lunedì 17 agosto 2015

Non solo horror: Veronica Mars il film

21:11
WARNING #1!
Il seguente post nase dalla mente di una quindicenne. Si prega pertanto di proseguire nella lettura non rompendo i cabbasisi con questioni di maturità e filosofia spicciola, si prega piuttosto di tenere conto della reale età dell'autrice.

WARNING #2!
SPOILERONISSIMI.

Ah, Veronica Mars.
La amavo, eh.
E la invidiavo per la strafighissima vita che faceva alla stessa età in cui io andavo in oratorio a giocare a briscola chiamata, in cui peraltro facevo schifo perché mi facevo sgamare OGNI VOLTA.
Lei no, investigava sulla vita dei compagni, su questioni di droga, di omicidi, di gente scomparsa, e a me che già allora ero casalinga disperata dentro e amavo Criminal Minds tutto ciò sembrava straordinariamente fighissimo.
E continuerò a ripetere fighissimo all'infinito, perché a 15 anni la mia limitata proprietà di linguaggio avrebbe descritto la questione solo così: FIGHISSIMA.


Anni dopo la fine della serie nasce questa campagna kickstarter in cui si chiedono centesimi per dare alla luce il film sulla mia adoratissima Veronica. Gli avrei dato anche i soldi che non avevo.
Ebbene, il film è nato, io l'ho visto, e mi è piaciuto.
Come se il non piacermi fosse una possibilità contemplabile.

Veronica ormai è cresciuta, ha lasciato Neptune, ha una relazione con il tenerissimo Fizz e sta per ottenere il lavoro che potrebbe essere la grande occasione della sua vita. Ma riceve una telefonata: Logan è indagato per l'omicidio della sua ragazza, una famosa cantante pop.
Può Veronica forse non correre in suo soccorso?

No CHE NON PUÒ. Lei deve correre per forza, perché è Logan e se entro la fine del film questi non si rimettono insieme io prendo baracca e burattini e butto tutto fuori dalla finestra.
ANNI ad attendere che sti due deficienti si rimettessero insieme, ANNI. Se non avete avuto una coppia fittizia del cuore non potete capire, ma non venite a fare i cinici con me perché lo SO che ce l'avete avuta e siete caldamente invitati a raccontarmi quale fosse nei commenti.

Non ce ne frega niente del bravo ragazzo che la ama tanto, mi dispiace. C'era il bellissimo stronzo schifoso che a noi piaceva di più, quindi se per favore Fizz ti vuoi levare che è entrato in scena Logan in divisa bianca, grazie, che tutte noi abbiamo da sventolarci.

Ormoni adolescenziali a parte, il film mi aveva fatto prendere un bello spavento.
Innanzitutto hanno cambiato alcuni doppiatori, cosa che francamente trovo di una gravità spaventosa perché qua si vanno a destabilizzare gli animi.
Una delle cose che amavo di più della serie, poi, era la scrittura brillante. Battute pronte, scambi rapidi, mai niente di banale.
Inizio del film, primo incontro di Veronica con gli amici di sempre: un trenino di banalità imbarazzante.
Ero già pronta a fingere di non averlo mai visto per non rovinare lo splendido ricordo che ne avevo. Volevo solo dimenticare quello scempio e reprimere le lacrime.
Tutto sommato invece ci siamo rialzati, i miei adoratissimi personaggi hanno ripreso la verve che tanto temevo avessero perso e i miei battiti sono tornati ad una velocità consona.


Ragazzi, è chiaro, parliamo di Veronica Mars, mica di Solaris (che io potrei non avere mai visto, potrei). Ma per una persona che come me ha tanto amato la serie è stato bellissimo immergersi di nuovo in quei volti familiari, in quelle dinamiche così confortevoli, in quell'aria fighissima che faceva sentire fighissima anche te solo guardandola, per osmosi (che se non sapevi nasconderti bene in briscola chiamata figuriamoci assumere identità nuove con la faccia di tolla che lei sfoderava così bene).
Una adorabile riunione di famiglia che ha il sapore dell'adolescenza e delle volte in cui Veronica Mars lo guardavo pranzando dopo la scuola.

E poi Veronica e Logan si rimettono insieme, che me ne frega a me del resto.

martedì 11 agosto 2015

Notte Horror 2015: Buio Omega

22:15
Ho sempre saputo che prima o poi avrei guardato Buio Omega, per una ragione assolutamente inutile come quelle che solitamente caratterizzano la mia motivazione: lo splendido, incantevole, musicalissimo titolo.
Potrei intitolare così una raccolta di poesie, se ne scrivessi.
O un negozio di libri usati.
O un'auto d'epoca.

Potrei continuare per ore, ma forse è il caso di raccontarvi che l'incontro tra me e il film del buon Joe D'Amato è avvenuto grazie alla mia iniziativa preferita tra quelle dei cinebloggers, la mitica Notte Horror.

Insomma, in Buio Omega ho fatto la conoscenza di Francesco, imbalsamatore per passione (ma che razza di passione è, poi? ma che orrore) che decide di usare le sue conoscenze per conservare anche il corpo della sua amata defunta Anna, la quale ha lasciato il mondo dei vivi perchè colpita da un rito voodoo messo in piedi dalla governante non lucidissima di Francesco, Iris.

Mixiamo il vecchio e l'attuale.
Qualche giorno fa Mika, in relazione alle frasi omofobe scritte sui poster del suo concerto, ha scritto su Twitter che "L'amore fa quello che vuole."
Nel caso del tenerissimo cantante, significa innamorarsi di chi cavolo gli pare, uomo o donna o alieno che sia, come dovrebbe essere suo diritto se vivessimo in un paese civile.
In Buio Omega questo concetto è applicabile in un senso molto più malato e marcio. Talmente marcio da far spuntare la puzza di malsano dalla ventola del pc. In questo caso forse modificherei la frase in "l'amore ti fa fare quello che vuole".


Perché per quanto possa risultare poco credibile data la mia sintesi del film, si tratta in realtà di una storia d'amore.
Messa nelle mani del sopracitato Joe D'Amato, quindi già dobbiamo ringraziare che non sia infarcita di sesso come se piovesse.
Dobbiamo però dimenticare il romanticismo, la dolcezza, le tenerezze. Qua ci toccano la follia, gli omicidi, le imbalsamazioni. Qua ci tocca una donna che pur di avere accanto a sè l'uomo di cui è innamorata, è disposta a divenirgli complice nel crimine, se non addirittura ad incoraggiarlo. Con una freddezza e una capacità di calcolo che fanno temere che in realtà questa donna non sia folle come sembrava ci fosse stata presentata, ma perfettamente in sè, pur se crudele e inumana.
Questo circolo di terribile amore non si conclude però con quello che Iris prova per Francesco, ma prosegue con quello di Francesco per Anna, che in tutto ciò era l'unica che non faceva niente di male. Questo se possibile è l'amore più malato, che impedisce a colui che rimane di accettare la dipartita dell'amata, al punto da non riuscire nemmeno a liberarsi del corpo imbalsamato di lei.

Quindi è questo che siamo, per te, Joe?
Dei corpi?
Quegli stessi corpi che, svuotati di ogni contenuto, così tanto ti hanno fruttato con la pornografia?
E' il nostro corpo che ci caratterizza per quello che siamo?


Con ogni probabilità questa è una polemica sterile senza il minimo fondamento, ma per me è importante riportarvi ogni riflessione che un film mi fa fare.
E Buio Omega me ne ha fatte fare parecchie, nel suo riflettere in modo così inusuale sull'amore e su ciò che siamo disposti a fare per esso. Certo, non starò qui a dirvi che il film effettivamente ha dei difetti grossi quanto la vasca dei lamatini dell'Acquario di Genova, perchè sono evidenti anche ad un occhio poco esperto come il mio. Principalmente è recitato dalla squadra di cuccioli del Canile del paese di fianco al mio.
Mi sento di passarci su perché è stata una visione intrigante, piena di fascino e con una colonna sonora che se per favore il signor Elfmann (che pure mi piace, eh, sia chiaro) volesse spostarsi là porta è di là, grazie.
E soprattutto è una visione per stomaci preparati.
Da tantissimo tempo non vedevo film violenti o particolarmente gore, ma in pratica con un'ora e mezza di Joe D'Amato mi sono abbondantemente rimessa in pari.

Anzi, credo di essere a posto in quanto a sangue per i prossimi mesi.

venerdì 7 agosto 2015

Ennesime comunicazioni di servizio

09:28
Sarà interessante riprendere in mano questo post tra qualche anno (sperando che MRR sia ancora qui, tra qualche anno) e ripensare a questo periodo della mia vita.

Il blog è lo spazio nel quale mi sento più vera, in cui non devo pormi filtri per sentirmi socialmente accettata, in cui anche solo parlando di film posso essere totalmente me stessa, senza scendere a compromesso alcuno.
Per questo motivo, quando la vita 'reale' viene a chiedere il conto e mi tiene lontana da qui, io ne soffro sempre più di quanto dovrei.
E forse, ancora più che scrivere, mi manca leggere, vedere le vostre opinioni, imparare cose nuove. Ho quasi sempre dato più importanza ai blog altrui che al mio, perchè quello che avrei potuto imparare altrove lo avrei potuto trasformare in contenuti di migliore qualità per questo spazio rosso a cui tengo così tanto.

Ho tonnellate di film che aspettano di essere visti, di libri che desiderano essere letti. Il fatto che io non stia leggendo è il sintomo più grande di quanto complicata sia questa estate. Da che ho memoria del mio rapporto con i libri, non c'è mai stato un periodo in cui stessi leggendo così poco.
E se quello col cinema è stato un rapporto in evoluzione, sempre in crescita e costante cambiamento, i libri sono sempre stati la mia certezza principale. Io quando non so cosa fare leggo. Io leggo anche se ho qualcosa da fare.
Mi sembra quasi impossibile che io stia qua a cercare di spiegare cose che sono inspiegabili anche a me invece di starmene accoccolata sul divano col caffelatte e il lettore ebook sulle ginocchia.

Eppure è così, questa estate mi sta consumando, la mia testa e i miei pensieri non sono dove dovrebbero stare, perchè quando provo a concentrarmi e a risolvere qualcosa, ecco che spunta qualcos'altro a rubarmi altro tempo e altro respiro.
E sì, forse per la prima volta nella vita mi ritrovo a pensare a quella frase che ho sempre odiato, qualcosa tipo 'Ah! Se avessi giornate da 48 ore!'.
Che poi dare la colpa al tempo è una codardaggine fatta e finita. Se vuoi fare qualcosa il tempo lo trovi, punto e basta, il resto sono scuse.
Quello che manca, qui, in questo momento, è la testa.
Che sta incollata al corpo solo grazie al collo, altrimenti sarebbe abbondantemente volata via, piena di nuvole com'è.

Questo post di giustificazioni inconsistenti per dire che, grazie al periodo intenso e complesso con cui mi trovo ad aver a che fare, agosto sarà un mese un po' così. Ci sarà la mia partecipazione alla Notte Horror, o magari qualche post qua e là tanto per sfogare quel prurito alle dita che mi viene.

Passerà anche questa volta, passa sempre.

Buone vacanze a tutti!:)

martedì 28 luglio 2015

Tratto da un racconto di Stephen King: Stand by me

23:04
(1986, Rob Reiner)

Ho pensato a lungo su quale potesse essere il film migliore da trattare individualmente perché per quanto ci ostiniamo a dirlo, non è vero che ogni film tratto dai lavori del troppo nominato Stephen King fa pietà.
Alcuni fanno piangere dall'amarezza (Mercy, Mercy, Mercy!!), altri sono minuscole caccolette in confronto alle parole del Meraviglioso, e poi ci sono quelli belli.
Che quando dico belli intendo Belli.
E sarebbe facile stare qua a elencare i motivi per cui ritengo Shining l'unico film al mondo degno di essere chiamato Perfetta Opera D'Arte, oppure ribadire l'intramontabile fascino di Carrie o Misery.
Ma lo sappiamo già.
(Non che ribadirlo faccia male, ANZI, qua siamo a favore del repetita iuvant)
Di fianco a questi colossi dell'horror, però, ci sta Stand by me. 
Che titolo bellissimo, eh?
Stammi accanto.


Non importa a quanti anni si affronti la visione di Stand by me per la prima volta. Non importa che siate stati bambini composti e beneducati o coloriti maschiacci poco puliti. Non importa nemmeno che i vostri film preferiti siano di tutt'altra pasta. E non importa neanche se pensate che il solito autore sia un mediocre essere come tanti altri.
Stand by me è la trasposizione in pellicola del racconto in cui il Nostro ci mostra tutta la sua capacità di prendere l'animo umano e riproporlo in parole. In cui dimostra che non serve essere bambini per raccontare i bambini.
Basta una buona memoria.
Perché non c'è niente di più reale e universale della voglia di avventura (di qualunque tipo essa fosse, non c'è certo bisogno di scappare di casa di nascosto per viverne, anche se lo sognavamo tutti), e del desiderio di viverla con i volti cari dei nostri amici. Quegli stessi amici che prendono il tuo grande dolore e lo stritolano sotto le mani quando ti abbracciano, o quando ti danno un pugno, o quando ti buttano giù da un ponte per impedire che il treno vi investa entrambi.
Il dolore, sì, quello che già a 13 anni senti fortissimo alla bocca dello stomaco, anche quando magari non ne puoi comprendere tutte le implicazioni ma che può comunque rovinarti il funzionamento dell'apparato digerente e il ritmo sonno-veglia.
Essendo così giovane guardo a quell'età con ancora troppo coinvolgimento, non ho il distacco necessario per analizzarla come si deve.
Anche se, in effetti, ci si stacca mai dal noi stesso bambino?
King non lo ha fatto, ma nemmeno Reiner.
Che è riuscito a rendere, in un modo incantevole, tutto lo splendore di quegli anni, quando un secondo prima ti atteggi a uomo vissuto con la sigaretta in bocca e quello dopo preghi i tuoi amici di non raccontare storie dell'orrore perché te la fai sotto.
O quando vorresti trascorrere le giornate in spensieratezza, a cantare canzoncine per insultare le mamme dei tuoi amici (questo non passerà mai di moda) e a scappare dai bulli, come ci si aspetta che tu faccia a quell'età, e invece vivi col tremendo dolore della perdita di un fratello, o con la complicata convivenza con un padre difficile.
Quando vorresti essere già adulto e nello stesso tempo non esserlo mai.


Di tutte le scene iconiche che Stand by me ci regala, quella che preferisco e che credo renda perfettamente in immagini tutto il discorsone fatto sopra è una breve scena in cui i quattro amici stanno camminando in file da due. I ragazzi dietro stanno parlando del loro futuro, dei loro genitori difficili, dei loro desideri anche lavorativi. I due salamotti che stanno davanti, invece, discutono animatamente su chi sia più forte tra Braccio di Ferro e Superman. Entrambe conversazioni che riescono ad essere perfettamente legittimate dall'età dei protagonisti. Teneramente commovente, con quel loro modo di essere così goffi e impacciati, e quel sentirsi già così maturi. E così per tutta la durata di questo sognante e incredibile film, in cui scene dolcemente comiche si alternano a quelle altrettanto dolci ma struggenti.
Quanto è struggente vedere questi ometti entrare nel nero del dolore e cercare di nuotarci in mezzo, perché è proprio qui che stanno imparando come si fa a starci a galla. In un battito di ciglia avranno già imparato a gestirlo, ma ora sono qui e devono sbattere forte le gambe, anche se dopo un po' fa male e vengono i crampi.
Non ci si sveglia un mattino improvvisamente più grandi, saggi e ragionevoli. Si cresce minuto dopo minuto, su quelle rotaie in cui un passo non è mai compiuto dalla stessa persona che ha mosso quello precedente.
E non te ne accorgi mai, che stai crescendo.
Tu vivi, e basta.
Quando ti fermi a riflettere ti accorgi che magari è cambiato il modo di vedere le cose, o che i tuoi interessi non sono più gli stessi, che è mutato persino il tuo modo di rapportarti con le altre persone. Ma quando tutto questo stravolgimento sia avvenuto, tu mica lo sai.
Tu stavi solo passeggiando sui binari.

lunedì 20 luglio 2015

Tratto da un racconto di Stephen King: A volte ritornano

18:21
Nel 1978 esce la prima raccolta di racconti del Nostro. Si chiama Night Shift, distribuito in Italia come A volte ritornano. 
Venti racconti uno più bello dell'altro (continuo a credere che lui dia il meglio di sè nelle narrazioni brevi, per quel poco che ne posso sapere io), da cui, ovviamente sono stati tratti svariati film, alcuni più famosi di altri.
Fil rouge: mi han fatto tutti schifo. O quasi.


Grano rosso sangue, 1984, Fritz Kiersch 


I pugni sono roba facile. Un po' troppo visti.
Gli schiaffoni, invece, quelli proprio a mano aperta in pieno viso, sono più umilianti. Sono 'ho fatto il cattivo e il papà mi dà una bella sberla'.
Per questo, quando alla fine di Grano rosso sangue il protagonista Burt prende a pizze in faccia il giovane Malachia a due a due fino a che diventano dispari, io ho goduto profondamente.
Malachia è un giovane che vive nella cittadina di Gatlin. Cittadina strana, quella, ci vivono solo ragazzini. Burt e Vicki, una coppia in viaggio, si ritrovano lì perché hanno investito un bambino e vogliono andare a denunciare l'incidente alla polizia. Ma niente adulti, niente polizia.
Sapete quanti Grano rosso sangue ci sono? Qualcosa come SETTE. Sei sequel per un film che ok ha fatto buoni incassi (che poi in questi casi è tutto ciò che conta) ma che risulta essere un mediocrissimo lavoretto con molto poco da dire. 
Non mi basta che mettiate un cappello nero in testa ad un ragazzino dal viso angelico per rendermelo inquietante, vi dirò.
Perché nel racconto si arriva nella cittadina con calma, in un clima che parte già teso per la coppia in procinto di divorziare, con approfondite descrizioni dei campi di grano che paiono essere l'unica cosa presente, si sente leggendo il vento che li muove.
Sapete cosa fa rabbia? Che il film inizia bene. In un ridente paesello di campagna del Nebraska tutti i cittadini sono bravi cristiani che dopo la funzione domenicale si fermano alla tavola calda a fare una bella colazione tutti insieme. Inizia a questo punto una mattanza messa su dai bambini del villaggio, fatta di caffè avvelenato, coltelli e botte. 
Ecco, un efficace inizio che si rivela la sola cosa funzionale del film. Mi rendo conto che per chi lo abbia visto magari nell'infanzia possa stare comodo negli abiti di culto, ma io l'ho visto a 24 anni, capitemi.

The Mangler, 1995, Tobe Hooper


'Hai provato a pensare che la macchina sia maledetta?'
'Sì, come no.'
'No, non maledetta, posseduta!'
Ah, scusa, adesso sì che mi torna.
Non è che voglia fare la saputella, perdonatemi, ma mangler vuol dire stiratrice. Ora, se mi fai un film su una stiratrice maledetta, lo devi fare in un certo modo, perché è piuttosto evidente che non ci troviamo di fronte a materiale di sua natura particolarmente inquietante.
Detto ciò, quello che penso io è che con certe premesse si poteva tirare fuori una comedy horror indimenticabile. Perché è una STIRATRICE, capito?
Una di quelle idee che solo quel beotone di Stephen King poteva tirare fuori, perché secondo me quello lì nel cervello non ha convenzionale materia grigia ma chiaramente altro. Il fatto che fosse uso alle sostanze illecite e all'alcool può anche avere dato una sua buona mano.
Questa, di stiratrice, sta in una ditta, la Blue Ribbon Laundry, in cui i dipendenti (e quelli che stanno loro intorno) iniziano a cadere come i dieci piccoli indiani di Christiana memoria. Indagano un poliziotto e un suo amico, quello che lo voleva convincere che la suddetta macchina fosse maledetta. No, non maledetta, posseduta.
Che poi io lo capisco anche, eh, Tobe Hooper. Se uno dei tuoi primi film ti esce storico, un culto, una perla, un amatissimo filmone che nessuno mai dimenticherà, poi sei costretto a essere sempre all'altezza. Allora ci riprovi, ti viene Poltergeist, pensi di essere a posto per la vita.
E invece no, la gente vuole altro, altri film tuoi, quando tu magari vorresti essere a Mauritius a farti spalmare di spf 50 per evitare le rughe.
Poi si lamentano se ti vengono come The Mangler. 
Io lo so che ci hai provato, bello mio, che hai detto 'spetta che mettiamo Robert Englund così tutti guardano lui e nessuno nota che in fondo sono un registino così buttato lì e basta.'
Invece no, l'abbiamo notato.
Mi spiace.

L'occhio del gatto, 1985, Lewis Teague


Se mi date un film horror a episodi il cui filo conduttore è un gatto secondo i miei professionali e competenti canoni di giudizio già dirò che si tratta di un'opera straordinaria.
Poco importa se farà schifo.
La bella notizia in questo caso è che il film non è brutto.
Gli episodi sono 3, dei quali solo i primi due sono tratti da due racconti di A volte ritornano.
Nel primo, Quitters Inc., vediamo un uomo rivolgersi alla ditta che dà il nome al titolo per farsi aiutare a smettere di fumare. I metodi da loro utilizzati si riveleranno, come dire, poco ortodossi.
Il secondo ('Il cornicione') invece ci mostra come una specie di grasso mafioso scommettitore usi il suo vizio delle scommesse anche contro l'amante della moglie. Un episodio abitato da una manica di deficienti che però mi ha intrattenuto piacevolmente, riuscendo anche a farmi provare del sano disgusto nei confronti del nostro benestante 'benefattore'.
Nel terzo, chiamato 'Il Generale', infine, ritorna il nostro beneamato felino, questa volta in veste eroica, in quanto pronto a salvare una giovane e deliziosa bimbetta dalle grinfie di un troll (che, in modo del tutto inaspettato, non si trova nei sotterranei. cit).
Quale sia finito in testa alla classifica lo capite bene da voi.
(No, in realtà ho apprezzato molto il primo corto ma poiché il mio amico felino viene torturato non ho il coraggio di ammetterlo a voce alta.)

Brivido, 1986, Stephen King


Io ti prego Stephen di posare quella macchina da presa e di venire qua a sederti vicino a me. Calmati, questo incubo è finito. Basta, basta.
Film mai più.
Solo solo solo libri.


lunedì 13 luglio 2015

Tratto da un racconto di Stephen King - I mainstream (parte I)

13:58
C'è una specie di legge non scritta che aleggia nell'aria che dice che l'omino bizzarro del Maine può piacervi oppure no, ma uno di questi film lo avete necessariamente visto. Che vi piaccia l'horror o meno.
(Anche perché definire il signor King solo un autore di genere è altamente ingiusto e irrispettoso.)

It, 1990, Tommy Lee Wallace


Vediamo se indovino cosa è successo nelle vostre vite?
Grossomodo intorno agli 8-10 anni avete visto It. Tutti. E tutti giù a ridere, MA NON FA PAURA! Ahahah, tutti i bambini dell'universo che guardano It e dicono che non hanno avuto paura.
Conseguenza, a 30 anni tutti che hanno paura dei pagliacci.
Ah, ma It non faceva paura.
Effettivamente, rivisto oggi, magari con qualche annetto in più sul groppone, paura non la fa.
Ma, francamente, chissenefrega.
Sarà un prodottino mediocre (e va bene, va bene, lo è), sarà una mezza pippetta nei confronti del romanzone da cui è tratto (e lo è, di nuovo), ma è IT! E' l'infanzia, le guerre tra bande rivali, una riunione di sfigatelli ante Glee Club, è divertente. Ad un occhio oggettivo, cosa che il mio non è, potrebbe anche fare piuttosto pena rivisto adesso, va riconosciuto. E' anche lungo come la Quaresima per cui se non gli volete bene evitate di buttarvici perché potreste vederlo come tempo perso.
Ma è IT, quello lì è il mio amatissimo e straordinario Tim Curry, il resto non ha importanza. 192 minuti da re assoluto della scena, anche quando non era presente.
Rimane e rimarrà sempre un cult assoluto, nonostante i milioni di difetti tra cui non ultimo il fatto che il sopracitato Pennywise sia l'unico in grado di recitare. Occupa un posto nel cuore che è ben preciso e tutto suo. Il solo fatto che si stia pensando e lavorando ad un remake mi spezza il cuore. Lo so che con ogni probabilità ne uscirà un lavoro migliore, ma dall'alto della mia maturità mi ci oppongo a prescindere.
Tanto Tim Curry non lo supera nessuno, STACCE.

The mist, 2007, Frank Marabont


Scheletri è la mia raccolta preferita di racconti di King. Forse anche il suo libro che amo di più (forse, perché come cavolo si fa a scegliere?).
La nebbia è, appunto, uno dei racconti da Scheletri.
Si parla di un tot di persone che restano chiuse in un supermercato perché lì fuori si è sviluppata una densa e fittissima nebbia che pare essere popolata da creature niente affatto amichevoli.
Ascoltate una cretina e fate come vi dico: se non avete visto The mist vedetelo adesso. Anche se avete letto il racconto, e pensate che il film non possa darvi niente di più, regalatevi la visione di questo film davvero molto bello, perchè il suo finale (se non ve l'hanno spoilerato in precedenza, in quel caso non vale) vi lascerà in pezzi.
Un monster movie interessante, che riesce ad esserlo anche per me che non sono troppo fan del sottogenere. Forse perché i monster che stanno fuori hanno quasi il ruolo del pretesto in confronto ai monster che stanno dentro. Ma togliamo pure il quasi. Umanità in pericolo, per cui la sopravvivenza viene prima di qualsiasi altra cosa. Molto, molto comprensibile, ma tremendo. Alcuni dei momenti più angoscianti della pellicola sono proprio dati dagli atteggiamenti delle persone. Tenete sotto controllo la signora Carmody, segnatevi il nome.
Tremendo, dicevamo. Ma rimane comunque niente in confronto al finalone. Finalone che, come una ciliegina su quella torta avvelenata dal terrore che ci pervade, ci conduce verso una totale e disarmante disperazione.
Un film incredibile.

Misery non deve morire, 1990, Rob Reiner


Anno Domini 2013.
Viene diffusa la notizia che tale Kathy Bates farà parte del cast della nota serie tv American Horror Story.
Il popolo accoglie la notizia con feste in piazza, manifestazioni di giubilo, parate con carri festosi e lancio di coriandoli colorati agli angoli delle strade.
O almeno, nella mia mente è andata proprio così.
Perché Kathy è, e sarà sempre, quella folle sconsiderata di Annie.
Annie che ancora oggi mi fa una paura pazzesca.
Passo indietro per quelle due anime che non sanno chi Annie sia.
Annie (poi il suo nome non lo scriviamo più) è un'infermiera che salva da un incidente stradale il famoso scrittore Paul Sheldon. Mentre gli presta assistenza, scopre che quel folle vuole far morire, nel suo ultimo romanzo, Misery, che altri non è che l'eroina del cuore di Annie. Lei non prende la notizia proprio bene, per cui prova a fargli cambiare idea.
Se non avete visto Misery siete proprio sul blog sbagliato.
Se già il romanzo è una specie di miscela tossica di tensione e scene molto interessanti anche belle toste, il film è quasi (quasi) su un livello superiore. Reiner ha scelto di eliminare quasi (QUASI) completamente la violenza fisica e visibile ed ha fatto un gran bene, perché è talmente efficace lo sguardo della meravigliosa Bates che non serviva altro. Potrei quasi dire che il film si reggerebbe in piedi anche se fosse orribile e avesse come carta vincente solo quegli occhi.
Perchè la follia spaventa. Perché quando una persona fa un gesto sbagliato, ci si appella alla logica. Si spiega cosa sarebbe stato giusto fare. Ma la logica va del tutto in panne quando siamo di fronte ad uno squilibrio. E lei è talmente brava, talmente verosimile, talmente intensa, che lascia spiazzati. Non puoi spiegarle che non si tengono ostaggio gli scrittori, è ovvio per noi che Misery è solo un personaggio fittizio. E' logico. Non per lei.
Il suo passare dall'affabilità (quello lì è il suo scrittore preferito! E sta male! Si prenderà cura di lui.) al tono minaccioso quasi a passo di danza è da applausi.
Come lo è tutto il film.

(No, i film più famosi non sono tutti qui. Stay tuned!)

mercoledì 8 luglio 2015

Tratto da un racconto di Stephen King - Intro

11:10
Con ogni probabilità nemmeno ve ne siete accorti, ma sono stata lontana da questo luogo di delizia per giorni, mio malgrado.
Mi ha disturbato molto, ma con calma sto recuperando tutti i post che avete scritto in questo lasso di tempo.
La cosa '''positiva''' è che ho avuto molto tempo per leggere. Il risultato è questa nuova serie di post.
Mettiamoci comodi, che sarà lunga.


Stephen King ha sembianze umane, ma è chiaro a tutti da anni che si tratta in realtà di una creatura aliena giunta sulla Terra per mostrare a tutti noi che in un modo o nell'altro scriviamo che in realtà siamo solo delle caccolette al suo cospetto.
Diecimila miliardi di parole in neanche 70 anni, età terrestre.
Una specie di Hellboy della letteratura.
Con tutto sto materiale a disposizione, hai voglia a trarne dei film.
E infatti.

Su MRR abbiamo già parlato di alcuni film che portano le sue parole su schermo: Mercy, quella merda fotonica, Pet Sematary, lo splendore di Carrie di Brian De Palma e infine la totalizzante e spiazzante perfezione del mio amatissimo e preferitissimo Shining. Questi quindi li diamo per assodati, li nomineremo solo velocemente.
Ce ne sono, però, TANTISSIMI altri.
Talmente altri che ne avremmo per un semestre, ma siccome i film da vedere al mondo sono troppi, facciamo che ce ne occupiamo solo per un mesetto.

Se volessi trattare OGNI SINGOLA COSA che porta la dicitura che dà il titolo a questa serie di post, avrei sufficiente materiale da tenerci un blog a parte.
Ho cercato quindi di selezionare solo alcuni titoli, e solo film.
Perché se mi mettessi a vedere anche tutte le serie tv dovrei licenziarmi dal lavoro e non fare altro.
E poi Under the dome non lo voglio guardare, gne gne gne.


lunedì 29 giugno 2015

Almanacchorror: Giugno 2015

11:24
E' quasi ridicola la quantità di film straordinari che sono usciti a giugno.
State a vedere:

8 giugno 1984: i patatonissimi mogwai diventano fenomeno di culto. Esce Gremlins. Tutto quello che ho da dire sul film si trova qui, nella recensione che ne avevo scritto.


12 giugno 1968: release di Rosemary's baby. Mica l'avevo amato, alla prima visione. Poi, ecco, ho guardato bene.

16 giugno 1958: vediamo per la prima volta sir Christopher Lee indossare i panni di Dracula. Il film si chiama Dracula il vampiro. Vorrei saper dire qualcosa di adeguato sulla scomparsa del grande gigante gentile, ma sarebbe niente a confronto di quanto lui con il suo immenso lavoro ha dato a noi.

16 giugno 1960: altra release IMMENSA. Psycho viene portato sul grande schermo. What else?

20 giugno 1975: un nemmeno trentenne Spielberg porta sullo schermo un'icona. Esce Lo Squalo. Potrei fingere di saperne a pacchi, ma in realtà non lo rivedo da tanto, troppo tempo. Per questo motivo vi invito a leggere un altro post, scritto da Lucia de Il giorno degli zombi (qui), che è sicuramente più appassionato e sincero di quanto non sarei io. A me basta dire che son passati 40 anni, ma i brividi sentendo le note della colonna sonora li avete ancora tutti.

22 giugno: compie gli anni oggi quella superba e adorabile faccia di tolla che porta il nome di Bruce Campbell. 
 
 
25 giugno 1982: avete un colpevole. Qualcuno a cui attribuire la colpa delle migliaia di parole con cui vi ammorbo da più di due anni a questa parte. Signori miei, La cosa vede la luce. Il film che ancora oggi terrorizza la persona che mi ha trasmesso la passione che mi porta a rendere pubbliche le mie non richieste opinioni. Mio padre, muratore 56enne, è uno di quegli uomini a cui ti rivolgi per qualsiasi cosa. Costruisce tutto, sistema tutto, risolve tutto, mai spaventato in vita sua, mai niente che lo intimorisca, non ha il minimo senso del rischio nè dell'autorità, è anche abbastanza strafottente. Ma Carpenter è riuscito a mettergli paura. Gliene mette tutt'ora. Forse è quasi più questo a fare paura a me che non il film stesso. Un pezzo di storia della mia casa e della mia infanzia. Il fatto, poi, che sia un film straordinario di quelli che solo il Maestro sa fare, passa quasi in secondo piano rispetto al legame affettivo che provo nei suoi confronti.

26 giugno 1997: L'Off Topic del mese è dedicato al grande amore della mia vita. In UK usciva oggi Harry Potter e la pietra filosofale. E mi fermo qui, vi ho già parlato abbastanza di HP qui.

martedì 23 giugno 2015

Le streghe di Salem

08:20
(2012, Rob Zombie)

Ho fatto un grave errore, di cui sono pronta ad assumermi le mie piene responsabilità.
Sapete cosa ho fatto?
Ho guardato Le streghe di Salem in italiano.
Prima di rivolgermi uno sticazzone, vi prego di guardare questo film in italiano e poi abbiate il coraggio di venirmi a dire che non è terrificante. E lo dice una che non si scaglia contro il doppiaggio per presa posizione, eh.
Ma qui sfioriamo la caricatura, il grottesco.
Ci sono ottime probabilità che questo abbia leggermente inficiato la mia opinione, ma non conterei troppo su questo per salvarmi le chiappe.

Heidi fa la dj in una radio a Salem. Una sera le viene recapitato al lavoro un album, di un gruppo chiamato I Signori. Fin dal primo ascolto, però, pare che questa splendida (ironicissima) musica abbia avuto strani effetti sulla dj.


Siamo di fronte a due possibilità: o io non ci ho capito una mazza, che è sempre un'eventualità da non escludere, o l'ultimo lavoro di Zombie è una di quelle poderose stronzate che non si dimenticano alla svelta.
E con questo spero di avere concluso le parolacce.

Partivo con un'idea del regista - musicista abbastanza chiara, perchè provo un sincero affetto per i Firefly. Ho sperato fino in un ultimo che questo Lords of Salem fosse una caciara cazzona, che si prende poco sul serio ma goduriosa e divertente. Lo avrei amato, capito, se avesse avuto questi toni!
Invece no, si prende sul serio eccome. E allora non mi piace più. Perché i presuntuosetti certi del loro talento a me stanno simpatici, di solito. Quando il talento che tano esaltano c'è, però. Qui non ne sono troppo sicura.
Perché se Sheri Moon che cavalca entusiasta un povero caprone, o si dimena con Gene Simmons, dovrebbero essere importanti scene simboliche mi spiace, io non le ho colte. Non ho colto i simbolisti, gli sprazzi di autorialità, i riferimenti. Se tutto questo ammasso di scene conclusive, di immagini messe insieme con Windows Movie Maker doveva avere un qualche simpatico significato, io, nella sommità della mia ignoranza, non ci sono arrivata.
Videoclip musicali, di nuovo. Solo che se quel clima lì, da videoclip appunto, stava tanto bene sui vestiti dei Firefly, qua stroppia. E sembra senza senso alcuno.


Sapete che impressione mi ha dato?
Quella che mi aveva dato After Earth. Ovvero di essere un film costruito per l'esaltazione dell'attore protagonista (se là era il figlio di Will Smith, qui è la moglie del regista), che giunge al suo culmine nel momento in cui questa, rivestito il ruolo di Madonna nera, se ne sta in piedi estatica e, appunto, mariana, su una pila di donne nude. Ma non siamo tutti Freddie Mercury. (LUI è uno e trino, LUI starebbe bene idolatrato religiosamente, LUI, non Sheri Moon).

Certo, da un punto di vista strettamente estetico mi è piaciuto. Non sarà Grand Budapest Hotel (quello è proprio una perla, una gioia, un Caravaggio per lo sguardo) ma questa prepotenza di colori mi aggrada sempre. Però deve esserci almeno un contesto per questa esplosione cromatica, altrimenti se sei ispirato ci fai un quadro, non un film. Le immagini unite una all'altra col fil di ferro non mi dicono niente. Riesco perfettamente a comprendere le persone a cui è piaciuto e le loro motivazioni.

Semplicemente, non è il mio cinema.

domenica 21 giugno 2015

China Day: Closed Doors Village

11:29
Ragazzi, sono una pagliaccia.
Dò la mia adesione ad un'iniziativa che mi piace molto, poi complici mille motivi che non sto a riportare perchè le giustificazioni non mi piacciono, non sono riuscita a preparare un post per oggi sul film che avrei voluto vedere.
Mi dispiace molto.

PERO' gli altri blogger ci sono, mi pare il minimo che adesso passiate tutti in massa a leggere cosa hanno da dire, io sto andando a sommergerli di commenti, anche se dovrei essere in un angolo a vergognarmi per la figura barbina.
Ciao.

China: inside the tradition.

Storia di fantasmi cinesi (Siu-Tung Ching, 1987) sul Bollalmanacco di Cinema
The Killer (John Woo, 1989) su Director's Cult
Lanterne rosse (Yimou Zhang, 1991) su Scrivenny 2.0

China: through the revolution.

I love Beijing (Ning Ying, 2000) su The Obsidian Mirror
Infernal Affairs (Wai-Keung Lau e Alan Mak, 2002) su Non c’è paragone
La città proibita (Zhang Yimou, 2006) su Recensioni Ribelli
Life without principle (Johnnie To, 2011) su Solaris
Il tocco del peccato (Zhangke Jia, 2013) su White Russian
Mountains may depart (Zhangke Jia, 2015) su Montecristo

giovedì 18 giugno 2015

Non solo cinema: Julia

08:42
QUALCHE SPOILER PERCHE' SONO UN'INCAPACE

Fino a qualche tempo fa ero convinta che Peter Straub fosse il vicino di casa sfigatello di Stephen King, il quale mosso a compassione aveva aggiunto il nome dell'amico accanto al suo in certi titoli.
Invece no!
Peter Straub ha grossomodo quella faccia qui:


Oltre a teneri occhialini rossi cum coppola, il signor Straub ha anche una gran bella penna con cui scrive tanti romanzi horror.
Si è avvicinato al mondo del fantastico con questo breve Julia, nel quale dà al romanzo il titolo della sua protagonista.

Julia, appunto, è una donna che, in seguito alla perdita in circostanze tragiche della figlia Kate, decide di lasciare il marito Magnus. Compra una nuova casa, nella quale però accadono strani eventi che la portano a indagare sul passato dell'abitazione e dei suoi precedenti inquilini.


Non mi ha comprata da subito, il libretto di Straub, anzi.
Proseguendo, però, la realizzazione che niente stava andando come avrei pensato mi ha fatto completamente cambiare idea.
Ma andiamo per gradi.
Julia scappa dal marito perché lo ritiene responsabile della dipartita della piccola Kate. Fin dalle prime pagine, però, frasi accennate e indizi appena mostrati ci convincono che la colpa sia in realtà attribuibile alla madre.
E io, dall'alto della mia somma ignoranza e della mia incapacità di aspettare di finire un libro prima di giudicarlo, pensavo: 'Ma perché me lo dici ora?'

E CERTO che me lo diceva subito, perché l'oblio che ha colpito la nostra protagonista è solo il primo sintomo di un disagio che crescerà in modo esponenziale fin dalle prime pagine del romanzo. E perché la morte della figlia non ha alcuna rilevanza ai fini della trama, se non l'essere il motivo scatenante della sua fuga.

Questo perché, ad un certo punto, arrivano i fantasmi.
O meglio, arriva IL fantasma.
Che si palesa nei modi più convenzionali possibili: apparizioni allo specchio, rumori improvvisi, stanze caldissime, acqua del rubinetto disgustosa (vi dice niente Casper?). . .
Julia, in preda al dolore, si convince che sia la figlia.
Non ci vorrà molto a comprendere che ci troviamo di fronte ad un doppelganger perfetto che andrebbe incorniciato.

Quello che poi è ancora più affascinante è che le medesime apparizioni potrebbero essere tranquillamente da parte di umani: Magnus sta controllando a vista la moglie, entra in casa e volutamente lascia disordine e fa rumore per spaventarla.
Lei ne è consapevole, ma abbiamo tra le mani una donna di una fragilità estrema: pur sapendo a chi attribuire il vaso di fiori distrutto, è convintissima della presenza di un fantasma. Dimentica di lavarsi, di mangiare, la sua stessa salute passa in secondo piano rispetto alla necessità di scoprire cosa sia successo in quella casa e perché quel fantasma ce l'abbia proprio con lei.

Oltre all'interessante questione dell'entità e della precedente proprietaria, a farmi capire quanto svagliavo a sottovalutare il povero Peter sono stati i personaggi secondari.
Una medium terrorizzata, per esempio. Che pare una baggianata, ma è fin troppo facile ritrarle come donne esperte che ne hanno viste di ogni e ormai non hanno paura di niente.
Un marito potente, con una personalità dominatrice, ma anch'esso pieno di sofferenza e che, nel momento adeguato, riesce a convincersi che qualcosa di sovrannaturale ci sia davvero.
Mark, il cognato, che si rivela completamente diverso da quanto credevamo, e infine Lily, uno dei motivi per cui questo libro è così grande. Lei e il suo essere così viscida, una donna subdola e opportunista, legata in modo morboso e quasi lannisteriano al fratello Magnus.


Una discesa nemmeno troppo lenta verso l'inferno personale di Julia, in cui siamo trascinati insieme a lei, in modo apparentemente semplice e che in realtà si rivela efficace e coinvolgente.
Scusa, Peter, se ti ho sottovalutato.

martedì 16 giugno 2015

Non solo horror: Prisoners

11:32
(2013, Denis Villeneuve)

Il giorno del Ringraziamento le figlie minori delle famiglie Dover e Birch spariscono. Accusato del rapimento è il giovane Alex, un ragazzo che soffre di un discreto ritardo. Viene presto rilasciato per mancanza di prove a suo carico, ma Keller Dover, il padre di una delle due piccole, è talmente convinto del suo coinvolgimento da decidere di rapirlo e torturarlo per fargli confessare il luogo in cui si trovano le bambine.

Io vi odio, quando indugiate sul dolore.
Quando girate quelle scene volutamente strappalacrime, magari anche con la splendida e malinconica musichetta sotto.
Vi detesto.
Mi pare di guardare Studio Aperto, e a me Studio Aperto causa frequenti conati di vomito e rush cutanei.



Prisoners, invece, non lo fa.
Esplora quantità di dolore quasi impossibili da narrare, ma mai che lo faccia con autocompiacimento, con voyeurismo, con volutissima voglia di strapparvi quelle lacrime di dosso.
Prisoners in due ore e mezza tocca punte di sofferenza atroci, e ce le mostra con una freddezza, un grigiore e un cinismo che sono quasi allarmanti.
Perché il regista non ci vuole in lacrime, ci vuole attenti.
E questo siamo.
Concentratissimi, lo sguardo immobile, la mente aperta sulle diverse vicende.

La sensazione che ne ho avuto è che il rapimento delle bambine e la conseguente indagine non fossero altro che un pretesto (ottimamente costruito, eh) per prendere in analisi il modo in cui due famiglie affrontano l'uragano di stress, dolore, e angoscia che le ha investite.
Da un lato la famiglia Birch è dignitosissima, soffre in un composto silenzio, rotto solo dallo sfogo della figlia maggiore.
La famiglia Devon, invece, crolla. La madre si affloscia su se stessa, è costretta a ricorrere a farmaci per riuscire a sopravvivere, a dormire. Il padre si trasforma in carnefice, la rabbia e il dolore gli annebbiano il senso dell'etica, ritrovare sua filia conta più di ogni altra cosa, anche di fronte all'evidente disturbo di Alex. Solo il figlio maggiore dimostra un'incredibile maturità, aiutando il padre e sostenendo la madre.
Altrettanto articolato è Loki, il detective che si occupa del caso, con il suo tic all'occhio, il suo atteggiamento duro e inflessibile, i suoi tatuaggi.


Ognuno di questi personaggi (tutti splendidamente interpretati, ma Gyllenhal è una BOMBA) si muove in questo impietoso panorama di provincia, così grigio e piovoso che pare una manifestazione dei cuori spaccati dal dolore.
Non si capisce chi sia il vero prigionero, qui, se le bambine prese in ostaggio o le famiglie imprigionate dalla sofferenza.

Un gran, gran film, in cui non esistono buoni o cattivi, ma umani ripresi in tutte le loro sfaccettature. Così, finalmente, la vittima non è solo il pover'uomo buono come un tocco di pane, ma anche l'uomo fortissimo, determinato, anche crudele. E il carnefice non è solo il folle, la persona detestabile e immotivata. Può anche essere una persona la cui mente è completamente annullata, anch'essa, dal dolore.
E tutto questo, insieme, non ti fa togliere gli occhi dallo schermo.
Per due ore e mezza che scorrono veloci come una.


(Ma l'attore che fa Alex non è ugualeuguale al moroso di Joan of Arcadia?)

giovedì 11 giugno 2015

Musarañas

11:26
(Esteban Roel, Juan Fernando Andrés, 2014)

Vi è mai capitato un periodo di freddezza?
Guardavo film ma mi lasciavano indifferente, mi mancavano le parole.
E qui lo sento, il vostro sospiro di sollievo.
Poi leggo di Musarañas.
Soprattutto, leggo Luis Tosar.
E il mio momento di silenzio finisce.

Montse è una giovane donna che vive rinchiusa in casa con la sorella minore. Non riesce a varcare la soglia di casa da anni.
Uno spiraglio di mondo esterno le si apre nel momento in cui soccorre Carlos, un vicino di casa caduto dalle scale, che da quel momento starà in casa loro fino a quando non si sentirà in grado di andarsene.


Prima d'ora non mi ero mai fermata a riflettere sul mio viso e sul modo in cui lo uso. Adesso, proprio perché ci sto pensando, mi rendo conto di quante volte nella vita reale il mio viso rimane come una maschera di cera, quando non voglio palesare qualcosa che sto provando, per esempio. Immagino sia una cosa che facciamo tutti, più o meno consciamente.
E' anche probabile, invece, che lo faccia solo io e faccia la figura della tonta, ma tant'è.
Ci sto pensando perché nella passata ora e mezza sono stata folgorata da uno dei visi più particolari su cui abbia mai posato lo sguardo: quello di Macarena Gomez. Una bellezza decisamente non convenzionale.
Stavo pensando al modo in cui usiamo il viso perché prima d'ora ho visto pochissime persone usarlo come fa lei. Perché quando hai dei lineamenti così particolari (e, quindi, riconoscibili) è facile cadere nel 'Ahhhhh! Ma quella è Macarena Gomez!'. E invece zero. Pur essendo quello il suo viso, all'apparenza anche poco truccato, Macarena è completamente annullata dentro Montse.


La cosa che però mi ha fatto cadere inevitabilmente innamorata di Musarañas è che di suo sia una pellicola davvero, davvero bella a prescindere dalla Gomez. E' sinceramente inquietante e claustrofobico (come non esce Montse di casa, anche noi ne siamo vincolati, salvo una piccolissima eccezione), la tensione, soprattutto nella parte finale, è quasi insostenibile. I colori sono tenui, quasi spenti, l'ambientazione è deliziosamente vintage senza strillare 'EHI! SIAMO NEGLI ANNI 50!'. E anche tutti gli altri attori sono di un signor livello (risalutiamo Tosar, in personaggi sempre più merda in ogni film che passa).
Eppure, l'interpretazione assolutamente fuori dalla norma della nostra protagonista lo eleva a film eccezionale. Lei, le sue mani costantemente in movimento e i suoi occhioni sbarrati. Lei che interpreta un personaggio così complesso, e sembra farlo con una naturalezza tale che mi fa dubitare della sua salute mentale anche nella vita reale.
Un personaggio, tra l'altro, incredibile. Fortissimo, combattutissimo, pieno di sofferenza. Un personaggio crudele ma a cui non si riesce ad attribuire alcuna responsabilità per quella stessa crudeltà. Io, che non ho mai desiderato entrare nel mondo del cinema ma solo fruirne dall'esterno, non posso che guardare con sconfinata ammirazione quello che una persona può fare con il suo corpo. Prenderlo, e renderlo quello di qualcun'altro.


Sono molto ammirata da quello che gli spagnoli riescono a mettere in piedi. 
Io mi trasferisco.

mercoledì 3 giugno 2015

Psycho Mentary

17:56
(2014, Luna Gualano)

Continuiamo a parlare di Liebster Awards.
Quando vi ho chiesto di consigliarmi un film mi aspettavo di leggere tra le vostre proposte tanti classici, tanti titoloni imperdibili.
E ci sono stati, per carità.
Ma voi, che siete mica un gruppo di pirlotti, mi avete presa per mano e mi avete condotta attraverso strade ben più inusuali del classico filmone autoriale che sapevamo già sarebbe stato grandioso.
Nico, del blog 50/50 Thriller, per esempio, mi ha parlato di un film di cui avevo solo letto qualcosa qua e là sulla blogosfera.

Psycho Mentary è un thriller - horror italiano.
Diretto da una donna.
E vi dò il colpo di grazia per farvi scappare: è un mock.
FUGGITE, STOLTI!

Tornate qua, fagioloni, che scherzavo.
O meglio, è davvero un film italiano dalle tinte belle cupe, e pure mockumentary.
Però è bello. Giuro.
Io non lo so come sia possibile, come sia successo un simile e splendido evento senza che i manifesti urlassero al miracolo, senza che il mondo crollasse, senza che si incrinassero le costole dei fratelli Vanzina.


Lucia, la figlia del senatore Silvestri, viene rapita da un uomo mascherato. Il riscatto richiesto per il suo rilascio è di un milione di euro. La somma viene rapidamente versata, ma pare che all'uomo mascherato un milione non basti più. Adesso ne vuole 10, per non uccidere una dopo l'altra tutte le altre vittime che aveva sequestrato. Facili, da trovare, 10 milioni...

Io son qui che non contengo la gioia, non so da dove è bene iniziare.
Abbiamo un mockumentary in cui ogni telecamera è giustificata! Davvero! Le riprese sono fatte dall'assassino stesso con lo scopo di mostrare le sue eroiche azioni al capitano Brunetti, che si occupa del caso, (e non solo, vedrete) per cui non ci sono motivi del cavolo a giustificare le riprese!
Davvero!
Ogni. Singola. Telecamera. ha un motivo preciso per essere esattamente dove sta.
E' una sensazione bellissima. Come una doccia fresca dopo una corsetta i primi di giugno.

Altra cosa, altra cosa.
Avete ogni tanto quella sensazione strana legata ai prodotti italiani, per cui vedere un film magari indipendente o sentire una canzone nella nostra lingua causa un disagio che ti costringe a cambiare?
Io ce l'ho.
Mi sa che si chiama imbarazzo.
Poche volte me ne salvo. Quando ascolto Mannarino, per esempio. O quando vedo film che sono ben recitati.
BEN RECITATI, capito?
Psycho Mentary ha anche ottimi attori. Non sono i soliti noti (e meno male, regà), non conoscevo i loro nomi prima di questa visione ma, signori miei (e se l'avete pronunciato come Crozza che fa Renzi high five), sono bravi.
E se pensate che stia parlando solo degli interpreti principali vi sbagliate. Sono proprio bravi TUTTI. La moglie di Brunetti, per esempio. Si vede in una sola scena, mentre parla con la sua bambina, e si potrebbe dire che nemmeno sta recitando.

Pensate che le cose positive siano finite qui?
NO.
Ce ne sono ancora, sono felice come una bimba sulle giostre.
La Gualano ci regala un paio di scene con un livello di gore abbastanza elevato, eppure sono quasi eleganti. La violenza, e il disgusto che essa suscita, non sono ostentati, nè volutamente screditati. Ci sono, e basta, quindi te li mostro in quanto tali ma non ho bisogno di cercare il tuo sguardo schifato. Non serve.
Perché il piano dell'uomo in maschera è molto più di questo, è molto più della 'solita' violenza oscena e scandalosa.
E' subdolo, è furbo, ma soprattutto è perfettamente lucido. Ogni minimo dettaglio è studiato per far sì che nessuno sia costretto a soffrire più di quanto non lo costringano a subire le scelte degli altri personaggi. In un colpo solo infierisce tremende botte al nostro Brunetti pur mantenendosi in un certo senso la coscienza pulita.
Costruendo una simile premessa, era difficile scivolare su un finale affrettato, magari troppo action come accade spesso in certi tipi di thriller. Con tutto il tempo che le occorre (e badate che parliamo di un film breve) la regista ci conduce verso la conclusione della faccenda, e lo fa in modo esemplare.

Per lasciarci poi con l'amaro in bocca.
Ora, non voglio esprimermi troppo a proposito della questione economica che incontriamo più o meno a metà film, perché non mi sono informata su quanto ci sia di reale e quanto sia invece fiction.
E' un argomento troppo spinoso perché io ne sappia davvero qualcosa.
Ma il valore della vita è inquantificabile. Il valore dei nostri affetti è inqualificabile. Una gran banalità, vero? Ci ho pensato spesso durante la visione, a come mi sarei comportata io, messa in una tale posizione piuttosto che in quell'altra. Perché mentre io me ne sto qui davanti al ventilatore a scrivere una non richiesta opinione su un film molto bello, da qualche parte nel mondo qualcuno sta morendo. I miei secondi stanno scorrendo allo stesso modo, le mie dita continuano a scrivere. Se quel qualcuno, però, fosse mio fratello, o il mio ragazzo, o qualcuno che amo, la mia vita sarebbe irrimediabilmente e inconsolabilmente spaccata.
Guardando il film, quindi, viene da chiedersi: e se potessi salvarli, fino a dove mi spingerei?
E' una domanda che al momento non ho il coraggio di farmi, perchè non ho il coraggio di ascoltare la risposta.

Unico rimprovero che mi sento di fare riguarda la scelta del cognome del nostro protagonista. Più volte mi sono dovuta correggere perché stavo scrivendo Brunetta.
Sia mai che parli bene di lui.






mercoledì 27 maggio 2015

Amanacchorror: Maggio 2015

14:57
Appuntamento numero 3 con gli eventi horror del mese. Stavolta ho evaso un po' dal territorio a me tanto caro, ma ci sono cose che non possono essere semplicemente dimenticate.

2 maggio 1998: ha luogo la battaglia di Hogwarts. Se avete letto qui, sapete che è una data che ricordo molto bene. (ok, non è proprio horror.) (beh, insomma)

'5 maggio: probabilmente dormivo...altrimenti avrei notato che ci avvicinavamo a quel luogo straordinario' (Bram Stoker Dracula)

8 maggio 1958: Sempre parlando del super VIP dei vampiri esce Dracula il vampiro. Proprio quello lì, quello la cui faccia vi è appena venuta in mente. Quello con il faccione di Christopher Lee, per intenderci. Quello che poi è stato Dracula un altro numero imprecisato di volte. Non stupisce che oggi ne parli volentieri come si parlerebbe di un grave attacco di emorroidi. Il nostro Saruman del cuore, tra l'altro, festeggia il compleanno proprio a maggio, precisamente il 27. Ha partecipato ad oggi cosa epica che vi possa venire in mente. LOTR, ma anche Star Wars, per esempio. Mi dice wiki che ha partecipato a qualcosa come 280 film. Una roba assurda solo da concepire.


12 maggio 1994: usciamo un po' dai confini dell'horror fatto e finito, con un'ottima motivazione. A Cannes viene presentato un film destinato a diventare iconico: Pulp Fiction.

13 maggio 2015: vediamo per la prima volta il full trailer in italiano di Crimson Peak, il nuovo film di Guillermo - amordemivida - Del Toro. Forse va contro le regole almanacchizzare un evento dell'anno in corso, ma qua c'è attesa. Tanta. Tipo che si sta lontani dalle immagini, dalle notizie e dallo stesso trailer per non farsi venire un attacco d'ansia al momento di realizzare quanto tempo manca ad OTTOBRE.



23 maggio 1980: 35 anni fa avveniva l'evento che ha permesso, parecchi anni dopo, di regalarmi una visione del Cinema completamente nuova. Del Cinema come Arte e non più come semplice intrattenimento. Shining vede la luce. La dimostrazione che la perfezione esiste, eccome. E ha il potere di farti sentire costantemente in soggezione nei confronti della concezione più pura di talento. Con immensa banalità, il mio film preferito, quello a cui questo blog è dedicato ogni singolo giorno, in ogni singolo post. C'è altro che si possa dire senza scadere nell'ovvietà? 


Insomma, pochi eventi, ma Grandi.
Vedremo che ricorrenze ci riserverà giugno!

martedì 26 maggio 2015

Racconti dalla tomba

16:03
(1972, Freddie Francis)

Seguire i consigli che mi avete dato qualche tempo fa mi sta portando attraverso epoche, stili e paesi diversi.
Stavolta mi sono fatta guidare da Erica, la siora del Bollalmanacco, che ha parlato di questo film qui.
Erica, grazie.
Racconti dalla tomba è una di quelle scoperte bellissime che potevi farmi fare solo tu.

I racconti che danno il titolo al film sono quelli che vengono raccontati da un monaco a 5 turisti che si sono persi in una catacomba.


Partiamo da una banalissima considerazione. Io sono fin troppo giovane. Sono da sempre abituata a film patinati, con fotografie luminose, effetti speciali incredibili (e abusi di computer grafica), l'alta definizione. Certo, col tempo sto guardando sempre più film datati, ma in misura sempre minore rispetto alla quantità di film ben più recenti che recupero.
Questo mi porta ad avere un modo diverso di giudicare. E' inutile che faccia la finta intellettuale che (ahimè) non sono. Mi servono occhi più attenti per guardare e godere di pellicole così vecchiotte.
Perché un film di queso tipo mi colpisca, allora, serve qualcosa di forte, che mi aiuti a superare i miei limiti, ovvero le lacune e l'incapacità di giudicare correttamente.

Racconti dalla tomba è riuscito a farsi ammirare per quello che è. Un'adorabile film antologico, composto da 5 episodi (uno per turista, pensa un po') + la cornice, breve e intrigante, che con quell'ammiccamento in camera finale mi ha fatto partire un breve e commosso applauso.

Passiamo da un'omicida uccisa da un assassino, attraversiamo vicini di casa molesti (il mio episodio preferito), mariti fedifraghi, statuette che esaudiscono alla lettera i desideri e atterriamo in una clinica per non vedenti.
Nonostante non tutti gli episodi siano belli in ugual maniera, quello che ho adorato è l'aria che si respira. Deliziosamente grottesca, incredibilmente british.
Degno di eterna nota il contrasto tra le chiazze di sangue sul tappeto e le tradizionali canzoni natalizie nel primo episodio, All Through the House. Complessivamente non il mio preferito, primato che spetta all'episodio numero 3, Poetic Justice, ma un ottimo aperitivo per quanto segue.
Per quanto riguarda il sopracitato Poetic Justice, è un momento che vale da solo la pellicola. Crudele fino all'inverosimile. E se in qualsiasi post o articolo legato a RDT leggerete lodi appassionate a Peter Cushing, è proprio per quest episodio, in cui ci regala un personaggio dalla bontà splendente, che però non può stare in eterno a farsi torturare dal viziatello figlio di papà della casa di fronte.
Negli altri episodi si respira la stessa atmosfera, sia nel momento in cui veniamo trascinati negli incubi di un marito fedifrago (a cui ciò che capita in sorte sta BENISSIMO) e li vediamo tramutarsi in realtà, o quando, nell'episodio Wish you were here siamo indecisi se disperarci per la triste sorte della famiglia protagonista o ridere per i livelli di assurdo grottesco che si riescono a toccare. Altro mio grande preferito.


Profuma un po' di nostalgia, per quell'humor nerissimo che oggi si fatica ad usare per bene. E' materiale difficile, si fa presto a scadere nell'errore gravissimo. Eppure, qui ci muove con grazia, osando ma non scandendo mai nello squallido.
Un risultatone.

Di nuovo grazie, Erica, per avermi regalato un momento così felice nella giornata.










venerdì 22 maggio 2015

Del perché le femministe dovrebbero amare Game of Thrones

13:51
SE NON AVETE VISTO LA PUNTATA 5X06 FUORI DAI PIEDINI, DANKE.

Ero lì felice e beata che seguivo la mia solita programmazione, quando salgo su twitter a perdere tempo e vedo un trend BELLISSIMO: #BoycottGameOfThrones.

Come mai? mi sono chiesta. Di nuovo? Chi si è sconvolto stavolta per un paio di tette? Il Moige? L'ACR?
Peggio.
LE FEMMINISTE.

Andiamo con calma.
Io non sono femminista. Perché non sono -ISTA di niente. Non credo che le donne siano superiori, credo che le donne siano pari pari gli uomini. Alcune grandiose, alcune mediocri e alcune proprio di merda. Però ho una naturale e banalotta ostilità verso tutto ciò che è pregiudizio, clichè, rappresentazione delle femminucce mongoline.
E fin qui ci siamo.

Cosa è successo in Game of Thrones?
Hanno violentato Sansa Stark.
Cioè, hanno, è stato quel cane maledetto di un Roose Bolton. La loro prima notte di nozze. Come se le quattro stagioni precedenti ancora non ci avessero insegnato a NON sposarci. E come se la povera creatura non fosse già stata schiaffeggiata su e giù per le disgrazie come Loki sbatacchiato da Hulk.

E tutti incazzati, shockati, occesssù l'han violentata, orrore e sgomento. E io, che non sono certo una cima, mi chiedo dove stia il problema. Chiariamo, io sono una che può vedere anche persone scuoiate (oh, ciao Laugier, ti ricordo sempre con affetto) e non fa una piega ma mostratemi uno stupro e sto male per giorni. Sempre se riesco a vederlo (e di solito non riesco).
Eppure, il vedere una scena (peraltro, in modo assai inusuale per la serie di cui parliamo, non è mai mostrato platealmente, ma solo lasciato intuire) di stupro non mi colpisce come donna. Mi colpisce come persona, ma non nel mio essere femmina.
Mi colpirebbe molto di più se non se ne vedessero MAI.
Esistono, ci sono donne che se ne sono vittime, è giusto parlarne. Nasconderli sarebbe controproducente. E' un gesto terribile, impossibile da narrare. Il solo pensiero mi impedisce di trascorrere una notte serena. Ma gli stupri avvengono, e la realtà va affrontata in ogni suo aspetto.
Certo, non sto nemmeno a parlare della concezione di violenza sulle donne nel Medioevo, le scuole dell'obbligo le avrete fatte anche voi.

Parliamo allora del motivo per cui ogni femminista che si rispetti dovrebbe eleggere Game Of Thrones sua personale serie del cuore:

Arya Stark. 
La mia piccolina. Ne vado pazza. Quanto di più opposto alla damina convenzionale di corte, ha amato combattere da sempre. Determinata, testarda, con una volontà di ferro, impavida. Uno sguardo fiero sul mondo. Legata alla famiglia ma indipendente. Potente, guidata solo dall'odio. Spero che abbia trovato la sua strada.

Brienne of Tarth.
Praticamente Arya da grande. Talmente convinta dei propri desideri da convincere l'ostile padre a educarla come un guerriero e non come la lady che lui avrebbe voluto. La cosa che apprezzo di più di lei è il suo non essere omosessuale. Non fraintendetemi, chiaramente non sono omofobica. Però sarebbe stato molto, molto facile creare un personaggio femminile di questo tipo e farla lesbica. O peggio, asessuata. Invece no. Lei maneggia con le spade, ha dimestichezza con la morte, è un cavaliere, ma ama un uomo. Di un sentimento così puro, intoccabile, che vederla parlare di Renly dopo puntate dalla dipartita di lui è ancora di una tristezza incredibile.

Cercei Lannister
Na zoccola infame senza ritegno priva di ogni pudore, alcolizzata, fetente, ma con due palle sotto così.
Alla regina madre il carattere non manca, e nonostante il suo essere un personaggio così negativo, è una madre come tante: disposta a tutto per i figli.

Lady Olenna
UNA BOMBA.
Divertente, intelligente, sarcastica.
La nonna che vorrei.

Catelyn Stark
Il personaggio più umano. Forse non la personalità più prorompente, ma uno dei character più umani. Costretta a sposare un uomo che non conosceva ma che ha imparato ad amare, madre devota. Ma anche consigliere in tempo di guerra e figlia presente. L'ho amata nel momento in cui è riuscita ad ammettere la sua colpa dei confronti del giovane Snow, figlio bastardo del marito che non è mai riuscita ad amare davvero. Comprensibile e onesta.

Sansa Stark
Inizialmente la debolina. Poca personalità, poca rilevanza. Un personaggio così ci stava anche. Alla fine della quarta stagione sembra avere iniziato ad assumere un po' di Sviluppina, e adesso I am Sansa Stark from Winterfell. This is my home. And you can't frighten me.

Margaery Tyrell
Tutta la nonna. Scaltra, molto.
Sa che il suo corpo ha un gran potere, soprattutto nei confronti di un giovincello con gli ormoni che gli sudano fuori dai pori. Adoro i suoi dialoghi con Cercei, il perculo.

Danaerys
Ecco no, lei mi sta sulle balle.
Pardon.

Non c'è un personaggio, UNO, che sia una debolina senza personalità. Sono tutte a modo loro donne intense e potenti.

E, evidentemente voi femministe estreme non l'avete notato, Martin gli stupratori li odia. Ogni suo personaggio maschile è perfettamente studiato in modo che il suo essere 'positivo' o 'negativo' sia determinato anche dal suo modo di trattare le donne.
Guardate Jeoffrey, che messo per la prima volta a contatto con delle prostitute le costringe a farsi del male. O Roose Bolton, appunto, che alla prima notte di nozze violenta la moglie.
E ammirate come Tyrion, il Mastino, a modo suo anche Jaime, o ancora Drogo non abbiamo MAI sfiorato una donna con scopi violenti. (Certo, Drogo porello era maleducato dai quegli zotici dei suoi compagni, poi col tempo si è fatto placare dalla biondina). Tyrion si è tenuto ben alla larga dal toccare la moglie quando si è trovato maritato ad una ragazzina. Il Mastino non solo ha difeso la stessa mogliettina di Tyrion da un tentativo di violenza, ma ha protetto fino alla morte (NE PARLEREMO, DELLA MORTE DEL MASTINO) la piccola Arya. Jaime ha dimostrato affetto e mentalità aperta nei confronti di Brienne, nonostante il rapporto sia nato con dei gran perculi. L'ha trattata da compagna, da complice, all'altezza della situazione, non come un personaggio inferiore. Come fa il tenero Podrick. I personaggi intelligenti non maltrattano le donne, in Got, è talmente ovvio che Martin non ha mai avuto bisogno di sottolinearlo.

Mica è colpa sua se voi non capite niente.

mercoledì 20 maggio 2015

Lake Mungo

13:29
(2008, Joel Anderson)

Sono al ventottesimo minuto di visione. Tuona, oggi da me è una giornataccia. Ricordo di colpo di essere in casa da sola. Realizzo di avere una maledettissima paura, quindi le scelte sono due: o lancio il pc giù dalla finestra, allontanando il fantasma di Alice Palmer il più possibile da me o mi armo di pazienza e attendo che qualche membro della mia famiglia rimetta piede in casa.
Film in pausa, me la sto facendo sotto.

Lake Mungo è il film che in sede di Liebster mi è stato consigliato da Bradipo. Ha detto qualcosa come australiano+mockumentary+muovilechiappearecuperarlo. Mi si compra con poco, me ne rendo conto.


In Lake Mungo incontriamo la famiglia Palmer. Papà, mamma e figlio cercano di affrontare come possono la scomparsa di Alice, figlia e sorella. Alice è affogata durante una gita di famiglia. Dopo la sua dipartita, però, fa continue apparizioni in foto e video di famiglia. Un fantasma?

LO SO, LO SO che al mio nominare i mockumentary tanti di voi hanno avuto un sussulto di disgusto. (Io no, io li amerò sempresempresempre)
Vi comprendo, amici.
Ma accantonate per un momento il moto di ostilità che si sta muovendo dentro di voi. Lake Mungo è diverso. Non ci sono quei movimenti da mal di mare che sembrano essere diventati l'unico modo per girare un finto documentario. Non ci sono inquadrature confuse o volutamente amatoriali.
C'è un documentario nel suo senso più convenzionale, con testimoni e persone legate alla vicenda che stanno sedute di fronte ad una telecamera a raccontare cosa è successo. E, ogni tanto, ci hanno buttato una bella scena di quelle intense a ricordarci cosa significa avere paura di un film.


Abbiamo tre personaggi disperati. Ma di quella disperazione dignitosa, non ci sono urla, strepitii, nè capelli strappati. Ci sono una mamma, un papà e un fratello che cercano il modo di stare in piedi nel mondo dopo un lutto del genere. E sembrano riuscirci, fino a quando il fantasma di Alice viene a fargli visita. Ma soprattutto, sembrano riuscirci fino al momento in cui sono costretti a guardare in faccia la realtà, a scavare al di sotto delle loro convinzioni per scoprire chi realmente fosse Alice.

Mi hanno molto colpito questi personaggi così composti, sofferenti ma in modo pacato e silenzioso. Considerato che poi buona parte del film ruota intorno a loro che fissano in camera e narrano, era necessario che gli attori fossero quantomeno credibili.
E lo sono, meno male, lo sono.


Dico 'buona parte' volutamente, perché non c'è solo questo. Ci sono le apparizioni del fantasma, ci sono le foto, ci sono i video. E soprattutto, c'è un filmato ripreso con il cellulare, che riprende il momento in cui Alice non è più stata la stessa.
E, mannaggia la miseria, fanno davvero paura.
Il che suona come una specie di piccolo miracolo. Non aspettatevi bus banali e telefonati, perché non ci sono. E non servono. Qui arriviamo nei momenti di maggiore inquietudine in punta di piedi, ma quando ci siamo dentro siamo vincolati, è troppo tardi per tornare indietro.

Ma chi ci vuole tornare, indietro?


giovedì 14 maggio 2015

Videodrome

15:46
(1983, David Cronenberg)

Film post - Liebster, vol 3.
A spingere questo blogghettino nelle braccia di Cronenberg non poteva essere altri che Giacomo, il recensore ribelle.
In effetti, non so perchè ci ho messo così tanto, a parlare di quel gentile vecchietto.
(Cronenberg, non Giacomo)
(Anche se vista la somiglianza di quest'ultimo a Pattinson, il legame è lecito)
(scherzo, scherzo)

Max Renn lavora per un canale televisivo specializzato nella trasmissione di programmi a sfondo pornografico. Per il suo pubblico, però, certi film non sono più sufficienti, e andando alla ricerca di materiale più estremo da proporre trova Videodrome, un programma snuff le cui riprese sono scene di violenza reali e non recitate. Peccato che non si limiti a mostrare scene tremende, ma impianti tumori e allucinazioni nel cervello di chi lo guarda.

Siete carini quando mi consigliate film così FACILI da recensire, davvero.



L'avete mai googlato, voi, Videodrome? 
Tra i primi suggerimenti c'è 'Videodrome spiegazione'.
Questo ci dice due cose: la prima è che guardando questo film superficialmente non ci si capisca na mazza. Comprensibile.
La seconda, però, è più pessimista: ci dice che ancora oggi non siamo in grado di prendere una pellicola per quello che è, di farci trascinare, di farci un viaggio allucinatorio infinito e duro, di farci prendere per mano dal regista e di farci condurre dove vuole lui.

E lui, Davidone, ci vuole portare in un mondo tremendo, in cui realtà e allucinazione sono fuse in un nodo senza soluzione, in cui quello che vediamo è vero o forse no.
E ci trasporta con un carisma incredibile, con una pellicola che è in grado di regalare a noi spettatori le medesime sensazioni che il protagonista prova nei confronti di quello che gli sta accadendo.
Curiosità iniziale, intrigo, per poi finire con shock, disgusto e terrore.
Renn trova queste sensazioni nella ricerca di Videodrome  prima e nel tentativo di liberarsene dopo, noi le proviamo fotogramma dopo fotogramma, in una continua discesa verso la confusione, in cui tutto ciò che crediamo reale è messo in dubbio.


Come si può cercare una 'spiegazione' per questo?
Come si può volutamente ricercare qualcosa che rovini l'incredibile clima che Cronenberg ha messo in piedi?
E' talmente credibile quello che stiamo guardando (tante care cose a Baker e ai suoi effetti speciali), talmente ricercato nel suo essere così apparentemente caotico che cercare di dare un ordine a qualcosa che un ordine non ha suona quasi come blasfemia.

Dove inizia e dove finisce la realtà? Dove inizia e finisce la nostra libertà? Fino a che punto i nostri pensieri e i nostri gesti sono guidati dai media? Fino a che punto abbiamo concesso alla tv di prendere posto nelle nostre menti? O a Internet, oggi?
Io non lo so, e credo anche di non volerlo sapere.
Voi, nel dubbio, continuate a chiederlo a Google.

   Morte a Videodrome! Gloria e vita alla Nuova Carne!

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