lusso e ostentazione, della vita caotica e fuori dagli schemi di chi fa l'artista di professione. Ha protagonisti che sono completamente fuori dal mondo 'reale' e coi piedi per terra di chi deve lavorare per vivere, di chi ha problemi comuni e nessuno che glieli risolva, di chi non ha governanti. Sono, a tutti gli effetti, i parassiti del titolo, che vivono del successo dei genitori senza mai concludere qualcosa di proprio , senza mai spingersi ad esplorare il mondo, senza mai chiedersi se ci sia una vita diversa da quella che hanno sempre vissuto. 
Stanno così, accomodati su poltrone di raso, che si lasciano scivolare di dosso l'insulto mentre parlano, e parlano, e parlano. D'altronde, non hanno altro da fare. 
Niall e Maria legati da un rapporto morboso che del fraterno ha ben poco, dipendenti l'uno dall'altra come dall'aria che respirano eppure incapaci di sentimenti reali per qualunque altra cosa o persona, legati solo all'altro e a se stessi, e Celia che ha sacrificato una vita al padre, schiva e mansueta come un agnellino, infelice e completamente annullata anche dai fratelli. Neppure lei, però, così all'apparenza distante dagli altri due, ha mai cercato di fare altro, di dare un senso alla sua esistenza. Lei è un personaggio splendido proprio perché ha accenni di quell'umanità che agli altri manca, ma è pur sempre una Delaney, e stare al mondo non le riesce bene. Tutti e tre sono stati in grado di prendere un talento e gettarlo al vento, perché anche i talenti più magistrali necessitano di essere seguiti e coltivati, e loro non hanno mai sentito il bisogno di farlo.

La bellezza della scrittura di Daphne du Maurier sta nel fatto che non si parli mai esplicitamente di ricchezza. Come non si parla mai del vero rapporto tra Niall e Maria, così come non si parla più di tanto della morte della madre, che viene solo accennata e poi mai più nominata. Non ne ha bisogno, perché disegna talmente bene i personaggi che tutto il resto è perfettamente comprensibile senza che se ne parli mai. Non ci sono descrizioni, non ci sono momenti di riflessioni esterne ai tre personaggi, non ci sono altro che i tre fratelli. Non serve altro che far agire loro per farci vedere alla perfezione tutto il mondo che ruota loro intorno. Solo che noi quel mondo qua lo vediamo, perché nel mondo reale abitiamo ogni giorno, mentre a loro tre scorre intorno come se non ci fosse. Ogni contatto con il mondo esterno alla famiglia Delaney è fallimentare. Sono troppo distanti dalla gente reale. Non riescono nemmeno a interagire con le persone, se non sono al loro servizio. Mamma e papà sono quelli che li hanno resi i parassiti che sono, eppure anche loro compaiono solo da lontano: figure quasi mitologiche e distanti quando i bambini erano ancora piccoli, e inesistenti da adulti, fatta eccezione per il rapporto di dipendenza che il padre ha nei confronti di Celia. Pur avendoli formati, non contano più nulla, perché nulla conta davvero.
Tutto è vano, lontano, non importante. 
Pur dicendolo sempre, però, la du Maurier non lo dice mai.
E questo è il motivo per cui è una dea.

lunedì 18 marzo 2019

The Marvelous Mrs Maisel, finalmente!

11:13
Quando internet entra in fissa con una cosa bisogna ascoltarlo. A volte si tratterà di una sola pazzesca, ma altre sarà Midge Maisel, e allora ogni sola precedente sarà valsa la pena.
Perché sì, The Marvelous Mrs Maisel è davvero l'adorabile delizia che si dice essere e perché adesso fino a fine anno siamo a bocca asciutta e per consolarmi voglio parlarne un po'.


Se ancora non lo avete visto cercate di non saperne niente, ve lo chiedo per favore.
Vi dico solo che Miriam (Midge) Maisel è una squisita donnina anni '50, tutta sorrisi e abiti magnifici, che viene improvvisamente lasciata dall'amore della sua vita, il marito Joel. Si ubriaca, va in un club, prende in mano un microfono e parla, parla, parla.
E di parlare non smette più.

Quando ho finito il primo episodio ho spento la tele e mi sono messa a scrivere. Rimandavo da giorni delle modifiche grosse ad un lavoro che credevo finito e invece bam! Venute fuori le parole come acqua fresca. Ho trovato talmente tanto ispiratrice la serie, in ogni episodio, che non contengo le cose che voglio fare. Midge ha sì un talento naturale per la stand up comedy, ma ci lavora anche su. Prende appunti, studia, ascolta, a volte fallisce e spesso trionfa. Si fa ispirare dal mondo che la circonda e prende tutto quello che può per assimilarlo e trasformarlo in un momento di arte. E vederglielo fare, con la sua freschezza e il suo sguardo tagliente, non può che ispirare voglia di fare altrettanto.

Tutto, in Mrs Maisel, è delizioso. L'ambiente, i costumi (i costumi, i costumi, i costumi!), i personaggi, le loro interazioni, la ricostruzione degli anni '50 e dell'elite newyorkese. I coniugi Palladino ci avevano regalato la prima ventata di aria fresca quasi vent'anni fa, con l'esordio delle Gilmore Girls e del loro Una mamma per amica, e sono tornati con un ventennio di esperienza in più sulle spalle. Mrs Maisel è Una mamma per amica fatto meglio. E sia chiaro, io Una mamma per amica l'ho adorato (ma gli ultimi 4 episodi non esistono e non sono mai esistiti). Questa volta, pur con alcuni difetti soprattutto nella seconda stagione, è come se avessero dato una marcia in più a quella che era già la loro formula vincente: dialoghi brillanti, relazioni speciali, personaggi che rasentano la macchietta senza mai perdere di credibilità, trattamento nuovo di temi già visti.

I personaggi sono, come lo erano nella serie degli anni Duemila, il centro e il cuore di tutto e hanno nel corso di due stagioni uno sviluppo che è interessantissimo e credibile e profondo. Nessuno viene stravolto, ma tutti cambiano e crescono. Ad ogni comprimario è dato un tempo in scena sufficiente a farci affezionare, ad Abe più che a chiunque altro.
Joel nei primi episodi è una specie di Nino Sarratore per il quale non si possono che desiderare dolori e sofferenze. Eppure pian piano si mostra quello che è: un padre affettuoso, un uomo fragile che ha sbagliato e ne sta pagando tutte le conseguenze, un uomo spaventato dal talento e dall'indipendenza della moglie ma che non può che riconoscerne il talento e che quindi diventa spalla e supporto, un ottimo imprenditore. Ha fatto una scelta che ha stravolto la sua vita, e questo lo ha cambiato molto, lo ha fatto crescere. Alla fine ho provato una tenerezza per lui che mi ha stretto il cuore, proprio io che nei primi episodi urlavo contro di lui alla tele.
Susy è un personaggio pazzesco. Volevano mostrarcela piccola, sporca, povera e antipatica. Non le ci è voluto molto per schiudersi e diventare una perla: appassionata, determinata, piena di risorse. Ha riconosciuto un talento ed è riuscita a tirarne fuori non una ma due carriere. Non ha paura di niente e nessuno, forse perché la vita le ha già giocato contro tutte le sue carte peggiori, ha una voce e sa come farla ascoltare. Non ci sono ostacoli, per Susy Myerson, e se ci sono lei prende la rincorsa e salta sopra a tutti quanti. E soprattutto vuole bene davvero, anche quando è scorbutica e silenziosa e aggressiva. Vuole bene e combatte per i destinatari del suo affetto.

Ma soprattutto combatte per Midge, il gioiello della serie.
La perfetta casalinga anni '50: prima fan e supporter del marito, lo aiuta e consiglia, lo segue nel suo sogno anche se lui è una pippa e non si fa mai trovare struccata. Si prende le misure tutti i giorni, ha la piega impeccabile, conosce ogni segreto del make up. Ha un visino incantevole e un armadio pieno di vestiti dal taglio sartoriale.
Allo stesso tempo è sboccatissima, logorroica, spavalda, brillante, spesso inopportuna e fuori luogo, acuta osservatrice. Cerca di farsi spazio in un mondo maschile in cui argomenti legati alle donne non si possono nemmeno toccare, figuriamoci se detti dalle donne stesse.
Che poi, lo sappiamo che le donne non fanno ridere, no?
No, infatti.
Non fanno ridere, non sono credibili, non possono cavarsela senza un uomo. Quelle belle, poi, non sia mai. Quelle sono solo trofei per i maritini orgogliosi. C'è una scena in cui Midge e Susy stanno protestando perché un uomo viene meno ad un accordo. Urlano, scalpitano, si fanno valere. Niente da fare, quello non cede. Deve intervenire un uomo per aiutarle. La serie ritrae benissimo alcune di queste dinamiche per le quali non siamo considerate in grado di badare a noi stesse. Viene proprio presa per matta, perché vuole e può cavarsela da sola. Midge non solo divorzia, ma rifiuta categoricamente di riprovare a conquistare il suo uomo, e questo per l'epoca è scandaloso. Cosa potrà mai fare una donna da sola?
Lei non solo trova un lavoro, ma si costruisce una carriera parallela a quel lavoro. Non solo, la serie è stata anche criticata (da qualche casalinga frustrata su Twitter, probabilmente), perché Miriam rappresenta un pessimo esempio di madre. Verissimo, questa ha due figli che sono seminati in giro per New York e che lei vede una volta ogni tanto quando capita per casa se loro sono svegli. E va benissimo così, finalmente! Una donna che non vive solo per la prole. La risposta dell'attrice è stata semplice e perfetta. Anche Walter White e Don Draper erano genitori terrificanti. Nessuno che se ne sia mai lamentato, però.

La seconda stagione ha avuto alcuni momenti di piccolo eccesso che avrei preferito venissero evitati per lasciare spazio ad altro (la scena del pittore?), e a volte si è percepito un piccolo 'Midge ottiene sempre tutto perché è bellissima' che è stato fastidioso perché il punto del suo personaggio è essere molto, molto di più che un bel faccino e che quindi hanno stonato, ma niente di esageratamente inopportuno.

Date un po' del vostro tempo a Midge Maisel e alla squinternata banda di ebrei che è la sua famiglia. Non è solo una serie adorabile, è anche il ritratto di quello che tutte noi potremmo essere se ci lasciassimo un po' andare, se smettessimo di avere paura dello sguardo degli altri e ci lanciassimo nel vuoto.
Qualcuna finirà su un palco a fare stand up, qualcuna esporrà i propri disegni, qualcuna scriverà e qualcuna canterà. Male o bene non importa.
Basta trovare il coraggio di buttarsi.

venerdì 8 marzo 2019

Period. End of sentence.

13:44
Buona Giornata Internazionale della Donna! Che sia, come mi auguro ogni anno, lo spunto per migliorare quello che non va. La strada da fare è tanta, ma non ci ha mai spaventato.
Per festeggiare, quindi, parliamo di ciclo.


Anno del Signore 2019, Italia.
Qualche settimana fa ho tagliato i capelli e fatto la frangia. (Sì, sono in lutto e no, non ne voglio parlare.) Quando ho detto a mia mamma che sarei andata si è raccomandata una cosa: "Controlla di non avere il ciclo che poi sai che i capelli non vengono bene."
La settimana prima sono andata a trovare la mia proziotta amatissima, la cosa più simile che ho ad una nonna. Mi avvicino ammirata ad un suo ficus di più di dieci anni, allungo una mano per sfiorarlo ma lei, sfoderando una velocità inaspettata per i suoi 90 anni, mi ferma e mi chiede: "Non hai le tue cose vero nani? Non mi toccar la pianta se hai le tue cose che me la fai marcire."
(Nani, vezzeggiativo cremonese, cfr con Nano, versione mantovana.)

L'Italia vive in questa fase di mezzo: la parte meno istruita della popolazione crede ancora ad antiche dicerie sul ciclo e ne parla poco e malvolentieri, un'altra parte, più fortunata, sguazza tra i mille tipi di assorbenti di cui disponiamo (ma che ricordiamo sono beni di lussissimo tassatissimi) e addirittura sta cercando modi per gestire il ciclo che siano meno impattanti per l'ambiente.

Quando pensiamo ai milioni di problemi che hanno i paesi meno sviluppati, spesso ci capita di dimenticarci di pensare ad alcune cose che per noi sono scontate. Ecco allora che intervengono prodotti come Period. End of sentence. che, con un titolo bellissimo, ci porta in India, a capire quali problemi causi alle donne avere il ciclo mestruale e cosa The Pad Project sta facendo per aiutarle.

Un piccolo passo indietro.
Il documentario ha ricevuto alcune critiche severissime, ve le linko qua.
Io direi che la visione di un documentario di mezz'ora, perché così dura, e un solo articolo non fanno di me una persona preparata per esprimere un'opinione certa, quindi mi limito a lasciarvi anche la voce contraria, in modo che possiate farvi un'idea o approfondire la questione se lo ritenete.

Adesso possiamo parlare del documentario, che si apre con una squadra di ragazze che al solo parlare del ciclo davanti ad una telecamera impallidiscono. Risatine imbarazzate, ben poca voglia di toccare l'argomento e pochissima conoscenza.
Nella loro normalità il ciclo è un tabù tremendo che non solo rende complicata la quotidianità, ma che arriva ad avere conseguenze su tutto il futuro delle donne. Le ragazze smettono di studiare, spesso, quando il ciclo arriva. E non come noi che stiamo a casa un giorno al mese, poi facciamo la giustifica sul libretto e torniamo a scuola felici, contente e con gli assorbenti freschi e profumati.

Alle ragazze del piccolo villaggio che sta fuori Nuova Delhi viene inviata, dall'associazione The Pad Project, appunto, una macchina che produca con costi ridottissimi, assorbenti igienici che siano alla portata (economica) delle loro amiche, sorelle, vicine. Inizia una piccola impresa, di donne che producono e vendono assorbenti.
Non si è solo mandato loro un modo per aiutarle a contenere il sangue (30-40 ml per un ciclo medio che ci portiamo a spasso e che da qualche parte dovranno andare a finire), non sono solo stati mandati loro degli assorbenti. Hanno ricevuto la libertà.
E vedere donne che solo qualche scena prima avevano paura solo a dire che cosa succedesse al loro corpo (ogni mese, per ben più di metà della vita) stare sedute insieme a scegliersi gli assorbenti, a parlarne, finalmente, a trovare supporto l'una nell'altra, a lavorare per la prima volta, a rinunciare al timore, è stato molto commovente. Una delle ragazze ha preso delle monete in mano, le ha guardate perplessa per un po', e poi ha esclamato: 'Soldi! In tasca mia!' e aveva un sorriso così grande, che il mio cuore è rimasto lì.

Essere femministi oggi non significa solo combattere per i cartelli deficienti della Lega di Crotone (Lega. Di Crotone.). Le donne che crescono e hanno grandi opportunità possono fare grandi cose, e a volte queste grandi cose comprendono aiutare le altre, che cresceranno e a loro volta aiuteranno, in una grande e solidale rete di supporto che ci può portare fino alle stelle.
No, 'ci' non vuol dire noi donne.
Vuol dire noi umanità, tutta quanta.
Forse non tutte potremo mettere in piedi un nuovo Pad Project, o un nidi gratis project, o un antiviolenza project.
Ma forse qualcuna sì, e allora continuare a combattere ne sarà valsa la pena.


venerdì 1 marzo 2019

Cose di Febbraio

11:27
Lo so, sto trattando questo povero posto malissimo. Lo mollo, poi lo riprendo, poi me lo scordo...

È solo che per il momento sto dando la precedenza ad altro. La seconda storia per ragazzi by me medesima è finita, sto ultimando le ultime cosine poi la lancerò al mondo, solo che questa volta il mondo non sarà Amazon, almeno non subito. Se andrà male la strada dell'editoria classica tornerò con la coda tra le gambe al grande gigante gentile.
Questo non significa che non abbia visto nè letto niente, questo mese, quindi qualcosina di cui parlare ce l'abbiamo lo stesso, anche se in forma ridotta.
Il post non si chiama Preferiti come al solito perché questo giro niente mi ha rubato il cuore.

Buona parte del mio mese di letture è stata rubata da Delitto e castigo.
Conoscevo Dosto solo da Le notti bianche che mi aveva emozionato come poche altre cose prima di lui, ma prima o poi dovevo fare il salto di qualità. 
Penso sia chiaro a tutti che potendo scegliere il mio grande amore i classici russi non rientrerebbero tra le mie prime scelte, ma Delitto e castigo tocca argomenti che pizzicano la mia sensibilità e lo fa con le parolone grandi e magnifiche che rendono i classici quello che sono. Non diventerà mai uno dei miei libri preferiti, ma figuriamoci se mi metto a sindacare Dostoevskij.
Per riprendermi dall'impegno di una lettura così cicciona sono passata ad un horrorino.

Il libro si chiama Nel buio della mente, di Paul Tremblay. 
Cosa cerca di fare, Tremblay? Ma certo! Di dare uno sguardo fresco e nuovo al tema della possessione demoniaca!
La storia è quella di una ragazza, Merry, che sta raccontando ad una giornalista la storia della propria famiglia. Quando Merry aveva 8 anni, infatti, sua sorella maggiore Marjorie ha iniziato ad avere qualche problema. Lo psichiatra non sembrava aiutarla, così il papà, non senza opposizioni della mamma, si è rivolto ad un prete. La famiglia però inizia ad avere grossi problemi economici, così per rimpolpare le casse decide di partecipare ad un reality show, The Possession, che seguirà tutta la procedura di esorcismo.
Partendo dal presupposto che a me è sembrato un libro senza infamia e senza lode, forse è il caso di argomentare un minimo.
Il punto di vista della sorellina minore è interessante, poteva offrire spunti nuovi e freschi, mentre si limita a farlo solo in parte, perché si ricade nel solito demone intrigato anche dall'altra femmina fragile di casa, che si palesa solo quando c'è lei, eccetera eccetera. Poteva anche non essere male la questione reality show, con i risvolti legati alla notorietà, al rendere pubblico qualcosa di così estremo, invece si accenna alla faccenda in un dialogo e basta, chiusa lì. Il difetto principale del libro è questo, per me: provare a portare in tavola qualcosa di nuovo e non farlo abbastanza. 
Per il resto, poi, è tutta la solita solfa: corpo che non risponde al padrone e fa cose innaturali, parolacce, masturbazione, insulti alla chiesa, camere da letto gelate, dubbio se si tratti davvero di possessione o meno ma nel dubbio facciamo un esorcismo. Bla bla bla.
Detto ciò: a me ha fatto paura? Chiaro che sì, se ci sono posseduti in Redrumia ci facciamo la cacca addosso, fossero anche posseduti scadenti.
Alla fine è un libro utilissimo per staccare la spina, che sembra essere una cosa così ambita, e chi ama le possessioni 'canoniche' ci troverà tutti gli elementi del caso.

Facciamo una breve parentesi Oscar? Facciamola.
Sono contenta per tre cose tre: la Colman, Cuaròn alla fotografia e Spiderman.
Arrivederci e grazie, per il resto possiamo chiuderla qua, perché sebbene tutti sappiamo che il valore vero di un film non lo fanno i suoi premi e tutto quanto, gli Oscar sono e restano comunque per il grande pubblico il punto più alto della carriera di chi lavora in questo ambito, e che La Favorita sia andato a casa quasi a mani vuote per favorire i buoni messaggi e la meraviglia della vita mi fa incazzare. 
Ma mai quanto i costumi e la scenografia a Black Panther. 
Quello proprio è un abominio.

Io quest anno ero partita ben poco preparata, dirò la verità, ma voi avete dato così tanto spazio a Bohemian Rhapsody che avevo ragione io a essere poco preparata, perché è un film osceno, beati voi che vi divertite così poco. E se a farvi uscire esaltati dalla sala è la scena del Live Aid dell'85, cosa che potrei anche capire, basta aprire Youtube. Quello originale sta lì, gratis, ogni volta che volete. Ma sottoporsi alla visione di quella roba lì solo per essere contenta per una scena una è una tortura che nessuno di noi merita. E una canzone dei Queen io ce l'ho tatuata addosso, non è che non mi piacciano loro, è proprio il film che non va bene.

In compenso questo mese ho visto per la prima volta Ritorno al Futuro.
Basterà per compensare?
Ah, sì, e anche Marvelous Mrs Maisel.
Ma di lei parliamo a parte, che è una meraviglia e si merita un post tutto suo.


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